Agli Stati Uniti il premio “Black in the World” 2020

Nelle categorie dei Weekend Premium Green Awards c’è anche il Black In the World, un premio che nessuno, nonostante gli inviti, è mai venuto a ritirare! Perché è un “riconoscimento” che viene attribuito ai paesi che si sono maggiormente distinti per la poca attenzione alle politiche ambientali, per il non rispetto della nostra Terra in nome del profitto, per l’alta percentuale di morti dovuti all’inquinamento atmosferico.

Smog a Los Angeles, la città più inquinata degli Stati Uniti

A vincere il premio “Black in the World” 2020 sono gli Stati Uniti di Donald Trump, poco incline alla salvaguardia dell’ambiente e fautore di leggi “morbide” che, di fatto, riducono e smantellano gli standard “inquinanti”. Non solo, però. Gli Stati Uniti primeggiano anche come maggiori consumatori di concimi chimici.

Emissioni inquinanti in alcune fabbriche

Basti poi pensare che gli USA figurano anche nelle prime dieci posizioni tra i “paesi più mortali” del mondo. Si stima, infatti, che nel 2017 hanno perso la vita a causa dell’inquinamento quasi 197 mila persone. A questi si aggiunge il milione di morti stimati per esposizione al piombo, presente, per esempio, nelle vernici delle pareti di casa, nei vecchi sistemi idraulici, e in molti oggetti di uso quotidiano.

Lo skyline di Los Angeles si vede a malapena nella cortina di smog

Tuttavia, c’è anche una buona notizia. Entro la fine del 2020 potrebbe crescere il numero di stati americano che aderiscono al piano per il controllo dell’inquinamento adottato per prima dalla California. Gli Stati di Washington, Minnesota, New Mexico, Colorado e Ohio stanno infatti completando il piano di approvazione della misura.

2° posto per la Cina

Secondo podio per il Black in the World per la Cina. Il colosso asiatico, infatti, oltre ad avere emissioni di monossido di carbonio elevatissime, fa anche un uso smodato del carbone. E di limitare le emissioni e adottare misure di riduzione dell’inquinamento non ci pensa nemmeno! Anzi, sembra che per sopperire alle perdite economiche dovute al periodo di lockdown per il Coronavirus ha intenzione di moltiplicare la nascita di industrie altamente inquinanti, come cementifici o acciaierie.

A causa dello smog, in Cina le persone indossano sempre la mascherina

Per rendersi conto della gravità della situazione, basta andare a Pechino, dove lo smog è talmente denso da ridurre notevolmente la visibilità e dove è stata registrata la percentuale record di 250 microgrammi di polveri sottili per metro cubo.

3° posto per l’Australia

Terza posizione del podio “Black in the World” per l’Australia, che nel 2020 è stata protagonista di un disastro ambientale a causa dei devastanti incendi che hanno letteralmente ridotto in fumo la vita di 1 miliardo di animali selvatici e oltre 12 milioni di ettari di terra. Non solo. Nel periodo che va dal settembre 2019 al marzo 2020, il fumo scaturito dagli incendi è stato responsabile della morte di 417 persone, 3151 ricoveri per problemi respiratori e cardiovascolari, oltre a emergenze per asma.

Gli incendi in Australia “fotografati” dal satellite

Inoltre, la stagione degli incendi ha rilasciato nell’atmosfera 830 milioni di tonnellate di anidride carbonica, una quantità superiore all’inquinamento annuale di tutto il paese, pari a 530 milioni di tonnellate. E questo ha fatto “volare” l’Australia al sesto posto tra le nazioni più inquinanti del mondo, dopo Cina, Stati Uniti, India, Russia e Giappone.

Un canguro tenta di mettersi in salvo dalle fiamme

L’emergenza climatica, poi, in Australia non è mai stata affrontata con politiche di contenimento, al punto che il paese si è classificato al 57° posto su 57 posizioni nel Climate Change Performance Index 2020 che classifica in paesi in base alle azioni poste in essere per contrastate i cambiamenti climatici.




Paradisi (quasi) perduti. Dieci luoghi da sogno che rischiano di scomparire

È una TOP TEN un po’ diversa quella di questa settimana. In questa classifica abbiamo deciso di includere dieci luoghi del mondo che rischiano di scomparire o di mutare completamente il loro aspetto e la loro natura a causa dei cambiamenti climatici.

Alcuni ve li abbiamo già presentati, di altri vi parleremo prossimamente. La maggior parte sono isole, sì, quelle isole da sogno dove la mente ama vagare e fantasticare quando siamo stanchi e desiderosi di evasione, più o meno note, altri sono parchi nazionali, che da santuari della biodiversità rischiano di diventare deserti a causa dell’innalzamento delle temperature o del disboscamento.

1.Kiribati

Sono il primo luogo del mondo a dare il benvenuto al nuovo anno, ma rischiano di non arrivare al 2100. Sono le isole Kiribati, un arcipelago di 33 isole, di cui solo 21 abitate, che si trova nella regione pacifica della Micronesia, a Est dell’Australia e della Nuova Zelanda e a Ovest della Hawaii. Sono divise in tre gruppi: le Gilbert Islands, le Phoenix Islands e le Line Islands (o Sporadi Equatoriali). Su 33 isole, 32 sono atolli la cui altezza massima sul livello del mare è di pochi metri.

Negli ultimi anni, il livello dell’Oceano si è notevolmente alzato e più di un’isola delle Kiribati è stata sommersa dalle acque. Già negli anni Novanta sono state inghiottite dal mare le isole di Abanue e Bikeman, mentre, entro il 2025 rischia di scomparire anche la Millennium Island, famosa perché, è stata la prima a festeggiare l’entrata nel nuovo millennio.

Quello che rende uniche le Kiribati è che sono il primo luogo al mondo a vedere l’alba del nuovo giorno e, di conseguenza, anche quella del nuovo anno. Il pericolo di essere sommersi dall’Oceano è così reale e affatto remoto che è già pronto un piano di migrazione di massa per i 103 mila abitanti delle Kiribati, tra accordi con i governi dei paesi circostanti e acquisto di terre nelle isole Fijii.

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2. Tuvalu

Anche l’arcipelago delle Tuvalu, una manciata di isole e atolli situati nel Pacifico, tra l’Australia e le Hawaii rischiano di essere sommerse dalle acque dell’oceano, sia per l’innalzamento delle acque che per l’erosione del suo territorio. Proprio per questo motivo, è la seconda nazione meno popolata al mondo, poiché molti abitanti le hanno abbandonate diventando “migranti ambientali”.

