Agli Stati Uniti il premio “Black in the World” 2020

Nelle categorie dei Weekend Premium Green Awards c’è anche il Black In the World, un premio che nessuno, nonostante gli inviti, è mai venuto a ritirare! Perché è un “riconoscimento” che viene attribuito ai paesi che si sono maggiormente distinti per la poca attenzione alle politiche ambientali, per il non rispetto della nostra Terra in nome del profitto, per l’alta percentuale di morti dovuti all’inquinamento atmosferico.

Smog a Los Angeles, la città più inquinata degli Stati Uniti

A vincere il premio “Black in the World” 2020 sono gli Stati Uniti di Donald Trump, poco incline alla salvaguardia dell’ambiente e fautore di leggi “morbide” che, di fatto, riducono e smantellano gli standard “inquinanti”. Non solo, però. Gli Stati Uniti primeggiano anche come maggiori consumatori di concimi chimici.

Emissioni inquinanti in alcune fabbriche

Basti poi pensare che gli USA figurano anche nelle prime dieci posizioni tra i “paesi più mortali” del mondo. Si stima, infatti, che nel 2017 hanno perso la vita a causa dell’inquinamento quasi 197 mila persone. A questi si aggiunge il milione di morti stimati per esposizione al piombo, presente, per esempio, nelle vernici delle pareti di casa, nei vecchi sistemi idraulici, e in molti oggetti di uso quotidiano.

Lo skyline di Los Angeles si vede a malapena nella cortina di smog

Tuttavia, c’è anche una buona notizia. Entro la fine del 2020 potrebbe crescere il numero di stati americano che aderiscono al piano per il controllo dell’inquinamento adottato per prima dalla California. Gli Stati di Washington, Minnesota, New Mexico, Colorado e Ohio stanno infatti completando il piano di approvazione della misura.

2° posto per la Cina

Secondo podio per il Black in the World per la Cina. Il colosso asiatico, infatti, oltre ad avere emissioni di monossido di carbonio elevatissime, fa anche un uso smodato del carbone. E di limitare le emissioni e adottare misure di riduzione dell’inquinamento non ci pensa nemmeno! Anzi, sembra che per sopperire alle perdite economiche dovute al periodo di lockdown per il Coronavirus ha intenzione di moltiplicare la nascita di industrie altamente inquinanti, come cementifici o acciaierie.

A causa dello smog, in Cina le persone indossano sempre la mascherina

Per rendersi conto della gravità della situazione, basta andare a Pechino, dove lo smog è talmente denso da ridurre notevolmente la visibilità e dove è stata registrata la percentuale record di 250 microgrammi di polveri sottili per metro cubo.

3° posto per l’Australia

Terza posizione del podio “Black in the World” per l’Australia, che nel 2020 è stata protagonista di un disastro ambientale a causa dei devastanti incendi che hanno letteralmente ridotto in fumo la vita di 1 miliardo di animali selvatici e oltre 12 milioni di ettari di terra. Non solo. Nel periodo che va dal settembre 2019 al marzo 2020, il fumo scaturito dagli incendi è stato responsabile della morte di 417 persone, 3151 ricoveri per problemi respiratori e cardiovascolari, oltre a emergenze per asma.

Gli incendi in Australia “fotografati” dal satellite

Inoltre, la stagione degli incendi ha rilasciato nell’atmosfera 830 milioni di tonnellate di anidride carbonica, una quantità superiore all’inquinamento annuale di tutto il paese, pari a 530 milioni di tonnellate. E questo ha fatto “volare” l’Australia al sesto posto tra le nazioni più inquinanti del mondo, dopo Cina, Stati Uniti, India, Russia e Giappone.

Un canguro tenta di mettersi in salvo dalle fiamme

L’emergenza climatica, poi, in Australia non è mai stata affrontata con politiche di contenimento, al punto che il paese si è classificato al 57° posto su 57 posizioni nel Climate Change Performance Index 2020 che classifica in paesi in base alle azioni poste in essere per contrastate i cambiamenti climatici.




Paradisi (quasi) perduti. Dieci luoghi da sogno che rischiano di scomparire

È una TOP TEN un po’ diversa quella di questa settimana. In questa classifica abbiamo deciso di includere dieci luoghi del mondo che rischiano di scomparire o di mutare completamente il loro aspetto e la loro natura a causa dei cambiamenti climatici.

