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Myanmar, il Paese dalle 100 etnie

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La prima tappa di questo viaggio non può che essere Yangon, caotica e chiassosa città, solcata da auto e motorini che sfrecciano veloci trasportando un numero impressionante di passeggeri: 3, 4 e a volte anche 5 sullo stesso scooter. Uso del casco non obbligatorio, ci dicono, sicurezza dunque pari a zero e la legge  italiana 81/90 qui sembra pura utopia.

Yangon è la più grande città del Myanmar, affascinante luogo dove l’oriente incontra l’occidente e insieme armonioso di architetture coloniali britanniche che si fondono incredibilmente con dorate pagode buddiste e grattacieli futuristici.  Alberghi lussuosi ed eleganti convivono e si scontrano con le baraccopoli costruite lungo le strade della città dove si aggirano cani e gatti in cerca di cibo e nutriti dai monaci e dai turisti che approdano qui.

La città è punteggiata di templi bellissimi. Uno tra tutti il ChaukhtatgyiPaya, imperdibile (in fase di ristrutturazione)con il suo Buddha reclinato dalle misure impressionanti. Maestoso ed elegante ti osserva dai suoi 19 metri di altezza. Il corpo del Buddha è bianco, la sua veste color oro, gli occhi azzurro cielo e le labbra rosso rubino. È la perfezione. E la corona? Tutta rivestita d’oro e impreziosita da diamanti e pietre preziose. La particolarità però sta nei piedi color ocra decorati con 108 lakshana, i segni di buon auspicio dove i fedeli depongono ghirlande di fiori.

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Lo  Shwedagon (shwe” che significa oro e “dagon” che è il nome storico dell’area in cui fu edificato)  è uno stupa dorato di 98 metri dove sono conservate le reliquie dei 4 Buddha (il sostegno di Kakusandha, il filtro d’acqua di Konagamana, un pezzo dell’abito di Kassapa e gli otto capelli di Gautama). Si trova sulla collina di Singuttara ed è il centro buddista più importante, più amato, più antico e frequentato del Myanmar e forse di tutto il sud est asiatico.

È interamente ricoperto d’oro. Si narra che fu la regina Shin Saw Bu a chiedere di cospargere lo stupa con un quantitativo di oro pari al suo peso corporeo. Nel corso dei secoli le lamine d’oro superarono le 27 tonnellate.

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Shwedagon pagoda

Lasciata Yangon si riparte alla volta di Bagan, la valle dei templi, il luogo perfetto per comprendere la spiritualità e la storia della Birmania. È un luogo magico, a detta di molti il vero gioiello del Myanmar, dove il tempo sembra essersi fermato. Il sito è punteggiato di migliaia di pagode e stupa che si incendiano di rosso al tramonto e si innalzano nelle calde pianure che costeggiano il fiume Ayeyarwady.

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Tutti questi edificio sono considerati sacri e per tale motivo visitabili rigorosamente a piedi scalzi. Non è possibile elencare e descrivere tutti i templi e le pagode di questo sensazionale sito che sorge su un’area di quasi 70 kmq ma non ci perdiamo la visita a quelli nell’area compresa tra Old Bagan e Nyaung, la zona più ricca di monumenti.  A cominciare dal tempio” Ananda Pahto” . Riconoscibile dal suo pinnacolo alto 52 metri, è un gigante di pietra costruito nel 1090 d.C abbellito da terrazze, scalinate e stupa. Le sue pareti sono decorate da rilievi in arenaria e nel centro dell’edificio spiccano quattro statue del Buddha. Ogni entrata è protetta da guardiani delle porte, seduti all’interno di nicchie.

Nelle vicinanze un altro tempio particolarmente bello è Htilominlo Pahto (1218 AD), uno dei più grandi ed eleganti di Bagan. Significa “ombrello” in onore del re e fatto costruire per commemorare la sua elezione. Il re fu scelto tra 5 figli perché l’ombrello bianco di suo padre si inclinò verso di lui e questo fece di lui il prescelto.

