Ostuni “bianco” weekend del bello, del gusto e del “pumo” portafortuna
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di Cesare Zucca—–Natale è ormai passato, ma in Puglia troviamo una città che, per tutto l’ anno ci riporta a un bianco presepe. Siamo a Ostuni, un candido agglomerato di casette di luminosa calce bianca, una visione davvero unica, la cui una particolarità è dovuta a un’antica ordinanza ottocentesca che aveva ordinato a tutti i cittadini di coprire le case di calce, per combattere le epidemie di malattie e infezioni che si stavano vericando a causa di un lungo periodo di siccitàLa consuetudine è rimasta nel tempo e ancor oggi si tingono le case che popolano l’antico quartiere Terra, i cui vicoli stretti sono gremiti di botteghe di souvenir dai saponi artigianli, le ceamiche e i meravigliosi piatti colorati , mille magneti con le casette della città., al fischietto in terracotta, prodotti cosmetici realizzati con olio d’oliva, i classici taralli Tra i souvenir più popolari e decisamente di buon auspicio, trionfa il “pumo”, un tradizionale portafortuna in ceramica nato inizialmente come ornamento per ringhiere e balconi. Il nome deriva dal latino pomum, frutto legato al culto della dea Pomona ed è considerato simbolo di fecondità, fortuna e abbondanza. Secondo la tradizione popolare allontana anche il male. Coloratissimi, in mille misure, i pumi sono l’attrazione in tante vetrine e bancarelle… Impossibile lasciare Ostuni senza averne acquistato almeno uno…I “pumi” portafortuna di OstumiDA VEDERELa Concattedrale dalla suggestiva facciata in forme tardo gotiche. Si trova sul punto più alto della città, affiancata da due bei palazzi settecenteschi: il Palazzo Vescovile ed il Seminario, collegati da un ponte in pietra chiamato “la Loggia”. L’ex Monastero delle Carmelitane con il “Museo delle civiltà preclassiche della Murgia meridionale”. All’interno è esposto lo scheletro di una donna che ha conservato in grembo i resti del feto, sepolta 28000 anni fa. Annessa al Monastero vi è la Chiesa di San Vito Martire che, con le sue linee rococò, rappresenta uno tra i monumenti più importanti di Ostuni. La Chiesetta dello Spirito Santo, costruita nel 1637. dal particolare portale rinascimentale, la Chiesetta di S.Giacomo di Compostela, in una delle vie più suggestive del rione Terra. La Chiesa di S. FRANCESCO fusione di elementi medievali, barocchi e neoclassici, la stessa successivamente fu arricchita da due sculture marmoree poste nelle nicchie laterali raffiguranti momenti della vita di S. Francesco, la Chiesa dell’ Annunziata, datata 1594, dove è ammurato un antico stemma di Ostuni, all’interno sono ospitate pregevoli opere d’arte tra cui una spelndida “Deposizione”, di Paolo Veronese. La Guglia di S. Oronzo, il protettore della citta, a cui è dedicato anche il Santuario costruito dagli ostunesi che vollero ringraziare le preghiere del Santo che invocavano l’intervento divino a risparmiare la città dalla peste. A sinistra del tempio, risalendo la splendida scalinata barocca ci si ritrova alla fonte miracolosa che, secondo la leggenda, zampilla per volere del santo.Il Sepolcro di S. Oronzo: la leggendaria fonte miracolosa
A TAVOLA!La Puglia, si sa, rappresenta un’eccellenza culinaria italiana dove cucina e tradizione rivivono nelle saporite ricette della città pugliesi..Ostuni non ne è da meno. Tra i suoi piatti più significativi troviamo il cappello, un timballo farcito con melanzane e zucchine fritte, fette di carne, uova sode e formaggio. Il calzone, detto anche panzarotto, fagottino di pasta lievitata e poi fritta, farcito con vari tipi di ripieno (cipolle, pomodoro, acciughe ecc.)Il piatto più caratteristico è la “ncapriata” nome che potrebbe derivare dal greco kapyridia, con cui si indicava una specie di un energetico purè conosciuto fin dal 450 a.C, come testimonia Aristofane nella commedia Le Rane, in cui racconta che Ercole, dopo aver mangiato fave ed erbe selvatiche, riuscì addirittura a far “cambiare di stato a più di diecimila vergini”Mitologia a parte, le fave da sempre fanno parte dell’alimentazione dei pugliesi.Questo purè viene tradizionalmente preparato con le cicorielle selvatiche e consumato tutto l’anno in tantissimi modi: con sarde soffritte, broccoli di rapa, polenta di farina di frumento. E’ un piatto tradizionale della cucina povera, dove la dolcezza delle fave incontra le note amarognole della cicoria, creando un piacevole gioco di sapori.Volete la ricetta?Eccola“NCAPRIATA” DI FAVE E CICORIASbucciate le fave e mettele a mollo per una notte.Cuocetele insieme a una patata, tagliata a dadini in una pentola, coperte d’acqua e a fuoco lento. A metà cottura aggiungete il sale, l’altra acqua e continuate a cuocerle per almeno due ore circa.Togliete la pentola dal fuoco, versate abbondante olio di oliva e, con il cucchiaio di legno, lavorate bene il composto con un cucchiaio di legno finchè non avrà l’aspetto di una crema densa e uniforme. La purè ottenuta viene servita in un piatto, come accompagnamento alle cicorie (o cicorielle selvatiche), servite lesse, condite solo con sale ed un filo di ottimo olio d’oliva pugliese.Il piatto viene servito con bruschette di pane casereccio.