Alcuni ve li abbiamo già presentati, di altri vi parleremo prossimamente. La maggior parte sono isole, sì, quelle isole da sogno dove la mente ama vagare e fantasticare quando siamo stanchi e desiderosi di evasione, più o meno note, altri sono parchi nazionali, che da santuari della biodiversità rischiano di diventare deserti a causa dell’innalzamento delle temperature o del disboscamento.

1.Kiribati

Sono il primo luogo del mondo a dare il benvenuto al nuovo anno, ma rischiano di non arrivare al 2100. Sono le isole Kiribati, un arcipelago di 33 isole, di cui solo 21 abitate, che si trova nella regione pacifica della Micronesia, a Est dell’Australia e della Nuova Zelanda e a Ovest della Hawaii. Sono divise in tre gruppi: le Gilbert Islands, le Phoenix Islands e le Line Islands (o Sporadi Equatoriali). Su 33 isole, 32 sono atolli la cui altezza massima sul livello del mare è di pochi metri.

Negli ultimi anni, il livello dell’Oceano si è notevolmente alzato e più di un’isola delle Kiribati è stata sommersa dalle acque. Già negli anni Novanta sono state inghiottite dal mare le isole di Abanue e Bikeman, mentre, entro il 2025 rischia di scomparire anche la Millennium Island, famosa perché, è stata la prima a festeggiare l’entrata nel nuovo millennio.

Quello che rende uniche le Kiribati è che sono il primo luogo al mondo a vedere l’alba del nuovo giorno e, di conseguenza, anche quella del nuovo anno. Il pericolo di essere sommersi dall’Oceano è così reale e affatto remoto che è già pronto un piano di migrazione di massa per i 103 mila abitanti delle Kiribati, tra accordi con i governi dei paesi circostanti e acquisto di terre nelle isole Fijii.

Leggi qui il nostro approfondimento

2. Tuvalu

Anche l’arcipelago delle Tuvalu, una manciata di isole e atolli situati nel Pacifico, tra l’Australia e le Hawaii rischiano di essere sommerse dalle acque dell’oceano, sia per l’innalzamento delle acque che per l’erosione del suo territorio. Proprio per questo motivo, è la seconda nazione meno popolata al mondo, poiché molti abitanti le hanno abbandonate diventando “migranti ambientali”.

Ma che cos’è che le mette cos’ a rischio? Prima di tutto la sua estensione ridotta. Con una superficie di appena 26 kmq è il quarto Stato più piccolo del mondo, dopo Città del Vaticano, il Principato di Monaco e Nauru. Il secondo fattore è la loro conformazione di atolli corallini, con un’altezza massima sul livello del mare di poco più di 4 metri, soggetti alla forza delle maree e agli effetti della salinità del mare.

La crescita del livello del mare, oggi, viene stimato di 1-2 mm all’anno. A questo ritmo, le Tuvalu potrebbero essere sommerse dall’oceano nell’arco di 50-100 anni. Per tentare di strappare la terra al mare, il governo ha adottato il principio dello sviluppo sostenibile per ridurre la propria dipendenza dal petrolio e ha lanciato ripetuti appelli ai paesi industrializzati, affinché limitino le emissioni di gas serra.

Se tutto questo non dovesse bastare, inoltre, è già pronto un piano di evacuazione che prevede il trasferimento degli abitanti in Nuova Zelanda e nelle isole vicine, secondo accordi presi con i rispettivi governi.

Leggi qui il nostro approfondimento

3. Isole Salomone

In comune con le altre isole che rischiano di scomparire c’è la posizione nel Pacifico e la natura corallina degli atolli. Anche le splendide Isole Salomone, un arcipelago di ben 992 isole, di cui solo 347 abitate, sono tra i paradisi tropicali che rischiamo di perdere. A differenza con gli altri stati insulari, tuttavia, le Salome hanno un triste primato: cinque atolli corallini dell’arcipelago sono già stati inghiottiti dalle acque dell’oceano e altri undici sono vicini ad essere cancellati per sempre dalle mappe geografiche.

La causa è sempre la stessa: il riscaldamento globale, ma gli scienziati hanno rilevato che alle Salomone, a causa della posizione, del moto ondoso e della conformazione degli atolli, il livello del mare cresce a un ritmo più veloce rispetto alle isole vicine. Dal 1994 in poi, infatti, le acque sono cresciute a un ritmo di 7-10 mm all’anno, uno degli incrementi più alti registrati in tutto il pianeta.