Ma che cos’è che le mette cos’ a rischio? Prima di tutto la sua estensione ridotta. Con una superficie di appena 26 kmq è il quarto Stato più piccolo del mondo, dopo Città del Vaticano, il Principato di Monaco e Nauru. Il secondo fattore è la loro conformazione di atolli corallini, con un’altezza massima sul livello del mare di poco più di 4 metri, soggetti alla forza delle maree e agli effetti della salinità del mare.

La crescita del livello del mare, oggi, viene stimato di 1-2 mm all’anno. A questo ritmo, le Tuvalu potrebbero essere sommerse dall’oceano nell’arco di 50-100 anni. Per tentare di strappare la terra al mare, il governo ha adottato il principio dello sviluppo sostenibile per ridurre la propria dipendenza dal petrolio e ha lanciato ripetuti appelli ai paesi industrializzati, affinché limitino le emissioni di gas serra.

Se tutto questo non dovesse bastare, inoltre, è già pronto un piano di evacuazione che prevede il trasferimento degli abitanti in Nuova Zelanda e nelle isole vicine, secondo accordi presi con i rispettivi governi.

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3. Isole Salomone

In comune con le altre isole che rischiano di scomparire c’è la posizione nel Pacifico e la natura corallina degli atolli. Anche le splendide Isole Salomone, un arcipelago di ben 992 isole, di cui solo 347 abitate, sono tra i paradisi tropicali che rischiamo di perdere. A differenza con gli altri stati insulari, tuttavia, le Salome hanno un triste primato: cinque atolli corallini dell’arcipelago sono già stati inghiottiti dalle acque dell’oceano e altri undici sono vicini ad essere cancellati per sempre dalle mappe geografiche.

La causa è sempre la stessa: il riscaldamento globale, ma gli scienziati hanno rilevato che alle Salomone, a causa della posizione, del moto ondoso e della conformazione degli atolli, il livello del mare cresce a un ritmo più veloce rispetto alle isole vicine. Dal 1994 in poi, infatti, le acque sono cresciute a un ritmo di 7-10 mm all’anno, uno degli incrementi più alti registrati in tutto il pianeta.

A farne le spese non solo gli abitanti, che oltre alla devastazione portata dalle acque devono combattere anche contro le conseguenti epidemie, ma anche la delicata biodiversità. Le acque del Pacifico, ogni volta che si scatenano, portano con sé piante e animali presenti solo qui. Le Salomone, infatti, vantano la seconda barriera corallina più bella del mondo dopo quella delle Maldive.

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4. Isole Marshall

Lo Stato delle Isole Marshall appartiene alla regione oceanica della Micronesia e si compone di 29 atolli e 5 isole. Le isole coralline, invece, sono circa un migliaio e vanno a comporre due gruppi, conosciuti come Ralik, “isole del tramonto” e Ratak, “isole dell’Aurora”.

In comune con le altre isole di cui abbiamo scritto sopra hanno la scarsa altitudine, appena 2 metri sul livello del mare, che causa, di anno in anno, la perdita di territorio dovuto al riscaldamento globale e alla conseguente crescita del livello delle acque dell’Oceano. Si parla di un arco di tempo che va dai 10 ai 30 anni, quanto resta per “salvarle”, insieme ai circa 70 mila abitanti, che rischiano di diventare “rifugiati climatici”.

La natura delle isole è vulcanica e corallina, ma la maggior parte di esse è di piccole dimensioni, con un territorio “piatto”, letteralmente a pelo d’acqua. Gli scenari sono quelli di un paradiso terrestre, tra lagune, lingue di sabbia, acque cristalline e una vegetazione rigogliose. Tuttavia, la peculiarità delle Isole Marshall è la suo straordinaria biodiversità. Basti pensare che sugli atolli e nelle acque che li circondano vivono circa 250 varietà di corallo, più di 1000 specie di pesci diverse, oltre 70 specie di uccelli e tutte e cinque le specie di tartarughe esistenti al mondo.

Dell’ arcipelago delle Marshall fa parte anche l’atollo di Bikini, tristemente famoso per essere stato oggetto, tra il 1946 e il 1958, di esperimenti nucleari da parte degli Stati Uniti. Le radiazioni hanno poi reso necessaria l’evacuazione della popolazione. Oggi, l’atollo è stato posto sotto tutela dall’UNESCO che lo ha incluso nei siti Patrimonio dell’Umanità.

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5. Maldive

Ebbene sì, anche le Maldive, una delle destinazioni “da sogno” preferite dagli italiani, sono a rischio. Due sono le minacce contingenti per questo paradiso di 26 atolli, nati da 1190 isole coralline, di cui 93 occupate da villaggi turistici e resort, disseminate nell’Oceano Indiano, tra lo Sri Lanka e le Seychelles. Il primo è rappresentato dall’innalzamento delle acque. Il territorio delle Maldive è composto per il 99% da acqua, mentre l’altezza delle terre emerse non supera i 2 metri.

L’innalzamento degli oceani dovuto all’aumento delle temperature e al conseguente scioglimento dei ghiacci ai poli mette quindi a serio rischio l’esistenza stessa di queste isole, al punto che potremmo vederle sparire, inghiottite dal mare, tra il 2030 e il 2050. Il rischio maggiore, che renderebbe le Maldive invivibili, sarebbe “l’invasione” delle acque salate dell’oceano nelle falde acquifere potabili degli atolli. Tuttavia, anche operazioni come la costruzione di barriere e terrapieni artificiali per arginare l’avanzata delle acque, oltre che molto costosi, si sono rivelate rischiose per il delicato equilibrio della flora, della fauna e delle barriere coralline.

La seconda emergenza è rappresentata dallo smaltimento dei rifiuti Per avere un’idea della portata del problema, basti pensare che i 10 mila turisti che arrivano alle Maldive ogni settimana producono 3,5 kg di rifiuti al giorno, che si sommano a quelli prodotti dai 142 mila abitanti, circa 330 tonnellate di spazzatura al giorno. Questo enorme quantitativo, che negli ultimi decenni comprende anche materiale molto inquinante, composto dai rifiuti tecnologici, confluisce sull’isola di Thilafushi, di fatto una grande discarica galleggiante istituita dal governo maldiviano nel 1991, a soli 8 km dalla capitale Malé.

