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Il Carso, dove la roccia ha un’anima, la vigna è eroica e i vini sono ribelli

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Di Raffaele d’Argenzio

Ho messo piede sul Carso per la prima volta in un pomeriggio ventoso, quando il sole indora le pietre e il profumo del mare si mischia a quello della terra rossa. Non è una terra qualsiasi, il Carso. È un angolo di mondo dove la roccia sembra avere un’anima e la natura, dura e generosa, racconta storie di resistenza e passione.

Mi è bastato poco per capire che qui coltivare la vite è un atto d’amore, quasi eroico. Le radici si fanno strada tra pietre e fenditure, alla ricerca di nutrimento, e da questa lotta nasce qualcosa di unico: vini che hanno il carattere della terra da cui provengono. Come la Vitovska, bianca, salmastra, minerale, profonda. È il vitigno simbolo di questo territorio e il cuore pulsante di tanti piccoli produttori che non si sono mai arresi alla fatica né alle difficoltà.

Passeggiando tra i filari, ho conosciuto vignaioli con le mani spaccate dal vento e dalla pietra, persone che custodiscono tradizioni e le rinnovano con intuizioni moderne. Il loro è un lavoro di pazienza e visione, che affonda le radici nel passato e guarda lontano, anche oltreoceano: oggi i vini del Carso viaggiano verso il Giappone, gli Stati Uniti, parlano la lingua dell’identità e dell’autenticità.

Uno dei luoghi che mi ha colpito di più è stata la cantina di Benjamin Zidarich, scavata direttamente nella pietra a Prepotto, nel comune di Duino Aurisina. Una discesa vertiginosa verso il cuore della terra, dove il vino matura tra cunicoli, gallerie e vasche in pietra. Poco distante, l’altra cantina di Sandi Skerk continua a crescere come un organismo vivo: qui anche le pietre di scarto tornano alla vigna, in una sorta di economia circolare che ha il sapore dell’intelligenza antica.

E poi c’è Muggia, con la sua “Vigna sul Mar”: una piccola oasi affacciata sull’Adriatico, dove la Vitovska prende respiro dal mare e s’imbeve di salinità. Ogni anno, la celebrazione di questo vitigno speciale si rinnova con “Mare e Vitovska”, una manifestazione ospitata nel Castello di Duino, dove i produttori si incontrano, si raccontano, si assaggiano.

Ma il Carso non è solo vino. È anche osmize, osterie temporanee nate nel ‘700, quando l’imperatore d’Austria concesse ai contadini di vendere i loro prodotti per otto giorni. Ancora oggi, basta seguire una frasca verde appesa a un cancello per ritrovarsi in un cortile o sotto un pergolato, seduti su panche di legno, a gustare salumi, formaggi, uova sode, sottaceti e un bicchiere di Terrano, Refosco, o di Vitovska ovviamente, tra amici e sconosciuti che brindano insieme.

Il Carso è così: schietto, roccioso, difficile da decifrare, ma pronto a mostrarsi a chi ha voglia di ascoltarlo. Una terra di confine che sa essere madre, dura e dolce insieme. Una di quelle che, una volta viste, non si dimenticano più.

 

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