A farne le spese non solo gli abitanti, che oltre alla devastazione portata dalle acque devono combattere anche contro le conseguenti epidemie, ma anche la delicata biodiversità. Le acque del Pacifico, ogni volta che si scatenano, portano con sé piante e animali presenti solo qui. Le Salomone, infatti, vantano la seconda barriera corallina più bella del mondo dopo quella delle Maldive.

Leggi qui il nostro approfondimento

4. Isole Marshall

Lo Stato delle Isole Marshall appartiene alla regione oceanica della Micronesia e si compone di 29 atolli e 5 isole. Le isole coralline, invece, sono circa un migliaio e vanno a comporre due gruppi, conosciuti come Ralik, “isole del tramonto” e Ratak, “isole dell’Aurora”.

In comune con le altre isole di cui abbiamo scritto sopra hanno la scarsa altitudine, appena 2 metri sul livello del mare, che causa, di anno in anno, la perdita di territorio dovuto al riscaldamento globale e alla conseguente crescita del livello delle acque dell’Oceano. Si parla di un arco di tempo che va dai 10 ai 30 anni, quanto resta per “salvarle”, insieme ai circa 70 mila abitanti, che rischiano di diventare “rifugiati climatici”.

La natura delle isole è vulcanica e corallina, ma la maggior parte di esse è di piccole dimensioni, con un territorio “piatto”, letteralmente a pelo d’acqua. Gli scenari sono quelli di un paradiso terrestre, tra lagune, lingue di sabbia, acque cristalline e una vegetazione rigogliose. Tuttavia, la peculiarità delle Isole Marshall è la suo straordinaria biodiversità. Basti pensare che sugli atolli e nelle acque che li circondano vivono circa 250 varietà di corallo, più di 1000 specie di pesci diverse, oltre 70 specie di uccelli e tutte e cinque le specie di tartarughe esistenti al mondo.

Dell’ arcipelago delle Marshall fa parte anche l’atollo di Bikini, tristemente famoso per essere stato oggetto, tra il 1946 e il 1958, di esperimenti nucleari da parte degli Stati Uniti. Le radiazioni hanno poi reso necessaria l’evacuazione della popolazione. Oggi, l’atollo è stato posto sotto tutela dall’UNESCO che lo ha incluso nei siti Patrimonio dell’Umanità.

Leggi qui il nostro approfondimento

5. Maldive

Ebbene sì, anche le Maldive, una delle destinazioni “da sogno” preferite dagli italiani, sono a rischio. Due sono le minacce contingenti per questo paradiso di 26 atolli, nati da 1190 isole coralline, di cui 93 occupate da villaggi turistici e resort, disseminate nell’Oceano Indiano, tra lo Sri Lanka e le Seychelles. Il primo è rappresentato dall’innalzamento delle acque. Il territorio delle Maldive è composto per il 99% da acqua, mentre l’altezza delle terre emerse non supera i 2 metri.

L’innalzamento degli oceani dovuto all’aumento delle temperature e al conseguente scioglimento dei ghiacci ai poli mette quindi a serio rischio l’esistenza stessa di queste isole, al punto che potremmo vederle sparire, inghiottite dal mare, tra il 2030 e il 2050. Il rischio maggiore, che renderebbe le Maldive invivibili, sarebbe “l’invasione” delle acque salate dell’oceano nelle falde acquifere potabili degli atolli. Tuttavia, anche operazioni come la costruzione di barriere e terrapieni artificiali per arginare l’avanzata delle acque, oltre che molto costosi, si sono rivelate rischiose per il delicato equilibrio della flora, della fauna e delle barriere coralline.

La seconda emergenza è rappresentata dallo smaltimento dei rifiuti Per avere un’idea della portata del problema, basti pensare che i 10 mila turisti che arrivano alle Maldive ogni settimana producono 3,5 kg di rifiuti al giorno, che si sommano a quelli prodotti dai 142 mila abitanti, circa 330 tonnellate di spazzatura al giorno. Questo enorme quantitativo, che negli ultimi decenni comprende anche materiale molto inquinante, composto dai rifiuti tecnologici, confluisce sull’isola di Thilafushi, di fatto una grande discarica galleggiante istituita dal governo maldiviano nel 1991, a soli 8 km dalla capitale Malé.

Lunga 7 km e larga 200 metri, Thilafushi si estende per circa 50 ettari, ma cresce di anno in anno proprio alimentata dai rifiuti. E il rischio è che l’innalzamento delle acque finisca per “portare via” i rifiuti più vicino alla costa, con conseguente contaminazione delle acque e di agenti inquinanti nella catena alimentare del delicato ecosistema della barriera corallina.

