I 10 giardini più belli del mondo

Passeggiare nel verde, ormai è noto, ha un effetto rilassante sul corpo e sulla mente, così come prendersi cura di un orto o di un giardino. Nei secoli, reali, nobili, ma anche poeti, scrittori e gente comune hanno riservato spazi al giardino. Alcuni, naturalmente, hanno pensato più in grande. Ma quali sono i 10 giardini più belli del mondo? Siamo andati a cercarli per la nostra rubrica TOP 10. E, anche questa volta, l’impresa di sceglierne solo 10 non è stata facile.

1. Giardini di Versailles (Parigi – Francia)

Il gradino più alto del podio spetta ai meravigliosi Giardini della Reggia di Versailles, a poca distanza da Parigi. Inaugurati il 6 maggio 1682, fanno parte dei siti Patrimonio dell’Umanità UNESCO dal 1979. Gli sterminati giardini si estendono su circa 815 ettari di terreno, a ovest dell’omonima reggia, e sono stati commissionati da Luigi XIV, il famoso “Re Sole”, e progettati dal celebre architetto paesaggista André Le Nôtre.

Lo stile è quello del classico giardino “alla francese” caratterizzato da ordine e simmetria. I lunghi prati sono intervallati da percorsi che conducono ad aiuole e ad angoli tranquilli, caratterizzati da fontane, sculture e giochi d’acqua. Il re era solito spostarsi in gondola su un canale per raggiungere anche i punti più lontani. Ogni anno vengono visitati da 6 milioni di persone. Un primo posto meritato per giardini che, letteralmente, hanno fatto la Storia.

2. Giardini di Villa Este (Tivoli – Italia)

Commissionati nel XVI secolo dal cardinale Ippolito II d’Este e progettati da Pirro Ligorio, i giardini di Villa d’Este, a Tivoli, appena fuori Roma, sono stati annoverati dall’UNESCO tra i 31 siti storico-artistici più importanti d’Italia. Sono Patrimonio dell’Umanità dal 2001. I giardini stupiscono chiunque li visiti per la prima volta per il suo complesso di fontane, molte delle quali ricoperte di muschio, che aggiunge fascino e mistero.

Tra le più celebri ci sono la Fontana del Bicchierone, dove l’acqua scorre da un grande bacino a forma di conchiglia, la Fontana della Rometta, una piccola Roma in miniatura con Romolo, Remo e la Lupa, le Cento Fontane con bacini, sculture a forma di gigli e teste di animali e una piccola barca spruzzano acqua ma, soprattutto, la Fontana musicale, in grado di produrre spontaneamente suoni unici e suggestivi.

3. Royal Botanic Gardens di Kew (Richmond, Surrey – Inghiterra)

Situati a 16 km da Londra, i Royal Botanic Gardens di Kew sono nati nella seconda metà del Settecento e ampliati negli anni successivi. Patrimonio UNESCO dal 2003, sono famosi in tutto il mondo per ospitare più di 50 mila piante, tra cui alcune specie rare o in via di estinzione, e per la Temperate House, la più grande serra vittoriana del mondo, costruita tra il 1859 e il 1869.

Dislocata su un’area di 4880 mq, custodisce piante delle zone temperate del mondo, tra cui spicca la più grande palma indoor del mondo. Fanno parte del complesso anche la Bonsai House, con esemplari di 150 anni, la Palm House, sotto il cui tetto spiovente si trovano baobab, alberi di vaniglia e altre esemplari provenienti da dieci zone climatiche diverse. Presso il Queen Charlotte’s Cottage e nell’Orangery, invece, ci si può fermare per un pic-nic…reale.

4. Powerscourt Gardens (Enniskerry, Irlanda)

Quarto podio per i Powerscourt Gardens di Enniskerry, nella contea di Wicklow, a sud di Dublino, in Irlanda, caratterizzati da cascate, prati, padiglioni, pergolati e dettagli di rara bellezza. Si estendono su 19 ettari e sono stati costruiti tra il 1731 e il 1741 insieme alla meravigliosa villa in stile palladiano. Il committente fu il giovane Mervyn Wingfield, settimo visconte di Powerscourt, che ad appena 21 anni ereditò la proprietà di famiglia.

Si mise subito all’opera per restaurare il castello del XIII secolo e farne una splendida villa nobiliare e per i giardini si affidò all’architetto tedesco Richard Cassels. Una parte dei giardini è ispirato a quelli italiani del Rinascimento, mentre in molti aspetti il modello furono i giardini della Reggia di Versailles e altri di ispirazione europea. Wingfield decise poi di creare all’interno della tenuta anche un giardino zen giapponese dove riprodurre la cultura orientale. Non si fece mancare nemmeno un cimitero per seppellire i suoi amati animali domestici.

5. Butchart Gardens (Victoria, Columbia Britannica, Canada)

Entrano nella TOP 10 anche i meravigliosi Butchart Gardens, che si trovano sull’Isola di Vancouver, vicino a Victoria, nella Columbia Britannica. La loro storia è davvero singolare. Infatti, sorgono nel luogo dove, nella seconda metà dell’Ottocento, si trovava una cava di pietra calcarea. Nel 1904, tuttavia, la cava non aveva più valore. Fu Jennie Butchart, moglie del proprietario della Portland Cement, che intuì il potenziale del luogo.

Fece ricoprire la cava con il terreno prelevato da alcune fattorie nelle vicinanze e ne fece un meraviglioso giardino che si sviluppa su un’area di 22 ettari. Da più di cento anni il “giardino di Jennie” attrae visitatori provenienti da tutto il Canada, e non solo.  Le fioriture delle più di 700 varietà di piante lo colorano da marzo a ottobre, mentre sono ben 50 i giardinieri assunti a tempo pieno che si occupano dei giardini e delle 26 serre.

6. Dumbarton Oaks (Washington D.C., Stati Uniti)

Situati a nord della città di Georgetown, uno dei quartieri più esclusivi di Washington D.C., i giardini della tenuta di Dumbarton Oaks sono considerati tra i più belli del mondo. Circondano la villa del XIX secolo, frutto dell’amore dei proprietari per la storia e l’archeologia. Tutta la struttura, infatti, ricorda lo stile bizantino, che tuttavia si mescola con il moderno.  Si estendono su 4 ettari e, tra il 1922 e il 1947 si sono ulteriormente modificati e abbelliti grazie alla proprietaria, la Mrs Woods Bliss, che affidò i lavori all’architetto Beatrix Farrard.

Nei giardini si trova anche una ricchissima biblioteca. Spiccano le viti che si arrampicano sui muri di pietra che abbracciano la Fountain Terrace, mentre Lover’s Lane conduce a un anfiteatro romano costruito attorno a una piscina dalla pavimentazione di un profondo blu.

7. Parco Botanico Keukenhof (Lisse, Paesi Bassi)

Il suo nome significa, letteralmente “cortile della cucina”, poiché nel XV secolo, il terreno dove ora sorge il Parco Botanico Keukenhof apparteneva alla contessa Jacoba Van Beierené, che lo aveva adibito a caccia e coltura di prodotti agricoli per rifornire le cucine del suo cancello. Oggi, invece, il Keukenhof di Lisse, a 35 km da Amsterdam, nella parte meridionale dell’Olanda, è il più grande parco di fiori a bulbo del mondo e uno dei più fotografati in assoluto in Europa. La ragione?

I suoi 7 milioni e mezzo di tulipani, in 100 varietà diverse, oltre a narcisi, muscari e giacinti, 2500 alberi di 87 specie diverse. Il tutto immerso in un paesaggio fiabesco che include un lago, diversi canali, vasche, fontane, sculture e persino un mulino a vento. La struttura corrisponde al progetto del giardino in stile inglese degli architetti paesaggisti Jan David e Louis Paul Zocher, che ricevettero la commissione dai baroni Van Pallandt. Il parco è invece stato istituito nel 1949 su iniziativa del sindaco di Lisse, che organizzò una esposizione floreale dal successo così grande che la municipalità decise di farne un appuntamento fisso.

8. Giardini di Monet (Giverny, Francia)

I Giardini di Casa Monet, a Giverny, una cittadina che sorge sulla riva destra della Senna, in Normandia, sono un capolavoro di arte, storia e natura. A questi paesaggi, infatti, sono ispirati molti dipinti, tra cui la celebre serie “Ninfee” del maestro dell’Impressionismo, che qui visse dal 1883 alla sua morte, avvenuta nel 1926. Oggi i numerosi visitatori possono immergersi nelle atmosfere ritratte nei dipinti di Monet.

La disposizione dei fiori, infatti, è rimasta la stessa. Meravigliosi i colori e il giardino d’acqua dove crescono le ninfee, sormontato dal “ponte giapponese”. La presenza di Monet a Giverny attirò molti artisti dell’epoca, provenienti da diversi paesi d’Europa, che contribuirono a fare del suo giardino un luogo quasi di culto. Qui si trova anche il Museo dell’Impressionismo Giverny e la Casa Natale del pittore.

9. Giardini Sanssouci (Potsdam, Germania)

Nella TOP 10 anche i Giardini di Sanssouci di Potsdam, in Germania, fatti costruire da Federico II di Prussia nel 1745. Il nome deriva dal termine francese sans souci, cioè “senza preoccupazioni”, perché qui il sovrano desiderava trascorrere momenti di completo relax e tranquillità. I giardini circondano la residenza di Sanssouci ed entrambi sono stati dichiarati dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità nel 1990.

Lo stile è quello del giardino francese barocco, un parco che si estende per 280 ettari, e comprende zone erbose, aiuole di fiori, alberi e siepi. Vi furono piantati più di tremila alberi da frutto, tra aranci, meloni, banani e peschi. Inoltre, sono presenti numerose serre. Presso la porta di ingresso si trovano invece le statue di Flora e Pomona.