Ananda Pahto

Tutt’intorno bancarelle con prodotti artigianali locali: cappellini, bracciali, abiti tipici, cartoline. Qui incontriamo alcune donne Kayan riconoscibili per i tanti anelli di ottone che portano al collo per allungarlo. Sono chiamate “donne-giraffa” e ci raccontano che questa tradizione nacque per proteggersi dagli attacchi delle tigri. Alcune affermano invece che serve per distinguersi da altre tribù, altre ancora in segno di bellezza. In ogni caso sono le uniche donne che non vediamo sorridere.

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Notiamo nei vari spostamenti una pittoresca porta antica: è la Tharaba, l’unica rimasta delle 12 originarie. È dedicata a due spiriti nat raffigurati da due statue, Maung Tinde (Signor Splendore) e sua sorella Shwemyethna (Viso Dorato). Gli abitanti portano loro offerte. Notiamo che i locali non oltrepassano la porta in sella al motorino ma lo fanno a piedi in segno di rispetto agli spiriti che proteggono la città.

Ed eccoci giunti alla principale meta di pellegrinaggio di Bagan: è la pagoda Shwezigon il cui stupa a forma di campana è diventato il prototipo per tutte le altre pagode in Birmania. È uno dei monumenti più antichi della città, costruito, si dice, per custodire la clavicola e un dente di Buddha arrivati dallo Sri Lanka. Ci perdiamo in questa valle antica fantasticando su tempi antichi, ascoltando dalla nostra guida vecchie leggende e cercando di comprendere un mondo così lontano dal nostro.

Si avvicina l’ora dell’esperienza che nessuno dovrebbe perdere: l’indimenticabile tramonto panoramico dall’alto di una collina. Che spettacolo! Che tripudio di colori dal giallo, all’arancione per finire con un rosso accesso. Scattiamo foto per immortalare questa bellezza regalata dalla natura.

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Bagan offre spettacolari mercati ricchi di artigianato locale dove si possono conoscere abitudini, tradizioni usi e costumi del popolo birmano. Ed è qui che si può interagire con la gente del posto e fare amicizia scattando qualche foto. Osserviamo le persone intente a vendere e contrattare la merce, ammiriamo le giovani donne con il viso ricoperto di thanakha una polvere bianca ricavata dai rami di un albero che dicono essere il segreto della loro bellezza. Ricambiamo i sorrisi che ci vengono regalati e che sono la parte più emozionante del viaggio.

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Lasciamo dunque Bagan alla volta di Mandalay e lo facciamo con una barca. La navigazione ci permette di ammirare i villaggi lungo la costa. Difatti le lunghe ore passate a bordo scorrono osservando gli uomini intenti a pescare, le donne che fanno il bucato nelle acque del fiume Ayeyarwady, i bambini che si tuffano nelle acque torbide e altri ancora che improvvisano giochi nell’acqua. Ma tutti sono accomunati da una cosa: al nostro passaggio alzano la mano e salutano e sul loro volto spicca sempre un grande sorriso.

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Prima di arrivare facciamo una sosta 11 km circa a sud del centro di Mandalay nella cittadina di Amarapura, che in lingua pali significa “città dell’immortalità”, per ammirare il tramonto dal famosissimo ponte U Bein. È il ponte in tek più lungo del mondo e il più fotografato del Myanmar. E anche il più affollato. È gremito all’inverosimile, la calca è insopportabile e dunque aspettiamo il tramonto sotto il ponte ammirando la vita del lago sottostante Taungthaman.

Terminiamo la nostra lunga giornata arrivando a Mandalay che visitiamo la mattina successiva. È una città che trasuda storia ma è in preda a una urbanizzazione selvaggia che le ha fatto perdere un po’ di fascino. Sono comunque tante le attrazioni religiose.