Leggi qui il nostro approfondimento

…continua nella seconda pagina…

6. Isole Fiji

Conformazione simile, stesso “posto nel mondo”, anche le meravigliose Isole Fiji, Stato insulare dell’Oceania, composto da 322 isole, di cui solo 106 abitate, e 522 piccoli isolotti, rischiano di soccombere a causa dell’innalzamento delle acque del mare. Una ricerca dell’Università del Pacifico del Sud, infatti, hanno evidenziato come, nell’ultimo decennio, il livello del mare si è alzato più in fretta che in qualsiasi altro decennio del secolo scorso. Secondo le previsioni, entro il 2050, il livello del mare sarà più alto di circa mezzo metro rispetto a oggi.

Tuttavia, i primi effetti dei cambiamenti climatici hanno già iniziato a farsi sentire. Tra le prime “vittime” ci sono gli abitanti del villaggio di Vunidogoloa, che hanno dovuto abbandonare le loro case per trasferirsi a circa un chilometro e mezzo di distanza, sulla cima di una collina. Il cedimento del tratto di barriera corallina che faceva da baluardo tra l’oceano e il loro villaggio, dovuto all’erosione, ha permesso alle acque di sommergere quello che prima era il centro abitato.

Lo stesso rischio lo stanno correndo gli abitanti del villaggio di Karoko, nella penisola di Kubulau, e quelli del villaggio di Vunisavisavi, che si vedono arrivare l’acqua dell’oceano fino alla porta di casa quando c’è l’alta marea. Nel villaggio di Nukui, invece, ad appena un’ora di barca dalla capitale, a causare danni è il vicino fiume, che rompe gli argini tutte le volte che viene ingrossato dalle acque del mare.

7. Isole Carteret (Papua Nuova Guinea)

Questo ex paradiso al largo della Papua Nuova Guinea vanta un triste primato: i suoi abitanti sono stati i primi profughi ambientali “ufficiali” al mondo. Negli anni Ottanta la popolazione era circa di 3300 persone, ma ora le isole sono quasi del tutto disabitate e gli abitanti costretti a trasferirsi in massa nella vicina isola di Bougainville, a circa 80 km.

In origine, l’arcipelago era formato da sei isole, poi Huene è stata spaccata in due dalle mareggiate, mentre le isole di Han e Piun sono quasi completamente state sommerse dalle acque dell’oceano, cresciute di 10 cm in 20 anni. Un problema che ha contribuito alla “fuga” degli abitanti è stata anche la perdita di fertilità del terreno, “invaso” dalle acque salate del mare.

L’aumento della salinità ha comportato la perdita di alberi di banane e noci di cocco, tra le principali fonti di sostentamento della popolazione, abituata a vivere di autosostentamento e seguendo i ritmi della natura. L’acqua salata, poi, ha raggiunto anche i pozzi, costringendo gli abitanti a raccogliere l’acqua piovana. Questo avrebbe causato un aumento di casi di malaria sulle isole

8. Seychelles

Anche le Seychelles, paradiso turistico circondato dall’Oceano Indiano, rischiano di scomparire a causa del global warming. In particolare, a soffrire è la splendida barriera corallina che protegge le isole dall’invasione delle acque, che a causa dell’aumento delle temperature e dell’acidificazione delle acque diventa sempre più fragile, perdendo la sua funzione “difensiva”.

Il fenomeno, chiamato “sbiancamento” dei coralli, avviene quando le acque del mare sono troppo calde e i coralli espellono le alghe zooxanthellae che vivono al loro interno. Se le temperature non si abbassano in un tempo ragionevole, calcolato in poche settimane, il corallo muore. Il suo “scheletro” diventa poroso e fragile e la barriera corallina si erode e cede. Le terre emerse, quindi, sono più soggette a mareggiate e inondazioni.

Gli studiosi hanno calcolato che El Niño, cioè la violenta perturbazione che colpisce periodicamente l’Oceano Pacifico, alterandone le temperature, nel 1998 e nel 2008 ha causato la morte del 90% dei coralli. Questo perché, nonostante sia prevedibile, il fenomeno non è stato “alternato” a un periodo di riadattamento delle temperature e i coralli non hanno fatto in tempo a riprendersi.

L’innalzamento generale delle temperature ha poi portato nelle isole una grave siccità, con ripercussioni sulla pesca e sull’agricoltura, attività di sostentamento principale per gli abitanti delle isole.