10. Giardino botanico di Nong Nooch (Pattaya, Thailandia)

Chiude la nostra TOP 10 il Giardino botanico tropicale di Nong Nooch di Pattaya, il più visitato della Thailandia. Infatti, non è solo un’attrazione turistica, ma anche un centro di ricerca per lo studio delle cicadee, una pianta da seme che assomiglia alla palma e che risale a 280 milioni di anni fa. La storia del Giardino è piuttosto singolare.

Il terreno, di 250 ettari, fu acquistato alla fine del XX secolo per farci una piantagione, ma i proprietari si resero conto che poteva essere più utile farne un giardino botanico per preservare fiori e piante, soprattutto rari. È suddiviso in varie aree, tra cui un giardino francese, uno europeo, il giardino Stonehenge, uno dedicato alle orchidee. Inoltre, vi si svolgono spettacoli e cerimonie. I visitatori, poi, possono fare anche amicizia con i mansueti elefanti del parco.

 




A CastelBrando la prima edizione della Borsa Internazionale siti UNESCO

Sarà il magnifico CastelBrando, a ospitare la prima edizione della Borsa Internazionale Siti Patrimonio Mondiale UNESCO, che si tiene fino al 1° giugno.

Sito a Cison di Valmarino, nel trevigiano, tra le Colline del Prosecco, anch’esse Patrimonio UNESCO, il castello vanta più di duemila anni di storia ed è uno dei più raffinati esempi di riqualificazione del patrimonio storico artistico italiano. Immerso in 50 ettari di verde, tra parco e foresta, sorge alle pendici del monte Castello, da cui domina il borgo, e oggi ospita tra le sue mura un hotel a 4 stelle con eleganti camere e suite, una Spa ricavata negli antichi bagni rimani, diverse aree museali, ristoranti, bar, cantine ed enoteche.

In questa location prestigiosa la Borsa Internazionale dei Siti Patrimonio Mondiale, che prevede la presenza di 50 selezionatissimi buyer italiani e stranieri, che avranno la possibilità di incontrare i seller che hanno sede e operano nelle aree inserite nella World Heritage List UNESCO e che intendono promuovere il territorio, le strutture ricettive, le esperienze e la cultura di tali aree.

Il 1° giugno, poi, gli ospiti e i buyer internazionali saranno i protagonisti di interessanti fam trip nelle Colline del Prosecco, Patrimonio Mondiale UNESCO, alla scoperta di paesaggi unici, tradizioni antiche rinnovate nel tempo ed eccellenze gastronomiche, toccando l’Abbazia di Follina, il Molinetto della Croda, Collagù, Villa Maser e il Museo Gypsotheca Antonio Canova di Possagno. Il Veneto, inoltre, può vantare 9 siti materiali UNESCO, 2 siti immateriali, 3 Mab e, da poco, anche l’inserimento degli atti della tragedia del Vajont nel Memory of the World UNESCO.

CastelBrando, da fortezza a luxury Hotel

La storia di CastelBrando risale all’epoca romana, quando fu costruito per difendere la via imperiale Claudia Augusta, che collegava l’Adriatico al nord Europa. Per trecento anni è stata poi la dimora dei signori Da Camino, citati anche da Dante nella Divina Commedia, che cinsero il castello di imponenti mura e di una torre centrale. Il maniero passò poi alla Repubblica di Venezia, che lo diede in feudo al doge Marin Falier, nel 1354. Nel 1436 venne invece ceduto per meriti di guerra a Erasmo da Narni, detto Gattamelata, e a Giovanni Brandolino, conte di Valmarino. La famiglia Brandolini abitò poi il castello per cinquecento anni ampliandola e abbellendola.

Nei secoli, a CastelBrando hanno alloggiato importanti personaggi storici, dal re longobardo Rotari, famoso per il suo Editto, a Carlo Magno, da Ottone I di Sassonia, imperatore germanico a Giotto, da Canova alla Regina Margherita di Savoia.

Nel 1959, i conti Brandolini vendettero la proprietà ai padri Salesiani, infine, nel 1998, CastelBrando venne acquistato dalla famiglia Colomban, attuale proprietaria, che lo restaurò completamente, riportando all’antico splendore e restituendo al castello tre chilometri di mura intatte, antichi reperti e decori in quelle che oggi sono diventate magnifiche suite da cui si gode di una magnifica vista sulle colline circostanti.

Oggi, CastelBrando offre 42 camere classiche, arredate in stile storico con arredi autentici, 6 junior suite in stile veneziano, decorate con raffinati stucchi, caminetti e originali veroni, 2 royal suite e una dependance con altre 16 camere a valle e 14 camere della sottostante Villa Marcello Marinelli, nella piazza centrale del borgo.

INFO

www.castelbrando.it

 




Il Veneto punta su natura, sostenibilità e siti UNESCO

Bellezza, natura, sostenibilità e patrimonio cultura. Sono queste le eccellenze a cui punta la Regione Veneto per offrire un turismo sempre più di qualità, a livello sia nazionale che internazionale. Se ne è parlato alla BIT – Borsa Internazionale del Turismo che ha fatto il punto sulle strategie in essere e da attuare in un prossimo futuro.

Tra questi ci sono i Cammini Veneti, per portare il visitatore alla scoperta di luoghi nascosti, culture diverse e bellezze culturali attraverso un turismo lento, e Cycling in the land of Venice, con la creazione di itinerari dedicati al cicloturismo. E, ancora, i grandi eventi sportivi e la promozione di una cultura del turismo sostenibile e responsabile.

Proprio sull’accoglienza, poi, la Regione Veneto ha attivato la “Carta dell’Accoglienza e dell’Ospitalità del turismo veneto”, uno strumento che riassume in un vero e proprio decalogo, declinato per le diverse tipologie dell’accoglienza turistica, i valori fondanti per un turismo di qualità, da applicare e declinare nelle diverse destinazioni e coinvolgendo tutti gli operatori della filiera.

Un turismo sempre più sostenibile

Fa parte del Piano Turistico Annuale 2023, per esempio, il progetto “Costa Veneta – Zona Blu”, partito nel 2021 con l’obiettivo di arrivare alla certificazione delle aziende partecipanti. Sempre in quest’ambito, grazie al progetto europeo “Take it Slow”, la zona termale dei Colli Euganei ha iniziato il percorso di candidatura del territorio a Riserva della Biosfera MAB UNESCO. Grazie allo stesso progetto europeo, nel 2022, il Veneto ha anche lanciato un programma di formazione sui temi della sostenibilità, a cui hanno partecipato 274 imprese e che ha portato alla pubblicazione del Manuale di Sostenibilità.

Inoltre, sono stati avviati progetti di sostenibilità legati alla tutela degli ambienti naturali e dei siti fragili, sia rivolti a operatori e ospiti per educarli a un turismo sostenibile e responsabile.

Il cicloturismo, da trend a prodotto turistico

Nei dieci anni precedenti la pandemia, il cicloturismo ha raccolto un bacino di utenza sempre più ampio e la Regione Veneto si era già mossa verso il consolidamento del settore, organizzando itinerari, promuovendo progetti ad hoc nel campo del marketing turistico e incentivi per le imprese che puntassero ad aggregarsi per organizzare l’offerta in modo puntuale ed efficace. Dopo la pandemia, il fenomeno è aumentato in maniera esponenziale, sia nei numeri che nelle forme, obbligando gli enti pubblici ed adeguare e ad ampliare le infrastrutture, sia in termini di manutenzione di ciclovie, piste ciclabili, cartellonistica e nuovi percorsi e le imprese a strutturarsi in maniera efficace.

Tra gli obiettivi delle destinazioni venete aderenti a “Cycling in the Land of Venice”, c’è l’istituzione di un tavolo permanente degli operatori del cicloturismo, il completamento della segnaletica lungo le ciclovie della REV (Rete Escursionistica Veneta), il ripensamento della modalità di monitoraggio delle ciclabili e organizzazione dell’offerta dei Bike Park e delle MTB.

Cammini e turismo fluviale

Attenzione anche per un altro prodotto “slow”, come i Cammini Veneti. Per la rete di itinerari da percorrere a piedi che comprende il Cammino delle Dolomiti, il Cammino Fogazzaro-Roi, la Via Romea Germanica, la Romea Strata, il Cammino di Sant’Antonio e la Via Claudia Augusta verrà definita una nuova Carta dei Servizi. Per quanto riguarda, invece, il turismo fluviale, il progetto regionale prevede la nascita di nuove reti di impresa come Slow Food- Veneto Waterways.

Cammino Fogazzaro Roi

La Grande Bellezza dei Siti UNESCO

Il Veneto declina la sua bellezza in 9 siti Unesco, 2 Riserve della Biosfera MAB (che tutelano la biodiversità e lo sviluppo sostenibile) e 2 patrimoni immateriali, che valorizzano arti e mestieri identitari di una comunità. I Cicli affrescati del XIV secolo a Padova. Le Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene. Le opere di difesa veneziane tra il XV ed il XVII secolo. I siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino. Le Dolomiti. La città di Verona. L’Orto Botanico di Padova. La città di Vicenza e le ville palladiane del Veneto. Venezia e la sua Laguna.

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Colline del Prosecco

Il senso del Grand Tour non è mai stato così attuale, come con la realizzazione di un sogno: un viaggio lento dalla laguna della città più bella del mondo alle cime dolomitiche più affascinanti, dalla città dell’amore di Romeo e Giulietta, alle colline disegnate dai viticoltori eroici, dalle ville palladiane agli orti rinascimentali, dalle pennellate di Giotto ai bastioni della “Serenissima” sul Lago di Garda. Dove storia, arte, artigianato non solo si offrono nella loro incredibile bellezza, ma creano una varietà di paesaggi rara in meno di trecento chilometri.

Teatro Olimpico di Vicenza

Da non dimenticare in questo meraviglioso viaggio i prodotti tipici della tradizione enogastronomica veneta che in poco tempo passa dalle delizie del mare ai sapori della montagna non dimenticandosi della cucina del Lago di Garda.