Lunga 7 km e larga 200 metri, Thilafushi si estende per circa 50 ettari, ma cresce di anno in anno proprio alimentata dai rifiuti. E il rischio è che l’innalzamento delle acque finisca per “portare via” i rifiuti più vicino alla costa, con conseguente contaminazione delle acque e di agenti inquinanti nella catena alimentare del delicato ecosistema della barriera corallina.

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…continua nella seconda pagina…

6. Isole Fiji

Conformazione simile, stesso “posto nel mondo”, anche le meravigliose Isole Fiji, Stato insulare dell’Oceania, composto da 322 isole, di cui solo 106 abitate, e 522 piccoli isolotti, rischiano di soccombere a causa dell’innalzamento delle acque del mare. Una ricerca dell’Università del Pacifico del Sud, infatti, hanno evidenziato come, nell’ultimo decennio, il livello del mare si è alzato più in fretta che in qualsiasi altro decennio del secolo scorso. Secondo le previsioni, entro il 2050, il livello del mare sarà più alto di circa mezzo metro rispetto a oggi.

Tuttavia, i primi effetti dei cambiamenti climatici hanno già iniziato a farsi sentire. Tra le prime “vittime” ci sono gli abitanti del villaggio di Vunidogoloa, che hanno dovuto abbandonare le loro case per trasferirsi a circa un chilometro e mezzo di distanza, sulla cima di una collina. Il cedimento del tratto di barriera corallina che faceva da baluardo tra l’oceano e il loro villaggio, dovuto all’erosione, ha permesso alle acque di sommergere quello che prima era il centro abitato.

Lo stesso rischio lo stanno correndo gli abitanti del villaggio di Karoko, nella penisola di Kubulau, e quelli del villaggio di Vunisavisavi, che si vedono arrivare l’acqua dell’oceano fino alla porta di casa quando c’è l’alta marea. Nel villaggio di Nukui, invece, ad appena un’ora di barca dalla capitale, a causare danni è il vicino fiume, che rompe gli argini tutte le volte che viene ingrossato dalle acque del mare.

7. Isole Carteret (Papua Nuova Guinea)

Questo ex paradiso al largo della Papua Nuova Guinea vanta un triste primato: i suoi abitanti sono stati i primi profughi ambientali “ufficiali” al mondo. Negli anni Ottanta la popolazione era circa di 3300 persone, ma ora le isole sono quasi del tutto disabitate e gli abitanti costretti a trasferirsi in massa nella vicina isola di Bougainville, a circa 80 km.

In origine, l’arcipelago era formato da sei isole, poi Huene è stata spaccata in due dalle mareggiate, mentre le isole di Han e Piun sono quasi completamente state sommerse dalle acque dell’oceano, cresciute di 10 cm in 20 anni. Un problema che ha contribuito alla “fuga” degli abitanti è stata anche la perdita di fertilità del terreno, “invaso” dalle acque salate del mare.

L’aumento della salinità ha comportato la perdita di alberi di banane e noci di cocco, tra le principali fonti di sostentamento della popolazione, abituata a vivere di autosostentamento e seguendo i ritmi della natura. L’acqua salata, poi, ha raggiunto anche i pozzi, costringendo gli abitanti a raccogliere l’acqua piovana. Questo avrebbe causato un aumento di casi di malaria sulle isole

8. Seychelles

Anche le Seychelles, paradiso turistico circondato dall’Oceano Indiano, rischiano di scomparire a causa del global warming. In particolare, a soffrire è la splendida barriera corallina che protegge le isole dall’invasione delle acque, che a causa dell’aumento delle temperature e dell’acidificazione delle acque diventa sempre più fragile, perdendo la sua funzione “difensiva”.

Il fenomeno, chiamato “sbiancamento” dei coralli, avviene quando le acque del mare sono troppo calde e i coralli espellono le alghe zooxanthellae che vivono al loro interno. Se le temperature non si abbassano in un tempo ragionevole, calcolato in poche settimane, il corallo muore. Il suo “scheletro” diventa poroso e fragile e la barriera corallina si erode e cede. Le terre emerse, quindi, sono più soggette a mareggiate e inondazioni.

Gli studiosi hanno calcolato che El Niño, cioè la violenta perturbazione che colpisce periodicamente l’Oceano Pacifico, alterandone le temperature, nel 1998 e nel 2008 ha causato la morte del 90% dei coralli. Questo perché, nonostante sia prevedibile, il fenomeno non è stato “alternato” a un periodo di riadattamento delle temperature e i coralli non hanno fatto in tempo a riprendersi.

L’innalzamento generale delle temperature ha poi portato nelle isole una grave siccità, con ripercussioni sulla pesca e sull’agricoltura, attività di sostentamento principale per gli abitanti delle isole.

9. Sao Tomé e Principe

A differenza delle altre isole citate, la Repubblica Democratica di São Tomé e Principe non rischia di essere sommersa dalle acque, ma di perdere la sua meravigliosa biodiversità per mano dell’uomo. Situata lungo l’Equatore, a 300 km al largo della costa del Gabon, nel Golfo di Guinea, nell’Africa occidentale, si compone di due isole principali, São Tomé, che ha una superficie di 836 kmq, e Principe, di appena 128 kmq più sette isolotti rocciosi.

Proprio le dimensioni ridotte delle isole hanno fatto sì che, più che in altri luoghi, qui i cambiamenti ambientali abbiano messo a serio rischio l’ecosistema, la biodiversità e gli stessi abitanti. L’emergenza di São Tomé si chiama deforestazione. E la colpa è delle multinazionali che hanno sostituito la foresta equatoriale con piantagioni di palme da olio. Il prodotto principale di queste piante, l’olio di palma, infatti, è economico, redditizio e versatile, e può essere utilizzato in tutto il mondo non solo nell’industria alimentare, ma anche in un’infinità di prodotti, tra cosmetici, dentifricio, detergenti e biodiesel. Il tutto, però, a discapito della natura e dell’ambiente.

All’origine del problema ci sarebbe in non rispetto da parte delle multinazionali delle concessioni e dei vincoli ambientali. Un’inchiesta della sezione francese di Greenpeace, partita in seguito alle proteste degli abitanti di São Tomé ha rilevato come siano state abbattute zone di foresta non comprese nella concessione e che le coltivazioni di palme da olio si siano estese su terreni utilizzati dalla popolazione per l’agricoltura di sussistenza, in particolare nelle aree adiacenti al Parco Nazionale di Obo

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10. Glacier National Park

Il Glacier National Park, in Montana (USA), è un altro dei gioielli naturali che rischiano di scomparire a causa del riscaldamento globale. Con i suoi 4045 kmq è uno dei parchi più grandi degli Stati Uniti e nel suo territorio comprende due catene montuose, più di 130 laghi, cascate, centinaia di fiumi, panorami mozzafiato, più di mille specie di piante e centinaia di specie di animali diversi, tra cui grizzly, orsi neri, puma e ghiottoni.