9. Sao Tomé e Principe

A differenza delle altre isole citate, la Repubblica Democratica di São Tomé e Principe non rischia di essere sommersa dalle acque, ma di perdere la sua meravigliosa biodiversità per mano dell’uomo. Situata lungo l’Equatore, a 300 km al largo della costa del Gabon, nel Golfo di Guinea, nell’Africa occidentale, si compone di due isole principali, São Tomé, che ha una superficie di 836 kmq, e Principe, di appena 128 kmq più sette isolotti rocciosi.

Proprio le dimensioni ridotte delle isole hanno fatto sì che, più che in altri luoghi, qui i cambiamenti ambientali abbiano messo a serio rischio l’ecosistema, la biodiversità e gli stessi abitanti. L’emergenza di São Tomé si chiama deforestazione. E la colpa è delle multinazionali che hanno sostituito la foresta equatoriale con piantagioni di palme da olio. Il prodotto principale di queste piante, l’olio di palma, infatti, è economico, redditizio e versatile, e può essere utilizzato in tutto il mondo non solo nell’industria alimentare, ma anche in un’infinità di prodotti, tra cosmetici, dentifricio, detergenti e biodiesel. Il tutto, però, a discapito della natura e dell’ambiente.

All’origine del problema ci sarebbe in non rispetto da parte delle multinazionali delle concessioni e dei vincoli ambientali. Un’inchiesta della sezione francese di Greenpeace, partita in seguito alle proteste degli abitanti di São Tomé ha rilevato come siano state abbattute zone di foresta non comprese nella concessione e che le coltivazioni di palme da olio si siano estese su terreni utilizzati dalla popolazione per l’agricoltura di sussistenza, in particolare nelle aree adiacenti al Parco Nazionale di Obo

Leggi qui il nostro approfondimento

10. Glacier National Park

Il Glacier National Park, in Montana (USA), è un altro dei gioielli naturali che rischiano di scomparire a causa del riscaldamento globale. Con i suoi 4045 kmq è uno dei parchi più grandi degli Stati Uniti e nel suo territorio comprende due catene montuose, più di 130 laghi, cascate, centinaia di fiumi, panorami mozzafiato, più di mille specie di piante e centinaia di specie di animali diversi, tra cui grizzly, orsi neri, puma e ghiottoni.

Per capire la gravità della situazione, basti pensare che nel 1850, nel territorio del parco erano presenti 150 ghiacciai. Oggi ne sono rimasti soltanto 25. E si pensa che anche questi siano destinati a scomparire entro il 2030. La situazione viene monitorata dal Northern Rocky Mountain Science Center, che, a partire dal 1997, ha scattato una serie di fotografie per documentare lo scioglimento dei ghiacci, con risultati preoccupanti

Temperature estive che a duemila metri superano i 30°C, un aumento di 1,8°C superiore all’incremento medio globale, estati più lunghe e fiumi che si ingrossano alimentati dai ghiacciai sciolti hanno modificato l’ambiente naturale, mettendo a rischio le specie animali e i loro bioritmi.

Leggi qui il nostro approfondimento




Isole Salomone, tutto quello che c’è da sapere sulle isole che stanno scomparendo

L’arcipelago delle Isole Salomone si trova nell’Oceano Pacifico Meridionale, a nord est dell’Australia. Conta un totale di 992 isole, ma solo 347 sono abitate. Con una popolazione totale di circa 640 mila abitanti sono tra le regioni meno popolate del pianeta.

Isole Salomone dall'alto

Nonostante ciò, tuttavia, gli abitanti delle isole più a rischio faticano a stabilirsi su altre isole, poiché la maggior parte del territorio è controllata da famiglie appartenenti allo stesso gruppo e si rischia un conflitto etnico.

A minacciare gli abitanti sono anche le inondazioni, anch’esse più frequenti a causa dei cambiamenti climatici, che si presentano sempre più violente e con effetti devastanti. A farne le spese non solo gli abitanti, che oltre alla devastazione portata dalle acque devono combattere anche contro le conseguenti epidemie, ma anche la delicata biodiversità.

Le acque del Pacifico, infatti, ogni volta che si scatenano portano con sé piante e animali presenti solo qui. Le Salomone, infatti, vantano la seconda barriera corallina più bella del mondo dopo quella delle Maldive. Ecco, perché, allora, vi proponiamo di visitare le Isole Salomone “per una volta”, prima che il mare ne inghiotta un’altra parte e rimangano solo un ricordo.

