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ll 5 giugno è la Giornata Mondiale dell’Ambiente, e ci svelerà anche le cause del Covid-19

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Venerdì 5 giugno si celebra la Giornata Mondiale dell’Ambiente 2020, istituita nel 1972 dalle Nazioni Unite per sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi ambientali.

Una data non casuale

La data scelta non è casuale, perché proprio il 5 giugno di quell’anno si tenne la prima conferenza dell’ONU a Stoccolma, durante la quale è stata redatta la Dichiarazione che ha definito i 26 principi, validi ancora oggi, sui diritti dell’ambiente e le responsabilità dell’uomo per la sua salvaguardia.

La colombia il paese delle biodiversità

Il paese che ospiterà la Giornata Mondiale dell’Ambiente 2020 sarà la Colombia, dove si svolgeranno gli eventi ufficiali, quasi tutti in videoconferenza.

La scelta è stata determinata dal fatto che la Colombia è uno dei paesi con più biodiversità al mondo, circa il 10% del pianeta, concentrata soprattutto negli ecosistemi andini, nella foresta pluviale amazzonica e nell’aria biogeografica del Chocò, nella parte nord occidentale del paese.

It’s time for Nature

È l’ora della natura” (It’s time for Nature), è il tema scelto per quest’anno, per sottolineare, che per avere cura di noi stessi dobbiamo prenderci cura dell’ambiente che ci circonda e del pianeta in cui viviamo, tutti quanti.

Un tema molto attuale, soprattutto considerando l’emergenza mondiale che stiamo vivendo, quella del Covid-19, sulla diffusione del quale molti studiosi concordano ci siano molte responsabilità da parte dell’uomo, perché alla base c’è uno sconvolgimento degli equilibri naturali.

Perché è anche colpa nostra

Nel 2013, il giornalista scientifico David Quammen ha pubblicato il libro “Spillover. L’evoluzione delle pandemie”, nel quale, dopo aver intervistato molti esperti, paventava il verificarsi di una pandemia mondiale. Gli esperti gli avevano detto che il nuovo virus avrebbe avuto origine da un animale, probabilmente selvatico, e sarebbe stata la conseguenza del nostro modo di vivere.

Zoonosi

La malattia trasmessa da un animale a un essere umano si chiama zoonosi e nel corso del XX secolo, proprio in concomitanza con lo sviluppo economico, le zoonosi si sono manifestate sempre più spesso.

Il motivo è che gli esseri umani entrano sempre più in contatto con specie selvatiche, soprattutto ai Tropici. In queste zone c’è una presenza umana sempre più forte che sottrae spazi alla foresta. E più riduciamo l’habitat degli animali selvatici più aumenta il rischio di malattie.

Centre national de la recherche scientifique

Serge Morand, ricercatore del CNRS (Centre national de la recherche scientifique) ha spiegato che di solito un agente patogeno presente in un animale selvatico deve usare un “ponte”, per raggiungere gli esseri umani, ma anche per mutare e adattarsi al nostro organismo.

 

Origine nel mercato di Wuhan, in Cina

Questo ponte è rappresentato da altre specie animali, dette “intermedie”, come cani, gatti, mucche, maiali. Per colpa dell’uomo, le specie selvatiche e quelle domestiche entrano in contatto. La pandemia di Covid-19, infatti, ha avuto origine nel mercato di Wuhan, in Cina, dove gli animali selvatici sono stati messi insieme a quelli più “domestici”.

Deforestazione e sfruttamento delle risorse: perché favoriscono le pandemie

Un’altra concausa della diffusione delle epidemie è la deforestazione, che ha come obiettivo quello di trasformare le foreste in terreni agricoli o destinati all’allevamento. Un esempio è quanto accaduto in Malesia negli anni Novanta, quando sono state distrutte ampie aree boschive per creare un grande allevamento di maiali da destinare all’esportazione.

Il nipah

Nella stessa regione vive anche un pipistrello che si nutre di frutta, il nipah. I maiali dell’allevamento hanno probabilmente mangiato i resti della frutta con la saliva del pipistrello caduti sul terreno e si sono infettati, infettando a loro volta gli allevatori. Ma il punto fondamentale è che i maiali che sono stati infettati dai pipistrelli non dovevano trovarsi lì!

Un focolaio nella Repubblica Democratica del Congo

Un altro esempio riguarda un focolaio nella Repubblica Democratica del Congo, dove è in corso un processo di dissodamento e scavi forestali alla ricerca di coltan, un minerale usato per apparecchi elettronici. I minatori che lavorano all’estrazione del coltan si nutrono di animali selvatici e questo li espone a un alto rischio di contagio.

Consideriamo poi che molte delle persone che vivono nei paesi in via di sviluppo abitano in villaggi e bidonville dove l’igiene è molto precaria e anche questo facilita il diffondersi delle epidemie.

Che fare allora?

Ognuno di noi dovrebbe imparare qualcosa dalla situazione che stiamo ancora vivendo, ma acquisendo più consapevolezza in ogni aspetto della nostra vita quotidiana, dagli acquisti agli spostamenti, dalla scelta di che cosa mettere in tavola e anche nel modo di viaggiare, prediligendo prodotti a Km zero, oppure mezzi alternativi all’aereo.

La speranza è che questa crisi ci spinga a realizzare questi cambiamenti, sia a livello personale che mondiale, tenendo sempre presente che viviamo tutti sotto lo stesso cielo e in una grande casa: la nostra Terra.

Di Manuela Fiorini