I Grandi Eventi Sportivi

I grandi eventi sportivi sono fonte di richiamo per tantissimi appassionati da tutta Italia e da tutto il mondo, essendo in grado di ampliare l’offerta turistica per rendere il territorio più attrattivo e pronto all’accoglienza.

In questa prospettiva rientra anche l’organizzazione dei Giochi Olimpici Invernali Milano Cortina 2026. Un’occasione unica per sviluppare un serie di collaborazioni strategiche e partnership con aziende e consorzi privati, con l’obiettivo di innovare i servizi, rendere inclusiva la montagna e far vivere esperienze in grado di dare un valore aggiunto a tutto il territorio.

INFO

www.veneto.eu




I 7 siti UNESCO dell’Ucraina

Mentre il conflitto in Ucraina è ancora in atto, si comincia a fare la conta dei siti culturali danneggiati o parzialmente distrutti dai bombardamenti russi. L’UNESCO ha stimato che sono almeno 53. Di questi, 4 sono musei, tra cui quello di storia locale nella regione di Kiev, e il Museo d’Arte di Kharkiv. Ci sono poi 4 monumenti, 29 chiese e 16 edifici storici, tra cui il celebre Teatro dell’Opera e del Balletto di Kiev. La situazione è particolarmente critica, con danni ancora da stimare, nella regione orientale di Kharkiv e a Chernihiv, quest’ultima ricchissima di chiese e monasteri risalente ai secoli tra il X e il XIX.

Il Teatro Opera di Kiev

Proprio per tutelare i principali monumenti e i siti storici, l’UNESCO sta lavorando a stretto contatto con le autorità ucraine per contrassegnarli con il marchio distintivo della Convenzione dell’Aia del 1954. Si tratta di un segno internazionale che contraddistingue un bene storico o artistico come parte del patrimonio culturale universale, che va protetto in caso di conflitto armato. L’UNESCO chiede inoltre il “cessate il fuoco” su università, scuole, siti culturali e infrastrutture. In questa tragedia che l’Ucraina sta vivendo, tuttavia, c’è una buona notizia: i sette siti Patrimonio dell’Umanità UNESCO non sono stati danneggiati. Vediamo, allora, quali sono.

1. Cattedrale di Santa Sofia (Kiev)

La Cattedrale di Santa Sofia di Kiev vanta una storia millenaria ed è stata progettata, tra il 1011 e il 1018, per rivaleggiare con Hagia Sophia di Costantinopoli. La sua costruzione risale al Rus di Kiev che voleva essere, nelle intenzioni dei fondatori, una nuova Costantinopoli cristiana. Il progetto di una nuova, grandiosa cattedrale fu progettata infatti in seguito al battesimo di San Vladimir, nel 988. La spiritualità e l’influenza intellettuale che si formò attorno al complesso architettonico, poi, contribuì alla diffusione del pensiero e della fede ortodossa nel mondo russo tra il XVII e il XIX secolo.

Santa Sofia è in stile bizantino e si compone di 5 navate, 5 absidi e 13 cupole. È circondata da una doppia fila di gallerie su tra lati e misura 37 metri per 55. Al suo interno custodisce mosaici e affreschi del XI secolo. In origine era anche il luogo di sepoltura dei governanti di Kiev e ha ospitato le tombe di Vladimir II di Kiev, Vsevolod di Kiev e del fondatore Jaroslav I, unica presente ancora oggi. È stata il primo sito ucraino a essere inserito nella lista del Patrimonio dell’Umanità UNESCO, nel 1990.

2. Centro storico di Leopoli

Inserito nella lista dei Siti Patrimonio dell’Umanità nel 1998, il centro storico di Leopoli conserva la sua topografia urbana medievale pressoché intatta. La “città del Leone”, è stata infatti fondata alla metà del XIII secolo nella parte occidentale dell’Ucraina ed è diventata fin da subito un fiorente centro commerciale e culturale. Nel 1340 è stata conquistata dal Regno di Polonia, sotto il quale è rimasta fino al 1772, quando passò nelle mani degli Asburgo e diventò la capitale del Regno di Galizia e Lodomiria. La città crebbe notevolmente sotto il dominio austriaco, venne fondato il primo giornale della città, la Gazette de Leopoli, e la prima università di lingua tedesca. Sorsero palazzi, monumenti e i celebri “caffè”.

Con il crollo della monarchia asburgica, alla fine della Prima Guerra Mondiale, la città divenne teatro di battaglia tra polacchi e ucraini. Nel 1939 passò sotto il dominio dei russi e poi, durante la Seconda Guerra Mondiale, è stata occupata dei tedeschi. Nel 1945 è entrata a fare parte dell’URSS, fino al 1991, quando con la dissoluzione di quest’ultima, è diventata parte dell’Ucraina indipendente. Il suo centro storico vanta chiese e sinagoghe, palazzi e monumenti, inoltre, è sede dell’Università e del Politecnico di Leopoli, dell’Orchestra Filarmonica, del Teatro dell’Opera e del Balletto di Leopoli e del Conservatorio.

3. Arco geodetico di Struve

Tra i siti Patrimonio dell’Umanità, dal 2005 c’è anche l’Arco geodetico di Struve. Si tratta di una catena di triangolazioni geodetiche, ideate e utilizzate dallo scienziato di origini baltiche e tedesche Friedrich Georg Wilhelm von Struve tra il 1816 e il 1855 per determinare le esatte forme e dimensioni della Terra. All’epoca della sua invenzione, l’arco attraversava solamente due nazioni, la Svezia-Norvegia e l’Impero russo.

L’arco originale contava poi 258 triangoli con 265 punti dalla stazione principale. Oggi, invece, attraversa 10 nazioni, da Hammerfest, in Norvegia, al Mar Nero, e ha una lunghezza complessiva di 2820 km. I segnali sono diversi e spaziano da croci di ferro a obelischi, da buchi scavati nella roccia a “ometti” di pietre. In Ucraina sono presenti quattro punti di segnalazione: Katerinowka ad Antonivka, Felschtin a Hyardiiske, Branowka a Baranivka e Staro-Nekrassowka a Stara Nekrasivka.

4. Antiche faggete primordiali dei Carpazi

Un Patrimonio UNESCO in evoluzione, dal 2007 al 2021, quello delle antiche foreste primordiali dei Carpazi, proprietà transnazionale che comprende 94 foreste in 18 Paesi Europei per tutelare il faggio europeo, che da poche aree isolate si è diffuso in poche migliaia di anni nelle Alpi, nei Carpazi, nei Dinaridi, nel Mediterraneo e fino ai Pirenei e il suo processo di estensione è tutt’ora in corso grazie all’eccezionale adattabilità dell’albero alle diverse condizioni climatiche, fisiche e geografica.

In Ucraina sono presenti 15 foreste di faggi, situate in diverse aree protette lungo la dorsale dei Carpazi, tra cui le faggete primordiali di Uholka-Shyrokyi Luh. La prima foresta a essere inserita nell’elenco UNESCO, nel 2007, si estende invece per 185 km, dalle montagne di Rachiv e dal massiccio della Cornohora, in Ucraina, fino alla Slovacchia.

5. Residenza dei metropoliti bucovini e dalmati (Černivci)

Costruita dall’architetto ceco Josef Hlávka tra il 1864 e il 1882, la residenza dei metropoliti bucovini e dalmati è Patrimonio dell’Umanità UNESCO dal 2011. Lo stile mescola tratti bizantini e moreschi, ispirandosi all’Alhambra di Granada e ha voluto rappresentare la potente presenza della Chiesa ortodossa durante il dominio asburgico, riflettendo, nello stesso tempo, la tolleranza religiosa dell’impero austro-ungarico. Il complesso comprende l’ex Residenza dei Metropoliti con la Cappella di S. Ioan il Nuovo di Suceava, l’ex seminario, la chiesa del seminario, l’ex monastero con la torre dell’Orologio.

Gli edifici sono disposti su tre lati di un cortile di 100 metri per 70, sul quarto lato sono invece posizionate le porte di ingresso. Di fronte a quella principale si trova la residenza del Metropolita, oggi sede della Facoltà di Lingue Moderne dell’Università. Splendida l’Aula Sinodale, oggi Sala dei Marmi, con il suo meraviglioso soffitto dipinto. Altre splendide sale sono la Sala Blu, l’ex biblioteca, la Sala Rossa, e la Sala Verde. Girando a sinistra dal cancello si arriva invece al Seminario e alla Chiesa dei Tre Santi Gerarchi, che custodisce affreschi di Karl Jobst.  Dall’altra parte del cortile si trova invece l’ex monastero, oggi sede del Dipartimento di Geografia. L’intero complesso è poi situato in un grande parco dove si trova il monumento all’architetto Hlávka, del 1937.

6. Antica Chiesa di Chersoneso (Sebastopoli)

Situata sulle rive settentrionali del Mar Nero, la Chiesa di Chersoneso è Patrimonio UNESCO dal 2013. Le origini di questo sito archeologico sono antichissime e risalgono a una città fondata dai Greci dorici nel V secolo a.C. Il complesso comprende sei siti, divisi tra resti urbani e terreni agricoli, divisi a loro volta in centinaia di chora, appezzamenti rettangolari della stessa dimensione. Questi venivano coltivati a vigneti, le cui uve venivano esportate rendendo la città ricca e prospera.

Il sito presenta anche molti edifici pubblici e quartieri residenziali, oltre a molti monumenti di epoca paleocristiana e resti ancora precedenti, risalenti all’Età della Pietra e del Bronzo. A queste si aggiungono fortificazioni romane e medievali, a testimonianza del ricco passato di uno dei centri commerciali più importanti tra il mondo greco, romano e bizantino. Sebastopoli, infatti, dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente passò sotto Costantinopoli e vi rimase fino al X secolo, quando venne conquistata da Vladimir I di Kiev. I primi scavi nel sito risalgono, invece, a 1827.