Isole Salomone: belle da NON morire

Le Isole Salomone, benché ancora lontane dal turismo di massa, sono ben note agli appassionati di immersioni, snorkeling e surf. L’origine vulcanica dell’arcipelago, infatti, regala un paesaggio marino unico, fatto di barriere coralline spettacolari, acque cristalline ed una straordinaria topografica oceanica, composta da pareti rocciose e vulcani sottomarini, alcuni dei quali ancora attivi.

Qui vivono indisturbati coloratissimi pesci tropicali, mante, tartarughe, balene e squali, considerati dai nativi sacri, poiché reincarnazione dei defunti. Le acque delle isole poi sono ricchissime di relitti risalenti alla Seconda Guerra Mondiale.

Anche la terraferma offre infinite occasioni di svago e scoperta, a partire dalle spiagge incontaminate, dai vulcani e dalle spettacolari lagune. Senza dimenticare i villaggi tribali, ricchi di storia e tradizioni, dove si può assistere a danze rituali e alla lavorazione di sculture e manufatti.

Visitiamo Honiara, la capitale

L’unico aeroporto internazionale delle Salomone si trova a circa 10 km dalla capitale, Honiara, sull’isola di Guadalcanal. La prima tappa dell’itinerario tra le isole è proprio la capitale, dove vale la pena fermarsi qualche giorno.

Una passeggiata consente di visitare le principali attrattive del centro storico. Tra queste c’è il National Museum & Cultural Center, piccolo, ma ben curato, che conserva alcuni manufatti e testimonianze della storia dell’isola, dai reperti archeologici alle armi, ma anche ornamenti rituali, sculture, dipinti e residui della Seconda Guerra Mondiale.

Proseguendo la passeggiata, davanti al Mendana Hotel, si possono incontrare gli intagliatori di legno che, sotto una tettoia di foglie, realizzano all’istante e vendono manufatti e statuette di pregiata fattura.

Poco distante, si arriva al mercato centrale, sulle cui bancarelle si può trovare dalla frutta fresca alle collane di conchiglie, ma anche oggetti realizzati secondo la tecnica bukaware, tra cui borse, tovagliette e stuoie, e “souvenir” della seconda Guerra Mondiale.

Nei siti storici della Seconda Guerra Mondiale

Honiara è ricca di siti storici risalenti al secondo conflitto mondiale. I dintorni della città e le acque antistanti l’isola di Guadalcanal, infatti, sono stati teatro di sanguinosi scontri tra le forze americane e quelle giapponesi.

Con una passeggiata di circa 20 minuti da Mendana Avenue, si arriva allo US War Memorial, che domina la cima dello Skyline Ridge, da dove si gode una splendida vista della città e dell’intera isola. Il memoriale conserva alcune targhe di marmo con le indicazioni per riconoscere i luoghi delle battaglie e la storia del conflitto.

Percorrendo, invece, Mendana Avenue in direzione ovest, fino a Bonegi Beach, si arriva in circa 25 minuti a piedi al Vulu War Museum, un museo all’aperto situato in uno splendido giardino, che conserva resti dell’artiglieria giapponese e parti della flotta aerea americana.

Infine, merita una visita anche il Solomon’s Peace Memorial, il monumento alla pace dedicato ai caduti giapponesi, realizzato in pietra e circondato da un giardino di ibiscus. Lo si raggiunge a piedi, dal centro di Honiara, proseguendo verso est, si incontra la Chiesa di Melanesia e, successivamente, lo stadio. Salendo sulla collina adiacente si prosegue per Kola Ridge fino all’incrocio con Borderline Police Post; qui si volta a destra e si prosegue per 10 minuti fino ad incontrare il monumento.

Presso il Centro Visitatori, si può organizzare invece un’escursione guidata alle splendide Mataniko Falls, spettacolari cascate, a 2 ore di cammino da Honiara, che si gettano dall’alto di un precipizio ad una grotta, utilizzata, durante la guerra, come rifugio dai Giapponesi.

Infine, per ricordare a chi arriva e a chi parte le vicende che, in passato, hanno turbato questo angolo di paradiso, presso l’Henderson International Airport è stato posto un monumento commemorativo alle forze statunitensi ed ai loro alleati. La torre di controllo che si trova a 100 metri dal terminal risale anch’essa alla Seconda Guerra Mondiale.