Per capire la gravità della situazione, basti pensare che nel 1850, nel territorio del parco erano presenti 150 ghiacciai. Oggi ne sono rimasti soltanto 25. E si pensa che anche questi siano destinati a scomparire entro il 2030. La situazione viene monitorata dal Northern Rocky Mountain Science Center, che, a partire dal 1997, ha scattato una serie di fotografie per documentare lo scioglimento dei ghiacci, con risultati preoccupanti

Temperature estive che a duemila metri superano i 30°C, un aumento di 1,8°C superiore all’incremento medio globale, estati più lunghe e fiumi che si ingrossano alimentati dai ghiacciai sciolti hanno modificato l’ambiente naturale, mettendo a rischio le specie animali e i loro bioritmi.

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Isole Salomone, tutto quello che c’è da sapere sulle isole che stanno scomparendo

L’arcipelago delle Isole Salomone si trova nell’Oceano Pacifico Meridionale, a nord est dell’Australia. Conta un totale di 992 isole, ma solo 347 sono abitate. Con una popolazione totale di circa 640 mila abitanti sono tra le regioni meno popolate del pianeta.

Isole Salomone dall'alto

Nonostante ciò, tuttavia, gli abitanti delle isole più a rischio faticano a stabilirsi su altre isole, poiché la maggior parte del territorio è controllata da famiglie appartenenti allo stesso gruppo e si rischia un conflitto etnico.

A minacciare gli abitanti sono anche le inondazioni, anch’esse più frequenti a causa dei cambiamenti climatici, che si presentano sempre più violente e con effetti devastanti. A farne le spese non solo gli abitanti, che oltre alla devastazione portata dalle acque devono combattere anche contro le conseguenti epidemie, ma anche la delicata biodiversità.

Le acque del Pacifico, infatti, ogni volta che si scatenano portano con sé piante e animali presenti solo qui. Le Salomone, infatti, vantano la seconda barriera corallina più bella del mondo dopo quella delle Maldive. Ecco, perché, allora, vi proponiamo di visitare le Isole Salomone “per una volta”, prima che il mare ne inghiotta un’altra parte e rimangano solo un ricordo.

Isole Salomone: belle da NON morire

Le Isole Salomone, benché ancora lontane dal turismo di massa, sono ben note agli appassionati di immersioni, snorkeling e surf. L’origine vulcanica dell’arcipelago, infatti, regala un paesaggio marino unico, fatto di barriere coralline spettacolari, acque cristalline ed una straordinaria topografica oceanica, composta da pareti rocciose e vulcani sottomarini, alcuni dei quali ancora attivi.

Qui vivono indisturbati coloratissimi pesci tropicali, mante, tartarughe, balene e squali, considerati dai nativi sacri, poiché reincarnazione dei defunti. Le acque delle isole poi sono ricchissime di relitti risalenti alla Seconda Guerra Mondiale.

Anche la terraferma offre infinite occasioni di svago e scoperta, a partire dalle spiagge incontaminate, dai vulcani e dalle spettacolari lagune. Senza dimenticare i villaggi tribali, ricchi di storia e tradizioni, dove si può assistere a danze rituali e alla lavorazione di sculture e manufatti.

Visitiamo Honiara, la capitale

L’unico aeroporto internazionale delle Salomone si trova a circa 10 km dalla capitale, Honiara, sull’isola di Guadalcanal. La prima tappa dell’itinerario tra le isole è proprio la capitale, dove vale la pena fermarsi qualche giorno.

Una passeggiata consente di visitare le principali attrattive del centro storico. Tra queste c’è il National Museum & Cultural Center, piccolo, ma ben curato, che conserva alcuni manufatti e testimonianze della storia dell’isola, dai reperti archeologici alle armi, ma anche ornamenti rituali, sculture, dipinti e residui della Seconda Guerra Mondiale.

Proseguendo la passeggiata, davanti al Mendana Hotel, si possono incontrare gli intagliatori di legno che, sotto una tettoia di foglie, realizzano all’istante e vendono manufatti e statuette di pregiata fattura.

Poco distante, si arriva al mercato centrale, sulle cui bancarelle si può trovare dalla frutta fresca alle collane di conchiglie, ma anche oggetti realizzati secondo la tecnica bukaware, tra cui borse, tovagliette e stuoie, e “souvenir” della seconda Guerra Mondiale.

Nei siti storici della Seconda Guerra Mondiale

Honiara è ricca di siti storici risalenti al secondo conflitto mondiale. I dintorni della città e le acque antistanti l’isola di Guadalcanal, infatti, sono stati teatro di sanguinosi scontri tra le forze americane e quelle giapponesi.

Con una passeggiata di circa 20 minuti da Mendana Avenue, si arriva allo US War Memorial, che domina la cima dello Skyline Ridge, da dove si gode una splendida vista della città e dell’intera isola. Il memoriale conserva alcune targhe di marmo con le indicazioni per riconoscere i luoghi delle battaglie e la storia del conflitto.

Percorrendo, invece, Mendana Avenue in direzione ovest, fino a Bonegi Beach, si arriva in circa 25 minuti a piedi al Vulu War Museum, un museo all’aperto situato in uno splendido giardino, che conserva resti dell’artiglieria giapponese e parti della flotta aerea americana.

Infine, merita una visita anche il Solomon’s Peace Memorial, il monumento alla pace dedicato ai caduti giapponesi, realizzato in pietra e circondato da un giardino di ibiscus. Lo si raggiunge a piedi, dal centro di Honiara, proseguendo verso est, si incontra la Chiesa di Melanesia e, successivamente, lo stadio. Salendo sulla collina adiacente si prosegue per Kola Ridge fino all’incrocio con Borderline Police Post; qui si volta a destra e si prosegue per 10 minuti fino ad incontrare il monumento.

Presso il Centro Visitatori, si può organizzare invece un’escursione guidata alle splendide Mataniko Falls, spettacolari cascate, a 2 ore di cammino da Honiara, che si gettano dall’alto di un precipizio ad una grotta, utilizzata, durante la guerra, come rifugio dai Giapponesi.

