Per una volta

NAPOLI: DAL CRISTO VELATO ALLA SFOGLIATELLA

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In occasione della vittoria dello scudetto 2022-23 da parte del Napoli, vi proponiamo il secondo  di due articoli dedicati alla città, ai suoi monumenti più belli e alle eccellenze da non perdere

LEGGI QUI LA PRIMA PARTE

di Raffaele D’Argenzio.

Mette allegria alzarsi presto, scendere e trovare le sfogliatelline calde, qui all’Hotel Palazzo Caracciolo. Un bel modo di far colazione e poi correre a mettersi in fila all’entrata della Cappella San Severo, via Francesco De Sanctis 19, per vedere il Cristo Velato, scolpito nel 1753 da  Giuseppe Sanmartino. Una delle sculture più belle del mondo, ammirata dai Grandi, fra cui anche Canova che  dichiarò che avrebbe dato 10 anni della sua vita  per esserne l’autore.

Ma nella cappella c’è anche  un’altra scultura, “Disinganno”  di Francesco Queirolo, che sbalordisce per la maestria  con cui è scolpita nel marmo la rete dell’inganno. Anch’essa è una delle opere più importanti al mondo per il suo virtuosismo scultoreo.

E ci sono ancora le macchine anatomiche, i simboli della massoneria, altri misteri, dovuti alla personalità di Raimondo di Sangro, settimo principe di San  Severo, che senza dubbio sapeva influenzare i suoi a artisti e sapeva spingerli verso il loro più alto valore artistico.
Si resta entusiasti, ma anche sopraffatti dai troppi turisti. Certe Opere andrebbero viste da soli per assaporarne tutta la grandezza.

Usciti dalla Cappella, si gira a sinistra e si trova piazza San Domenico Maggiore, ed anche la pasticceria Scaturchio, dove si gustano  le migliori, o tra le migliori, sfogliatelle di Napoli. Dal Cristo  Velato di Sanmartino alla sfogliatella riccia di Scaturchio.

 

Da Santa Chiara alla “Genovese”

Per tornare ad elevarci verso il Sacro, prendiamo un taxi per andare al Monastero di Santa Chiara,  a Piazza del Gesù. La Basilica, dopo essere stata bombardata nel ‘43, è stata ricostruita  secondo il disegno orilginale di architettura gotica del 1318, riacquistando la primitava eleganza.

Il chiostro è di un bellezza paradisiaca, commovente nella serenità che riesce a trasmettere. Bellissimi affreschi nel maestoso porticato e bellissime  le  migliaia di maioliche dipinte a mano, nel giardino ristrutturato da Domenico Antonio  Vaccaro dal  1742 al 1769.
Bisogna tornarci in tarda primavera quando fra le maioliche  c’è una pioggia di  glicini in fiore.  A maggio, quando in questo paradiso mancano soltanto gli angeli.

Per restare nel Sacro,  una visita al pomposo  Duomo,  dove si scioglie il sangue di San Gennaro, il 16 dicembre, la prima domenica di maggio e il 19 settembre. Si scioglierà la prossima volta ?

E poi via Toledo, oggi isola pedonale, anzi più che un’isola  è un mare di gente e di negozi. Una sosta la troviamo al numero 185, dove si trova Palazzo Zevallos Stigliano, una delle Gallerie d’Italia della Banca Intesa Sanpaolo, dove tra l’altro si trova “Il Martirio di San’Orsola” del Caravaggio, “Sansone e Dalila” di Artemisia Gentileschi,  “Il Ratto di Elena” di Luca Giordano…E poi, gradita sorpresa, chi è correntista della suddetta banca non paga.

ll Sacro ed il Profano si incontrano

A Napoli bisogna guardarsi intorno, e così ci si accorge  di edicole votive, di archi romani, e anche di  quella strana chiesa con strane scale, quasi di fronte a Palazzo Caracciolo.
Scopriamo che è San Giovanni a Carbonara, costruita dal 1339 al 1343. Di stile  gotico, contiene anche le cappelle con le tombe dei Caracciolo. Le scale esterne furono fatte nel 1700 per raccordare il conveno degli agostiniani, la chiesa al primo livello e quella superiore con le cappelle.

Da vedere, anche perchè è un’opera d’arte semi sconosciuta e solo il caso ci ha portati a visitarla. Ecco il bello di Napoli, una scoperta che non finisce mai. Dovrebbe continuare per vedere Napoli Sotterranea, per mangiare da Mimì alla Ferrovia , per girare fra le bancarelle con i pastori di via San Gregorio Armeno, per scoprire il parco Virgiliano con l’isoletta della Gaiola, la tomba di Leopardi, ma anche le sfogliatelle salate…la cupezza dei quartieri spagnoli e la bellezza delle ville di Posillipo, la ferocia dei camorristi e la classe creativa degl intellettuali napoletani. Napoli dove Sacro e profano si incontrano e dove il meglio ed il peggio si scontrano, “dove tutte le parole sono dolci o sono amare, ma sono sempre parola d’amore”.

Ma prima di partire, mentre cala la sera, ancora una passeggiata a via Caracciolo, con Capri ed Ischia, splendide sentinelle del golfo, il Vesuvio  paterno che svetta, gente che va, che viene, che corre, che ride, taralli caldi e un “coppo” di alici fritte: una festa che invita al sorriso.
Napoli, almeno una volta, ma  non basta.

INFO

DOVE DOMIRE:

HOTEL PALAZZO CARACCIOLO Via Carbonara 112, tel. 081.0160111

DOVE MANGIARE

TRATTORIA CASTEL DELL’OVO via Luculliana 28, tel. 081.7666352

 

BOX: ALMENO UNA VOLTA… MANGIARE ” LA GENOVESE”

Almeno  una volta bisogna assaggiare la  “Genovese”, una ricetta napoletana di cui s’ignora l’origine e la storia. Infatti a Genova non la conoscono, ma fra le varie versioni dell’origine  mi pare attendibile quella per cui fu inventata da un cuoco di corte  francese, di Ginevra (Geneve), che alla famosa zuppa di cipolle francese aggiunse la carne. Non so se la storia  sia vera, ma è vera la bontà della “genovese”, che molti invidiano ma solo a Napoli la sanno fare. Eccola.

LA GENOVESE
Ingredienti per 10 persone
-Un kg  e mezzo di carne di vitello , il girello.
-Pancetta  1 etto
-2 gambetti di sedano
-Una carota
– 1 kg e mezzo di cipolle
-1 bicchiere di vino binaqco
-Olio extravergine di oliva
-Un kg di penne o di ziti spezzati.

Preparazione

In un tegame dal bordo alto fate rosolare le carne avvolta nella pancetta, poi aggiungete un po’ di sale e le verdure tagliate e proseguite per qualche minuto. Innaffiate con vino bianco e fate sfumare. Aggiungete le cipolle tagliate sottili e un bicchiere e mezzo d’acqua. Fate cuocere a fuoco basso, per tre ore, avendo cura di mescolare di tanto in tanto e di aggiungere acqua calda se occorre.
Dopo tre ore avrete una salsa densa, cui aggiungere pepe.
La carne va tagliata a parte e coperta da salsa, per il  secondo.
Nel tegame  versate la pasta che intanto  avete cotto al dente, e a fuoco alto mescolatela  con la salsa  che si attaccherà all’amido e riempirà  le penne, o gli ziti.
Vino in abbinamento:  vino bianco Coda di Volpe del Sannio.