Tra spiagge cristalline e relitti sommersi

Le spiagge più belle si trovano quasi tutte sulla costa a ovest di Honiara e sono tutte raggiungibili in dieci minuti dal centro città in con i mezzi pubblici. Percorrendo Mondana Avenue in direzione ovest, per esempio, a poca distanza da White River, si incontra la splendida Kakabona Beach, una lunga striscia di sabbia bianca che si affaccia su acque calme e cristalline, adatte allo snorkeling e al relax. A poca distanza, si trova anche Lili Beach.

Situata a circa 3,9 km dal centro, appena superato il ponte, Turtle Beach, ha sabbie candide circondate da una rigogliosa vegetazione tropicale, che si allunga quasi fino al mare e regala ombra e privacy, mentre ci si lascia coccolare dalle acque smeraldine. Tangisaliu Beach, invece, è una deliziosa spiaggia di ciottoli che dista circa 6,3 km dal centro città.

A circa 12 km da Honiara, invece, si trovano le splendide spiagge di Bonege I e Bonege II, famose per le alte palme che regalano piacevole riparo dal sole, per le acque trasparenti e per l’eccezionale reef. Nei fondali si trovano anche due relitti di altrettante navi da trasporto giapponesi, affondate durante la Seconda Guerra Mondiale.

Di fronte alle acque della spiaggia di Bonege I riposa la Hirokawu Miru, affondata nel novembre nel 1942. L’accesso al relitto è facile e sicuro, adatto anche ai sub meno esperti. Ad appena 5 metri, si trovano le sezioni della nave più superficiali, la cui principale attrazione sono le formazioni di corallo e il tranquillo via vai di pesci tropicali. Le parti più intatte del relitto, invece, sono situate a circa 57 metri. I sub più esperti possono esplorare le stive, adagiate sul fondo sabbioso.

Emerge, invece, nei pressi della spiaggia di Bonege II il relitto della Kinugawa Maru, un mercantile incagliatosi nella barriera corallina e sprofondato, a poco a poco, nel corso degli anni. La prua emerge ancora dalle acque prossime alla spiaggia, mentre la poppa si trova a circa 30 metri, circondata da pesci, anemoni e coralli. Una bella avventura subacquea anche per sub alle prime armi.

Alla scoperta della Provincia Occidentale

Il gioiello turistico delle Isole Salomone è costituito dalla Provincia Occidentale, una meraviglia naturale di isolotti tropicali, lagune incontaminate, acque cristalline lambite da lingue di sabbia candida e da una vegetazione lussureggiante.

La prima tappa è l’isola di Ghizo, che si può raggiungere da Honiara in aereo. Qui si trova Gizo, la seconda città più grande delle Salomone, dopo la capitale. Il nome suggerisce il passaggio dei Giapponese, che la utilizzarono come base militari per gli idrovolanti. Negli anni, poi, si è sviluppata come cittadina a vocazione turistica.

Sulla costa meridionale, a 6 km dalla città, nei pressi del villaggio di Pailongge, si trova uno dei punti con le onde più spettacolari delle Salomone e molto amato dai surfisti.

A circa 7 km da Gizo, in direzione sud est, si trova Kennedy Island, che deve il suo nome all’avventura che vide protagonista, nell’ agosto del 1943, il futuro presidente americano JFK e dieci suoi commilitoni. Dopo l’affondamento della nave su cui viaggiavano da parte del cacciatorpediniere giapponese Amagiri, i soldati si salvarono nuotando fino all’isola più vicina.

New Georgia Island, tra natura e cultura

Il secondo gioiello naturale della Provincia Occidentale è rappresentato da New Georgia Island e dalle sue isole satellite. Proprio dove si congiungono le lagune di Vonavona e di Roviana, sorge la città di Munda, il più grande cento abitato dell’isola, anche se, in realtà, di tratta di una serie di villaggi che si estendono per 6 km.

Tra i siti da non perdere, ci sono le Holupuro Falls, cascate di 10 metri che si trovano appena fuori Munda, appena superato il ponte sul Mourape River. Le cascate formano una piscina di acqua chiara, dove è possibile fare il bagno.

Da non perdere poi l’escursione al sito archeologico di Nusa Roviana considerata la roccaforte dei cacciatori di teste e sede, fino al 1892, di una fortezza dalle pareti di corallo. Qui sono ancora visibili i resti della Stone Dog, la statua totemica dedicata al cane Tiola, adorato dalla tribù come divinità protettrice.