7. Tserkvas in legno della regione dei Carpazi

Le Tserkvas sono un gruppo di 16 chiese in legno, 8 in Ucraina e 8 in Polonia, iscritte dall’UNESCO tra i siti Patrimonio dell’Umanità dal 2013. La loro caratteristica peculiare è quella di essere state costruite con tronchi di legno orizzontali, tra il XVI e il XIX secolo, da comunità di fede ortodossa e greco-cattolica e conservano caratteristiche peculiari di entrambe le comunità. Sono costruite in genere su un piano tripartito, sormontato da cupole circolari, oppure con quattro o otto lati. Splendidi gli interni, tra decorazioni policromi e arredi storici. Alcune includono anche campanili in legno, sagrati, portali e cimiteri annessi. In Ucraina le 8 Tserkvas sono dislocate tra l’Oblast di Ivano-Frankivs’k, l’Olblast di Leopoli e quello della Transcarpazia.




PADOVA, I SUOI AFFRESCHI DIVENTANO PATRIMONIO UNESCO E L’ITALIA VOLA IN CIMA AL MONDO

Di Raffaele d’Argenzio

Appena qualche settimana fa, il 21 giugno, parlando della dotta Padova che aveva laureato la prima donna al mondo, Elena Lucrezia Cornèr, nel 1678,  aprivo il mio editoriale così: “È da tempo che vado dicendo che Padova deve diventare una preziosa meta turistica che merita di essere onorata, una meta di pellegrinaggio (oltre che per Sant’Antonio) per la cultura di cui è intrisa”.

E appena un mese dopo…taccheté! L’UNESCO (United Nations Educational Scientific and Cultural Organization) inserisce “Padova Urbs Picta” nel Patrimonio dell’Umanità, che così, insieme a Montecatini Terme e ai Portici di Bologna, porta l’Italia a 57 siti UNESCO, superando l’immensa Cina, che resta a 55, diventando la prima Nazione al Mondo per siti UNESCO, che significa essere prima per Cultura e Civiltà.

La Cappella degli Scrovegni con gli affreschi di Giotto

Padova è anche una delle poche città in Europa, insieme a Tivoli, che ha ben due siti: il recentissimo Ciclo degli affreschi del Trecento, che include la meravigliosa Cappella degli Scrovegni e il Palazzo della Ragione, affrescati da Giotto, e l’Orto Botanico dell’Università, il più antico al mondo ancora nel suo sito originario. Risale, infatti al 1545 ed è sito UNESCO dal 1997.

L’Orto Botanico, anch’esso Patrimonio UNESCO

Tuttavia, Padova è una città ricca di storia e di tesori. Come la Pontificia Basilica Minore di Sant’Antonio, uno dei più importanti luoghi di culto cattolici, per tutti la Basilica del Santo, che custodisce la tomba e le reliquie di Sant’Antonio ed è una delle più grandi chiese del mondo. Ogni anno, viene visitata da 6,5 milioni di fedeli e pellegrini. Al suo interno si trova la splendida Cappella della Madonna Nera. La piazza su cui si affaccia la basilica, poi, è dominata dal monumento equestre al Gattamelata, opera di Donatello.

La Basilica di Sant’Antonio, tra le più grandi del mondo

Da non perdere anche una visita al Museo della Specola, che si trova sulla Torlonga, la torre più alta, ben 49,59 metri, dell’antico Castello di Padova, che si raggiunge dopo aver salito 252 gradini. La Specola è anche la sede dell’Osservatorio Astronomico dell’Università di Padova ed è nota anche come la Specola di Galileo poiché, secondo una tradizione radicata, fu qui che Galileo compì i suoi studi sull’universo.

La Torlonga, che ospita il Museo della Specola

Non dimentichiamo, poi, che l’Università di Padova, nata da una “costola” di quella di Bologna, su iniziativa di alcuni studenti, è fra le più antiche del mondo. Ha sede presso lo storico Palazzo Bo, nel centro storico della città.

Palazzo Bo, sede dell’Università di Padova

E vale la pena anche di ricordare che a Padova è nato il Palladio, il genio che ha progettato le splendide ville sparse sul territorio, tra cui Villa Cornaro di Piombino Dese, a poca distanza dalla città.

Villa Cornaro, progettata da Andrea Palladio

Infine, se volete fare una pausa, fermatevi al Caffè Pedrocchi, fondato nel 1831 da Antonio Pedrocchi. Il caffè spicca per la splendida architettura neoclassica e per le sue sale: la Sala Bianca, la Sala Rossa e la Sala Verde, dove la tradizione vuole che ci si possa accomodare anche senza consumare, poiché, in passato, accoglieva i poveri della città ed era un punto di ritrovo per gli studenti squattrinati. Prendere un “Caffè Pedrocchi”, o caldo o freddo, e fate caso, nella Sala Bianca, al segno sulla parete lasciato da un proiettile durante i moti rivoluzionari del 1848.

Lo storico Caffè Padrocchi, del 1831

Insomma, appena un mese fa, chiudevo il mio editoriale scrivendo: “Questa è una delle tante ragioni per un “pellegrinaggio” in questa città che con la sua storia, la sua arte e la sua cultura, onora il Veneto. Oggi più che mai, con il secondo riconoscimento UNESCO, onora anche l’Italia.

 




Padova, Bologna e Montecatini sono Patrimonio UNESCO

L’Italia ha tre nuovi gioielli Patrimonio UNESCO: la pittura del Trecento di Padova Urbs Picta, i Portici di Bologna e le Terme di Montecatini. La proclamazione è avvenuta durante la 44° sessione estesa del Comitato del Patrimonio Mondiale, riunitosi a Fuzhou, in Cina. Il nostro Paese volta quindi al primo posto nel mondo per numero di riconoscimenti UNESCO: ben 71, di cui 57 siti iscritti nella lista del Patrimonio dell’Umanità e 14 in quella del Patrimonio Immateriale dell’Umanità, superando l’immensa Cina, che rimane a quota 55. Una bella soddisfazione che conferma quando la nostra penisola, seppure infinitamente più piccola del colosso asiatico sia “il paese più bello del mondo”.

Gli affreschi di Padova, una città da record

Con il riconoscimento a Patrimonio dell’Umanità dei suoi meravigliosi affreschi del Trecento, Padova è, insieme a Tivoli, una delle poche città al mondo a custodire due siti UNESCO. Il secondo, infatti, è l’Orto Botanico, inserito nella lista nel 1997. Istituito nel 1545, è il più antico orto botanico al mondo ancora nella sua collocazione originaria, nel centro storico della città, nei pressi del Prato della Valle.  Non solo, con l’iscrizione degli affreschi, Padova fa del Veneto la regione italiani con il maggior numero di siti UNESCO, ben 9.

L’Orto Botanico di Padova, il più antico del mondo

A fare parte del Patrimonio UNESCO sono gli affreschi di Padova Urbs Picta, realizzati tra il 1305 e il 1397, e includono i capolavori di Giotto, Jacopo da Verona, Guariento, Giusto da Menabuoi, Altichieri da Zevio e Jacopo Avanzi.  L’itinerario ideale parte dalla Cappella degli Scrovegni, capolavoro di Giotto, che ancora oggi lascia il visitatore a bocca aperta per la bellezza dei colori e le emozioni che regalano le scene, tra cui il primo bacio in una rappresentazione pittorica, quello tra Gioacchino e Anna, genitori di Maria, davanti alle porte di Gerusalemme.

La Cappella degli Scrovegni con gli affreschi di Giotto

A poco più di cento metri si trova la Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo degli Eremitani, dove si trovano gli affreschi di Giusto de’Menabuoi che, insieme a Guariento di Arpo rielaborò l’arte di Giotto rendendo le architetture più complesse e scenografiche. Una curiosità: a commissionare gli affreschi della chiesa fu una donna, la nobile Traversina Cortellieri.

Gli affreschi nella Chiesa degli Eremitani

Ci spostiamo poi nel Palazzo della Ragione, dove si trova il ciclo di affreschi più esteso: ben 333 riquadri disposti su tre registri sovrapposti, scanditi secondo i mesi dell’anno, tra segni zodiacali, mesi, mestieri che si trova sulle quattro pareti del grande salone pensile del primo piano. Anche questi affreschi sono stati realizzati da Giotto, che ricevette la commissione dodici anni dopo la Cappella degli Scrovegni.

La sala del Palazzo della Ragione con gli affreschi di Giotto

Un’altra tappa sono la Basilica e il convento di Sant’Antonio, dove si trovano le prime testimonianze pittoriche dell’arte di Giotto, realizzate tra il 1302 e il 1303 nella Cappella della Madonna Mora, nella Sala del Capitolo e nella Cappella delle Benedizioni.

I primi lavori di Giotto a Padova nella Basilica e nel Convento di Sant’Antonio

All’interno del Battistero della Cattedrale si trovano invece gli affreschi capolavoro di Giusto de’ Menabuoi sulla Storia della Salvezza, con episodi sulla vita di Gesù e di San Giovanni Battista. Anche questa volta, la committente è una donna, Fina Buzzacarini, moglie di Francesco il Vecchio da Carrara.

Particolare degli affreschi di Giusto de’ Menabuoi nel Battistero

Ci si sposta poi nella Cappella della Reggia Carrarese, dove i capolavori di Guariento celebrano il potere e la ricchezza dell’aristocratica famiglia padovana, che compare con vesti alla moda e sontuose nel messaggio religioso della salvezza dell’uomo concessa da Dio attraverso i suoi angeli.

Capolavori di Guariento nella Loggia dei Carraresi

I capolavori di Altichiero, realizzati tra il 1379 e il 1384, si trovano invece all’interno dell’Oratorio di San Giorgio, fatto costruire da Raimondino Lupi di Soragna ed esaltano le virtù guerriere della famiglia che fu al servizio dei Carraresi.  Infine, si arriva come ultima tappa ideale, all’Oratorio di San Michele, situato vicino alla Torlonga del Castello Carrarese, dove Jacopo da Verona ha realizzato un ciclo di affreschi sulla vita della Vergine.