Partiamo con la visita alla pagoda Kuthodaw caratterizzata da una serie di lastre di marmo. Insieme ad un’altra pagoda, la Sandamuni, forma il libro più grande del mondo costituito da 729 lastre e 1.122.750 parole. Ogni lastra è custodita all’interno di un piccolo stupa e si tratta dei 15 libri dei Tripitaka, il canone della religione buddista.

Ci dirigiamo al monastero Mahagandayon dove vivono più di 1.500 monaci. Questi ultimi permettono ai visitatori di assistere ai rituali che scandiscono la vita della comunità monastica. Emozionante presenziare all’ora della processione: centinaia di tuniche amaranto, arancione e zafferano sfilano ordinatamente. Assistiamo al pasto dei monaci, alle loro preghiere e addirittura al bucato delle tuniche. Una tradizione spirituale di notevole impatto che si è un po’ snaturata a seguito dell’afflusso giornaliero dei turisti.

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Non ci perdiamo la visita al tempio buddista di Mahamuni, uno dei più importanti luoghi di pellegrinaggio di tutto il Myanmar. Al centro della costruzione una grande statua di Buddha osserva i visitatori.  La statua è venerata dal popolo birmano ed è considerata come rappresentativa della vita di Buddha stesso. Secondo le leggende antiche sono 5 i ritratti eseguiti durante la vita del Buddha storico. Due sono in paradiso, due sono in India e l’ultimo è conservato appunto nel tempio di   Mahamuni.

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Eccoci pronti per il trasferimento in barca verso Mingun, antica città reale con un fiabesco mercato dell’artigianato locale a 10 km circa da Mandalay sulla sponda opposta dell’Ayeyarwady. Mingun è diventata famosa per la pagoda che porta il suo nome e che doveva essere, all’origine, il più grande stupa del mondo ma nella realtà, con la morte del re che la volle costruire, rimase incompiuta.

Dopo la pagoda incompiuta, camminando sul lungofiume incontriamo la Mingun Bell, una campana appesa e funzionante. Di dimensioni enormi ( ha un diametro di 5 metri e un peso di 90 tonnellate), è considerata la più grande del mondo. È sospesa a circa un metro di altezza da terra e non ci lasciamo sfuggire l’occasione di infilarci sotto per entrare nel vano della campana e ascoltare il suono procurato da qualcuno che batte con un batacchio di legno all’esterno. Nella nostra camminata ci fermiamo ad ammirare alcuni birmani che si divertono cercando di salire su un improvvisato albero della cuccagna. Poco lontano una decina di piccoli monaci si divertono scendendo a cavalcioni dal corrimano di una lunga scala. È emozionante vedere questi piccoli monaci che, al di là della scelta di entrare in monastero, rimangono bambini con tanta voglia di giocare.

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Raggiungiamo la parte settentrionale della città, a poche centinaia di metri dalla Pagoda Mingun, per ammirare un vero capolavoro di architettura molto diverso da quello di altre pagode in Myanmar. Si tratta della Hsinbyume Pagoda che ha una struttura a forma di terrazze circolari e rappresenta le sette montagne che circondano il Monte Meru. È un edificio bianco candido e soprannominata immediatamente da tutti noi “meringa”.Myanmar
Prendiamo un volo per il lago Inle. Qui saliamo a bordo di alcune imbarcazioni e iniziamo l’esplorazione dell’area. Visti dalle lance i paesaggi sono spettacolari. La prima sosta è al Nga Phe Kyaung Monastery conosciuto anche con il nome di monastero dei gatti saltanti. Si perché sino a qualche tempo fa i gatti, all’interno del monastero, venivano addestrati a saltare all’interno di cerchi. Ma con la morte del monaco addestratore i gatti ora preferiscono sonnecchiare. La struttura, tutta in tek e posta su palafitta, è davvero molto bella. All’interno si trovano statue di Buddha, alcune molto antiche e abbellite da pietre preziose. Tanti i monaci intenti alla lettura e l’ambiente che lo circonda è da cartolina.