Infine, per ricordare a chi arriva e a chi parte le vicende che, in passato, hanno turbato questo angolo di paradiso, presso l’Henderson International Airport è stato posto un monumento commemorativo alle forze statunitensi ed ai loro alleati. La torre di controllo che si trova a 100 metri dal terminal risale anch’essa alla Seconda Guerra Mondiale.

Tra spiagge cristalline e relitti sommersi

Le spiagge più belle si trovano quasi tutte sulla costa a ovest di Honiara e sono tutte raggiungibili in dieci minuti dal centro città in con i mezzi pubblici. Percorrendo Mondana Avenue in direzione ovest, per esempio, a poca distanza da White River, si incontra la splendida Kakabona Beach, una lunga striscia di sabbia bianca che si affaccia su acque calme e cristalline, adatte allo snorkeling e al relax. A poca distanza, si trova anche Lili Beach.

Situata a circa 3,9 km dal centro, appena superato il ponte, Turtle Beach, ha sabbie candide circondate da una rigogliosa vegetazione tropicale, che si allunga quasi fino al mare e regala ombra e privacy, mentre ci si lascia coccolare dalle acque smeraldine. Tangisaliu Beach, invece, è una deliziosa spiaggia di ciottoli che dista circa 6,3 km dal centro città.

A circa 12 km da Honiara, invece, si trovano le splendide spiagge di Bonege I e Bonege II, famose per le alte palme che regalano piacevole riparo dal sole, per le acque trasparenti e per l’eccezionale reef. Nei fondali si trovano anche due relitti di altrettante navi da trasporto giapponesi, affondate durante la Seconda Guerra Mondiale.

Di fronte alle acque della spiaggia di Bonege I riposa la Hirokawu Miru, affondata nel novembre nel 1942. L’accesso al relitto è facile e sicuro, adatto anche ai sub meno esperti. Ad appena 5 metri, si trovano le sezioni della nave più superficiali, la cui principale attrazione sono le formazioni di corallo e il tranquillo via vai di pesci tropicali. Le parti più intatte del relitto, invece, sono situate a circa 57 metri. I sub più esperti possono esplorare le stive, adagiate sul fondo sabbioso.

Emerge, invece, nei pressi della spiaggia di Bonege II il relitto della Kinugawa Maru, un mercantile incagliatosi nella barriera corallina e sprofondato, a poco a poco, nel corso degli anni. La prua emerge ancora dalle acque prossime alla spiaggia, mentre la poppa si trova a circa 30 metri, circondata da pesci, anemoni e coralli. Una bella avventura subacquea anche per sub alle prime armi.

Alla scoperta della Provincia Occidentale

Il gioiello turistico delle Isole Salomone è costituito dalla Provincia Occidentale, una meraviglia naturale di isolotti tropicali, lagune incontaminate, acque cristalline lambite da lingue di sabbia candida e da una vegetazione lussureggiante.

La prima tappa è l’isola di Ghizo, che si può raggiungere da Honiara in aereo. Qui si trova Gizo, la seconda città più grande delle Salomone, dopo la capitale. Il nome suggerisce il passaggio dei Giapponese, che la utilizzarono come base militari per gli idrovolanti. Negli anni, poi, si è sviluppata come cittadina a vocazione turistica.

Sulla costa meridionale, a 6 km dalla città, nei pressi del villaggio di Pailongge, si trova uno dei punti con le onde più spettacolari delle Salomone e molto amato dai surfisti.

A circa 7 km da Gizo, in direzione sud est, si trova Kennedy Island, che deve il suo nome all’avventura che vide protagonista, nell’ agosto del 1943, il futuro presidente americano JFK e dieci suoi commilitoni. Dopo l’affondamento della nave su cui viaggiavano da parte del cacciatorpediniere giapponese Amagiri, i soldati si salvarono nuotando fino all’isola più vicina.

New Georgia Island, tra natura e cultura

Il secondo gioiello naturale della Provincia Occidentale è rappresentato da New Georgia Island e dalle sue isole satellite. Proprio dove si congiungono le lagune di Vonavona e di Roviana, sorge la città di Munda, il più grande cento abitato dell’isola, anche se, in realtà, di tratta di una serie di villaggi che si estendono per 6 km.

Tra i siti da non perdere, ci sono le Holupuro Falls, cascate di 10 metri che si trovano appena fuori Munda, appena superato il ponte sul Mourape River. Le cascate formano una piscina di acqua chiara, dove è possibile fare il bagno.

Da non perdere poi l’escursione al sito archeologico di Nusa Roviana considerata la roccaforte dei cacciatori di teste e sede, fino al 1892, di una fortezza dalle pareti di corallo. Qui sono ancora visibili i resti della Stone Dog, la statua totemica dedicata al cane Tiola, adorato dalla tribù come divinità protettrice.

Delimitata dagli isolotti di Nusaghle e Blackett Strait, la Vonavona Lagoon si estende per 28 km e comprende diverse isole di rara bellezza che vale la pena visitare. Gli appassionati di surf e della tintarella, non possono mancare almeno una giornata a Lola, un lembo di terra di 40 ettari a 20 minuti di barca da Munda. Le onde migliori si trovano all’estremità meridionale.

Gli amanti delle avventure non possono poi mancare una visita alla sinistra Skull Island, un luogo quasi fiabesco che conserva i teschi dei guerrieri sconfitti dai cacciatori di teste e un sacrario, dove sono custodite le spoglie mortali dei capi tribù.

Fiore all’occhiello dell’ecoturismo è, invece Tetepare, l’isola disabitata più grande del Pacifico del Sud. Santuario della biodiversità, l’isola è ricoperta da una fitta foresta pluviale incontaminata ed è un’importante zona di riproduzione delle tartarughe verdi ed embricate, dei dugonghi ed altre specie rare sia terrestri che marittime.

Marovo, la più bella laguna del mondo

Situata nella parte orientale di New Georgia la Marovo Lagoon è considerata la più bella laguna del mondo. Delimitata dalle isole di New Georgia e di Vangunum è racchiusa da una doppia linea di isole ricoperte di palme e foresta pluviale, mentre la barriera corallina è tra le più belle del pianeta.

Famosa per la presenza dei pacifici squali neri, un tempo adorati come divinità dai locali, la laguna comprende diverse isole di piccole dimensioni, alcune delle quali disabitate o con appena qualche resort.

Il principale centro abitato è Seghe. I siti di immersione più belli si trovano invece nelle vicinanze di Uepi Island, una delle isole che formano la barriera che protegge la laguna. Il mondo sottomarino è un giardino segreto di gorgonie, anemoni, grotte e pareti di coralli, popolato da pesci multicolore, molluschi giganti, murene, squali e mante.