Gli affreschi di Jacopo da Verona nell’Oratorio di San Michele

Bologna e i suoi portici che valgono un Patrimonio

Si aggiungono alla lista UNESCO anche i Portici di Bologna, città che rispecchia in questo elemento architettonico la sua storia fin dal Medioevo. Non tutti i portici rientrano nel Patrimonio dell’Umanità, ma solo 12 tratti, per un totale di 62 km, di cui 42 nel centro storico.

I portici di Bologna

Tra questi ci sono i portici di via Santa Caterina, che spiccano per le case colorate, quelli di Piazza Santo Stefano, il tratto del monumentale complesso del Barraccano, i portici di via Galliera, quelli del Pavaglione e di Piazza Maggiore.

I portici di via Santa Caterina

Immancabili i portici di via Zamboni, cuore del quartiere dell’Università di Bologna, la più antica del mondo. Continuando, troviamo il portico della Certosa, lo spettacolare portico di San Luca, che sale fino alla collina e conduce a santuario che sembra vigilare su tutta la città. Ci sono poi i portici di Piazza Cavour e di via Farini, con gli splendidi soffitti decorati.

Lo splendido Portico di San Luca

Sono diventati Patrimonio UNESCO anche i portici di Strada Maggiore, i portici sotto ai quali si trova il MamBo, il Museo di Arte Moderna di Bologna, nel quartiere Barca e, infine, i portici del “Treno”.

I portici del MamBo

Montecatini, 700 anni di storia

Magnifici palazzi in stile liberty e neogotico fanno da cornice al parco termale più bello d’Europa, le Terme di Montecatini, che vanta 700 anni di storia e, ora, anche l’iscrizione nel circuito UNESCO “Great Spas of Europe”. La presenza di acque termali è attestata fin dal Medioevo, con un documento del 1340.

Tra i complessi più importanti ci sono le Terme Excelsior, il cui primo edificio è stato inaugurato nel 1907, le terme La Fortuna, nate in seguito alla scoperta di una sorgente di acqua benefica nel 1953, le Terme Nuove Redi, del 1920 e ricostruite nel 1964, le terme Tettuccio, costruite da Niccolò Maria Gaspare Paoletti tra il 1779 e il 1781, le Terme Leopoldine, risalenti al 1775, e le Terme Torretta, restaurate tra il 1925 e il 1928.

Insomma, tre buone ragioni in più per visitare o tornare per un weekend o una vacanza in questi nuovi siti UNESCO della nostra splendida Italia.




Weekend a Bologna tra i portici candidati a Patrimonio UNESCO

I Portici di Bologna potrebbero allungare la lista dei siti italiani dichiarati dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità, contribuendo a stabilire un record per il nostro Paese. Attualmente, infatti, l’Italia è, insieme alla Cina, il paese con più siti UNESCO: ben 55. Basterebbe quindi davvero poco per superare il colosso asiatico. Tuttavia, per sapere se i Portici di Bologna entreranno ufficialmente nella lista dell’UNESCO bisognerà attendere il prossimo mese di luglio, quando il Comitato del Patrimonio Mondiale UNESCO si riunirà a Fuzhou per esaminare le candidature di 27 siti internazionali.

Il portico di Via Zamboni, nella zona Universitaria

Nell’attesa, però, quando ci si potrà spostare, possiamo programmare un weekend a Bologna, e perderci in lunghe passeggiate proprio sotto gli splendidi portici medievali.

I portici candidati

I portici di Bologna uno dei simboli della città, insieme alle Due Torri e alla Statua del Nettuno. In totale, si estendono per 62 km, tra il centro e la periferia. I primi risalgono all’Alto Medioevo, quando furono costruiti in maniera “indipendente”. Solo dal 1288 sono stati oggetto di una programmazione urbanistica che, pur lasciandone l’onere di costruzione ai privati, stabiliva regole precise valide per tutti.

I portici di via Santa Caterina

Tuttavia, dei 62 km di portici, di cui 42 nel centro storico, a essere candidati sono solo dodici tratti, che sono stati riconosciuti dopo un’attenta ricerca come “un elemento identificativo della città, sia per comunità che per i visitatori, e sono un punto di riferimento per uno stile di vita urbano sostenibile, in cui gli spazi religiosi e civili e le abitazioni di tutte le classi sociali sono perfettamente integrate”, come si legge nella candidatura. Tra questi ci sono i portici di via Santa Caterina, che spiccano per le case colorate, quelli di Piazza Santo Stefano, il tratto del monumentale complesso del Barraccano, i portici di via Galliera, quelli del Pavaglione e di Piazza Maggiore.

Lo spettacolare portico di San Luca

Immancabili i portici di via Zamboni, cuore del quartiere dell’Università di Bologna, la più antica del mondo. Continuando, troviamo il portico della Certosa, lo spettacolare portico di San Luca, che sale fino alla collina e conduce a santuario che sembra vigilare su tutta la città. Ci sono poi i portici di Piazza Cavour e di via Farini, con gli splendidi soffitti decorati.

I portici decorati di Piazza Cavour e via Farini

Candidati a diventare Patrimonio UNESCO anche i portici di Strada Maggiore, i portici sotto ai quali si trova il MamBo, il Museo di Arte Moderna di Bologna, nel quartiere Barca e, infine, i portici del “Treno”.

Il portico del MamBo

In attesa di conoscere il responso del Comitato UNESCO, poi, molti portici si sono rifatti il look. Dovrebbe essere pronto per la fine del 2021 il restauro del portico di San Luca, particolarmente amato da visitatori e bolognesi, che adorano passeggiare nella sua suggestiva alternanza di luce e ombra.

Per metà anno, invece, dovrebbe essere terminato anche il rifacimento del portico del Treno nel Quartiere Barca. Un cambiamento radicale, che vedrà anche una valorizzazione della zona e dei negozi che si affacciano sul portico stesso.

Graffiti sotto al portico di via Zamboni

…scopri gli altri siti UNESCO in Emilia Romagna nella 2° pagina…

Gli altri siti UNESCO da vedere in Emilia Romagna

L’Emilia Romagna vanta altri 12 siti già riconosciuti dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità.

Il primo, nel 1995, è stata Ferrara, con il titolo di “Città del Rinascimento”, a cui nel 1999 si è aggiunto anche il Parco del Delta del Po e le Delizie Estensi, trenta ville dove la nobile famiglia degli Estensi, a lungo regnante sulla città, erano soliti organizzare vacanze estive e ricevimenti.

La Delizia Estense di Portomaggiore Virginese

Dal 1996 sono Patrimonio dell’Umanità anche i Monumenti Paleocristiani di Ravenna, che include otto monumenti paleocristiani e bizantini: la Basilica di San Vitale, il Mausoleo di Galla Placidia, il Mausoleo di Teodorico, la Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, quella di Sant’Apollinare in Classe, il Battistero degli Ariani, il Battistero Neoniano e la Cappella di Sant’Andrea. Un motivo in più per visitare Ravenna nel 2021 sono le celebrazioni per i 700 anni della morte di Dante Alighieri, il cui sepolcro si trova proprio qui.

La splendida cupola della Basilica di San Vitale a Ravenna

Nel 1997 entrano nei siti UNESCO anche la Cattedrale, la Torre Civica e Piazza Grande a Modena. Il Duomo, in particolare, è uno degli esempi più magistrali del Romanico europeo.

La cattedrale di Modena con la torre campanaria Ghirlandina

Fanno parte dei siti UNESCO anche la Foresta di Sasso Fratino (dal 2017) che include le faggete più antiche d’Europa, la Biblioteca Malatestiana di Cesena (dal 2005) capolavoro del XV secolo e prima biblioteca civica in Europa.

L’atmosfera raccolta della Biblioteca Malatestiana di Cesena

Sempre nel 2005 è tutelata dall’UNESCO anche l’Abbazia di Santa Cecilia della Croara a San Lazzaro di Savena, nel bolognese. Ancora Bologna, nel 2006 è stata riconosciuta “Città creativa della musica” per essere stata la meta, tra il XVII e il XIX secolo, di musicisti di fama, da Mozart a Liszt, da Farinelli a Rossini e Donizetti. Tutelata dal 2010 la Chiusa di Casalecchio di Reno, sempre in provincia di Bologna, pregiata opera idraulica di epoca medievale.

La Chiusa di Casalecchio di Reno, nel bolognese

Nel 2011, il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, riceve dall’UNESCO il riconoscimento di Testimone di Cultura della Pace. Aperto nel 1908, raccoglie 60 mila pezzi di ceramiche di ogni epoca e continente, dall’antica Mesopotamia a opere di artisti contemporanei del calibro di Picasso, Chagall e Matisse.

Le sale del Museo della Ceramica di Faenza

Tre i riconoscimenti UNESCO assegnati nel 2015. La prima è la città di Parma, eletta “Città creativa della gastronomia”, dove hanno sede l’Autorità Europea per la Sicurezza Internazionale, i Musei del Cibo e la Scuola di Cucina Internazionale (Alma).

Parma, città creativa della gastronomia

Nello stesso anno diventa Riserva MAB l’area protetta dell’Appennino Tosco Emiliano, che si estende tra il territorio di Parma e Reggio Emilia e ospita il 70% delle specie animali e vegetali presenti in totale in Italia. La seconda Riserva MAB UNESCO è il Parco del Delta del Po.

Veduta aerea del Parco del Delta del Po

Infine, nel 2019 anche l’area del Po Grande, che si estende nei territori attraversati dal Grande Fiume, tra Piacenza, Parma e Reggio Emilia, tra spiagge fluviali, boschi e pioppeti, diventa Riserva MAB.

INFO: www.emiliaromagnaturismo.it




L’ultimo goal di Pablito per il Vicenza: scopriamo la bellezza segreta della “sua” città

Nato a Prato e morto a Siena. Ma il cuore di Paolo Rossi è sempre stato a Vicenza, e lì ha voluto che gli venisse dato l’ultimo addio. Per noi questo suo amore è l’occasione per scoprire (o riscoprire) una città ricca di fascino ma poco frequentata.