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Phe Kyaung Monastery

Torniamo a bordo delle imbarcazioni e iniziamo a esplorare il lago, una immensa distesa di acqua dello stesso colore del cielo sulle cui sponde spiccano gli ingegnosi orti con infinite coltivazioni pensili sull’acqua di pomodori e zucchine. Il metodo della coltivazione è ingegnoso: una base di giacinti viene completata con alghe pescate dal fondo del lago e della terra sino a realizzare un humus di circa 1 metro su cui vengono effettuate le coltivazioni. Il tutto viene ancorato con lunghi pali di legno fissati sul fondo del lago per dar vita a questi incredibili e bizzarri orti galleggianti.

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Poco più avanti incontriamo alcuni pescatori intenti a pescare con il sistema tipico del lago: conducono le lunghe canoe stando in piedi su una gamba e remando con l’altra. Le sagome dei pescatori che si spostano agilmente danno vita a vere e proprie danze sull’acqua.

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Giungiamo al villaggio di Pauck Par (192 case per la maggior parte costruite in bambù per un totale di 1.180 abitanti). Qui pranziamo in un ristorante galleggiante, visitiamo la fabbrica di sigari e poi il villaggio muovendoci lungo i canali a bordo di piccole canoe guidate dalle donne del villaggio. Myo Min Zaw la nostra guida turistica birmana ha dato vita a un progetto di sviluppo turistico sostenibile davvero interessante. Questo giovane uomo, originario di Yangon ed esperto di lingua italiana e birmana, ha preso parte a un corso di formazione avanzata per lo sviluppo del turismo in zone rurali, tenutosi a Bertinoro in Italia e finanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Dopo due mesi trascorsi da noi a osservare e studiare le varie possibilità per la realizzazione di un progetto sostenibile, Myo è tornato in Myanmar e ha dato vita alla sua idea: fare visitare il piccolo villaggio gioiello di Pauck Par navigando lungo i tanti canali che attraversano il villaggio a bordo di canoe condotte dalle donne del villaggio che da sempre lavorano alla locale manifattura di tabacco per uno, due dollari al giorno. “L’idea, ci ha detto Myo mi è venuta a Venezia osservando le gondole”. Un’idea davvero eccezionale anche per il fatto che la navigazione viene effettuata con canoe tradizionali non a motore e dunque a impatto ambientale praticamente nullo e poi per il progetto di inserire il tragitto percorso dalle canoe in un vero e proprio Museo di Strada.

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Visitiamo anche una fabbrica dove viene lavorata la seta e in particolar modo il filo di loto. Impressionante pensare che per fare  una sciarpa di medie dimensioni con fili di loto servono circa 8000 fiori e 3 settimane di lavoro. 

Una nottata di riposo è quello che ci aspetta prima di prendere un volo per Yangon dove, alle 8.30, abbiamo un incontro con Khin Maung Maung, membro dell’Unione del Parlamento di Myanmar, delegato per i Trasporti e Telecomunicazioni che convoca una conferenza stampa per comunicare la posizione e la versione dello Stato sul “caso rohingya” .

Ci restano poche ore prima della partenza per visitare e cercare una valigia dove riporre tutti gli acquisti fatti durante la nostra avventura birmana.

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Ed eccoci all’aeroporto di Yangon diretti a Singapore, scalo tecnico, per il volo diretto in Italia. Silenziosi, assorti nei nostri pensieri ricordando i tanti sorrisi, abbracci dei nostri amici birmani.

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Un viaggio che non lascia indifferenti, un viaggio che ti trasforma. I racconti di Myo Min Zaw su meriti che ognuno deve consegnare per essere felice in qualche modo ci hanno toccato.  Un viaggio per conoscere, descrivere, assaporare, progettare, un  viaggio che consigliamo di fare una volta nella vita. Da affrontare con serenità in quanto il Myanmar è un posto sicuro, molto ospitale e incantevole. Dunque non ci resta che augurarvi un “kaunggsaw hkareehcain”.

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