COME ARRIVARE

Per arrivare alle Isole Salomone dall’Italia mettete in contro circa due giorni di viaggio e diversi scali. I collegamenti con le isole si effettuano da Brisbane, in Australia, o dalle Isole Fiji. Si può volare qui da Roma o Milano con Qantas, che effettua anche il volo per le Fijii. La compagnia di bandiera Solomons Airlines collega Brisbane a Honiara, mentre la compagnia delle Fiji collega Nadi, nelle Fiji, a Honiara.

DOVE DORMIRE

*Solomon Kitano Mendana Hotel**** (Mendana Avenue Seafront, Honiara, Tel +677 20071. Nel centro della capitale, a poca distanza dal centro commerciale. Alcune delle camere hanno la vista mare e dispongono di bagno privato, aria condizionata, TV satellitare, connessione internet. A disposizione piscina, coffè bar, parcheggio e un ottimo ristorante con cucina internazionale e giapponese.

*Gizo Hotel****, Middenway Rd, tel +677 60199
è la struttura più elegante della città, che sorge di fronte alla spiaggia. Tra i servizi: piscina, ristorante, centro massaggi, tour alle isole, servizio in camera, cambiavalute, lavanderia. Le camere standard possono ospitare fino a 3 persone e sono provviste di aria condizionata, frigorifero, telefono per chiamate internazionali, bagno privato, connessione internet.

*Uepi Island Dive Resort****, Uepi Island, tel. 0061 3 9787 7904. Splendida struttura che sorge sull’isola di Uepi, che funge da baluardo tra il mare aperto e la superba Marovo Lagoon. I bungalow possono ospitare fino a 6 persone e sono collocati in uno splendido contesto di giardini e vegetazione tropicale, a poca distanza dalla spiaggia e dal reef.

DOVE MANGIARE

*Kai Kai Haus Restaurant (c/o King Solomon Hotel, Hibiscus Ave, tel +677 21205, Honiara) Offre cucina tradizionale e internazionale con piatti a base di pesce fresco e frutti di mare, piatti vegetariani e pollo. Anche pizza.

*Zibolo Habu Resort***, Lola Island, tel +677 62178) Il resort è un punto di ritrovo per i pescatori di ritorno dal mare. È possibile usufruire del ristorante e bar del resort, specializzato in cucina internazionale, ma con rivisitazioni con ingredienti e tecniche della tradizione locale. Specialità pesce e frutti di mare, alla griglia, oppure stufato. Ottimo anche il sushi ed i crostacei. Si servono anche ottimi hamburger con patatine.




Maldive, la destinazione da sogno preferite dagli italiani

Le Maldive sono una delle destinazioni “da sogno” preferite dai turisti italiani che ne apprezzano il mare cristallino, gli orizzonti infiniti in cui mare e cielo si fondono, i fondali popolati da coralli e pesci multicolori, l’assoluta pace e tranquillità. Nel 2019 sono stati 130 mila i nostri connazionali che hanno scelto l’arcipelago nell’Oceano Indiano per trascorrervi una vacanza, un + 38% rispetto all’anno precedente, grazie alle tariffe abbordabili e ai collegamenti diretti con l’Italia.

Il turismo, infatti, costituisce il 60% del Pil delle Maldive, un paradiso di 26 atolli nati da 1190 isole coralline, di cui 93 occupate da villaggi turistici e resort, disseminate nell’Oceano Indiano, tra lo Sri Lanka e le Seychelles.

La prestigiosa rivista National Geographic le ha poi inserite nelle 25 migliori destinazioni da non perdere nel 2020. Una menzione non di poco conto, poiché nella lista sono inclusi i luoghi del mondo i cui governi si stanno adoperando per promuovere un turismo più sostenibile tra rispetto della natura, impegno culturale, accessibilità economica e benefici sull’economia e sulla comunità locale.

E le Maldive sono state le prime, durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1987, a sostenere la necessità di affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici.

Le emergenze: l’innalzamento delle acque…

Il territorio delle Maldive è composto per il 99% da acqua, mentre l’altezza delle terre emerse non supera i 2 metri. L’innalzamento degli oceani dovuto all’aumento delle temperature e al conseguente scioglimento dei ghiacci ai poli mette quindi a serio rischio l’esistenza stessa di queste isole, al punto che potremmo vederle sparire, inghiottite dal mare, tra il 2030 e il 2050.

La conformazione delle Maldive potrebbe farle sparire nel giro di pochi decenni

Il rischio maggiore, che renderebbe le Maldive invivibili, sarebbe “l’invasione” delle acque salate dell’oceano nelle falde acquifere potabili degli atolli. Tuttavia, anche operazioni come la costruzione di barriere e terrapieni artificiali per arginare l’avanzata delle acque, oltre che molto costosi, si sono rivelate rischiose per il delicato equilibrio della flora, della fauna e delle barriere coralline.

…e lo smaltimento dei rifiuti

Un’ altra emergenza è rappresentata dai rifiuti e dal loro smaltimento. Per avere un’idea della portata del problema, basti pensare che i 10 mila turisti che arrivano alle Maldive ogni settimana producono 3,5 kg di rifiuti al giorno, che si sommano a quelli prodotti dai 142 mila abitanti, circa 330 tonnellate di spazzatura al giorno.

Rifiuti galleggiante sull’isola discarica di Thilafushi

Questo enorme quantitativo, che negli ultimi decenni comprende anche materiale molto inquinante, composto dai rifiuti tecnologici, confluisce sull’isola di Thilafushi, di fatto una grande discarica galleggiante istituita dal governo maldiviano nel 1991, a soli 8 km dalla capitale Malé.

L’isola di Thilafushi adibita a discarica

Lunga 7 km e larga 200 metri, Thilafushi si estende per circa 50 ettari, ma cresce di anno in anno proprio alimentata dai rifiuti. E il rischio è che l’innalzamento delle acque finisca per “portare via” i rifiuti più vicino alla costa, con conseguente contaminazione delle acque e di agenti inquinanti nella catena alimentare del delicato ecosistema della barriera corallina.

Un bambino maldiviano cerca materiale riciclabile tra i rifiuti galleggianti

Le soluzioni: barriere naturali, educazione ambientale e coinvolgimento della popolazione locale

Per arginare l’innalzamento delle acque è sceso in campo anche il MIT (Massachusetts Institute of Tecnhology) di Boston che, insieme a Invena, l’organizzazione maldiviana per la tutela delle isole, ha progettato un sistema di strutture subacquee naturali per creare una barriera in punti strategici.