Questa mattina, nel Duomo di Santa Maria Annunciata a Vicenza, i campioni del mondo del 1982 hanno trasportato a spalla la bara di Pablito. Campioni e compagni, che hanno voluto dare l’addio al grande Paolo Rossi. Insieme a Tardelli, Cabrini, Altobelli, Collovati, Oriali, Antognoni, c’erano anche Bruno Conti, Paolo Maldini, Roberto Baggio, il presidente Figc Gravina. Tra le corone di fiori, spiccava quella della Uefa.

Era nato a Prato, il grande campione. E ha chiuso gli occhi a Siena tre giorni fa, stroncato da un male incurabile. Ma se il sangue era toscano, il suo cuore è sempre appartenuto a Vicenza (dove per altro gestiva un’agenzia immobiliare insieme all’ex compagno di squadra Giancarlo Salvi).

A Vicenza, infatti, Pablito trovò nel tecnico Giovan Battista Fabbri una sorta di secondo padre, che gli diede fiducia e lo aiutò a crescere. L’allenatore segnò anche una svolta nella carriera di Paolo Rossi, grazie allo spostamento in campo da ala a centravanti.

paolo rossi a vicenza
Due immagini di Vicenza, e due ritratti di Paolo Rossi: in alto con la maglia del Lanerossi Vicenza, e in basso con quella della Nazionale.

Paolo Rossi e Vicenza, storia di un amore

Le luci della ribalta puntate in questi giorni su Vicenza sono per noi l’occasione per scoprire – o riscoprire – una città ricca di fascino e di storia. Ma spesso poco frequentata a causa della “ingombranza” delle sue vicine: Padova, Verona e Venezia.

Avventuriamoci quindi per strade e piazze di una delle città più belle d’Italia.

Al soldo delle più importanti famiglie della Repubblica di Venezia, Andrea Palladio ha lasciato nel vicentino innumerevoli e uniche testimonianze del suo genio, tra ville, palazzi e giardini. Al punto che, nel 1994, l’UNESCO ha dichiarato le opere palladiane Patrimonio dell’Umanità.

Ma il vicentino è anche una terra del gusto, a partire dallo squisito e proverbiale baccalà, passando dalle grappe dai gusti variegati e dai prodotti tipici. Ecco allora un itinerario tra arte e gusto, da fare in un weekend d’autunno.

Vicenza, sulle tracce di Palladio nel centro storico

Il nostro itinerario parte da Vicenza, dove si fa una prima tappa per visitare i capolavori palladiani del centro storico. Punto di partenza ideale è Piazza dei Signori, a cui si accede oltrepassando due colonne sormontate da un leone alato, simbolo della Repubblica di Venezia, di cui Vicenza fece parte dal 1404. Sull’altra colonna, invece, campeggia una statua di Cristo Redentore.

Il monumento più importante che si affaccia sulla piazza è la Basilica Palladiana, che lasciò stupefatto anche Goethe durante il suo viaggio in Italia. “È impossibile descrivere l’impressione che fa la Basilica del Palladio”, lasciò infatti scritto l’autore del Faust.

L’edificio, che spicca per la sua loggia, tra i primi esempi di quella che passò poi alla storia dell’arte come “finestra palladiana”, venne commissionato e progettato come Palazzo della Ragione da Domenico da Venezia per essere poi terminato dall’ancora sconosciuto Andrea Palladio nel 1546. Accanto alla “basilica” svetta anche la Torre Bissara.

Dal lato opposto della piazza si trova invece la Loggia del Capitano progettata dal Palladio nel 1571, come sede delle rappresentanze di Venezia, spicca per la sua facciata in mattoni rossi.

Altro capolavoro palladiano che merita una visita è il Teatro Olimpico, progettato dal Palladio nel 1580 e realizzato dal suo allievo Jacopo Scamozzi.

Prendendo il lato sud di Piazza dei Signori si raggiunge Piazza delle Erbe, dove spicca la medievale Torre del Girone, dove venne imprigionato Silvio Pellico.

Il Piazza Matteotti si trova invece Palazzo Chiericati, altro capolavoro palladiano, la cui costruzione iniziò a metà del XVI secolo per essere terminata solo nel 1680. Qui hanno sede la Pinacoteca e il Museo Civico.

Facciamo poi una sosta in Piazza Duomo, dove si trova la Cattedrale di Santa Maria Assunta, anch’essa “firmata” dal Palladio che ne ha progettato portale e cupola. La tomba del grande architetto si trova invece nella Chiesa di Santa Corona.

Da Corso Palladio alla Basilica di Monte Berico

Non può che chiamarsi Corso Palladio la via principale della città, che attraversa il centro per circa mezzo chilometro, collegando Piazza Castello a Piazza Matteotti. Lungo la via si affacciano caffetterie, negozi e magnifici palazzi palladiani, progettati dal maestro, dai suoi allievi o influenzati dalla sua architettura.

Tra questi ci sono il Palazzo Comunale del 1552, progettato dall’allievo prediletto Jacopo Scamozzi e Palazzo Valmarana, del 1566, che si trova in Corso Fogazzaro. Al civico 163 si trova invece la Casa Museo di Palladio. Spostandosi in Contrà Porti, poi si possono ammirare altri importanti palazzi palladiani, come Palazzo Barbarano Porto e Palazzo Thiene, che si alternano ad altri edifici di ispirazione gotica.

Attraversando invece l’Arco delle Scalette, probabile opera del Palladio del 1595, a sud della città, si sale in cima a una collinetta dove si trova la Basilica di Monte Berico che conserva al suo interno pregiate opere cinquecentesche, tra cui alcune di Paolo Veronese e Bartolomeo Montagna. Dal Piazzale della Vittoria, su cui si affaccia la basilica, si può godere di uno splendido panorama sulla città.

Le Ville Palladiane appena fuori Vicenza

Dal centro città si può prendere un autobus da viale Roma e scendere a Porta Castello, appena fuori dalla città vecchia. Qui si trova lo splendido Giardino Salvi, decorato con statue, nel quale si trovano le ville palladiane di Loggia Longhena e Loggia Valmarana.

Prendendo poi la SP247, dopo circa 2,8 km si arriva a Villa Almerico Capra, detta La Rotonda, (www.villalarotonda.it), forse la villa palladiana più famosa al mondo. Progettata da Andrea Palladio nel 1556, possiede un meraviglioso interno decorato da affreschi e stucchi.

Splendida la cupola decorata con statue e stucchi di Rubini, ispirata a quella del Pantheon romano. Tra le curiosità, ci sono i quattro spigoli della villa orientati verso i quattro punti cardinali. Inoltre, dall’oculo nella cupola, la luce del sole entra nel salone centrale segnando l’ora del giorno.

Da La Rotonda si può prendere Viale X giugno in direzione di via San Bastiano e raggiungere con una passeggiata di circa 20 minuti Villa Valmarana “ai nani”, che sorge sul colle di San Bastian e che deve il suo nome a diciassette curiose statue di nani posizionate lungo il muro di cinta.

La villa è affrescata da Giambattista e Giandomenico Tiepolo, che nel salone hanno riprodotto su due pareti e sul soffitto scene del mito di Ifigenia. Altri affreschi raffigurano il tema dell’amore e dei suoi casi più bizzarri secondo i poemi e i miti classici e opere del Rinascimento, tra cui scene dell’Iliade, dell’Eneide, dell’Orlando Furioso e della Gerusalemme Liberata.

Vicenza a tavola

Da non perdere una sosta in una delle trattorie tipiche per gustare il baccalà alla vicentina, le cui origini risalgono al XVI secolo, magari servito con la polenta. Tra i secondi di pesce possiamo trovare anche la Trota dell’Astico e il colombo allo spiedo.

Tra i primi piatti, troviamo i bigoi co’l’arna (bigoli con l’anatra), una pasta fresca servita con vari sughi, gli gnocchi con la fioreta (un formaggio simile alla ricotta), ma anche la polenta, risi e bisi, pasta e fagioli, e zuppe, tra cui la mosa, tipica dei mesi invernali, a base di zucca e latte, con l’aggiunta si un pugnetto di riso.

Da non perdere i dolci, come i sanmartin, a base di pastrfrolla, il mandorlato, le fritole, la brazadela, la pinza, fatta con polenta gialla, la fugassa e la torta Gata, un dolce nato nel 2006 dall’idea di sette pasticceri che hanno dato corpo al detto popolare “vicentini magnagati” (mangiagatti), a base di mandorle, cacao, farina di mais e un goccio di grappa.

La ricetta: Gnocchi con la fioretta

Ingredienti per gli gnocchi

  • 500 gr di fioretta (ricotta liquida)
  • 300 gr di farina
  • Sale

Per condire

  • burro di malga q.b
  • formaggio di malga stagionato o ricotta affumicata
  • qualche foglia di salvia

In un recipiente abbastanza grande mescolate la farina con la fioretta, salate e amalgamante bene il tutto fino a ottenere una pastella liscia e compatta. Nel frattempo mettete a bollire abbondante acqua salata. In una casseruola mettete a sciogliere il burro con alcune foglie di salvia. Appena l’acqua bolle, ricavate con un cucchiaino ricavate dei piccoli gnocchi dall’impasto e gettateli nell’acqua bollente. Appena riemergeranno, scolateli con l’aiuto di una schiumarola e rigirateli nella casseruola con il burro e la salvia. Servite caldi con una grattata di formaggio di malga stagionato o ricotta affumicata.

DOVE MANGIARE

*Trattoria Ponte delle Bele, Contrà Ponte delle Bele 5, Vicenza. Tel 0444/320647. Locale storico nel centro di Vicenza, a pochi passi da Porta Castello. Il menù offre piatti della cucina vicentina, dal baccalà ai bigoli, ai piatti della cucina trentina. Ampia scelta di grappe con più di 60 tipi tra aromatiche e aromatizzate.