Delimitata dagli isolotti di Nusaghle e Blackett Strait, la Vonavona Lagoon si estende per 28 km e comprende diverse isole di rara bellezza che vale la pena visitare. Gli appassionati di surf e della tintarella, non possono mancare almeno una giornata a Lola, un lembo di terra di 40 ettari a 20 minuti di barca da Munda. Le onde migliori si trovano all’estremità meridionale.

Gli amanti delle avventure non possono poi mancare una visita alla sinistra Skull Island, un luogo quasi fiabesco che conserva i teschi dei guerrieri sconfitti dai cacciatori di teste e un sacrario, dove sono custodite le spoglie mortali dei capi tribù.

Fiore all’occhiello dell’ecoturismo è, invece Tetepare, l’isola disabitata più grande del Pacifico del Sud. Santuario della biodiversità, l’isola è ricoperta da una fitta foresta pluviale incontaminata ed è un’importante zona di riproduzione delle tartarughe verdi ed embricate, dei dugonghi ed altre specie rare sia terrestri che marittime.

Marovo, la più bella laguna del mondo

Situata nella parte orientale di New Georgia la Marovo Lagoon è considerata la più bella laguna del mondo. Delimitata dalle isole di New Georgia e di Vangunum è racchiusa da una doppia linea di isole ricoperte di palme e foresta pluviale, mentre la barriera corallina è tra le più belle del pianeta.

Famosa per la presenza dei pacifici squali neri, un tempo adorati come divinità dai locali, la laguna comprende diverse isole di piccole dimensioni, alcune delle quali disabitate o con appena qualche resort.

Il principale centro abitato è Seghe. I siti di immersione più belli si trovano invece nelle vicinanze di Uepi Island, una delle isole che formano la barriera che protegge la laguna. Il mondo sottomarino è un giardino segreto di gorgonie, anemoni, grotte e pareti di coralli, popolato da pesci multicolore, molluschi giganti, murene, squali e mante.

COME ARRIVARE

Per arrivare alle Isole Salomone dall’Italia mettete in contro circa due giorni di viaggio e diversi scali. I collegamenti con le isole si effettuano da Brisbane, in Australia, o dalle Isole Fiji. Si può volare qui da Roma o Milano con Qantas, che effettua anche il volo per le Fijii. La compagnia di bandiera Solomons Airlines collega Brisbane a Honiara, mentre la compagnia delle Fiji collega Nadi, nelle Fiji, a Honiara.

DOVE DORMIRE

*Solomon Kitano Mendana Hotel**** (Mendana Avenue Seafront, Honiara, Tel +677 20071. Nel centro della capitale, a poca distanza dal centro commerciale. Alcune delle camere hanno la vista mare e dispongono di bagno privato, aria condizionata, TV satellitare, connessione internet. A disposizione piscina, coffè bar, parcheggio e un ottimo ristorante con cucina internazionale e giapponese.

*Gizo Hotel****, Middenway Rd, tel +677 60199
è la struttura più elegante della città, che sorge di fronte alla spiaggia. Tra i servizi: piscina, ristorante, centro massaggi, tour alle isole, servizio in camera, cambiavalute, lavanderia. Le camere standard possono ospitare fino a 3 persone e sono provviste di aria condizionata, frigorifero, telefono per chiamate internazionali, bagno privato, connessione internet.

*Uepi Island Dive Resort****, Uepi Island, tel. 0061 3 9787 7904. Splendida struttura che sorge sull’isola di Uepi, che funge da baluardo tra il mare aperto e la superba Marovo Lagoon. I bungalow possono ospitare fino a 6 persone e sono collocati in uno splendido contesto di giardini e vegetazione tropicale, a poca distanza dalla spiaggia e dal reef.

DOVE MANGIARE

*Kai Kai Haus Restaurant (c/o King Solomon Hotel, Hibiscus Ave, tel +677 21205, Honiara) Offre cucina tradizionale e internazionale con piatti a base di pesce fresco e frutti di mare, piatti vegetariani e pollo. Anche pizza.

*Zibolo Habu Resort***, Lola Island, tel +677 62178) Il resort è un punto di ritrovo per i pescatori di ritorno dal mare. È possibile usufruire del ristorante e bar del resort, specializzato in cucina internazionale, ma con rivisitazioni con ingredienti e tecniche della tradizione locale. Specialità pesce e frutti di mare, alla griglia, oppure stufato. Ottimo anche il sushi ed i crostacei. Si servono anche ottimi hamburger con patatine.