Il progetto del MIT per creare barriere naturali

Le strutture, posizionate in punti strategici e adattabili ai cambiamenti stagionali e alla direzione delle tempeste, sfruttano il movimento delle onde per accumulare sabbia drenandola dal fondo marino e di fatto ricostruire le coste “mangiate” dalle acque. Nei mesi scorsi è stato posizionato il primo avamposto sperimentale e, se i risultati saranno quelli attesi, si potrà estendere il progetto alle altre isole del mondo minacciate dall’innalzamento del livello del mare.

Gli studiosi del MIT posizionano una barriera mobile

Sul fronte dei rifiuti, invece, si sta mettendo in atto una vera e propria campagna di educazione ambientale che coinvolge le scuole, la popolazione locale, gli operatori turistici e gli stessi ospiti. Tra le azioni del governo anche l’obiettivo “plastic free” entro il 2025, una sempre minore dipendenza dal carbon fossile per ridurre le emissioni inquinanti, il potenziamento della raccolta differenziata e accordi con l’India per il trasposto di una parte di rifiuti da smaltire in cambio di accordi commerciali.

Turisti e maldiviani impegnati nel recupero dei rifiuti sulle spiagge

IL TURISMO DELLE MALDIVE

Infine, un altro aspetto non meno importante, è quello che, negli ultimi dieci anni, ha visto coinvolgere nel sistema turistico la comunità locale, con l’apertura di circa 500 guest house gestite da maldiviani. Questo consente non solo una maggiore ricaduta economica sulla popolazione, ma anche la possibilità, per i visitatori, di conoscere e “vivere” le isole in maniera più autentica, nell’’ottica del rispetto e della conoscenza reciproca.

Campagna di educazione ambientale in una scuola

Alla luce di quanto scritto, quindi, se non ci siete ancora stati, o desiderate ritornare alle Maldive, vi invitiamo a visitarle in maniera consapevole, augurandoci che tutto quanto si sta mettendo in atto per proteggerle serva per preservarle dai cambiamenti climatici e dalla mano dell’uomo.

Malè, una metropoli nell’Oceano

Tutti i voli internazionali atterrano a Malè, la capitale delle Maldive. Vi consigliamo di fermarvi qualche giorno prima di raggiungere la vostra destinazione finale, per ammirare questa metropoli ricca di contrasti.

Veduta aerea di Malé, la capitale delle Maldive occupa un’intera isola

Malè, infatti, è l’unica capitale al mondo ad occupare un’intera isola. La visuale che offre a chi arriva qui, via mare o in aereo, è quella di una moderna metropoli, in cui vivono circa 80.000 persone. Il panorama eterogeneo si compone di decine di palazzi a più piani e dai vivaci colori pastello, che contrastano con le costruzioni bianche e grigie dei palazzi governativi che si affacciano sul lungomare.

Grattacieli e case galleggianti a Malé

La città è divisa in quattro quartieri: la zona dei palazzi amministrativi e governativi (Henveiru), la zona residenziale (Galolhu),la zona centrale in cui si concentrano i negozi (Machangolhi) e la zona del porto e dei cantieri navali (Maafannu). Tutte le strade, dalle più grandi, chiamate magu, alle secondarie, higun, fino ai vicoli, gohali sono pavimentate con mattonelle di pietra grigia.

Una strada della capitale maldiviana

La Boduthakurufannu Magu è la strada che costeggia l’isola sul lato di nord-est e separa il porto in cui approdano i dhoni dai palazzi governativi, dalle banche e dai ministeri. Costeggia la Jumhooree Maidan, la piazza più grande della città; poco distante, si possono vedere i dhoni da pesca allineati ed i banchetti del mercato del pesce. La strada è affollata di commercianti ed acquirenti, che fanno la spola tra i depositi ed il mercato.

Mercato del pesce a Malé

 

I MERCATI LOCALI DI MALÉ

Accanto al mercato del pesce si può passeggiare tra le bancarelle di un curioso mercato degli oggetti usati e del mercato ortofrutticolo, sulle quali si possono trovare succosi frutti esotici, polpose banane e saporite papaye. Insieme alla frutta sui banchi si trovano anche le spezie per insaporire i cibi, inclusi gli ingredienti per il caratteristico “chewingum” maldiviano: foglie verdi, fettine di noce moscata, tabacco, chiodi di garofano e calce di corallo.

Uno dei tanti mercati locali a Malé

Parallela a Boduthakurufannu Magu, Medhuziyaarai Magu è la strada che offre le più importanti testimonianze storiche. Tra queste, la Grande Moschea del Venerdì, in grado di ospitare, sotto alla sua cupola dorata, oltre 5000 fedeli in preghiera. Il minareto sovrasta il Centro Islamico, inaugurato nel 1984 e costruito per diffondere la cultura musulmana.

Il Centro Islamico di Malé con il minareto

Poco distante, Sultan Park è un piccolo giardino ben curato, residuo di un ben più grande e rigoglioso giardino del sultano, su cui si affaccia il Museo Nazionale. L’antica moschea di Hukuru Miskiiy, che si incontra proseguendo verso est, è costruita con blocchi di corallo e racchiude importanti testimonianze della conversione delle Maldive all’Islam.

L’antica moschea di Hukuru Miskiiy

Accanto alla moschea spicca un piccolo minareto dalle vivaci decorazioni blu e verdi e l’antico palazzo del sultano, il Muleeaage, sede, fino al 2001, degli uffici presidenziali.

Il Muleeaage, l’antico palazzo del sultano

Destinazione…Dhigufinolhu

Qualunque sia l’isola in cui trascorrerete le vostre vacanze, in un resort o in un a guest house, vi invitiamo a tenere sempre in mente la fragilità di questi meravigliosi paesaggi. Ogni piccolo gesto, infatti, può fare la differenza.

Noi abbiamo scelto Dhigufinolhu nell’atollo di Malè Sud, raggiungibile dalla capitale in 45 minuti di aliscafo. Dhigufinolhu è una lingua di sabbia al centro di una laguna. La sua conformazione naturale la rende un luogo ideale per una vacanza rilassante e sportiva al tempo stesso.