DOVE ALLOGGIARE
Il Quinto Elemento ResidenceUbicato nello storico Palazzo Ayroldi Carissimo uno dei più belli della Città Bianca. Il nome rimanda ai cinque elementi presenti nella struttura: il legno delle travi e dei pavimenti, il fuoco dei camini, l’acqua delle fontane, al metallo, la terra nei muri e nella calce. All’interno un’ ampia reception, uno splendido salone padronale,un’antica cappella, una zona relax con giochi d’acqua, una corte privata oltre ai 15 eleganti appartamenti dotati di ogni comfort. cucina, doppi bagni e catering esterno per prevvedere alla prima colazione.Boutique Hotel Paragon Pavimenti in parquet francese, stucchi e decori nelle pareti, soffitti a volta , 11 camere e suites e un centro benessere è riservato agli ospiti dell’hotel. La prima impressione è quella di una dimora importante con tante storia da raccontare a cominciare dalla location. Si trova nel settecentesco Palazzo Rosso, inizialmente un convento che divenne residenza di una famiglia nobile napoletana e in seguito del patriota Don Paolo Tanzarella, membro del movimento insurrezionale “Giovine Italia” e Sindaco di Ostuni che fu la prima città pugliese a sventolare orgogliosamente la bandiera tricolore Qui troviamo il Ristorante 700, che ama definirsi“un’ode alla Puglia contemporanea” , capitanato dallo Chef Giacomo Simone. Giacomo esalta le sue origini pugliesi in ogni piatto collaudate dall’ esperienza e arricchite dalla volontà di sperimentareLa Sommità Relais 5 Stelle sul punto più alto di Ostuni, Amosfera magica incastonata nelle rocce che caratterizzano una storica dimora cinquecentesca. Le camere dai colori tenui richiamano l’architettura e i materiali del paese, le ampie finestre egalano scorci unici sul mare e sulla Piana degli Ulivi.Una scala scavata nella pietra guida verso tre antiche cisterne destinate in passato alla raccolta dell’olio, oggi dedicate a degustazioni dei viniNel suo ristonate stellato Il Cielo, Lo Chef, Andrea Cannalire propone viaggi sensoriali tra tradizione e sperimentazione, attraverso piatti che giocano con forme e colori, utilizzando eccellenze locali e preziosità da tutto il mondo.Osterie, Trattorie e buona cucina pugliee
Osteria Don Chisciotte
Osteria Monacelle
Osteria AMA Chilometro 0I carciofi del territorio , tra le specialità di AMA
Ristorante Pizzeria la Grotta degli Avi
Ristorante Spessite
Osteria Contemporanea Calce BiancaUn piatto di Calce Bianca: gnocchetti di patate , crema di piselli e sfoglia di seppia
Ma chi sono io per parlarne? Per parlare di un Papa non me la sento, ma di Bergoglio come uomo posso tentare, e infatti quando mi hanno avvertito che ci aveva lasciati, il primo aggettivo che mi è nato dal cuore è stato umano, infatti l’ho sempre sentito vicino, come un padre o un fratello.
Ma chi sono io per ricordarlo?
In verità un ricordo mio ce l’ho. Il 12 marzo del 2013, nel baretto di via Ferrucci, a Milano, dove ogni mattina Giuseppe mi aspettava con un caffé lungo ed una brioche scaldata per 10 secondi. Come ogni mattina lì leggevo il Corriere e scambiavo pareri e notizie con l’arguta salumiera e il pretenzioso ingegnere, mentre Giuseppe ai caffé aggiungeva saggezza e cultura che non t’aspettavi. Quella mattina si parlava del futuro Papa che avrebbero eletto l’indomani. “Ci vorrebbe un Francesco, più vicino alla gente e più lontano dal Vaticano…” Non so se le mie parole furono esattamente queste, ma il senso fu preciso: alla Chiesa occorreva un Francesco.
Quando l’indomani Bergoglio annunciò di volversi chiamare Francesco, al baretto mi guardarono con sospetto, da chi potevo averlo saputo ben un giorno prima? Forse qualcuno se lo chiede ancora adesso, ma quella mattina Giuseppe mi preparò un caffé sublime.
Ma chi sono io per continuare a parlarne?
Una cosa, però, voglio ancora dirla, non dimenticheremo questo Papa che ha saputo scendere fra la gente, come ha saputo scendere nelle baraccopoli di Buenos Aires, e nel suo gregge ha saputo accogliere gay e divorziati. E che quando ha sentito che stava per lasciare questo mondo terreno ha voluto spogliarsi di tiara e ingombranti vestimenti papali, per dirigersi verso il mondo dell’anima sulla sua sedia a rotelle con un poncho e normali pantaloni: come un uomo, come Francesco. Indicandoci una strada.
Ma chi sono io?
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