Weekend In Salus

Formaggi e salute: i benefici e i falsi miti dei prodotti lattiero-caseari

image_pdfimage_print

Dal 15 al 18 settembre a Bra, in Piemonte, si terrà Cheese 2017, una manifestazione dedicata ai prodotti lattiero-caseari. Era il 1997 quando l’associazione Slow Food Italia e la città di Bra organizzarono la prima edizione dell’evento che, ogni due anni, riunisce oltre 270.000 visitatori e 300 espositori provenienti da 23 nazioni (dati 2015). Protagonisti di questa undicesima edizione sono gli Stati generali del latte crudo, in cui Slow Food riunisce quei casari che continuano a produrre formaggi con latte non pastorizzato rispettando le normative igienico sanitarie, nonostante le difficoltà quotidiane che incontrano.


La domanda che spesso ci si pone è come conciliare benessere e consumo di formaggio. Il dottor Andrea Pezzana, direttore di dietetica e nutrizione clinica all’ospedale San Giovanni Bosco di Torino e responsabile Salute di Slow Food Italia afferma: “I formaggi sono alimenti altamente proteici e a elevato contenuto di grassi, ma hanno anche una buona presenza di fosforo, calcio e vitamina D. È senza dubbio consigliabile alternare il loro consumo a proteine di origine animale e vegetale nel corso della settimana, inserendoli in una dieta ricca di frutta e verdura”.
Forse il punto di vista più interessante è quello che articola il consumo dei formaggi in base alle fasce d’età: consumo moderato per i giovani adulti e attenzione particolare per i soggetti in età di crescita. Il consiglio per tutti gli amanti del formaggio è comunque di prestare attenzione al momento dell’acquisto: piuttosto che consumarne più volte nell’arco della settimana è meglio ridurre a un paio di porzioni scegliendo bene tipologia, provenienza e tipo di lavorazione. Ecco alcuni falsi miti che riguardano i formaggi.

L’etichetta, ovvero tutti i formaggi sono uguali
Nel 99% dei formaggi in commercio troveremo sempre la stessa etichetta: latte, sale, caglio. Ma come è possibile che abbiano tutti gli stessi ingredienti? La legislazione in fatto di formaggi richiede solo queste poche indicazioni. Ma se territorio, alimentazione e benessere degli animali, lavorazione e stagionatura fanno la differenza in un formaggio, allora varrebbe la pena aiutare i produttori a raccontare la loro attività e il loro approccio alla produzione. Indicazioni più dettagliate, come le etichette narranti di Slow Food, aiutano il consumatore a scegliere non solo il gusto del formaggio, ma anche il suo impatto sull’ambiente e l’appartenenza territoriale, il modo in cui l’animale vive e le ricadute che il suo acquisto ha sull’economia locale.

L’indicazione obbligatoria dell’origine per i prodotti lattiero-caseari
Ormai da qualche mese nei prodotti lattiero-caseari ci sono nuove etichette che indicano la provenienza del latte e il paese in cui avviene il condizionamento. “Paese di mungitura: latte di Paesi non Ue”, piuttosto che “Paesi Ue” oppure “Italia” se tutto il latte proviene da allevamenti italiani. Ma quando si parla di latti ci riferiamo a un universo dalle mille sfumature che non riguardano solamente l’animale che li produce. Una bianca modenese e una podolica ci regalano latti dalle caratteristiche diverse, così come non c’è paragone tra una vacca che bruca i prati ricchi di erbe e fiori della Valle d’Aosta e una, anche della stessa razza, allevata in una stalla in pianura e alimentata con insilati. Una dicitura che copre tutti i Paesi dell’Unione europea o l’intero mondo non può essere soddisfacente. Il problema più grosso che l’etichetta non può risolvere sono quei semilavorati dai quali dipendiamo così tanto per soddisfare l’esigenza di Made in Italy a tutti i costi, come la cagliata congelata proveniente dall’estero per la produzione di mozzarella (prodotto non Dop come quella di bufala).

Fermenti industriali: non fanno male, ma nemmeno bene
I fermenti industriali sono uno dei focus dell’evento di quest’anno e ai formaggi che non li contengono Cheese 2017 dedica lo Spazio Libero. I fermenti industriali vengono aggiungi al latte quando le condizioni igienico-sanitarie dei locali di mungitura sono così perfette da azzerare la carica batterica che il latte deve avere per far partire la coagulazione. In alpeggio, quando la mungitura avviene a mano, i batteri naturalmente presenti nella stalla fanno il loro lavoro, ma nei caseifici tutto ciò è impossibile e la cosa più semplice per il casaro è aggiungere i cosiddetti starter. Questi però uniformano il gusto del formaggio, anche quando il latte di partenza è crudo e di ottima qualità. «In base alla bibliografia disponibile fino a oggi, i fermenti industriali non fanno male e inoltre scompaiono nel processo di acidificazione del latte. Scegliendo però un formaggio con starter non autoctoni perdiamo l’occasione di nutrire il nostro corpo con tutta quella carica di fermenti lattici vivi che fanno così bene alla nostra salute. Con il risultato che magari poi siamo costretti ad assumere integratori alimentari per ripristinare l’equilibrio della flora batterica», afferma Pezzana.

Fate attenzione consumatori, ma non rinunciate al formaggio!