*Osteria il Cursore, Stradella Pozzetto 10, Vicenza, tel 0444/323504. A pochi minuti dalla basilica Palladiana, propone specialità della cucina vicentina. Il menù cambia a seconda delle stagioni.

DOVE DORMIRE

*Antico Hotel Vicenza****, Stradella dei Nodari 5, Vicenza, tel 0444/1573422. A soli 3 minuti dalla basilica palladiana e a pochi passi da Piazza dei Signori, è ricavato in un edificio storico del 900.

*Palazzo Otello 1847 Wellness & Spa**, Corso Fogazzaro 4, Vicenza, tel 0444/546576. Boutique hotel nel centro storico di Vicenza, ricavato in un palazzo rinascimentale restaurato. Fiore all’occhiello la private spa per momenti di relax.

Leggi anche: Un Weekend “Palladiano” a Vicenza con Giulietta Sprint: architettura e tradizione.




Sabbioneta, capolavoro rinascimentale del gusto

Sabbioneta incarna la città ideale del Rinascimento, un piccolo gioiello di perfezione in cui si concentrano le opere di alcuni degli artisti più famosi dell’epoca, tra cui Vincenzo Scamozzi e Bernardino Campi. Costruita in soli 35 anni dal principe Vespasiano Gonzaga Colonna nella seconda metà del XVI secolo, si distingue per la cinta muraria a forma di stella, la pianta a scacchiera delle vie e la disposizione di spazi ed edifici pubblici, che ne hanno fatto uno dei migliori esempi di “città ideale in Europa.

Spicca lo splendido Teatro all’Antica di Vincenzo Scamozzi, il primo costruito in Italia con fabbrica originale, nato, cioè, come teatro e non come adattamento di un edificio preesistente.

Sabbioneta, che è annoverata tra i “borghi più belli d’Italia” ed è Bandiera Arancione del Touring Club, nel 2008 è stata inserita, insieme alla vicina Mantova, nella lista del Patrimonio dell’Umanità UNESCO con questa motivazione:

“Mantova e Sabbioneta offrono una testimonianza eccezionale di realizzazione urbana, architettonica e artistica del Rinascimento, collegate tra loro attraverso le idee e le ambizioni della famiglia regnante, i Gonzaga. Esse rappresentano gli esempi più eminenti delle due modalità più emblematiche della progettazione urbanistica del Rinascimento, rispettivamente quella evolutiva e quella fondativa. Come tali, esse sono servite di riferimento per gran parte delle successive esperienze di costruzione della città fino all’epoca moderna. Gli artisti che hanno concorso alla realizzazione delle due città hanno prodotto capolavori che hanno portato a compimento gli ideali del primo Rinascimento, contribuendo in maniera determinante alla diffusione internazionale di un movimento destinato ad influenzare e plasmare l’intera Europa”.

Passeggiando per Sabbioneta

Chiamata fin dalla sua costruzione “Piccola Atene” per la concezione e l’applicazione perfetta dell’architettura e della filosofia rinascimentale, Sabbioneta aveva anche funzioni pratiche difensive. La città, infatti, era circondata da stati potenzialmente nemici, tra cui il Ducato di Mantova, il Ducato di Parma e Piacenza a Sud del Po e dal temibile Ducato di Milano.

La spessa cinta di mura, che protegge il centro storico è di forma esagonale, ed è provvista di sei bastioni. Due sono invece le porte di accesso: Porta Vittoria e Porta Imperiale, da cui parte il nostro itinerario alla scoperta della città.

Percorriamo via Rodolfini e incontriamo la chiesa della Madonna del Carmine. Proseguiamo quindi verso la Galleria degli Antichi, monumento simbolo di Sabbioneta, costruita tra il 1583 e il 1584 con la funzione di ospitare i trofei di caccia di Vespasiano Gonzaga e la sua collezione di statue antiche. La galleria, lunga 96 metri, in Italia è seconda per lunghezza solo a quella degli Uffizi di Firenze.

Vale la pena prendersi un po’ di tempo per visitare lo splendido Palazzo del Giardino, che ospita la Galleria. I lavori per la sua costruzione iniziarono nel 1577 e vennero ultimati nel 1588. Fiore all’occhiello sono le splendide sale affrescate. Al piano terra di trovano la Sala di Marte, la Sala dei Venti e il Camerino di Venere. Salendo al primo piano, invece, si ammirano la Sala delle Olimpiadi, la Sala dei Miti, e la superba Sala degli Specchi, da cui si accede di nuovo alla Galleria degli Antichi.

È d’obbligo poi una visita al Teatro all’antica, capolavoro dello Scamozzi, primo Teatro Moderno in Europa. All’interno, la gradinata che ospita il pubblico ha alle spalle una fila di colonne in stile corinzie e statue ispirate alla mitologia classica. Splendidi anche gli affreschi.

Prendendo invece via Scamozzi arriviamo nel cuore di Sabbioneta: Piazza Ducale. Qui si trova la residenza ufficiale di Vespasiano Gonzaga, il bellissimo Palazzo Ducale, fulcro della vita politica e amministrativa della città. La facciata si presenta con una torre centrale e con un porticato di marmo a piano terra. Splendide le sale interne, riccamente decorate con legni dorati, affreschi e dipinti. Spiccano la Galleria degli Antenati e la Sala delle Aquile.

Poco distante si trova anche il Mausoleo di Vespasiano Gonzaga del 1588. Altri edifici degli di nota sono la chiesa dedicata a San Rocco, l’Oratorio di San Sebastiano, e la Sinagoga.

scopri nella 2° pagina che cosa mangiare a Sabbioneta…

Sabbioneta a tavola

La cucina sabbionetana è legata a doppio filo con la tradizione mantovana. Mescola sapori antichi, tra quelli le ricette più nobili, proveniente dalle tavole dei Gonzaga, a quelle semplici del mondo contadino, sapientemente fuse con l’innovazione e le nuove tendenze.

Questa terra ricca e unica per microclima, poi, regala prodotti unici, come la zucca mantovana, il melone sabbionetano, le pere, ma anche il salame, a grana grossa, stagionato dai tre ai sei mesi, e condito con sale, pepe e aglio. Tra i salumi, come dimenticare i ciccioli o il battuto di lardo con prezzemolo e aglio, da accompagnare la polenta. Sabbioneta, insieme a Mantova, è poi zona di produzione del Grana Padano, tra i formaggi italiani più conosciuti al mondo.

Tra i primi piatti, irrinunciabile il piatto simbolo della cucina mantovana, i tortelli di zucca, la cui ricetta compare nel ricettario del coppiere di Lucrezia d’Este del 1584. Piatto di origini nobili, quindi, spicca per quel contrasto irresistibile tra dolce e salato, dato dall’impasto a base di zucca, grana padano, amaretti, mostarda mantovana e noce moscata.

Da non perdere i marubin, cioè i tortellini di carne, da gustare nel brodo di cappone, e le tagliatelle al sugo di anatra, con pasta rigorosamente casalinga. Tra i primi troviamo anche il risotto alla zucca, il risotto alla pilotta e gli gnocchi di patate.

Tra i secondi spiccano i piatti a base di carne di maiale e di pesce di fiume, tra cui il luccio, le carpe, le tinche e il pesce gatto. Altri piatti tipici sono lo stracotto, il brasato e il cotechino mantovano, un insaccato senza stagionatura ricavato dalle parti meno nobili del maiale macinate insieme a una parte di cotiche. Infine, diffuse anche le lumache e le rane, da gustare fritte.

Tra i contorni, non si può non assaggiare la mostarda mantovana, una salsa fatta con frutta a pezzi, tradizionalmente mele campanine o pere mantovane DOP e senape, che accompagna formaggi e bolliti.

Da non perdere i dolci, prima tra tutti la Sbrisolona, la cui ricetta risale addirittura a prima del 600, molto apprezzata alla corte dei Gonzaga. Si tratta di una torta friabile e gustosa, a cui è stato attribuito il marchio DOP.

Dalla tradizione contadina arrivano i Filòs, biscotti secchi con noci, nocciole, cioccolato, pinoli e menta a pezzetti. Ottimi anche la torta Elvezia, a base di zabaione e gianduia, il Dolce delle Rose e, in autunno, nel tempo di vendemmia, il Sugol, un budino di mosto d’uva e farina.

Tra i vini, il principe è il Lambrusco Mantovano DOC, un rosso frizzante che nel 1987 ha ottenuto la DOC. E, per concludere in bellezza il pasto, vi consigliamo il nocino, un liquore ottenuto dai malli di noce acerbe che, secondo la tradizione, vengono raccolte dalle donne la notte del Solstizio d’estate, il 24 giugno.

COME ARRIVARE

In auto: A22 con uscita Mantova, poi SS420 in direzione Casalmaggiore-Parma seguendo le indicazioni per Sabbiobeta. A1 con uscita Parma, poi SS343 in direzione di Colorno, poi di Casalmaggiore e poi SS 420 verso Mantova, indi come sopra. Da Reggio Emilia, SS358 in direzione Castelnuovo Sotto, Boretto, Viadana. A21 con uscita Cremona, poi seguire per San Giovanni in Croce, Casalmaggiore, poi immettersi sulla SS 420 in direzione di Mantova.

DOVE MANGIARE

*Osteria La Dispensa, via della Galleria 3, Sabbioneta (MN), tel 0375/221107, nel centro storico, offre un menù di piatti tipici della cucina mantovana, tra cui tortelli di zucca, luccio, e la tipica sbrisolona. Selezione di salumi e formaggi con mostarde.

*Ristorante pizzeria Ducale, via Vespasiano Gonzaga 24, Sabbioneta (MN), tel 0375/062467, www.ristoranteducale.it Locale con una lunga tradizione che risale al 1945, gestito dalla stessa famiglia da quattro generazioni. Offre un menù di piatti tipici mantovani, ma il plus è la possibilità di visitare gratuitamente la collezione e museo privato di Cecilia Bernardi con bambole e giocattoli dal 1700 al 1960, con pezzi rari e storici.