Qui basta una maschera ed un paio di pinne per immergersi nell’affascinante natura del reef che offre anche ai meno esperti la visione sublime di pareti di corallo alte decine di metri, in cui dimorano migliaia di esseri viventi, dalle tartarughe alle mante, dalle murene ai piccoli squali.

A pelo d’acqua, i coloratissimi pesci angelo, i pesci farfalla, i pesci chirurgo ed i peschi balestra sono incuriositi dalla presenza umana e si avvicinano senza timore. Il tutto in una caleidoscopica cornice di gorgonie, coralli e spugne.

Da Bodu Huraa a Veligandu

Una bella escursione è quella alla vicina isola di Bodu Huraa, collegata a Dhigufinolhu da pontili sospesi a pelo d’acqua. Passeggiare sospesi tra due tonalità di azzurro, quella cristallina e trasparente del mare e quella intensa del cielo privo di nuvole, trasmette la sensazione di essere sospesi in una dimensione senza spazio e senza tempo.

Compagni irresistibili del soggiorno a Budu Huraa i delfini sono soliti accompagnare le giornate dei villeggianti affiancando i dhoni, le caratteristiche imbarcazione locali, che trasportano i sub nei punti di immersione. I loro spruzzi giocosi allietano il paesaggio dell’orizzonte, mentre i loro inconfondibili fischi di richiamo si possono udire anche sott’acqua.

Da Bodu Huraa si può poi raggiungere Veligandu Huraa, un piccolo gioiello situata al centro delle altre due isole. Il suo nome, in lingua dhivehi, significa “striscia di sabbia”, un appellativo che ben caratterizza le sue dimensioni ridotte e le sue spiagge bianche e preziose, circondate da una vegetazione lussureggiante.

Oltre allo splendido mare e alle spiagge bianchissime, al centro dell’isola, a pochi passi dalla spiaggia, si può vedere una piccola moschea, fulcro religioso dei locali.

Viaggiatori indipendenti, istruzioni per l’uso

Di solito chi si reca alle Maldive prenota un soggiorno all inclusive. I viaggiatori indipendenti o chi desidera visitare autonomamente le isole può incontrare qualche difficoltà legata ai trasporti oppure ai permessi.

Le isole abitate dalla popolazione maldiviana infatti sono nettamente distinte dagli atolli a esclusivo uso turistico. Ai turisti è permesso sbarcare su un’isola abitata da maldiviani solo dopo aver richiesto un permesso al Ministero dell’amministrazione degli Atolli e dopo il nulla osta del Bodu Katibu, il capo villaggio nominato dal governo, o, in sua assenza, del suo vice, il Kuda Katibu.

In ogni caso, è necessario essere sempre accompagnati da una guida del posto e rispettare le tradizioni religiose, tra cui il divieto di consumare alcool o carne di maiale e di indossare bikini solo in barca o sulle spiagge isolate.

Da Holhudhoo a Fehendhoo

L’opportunità di visitare un villaggio maldiviano è data proprio dall’apertura delle guest house gestite da locali. Tra queste c’è l’Ocean Village, una delle prime, che si trova sull’isola di Holhudhoo, nell’atollo settentrionale di Noonu.

L’isola è abitata da circa 2000 maldiviani ed è possibile ammirare le case dei locali dai colori pastello, sulle quali spicca il minareto turchese della moschea e un piccolo supermercato che vende prodotti locali. Ai lati delle strade, al posto delle panchine, ci sono invece le joali fathi, poltrone-amache da cui godere della vista dell’oceano.

Un’altra bella meta, o escursione, è quella all’isola di Fehendhoo, sull’atollo di Baa, che si raggiunge in un paio di ore di traghetto da Malé. L’isola è inclusa nella Riserva della Biosfera UNESCO ed è un paradiso per gli amanti di snorkeling e immersioni per la sua ricca biodiversità.

Lungo la barriera corallina, infatti, c’è uno dei manta point più rinomati per l’osservazione delle mante, ma anche di squali balena.

Qui si trova la guest house White Lagoon le cui sistemazioni possono sembrare piuttosto spartane rispetto al lusso dei grandi resort, ma la possibilità di socializzare con i maldiviani e, magari, osservare i pescatori che tirano a riva le loro reti o giocano a dadi al tramonto è impagabile.

Ogni isola, poi, è dotata di un approdo per i dhoni, le caratteristiche imbarcazioni maldiviane, piccoli cantieri per la loro costruzione e tettoie dove lavorare il pesce appena pescato.

COME ARRIVARE ALLE MALDIVE

Non è difficile trovare un volo diretto tra l’Italia e le Maldive, anche attraverso portali come edreams e skyscanner che mettono a confronto le varie compagnie e tariffe. Per esempio, volano da Roma e Milano a Malé Alitalia (www.alitalia.com), Air Italy (www.airitaly.com), Neos (www.neosair.com).

DOVE DORMIRE ALLE MALDIVE

*Anantara Dhigu Maldives Resort*****, Dhigufinolhu (Dhigu Island), Maldive, tel + 960 664 4111, www.anantara.com/en/dhigu-maldives. Il resort è circondato da lingue di sabbia bianchissima ed è collegato da ponteggi ai villaggi di Bodu Huraa e Veligandhu Huraa. Ottima cucina internazionale con servizio a buffet.

*Ocean village Maldives Holhudhoo, Boduthakurufaanu Magu, Holhudhoo, Maldive, tel + 960 999 6892, www.oceanvillagemaldives.com Bella e moderna guest house su un’isola privata, circondata da acque cristalline e foresta rigogliosa. Ottimo punto di osservazione di mante e delfini.

*White Lagoon, Miskithdhoshuge Mai Magu Fehendhoo, Baa Atoll, tel +960 777 6893, www.whitelagoonmaldives.com. Bella guest house arredata in modo semplice, a pochi passi dalla spiaggia con possibilità di escursioni e attività sportive.

DOVE MANGIARE ALLE MALDIVE

*Sea House Café, Dhathuruvehi 3, Boduthakurufaanu Magu, Malé, tel + 960 333 2957, www.seahousemaldives.com. Nelle vicinanze dell’aeroporto, è aperto 24 h su 24 per colazioni, pranzi, cene e spuntini. Con formula a buffet, cibo di qualità a buon prezzo.

*Thai Wok Restaurant, Ameer Ahmed Magu, Malè, tel. +960 310 007, www.facebook.com/ThaiWokRestuarants/ . Ristorante thailandese tra i migliori della capitale. Da provare la zuppa Tom Yum, l’insalata di papaya, il mango con riso e il kangkung di manzo.

INFO

www.visitmaldives.com