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Tornare a Kiev…di corsa

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Il nostro appello a giornalisti, collaboratori, fotografi, amici nel mandarci il loro ricordo di Kiev ha ricevuto moltissimo riscontro. Tanti sono i contributi che sono arrivati al nostro blog. Pubblichiamo quello di Silvana Lattanzio, che, da podista, ha un sogno: una corsa per la pace, proprio a Kiev, la capitale martoriata dell’Ucraina.

LO SPORT UNISCE I POPOLI? ALLORA DARSI COME OBIETTIVO/SPERANZA QUELLO DI TORNARE A CORRERE SULLE RIVE DEI SUOI FIUMI PER FAR RIVIVERE L’UCRANIA

Di Silvana Lattanzio

In questi tempi di guerra tra Ucraina e Russia, non sappiamo più rispondere a questa domanda: lo sport unisce i popoli? Un tempo avremmo detto: certo, così come l’arte, la cultura, i sogni, l’amore. Ma ora la risposta è diventata più difficile. Specie in questi tristi giorni, dove ha fatto clamore la notizia che gli atleti russi sono stati esclusi dalle Paralimpiadi di Pechino.

Atleti ucraini alle Paralimpiadi di Pechino

Dalle parole di Fedor Dostoevskij, scrittore e filosofo russo dell’800: “Fintanto che ciascun uomo non sarà diventato veramente fratello del suo prossimo, la fratellanza non avrà inizio“. Ed evidentemente è così: tra il popolo ucraino e il popolo russo questa fratellanza ancora non ho avuto inizio. O forse è solo stata interrotta.

Podisti (foto di Pierluigi Benini)

In passato, mille sono stati i gesti che hanno unito le persone, i popoli, facendoli diventare fratelli. Come ad esempio il “take a knee”, inginòcchiati: Colin Kaepernick, giocatore di football dei San Francisco, nel 2017, durante l’inno nazionale americano che precedeva la partita, si è inginocchiato per manifestare contro le discriminazioni dei neri negli Usa a favore dei “Black lives matter” (la vita dei neri vale).

Colin Kaepernick si inginocchia per sostenere il movimento “Black lives matter”

Da poco erano successi incresciosi fatti di cronaca nera dove la polizia aveva provocato morti di neri disarmati. Da allora il gesto è dilagato su vari campi di gioco e di sport di ogni nazione e continente, varcando confini e limitazioni, fino ad arrivare ai Campionati europei di calcio della scorsa estate. Un gesto di protesta trasformato in un simbolo condiviso e fatto “volare” sulle ali dello sport.

La corsa come simbolo di pace

Anni fa, sono andata in Israele a correre “La corsa della pace”. Si trattava di una gara semplice, di soli 10 km (quindi accessibile ai più) e su un terreno piatto, parte in terra battuta e parte in asfalto ma, soprattutto, il bello di questo percorso era che partiva da Betlemme per arrivare a Gerusalemme attraverso un check point nella muraglia che divide i territori palestinesi da quelli israeliani.

La manifestazione però non ebbe successo perché al check point militari israeliani non fecero passare nessun podista palestinese, ma solo noi che avevamo un pass turistico. Dall’altra parte del muro ci aspettavano i podisti israeliani per terminare insieme a noi la gara. Anche lì un fallimento della forza unificante dello sport.

Kiev, sogno di una podista

Ma veniamo ai nostri giorni. Quanto sarebbe bello una gara di corsa che attraversa i confini dei due Paesi belligeranti? O, se questo è troppo fantasioso, quanto sarebbe bello fare una gara di corsa lungo il fiume Pripjat, affluente di destra del Dnepr, che attraversa la capitale Kiev?

Ne parlavo tempo fa col presidente del mio gruppo sportivo Zeloforamagno, Claudio Valisa, e ci piacerebbe, un giorno, coinvolgendo anche altri gruppi sportivi, organizzare una gara di corsa il cui tracciato finale ci porti a giungere sotto l’arco della finish line all’ombra della Cupola dorata della Cattedrale di Santa Sofia, gioiello del XI secolo. Sogni di una podista? Forse, ma io ci spero, noi ci speriamo e un giorno si farà.