DOVE DORMIRE

*Albergo “Al Duca”***, via della Stamperia 18, Sabbioneta (MN), tel 0375/52474, www.albergoalduca.com Nel centro storico, dispone di 10 camere con bagno privato, scrivania, armadio e TV a schermo piatto. Colazione continentale.

*Albergo “Giulia Gonzaga”, via Vespasiano Gonzaga 65, Sabbioneta (MN), tel 0375/528169, www.albergogiuliagonzaga.it Delizioso hotel nel centro storico, ricavato in un edificio del 1500. Le camere ampie hanno pareti affrescate e spazi accoglienti. Ottime colazioni dolci e salate.

INFO

www.turismosabbioneta.org/it/

www.visitsabbioneta.it/




UNESCO con Gusto. Belvedere di San Leucio (CE), il borgo di seta

Il Complesso Monumentale del Belvedere di San Leucio, a Caserta, è la realizzazione di un perfetto “villaggio industriale”, voluto dal Re Ferdinando di Borbone, e basato sui principi umanistici di uguaglianza, meritocrazia, diritto all’istruzione e parità di genere. Una modernità che ha precorso i tempi. Proprio per questo l’UNESCO l’ha inserito, insieme alla Reggia di Caserta, al suo parco e all’Acquedotto Vanvitelliano, nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità nel 1997.

Questa la motivazione: “…l’esperienza della colonia di San Leucio rappresenta una tappa fondamentale della cultura illuministica settecentesca e dello sviluppo industriale e tecnologico nel territorio campano, sul quale ancora oggi operano opifici e industrie che si richiamano all’antica attività manifatturiera

San Leucio, il sogno di Ferdinando

Tutto ha inizio nel 1750, quando la potente famiglia degli Acquaviva cede il loro feudo ai Borbone di Napoli, che iniziarono subito una serie di grandi opere, tra cui la costruzione della Reggia di Caserta, l’ampliamento del centro storico e, appunto, San Leucio. Il re Carlo di Borbone fece costruire nel borgo prima un casino di caccia, poi, consigliato dal ministro Bernardo Tanucci, pensò a un progetto di formazione per i giovani del luogo, che mirava a istruirli sull’arte della tessitura per poi impiegarli negli stabilimenti reali.

Quando Carlo di Borbone divenne re di Spagna con il nome di Carlo III, lasciò in eredità San Leucio al figlio Ferdinando IV, che amava trascorrervi molto tempo, colpito dalle bellezze naturali. Nel 1778, tuttavia, il primogenito di Ferdinando, il piccolo Carlo Tito, muore di vaiolo proprio a San Leucio. Il padre, per rendergli omaggio, decide di ampliare la colonia con un grande setificio che crebbe di anno in anno, fino a diventare una comunità autonoma. Da tutta Europa e da ogni parte d’Italia arrivarono qui grandi maestri con lo scopo di istruire i giovani sull’arte della seta.

Ferdinando cominciò ad accarezzare il sogno di fondare una città ideale, “Ferdinandopoli”, ampliando la colonia e adattandola alle nuove esigenze industriali dovute all’introduzione della trattura della seta e della manifattura dei veli.  La nuova città doveva avere una pianta circolare e un sistema di strade a raggiera con al centro una piazza.

San Leucio, un borgo…a statuto speciale

Non poté portare a compimento il suo progetto, ma nel 1789, emanò uno Statuto Speciale, in cinque capitoli e 22 paragrafi, con i principi della Real Colonia di San Leucio. Stampata in 150 copie dalla Stamperia Reale del Regno di Napoli, conteneva diritti, doveri e sanzioni ispirati agli ideali di uguaglianza sociale ed economica, oltre che a una particolare attenzione al ruolo delle donne e all’istruzione dei bambini.

Prima di tutto, ogni abitazione era dotata di acqua corrente e servizi igienici. Le donne ricevevano una dote dal re per sposare un membro della colonia. Ognuno versava poi un contributo alla cassa comune. Tra i membri della comunità vigeva il principio di uguaglianza e parità di genere. Era abolita la proprietà privata e era garantita assistenza ad anziani e infermi. Professionalmente, si applicava il principio della meritocrazia.

Il sogno di Ferdinando si interruppe, tuttavia, nel 1799, con la discesa in Italia di Napoleone e la costituzione della Repubblica Partenopea. San Leucio ebbe comunque un ulteriore sviluppo industriale sotto il governo francese di Gioacchino Murat, tra il 1808 e il 1815. Il progetto di città industriale venne accantonato con la Restaurazione e tramontò definitivamente con l’Unità d’Italia, quando San Leucio entrò a far parte del demanio statale. La tradizione della seta, tuttavia, rimane qui ancora oggi.

Che cosa vedere a San Leucio

Il borgo di San Leucio si trova lungo la strada che da Caserta porta a Caiazzo e alla Valle del Volturno. Incontrerete prima Piazza della Seta, un’area semicircolare su cui si affaccia il cancello di ingresso alla “Real Colonia” e al Belvedere.

Prima dell’arco di ingresso, a sinistra, si passa davanti al Quartiere Trattoria, costruito da Ferdinando IV per ospitare i visitatori. Oltrepassate poi l’arco sovrastato dallo stemma dei Borboni sostenuto da due leoni ed entrate nella Real Colonia. A destra e a sinistra si trovano rispettivamente i quartieri operai di San Carlo e San Ferdinando, collegati al Belvedere da una scalinata a doppia rampa che abbracciano le scuderie reali e terminano su un piazzale, su cui si affaccia la chiesa di San Ferdinando Re, ricavata nel 1776 dal salone delle feste del Belvedere.

All’interno dell’appartamento reale nel Casino del Belvedere sono degni di nota gli splendidi affreschi della sala da pranzo, opera di Fedele Fischetti, con scene degli amori di Bacco e Arianna, e il bagno di Maria Carolina, con decorazioni alle pareti di Philipp Hackert.

Costeggiando l’edificio si arriva all’ingresso del Complesso Monumentale. In alto, sulla destra, si trova l’edificio che ospitava la filanda e, sopra di esso, la cuculliera, l’allevamento di bachi da seta. Fiore all’occhiello del percorso di archeologia industriale sono i telai restaurati e ancora funzionanti, gli strumenti e gli attrezzi per la lavorazione della seta e una ruota idraulica per i torcitoi della stoffa.

A pochi passi si trova il Museo della Seta, che custodisce diversi tessuti prodotti a San Leucio e amati dai nobili di tutta Europa.

Da non perdere una passeggiata nei giardini all’italiana, posti su piani diversi collegati da scalette, che si trovano nella parte occidentale del Casino del Belvedere, tra fontane, un agrumeto e diversi alberi da frutta.

…scopri a pag 2 i piatti della tradizione casertana da non perdere…

San Leucio, la tradizione casertana nel piatto

Se la pizza, la Mozzarella di Bufala Campana DOP e la ricotta di bufala campana sono imprescindibili durante la vostra visita a San Leucio, vi consigliamo di provare anche gli altri piatti della tradizione casertana. Tra i primi troviamo la Mnestra Mmaretata (Minestra sposata), un piatto invernale che si prepara con un osso di prosciutto, brodo e verdure cotte nel formaggio.

Un altro ottimo primo piatto della tradizione sono le Pettolelle con i fagioli, una pasta fatta in casa condita con cannellini, olio EVO, aglio, prezzemolo, origano, sale e pepe.

Da non perdere la Cianfotta, un contorno ottimo anche da solo con il pane, che si prepara con peperoni fritti nell’aglio, patate, cipolle, melanzane e pomodori.

Tra i secondi piatti troviamo il filetto di maiale in salsa bianca, involtini con un sugo a base di provolone, sale, pepe, peperoncino e vino bianco. Squisiti anche i piatti di pesce, tra cui le frittelle con le acciughe, i gamberi alla vesuviana, l’insalata di spaghetti con le vongole nere, tipiche del golfo di Napoli, e l’Orata all’acquapazza.

Da non perdere i dolci, tra sfogliatelle, babà, pastiera e struffoli, palline di pasta a base di farina, uova, strutto, zucchero e liquore all’anice, che vengono fritte nello strutto e avvolte nel miele caldo. Si consumano specialmente nel periodo natalizio.

COME ARRIVARE

In auto: da Roma, prendere l’A1 in direzione Sud, uscire a Caserta Nord e proseguire per San Leucio. Da Napoli, A1 in direzione nord, uscire a Caserta Nord e seguire indicazioni per San Leucio.

DOVE DORMIRE

*Hotel Belvedere***, SS 87 Sannitica 85, San Leucio (CE), tel 0823/304925, www.hotelbelvederesanleucio.it. A pochi passi dal Complesso Monumentale di San Leucio e dalla Reggia di Caserta, l’hotel è immerso nel verde del borgo della Vaccheria, dove si trova il Casino di Ferdinando IV. Con piscina e ristorante.

*San Leucio Resort****, via Michele Fiorillo 1, San Leucio (CE), tel 0823/301866, https://san-leucio-resort-caserta.hotelmix.it/ Ricavato in un edificio in pietra con vista sulla campagna, dita appena 3 km dal Giardino Inglese e 5 dalla Reggia di Caserta.

*Gaiachiara Casale Antico Resort****, via San Leucio, San Leucio (CE), tel 0823/1542925, www.gaiachiara.com . Immerso in uno splendido paesaggio di ulivi e palme, in cui spicca la piscina scoperta, questo accogliente resort è ricavato in un edificio in pietra dal fascino antico.

DOVE MANGIARE

*La Locanda del Borbone, via I Ottobre 23, San Leucio (CE), tel 0823/304665, locale storico nei pressi del Belvedere di San Leucio con un menù che propone pizza, piatti della tradizione casertana e ricette recuperate della cucina borbonica. Accanto si trova il Pandiseta Bakery, dove si produce e si vende il Pandiseta, il pane “reale” con marchio registrato.

*Antica Locanda, Piazza della Seta, San Leucio (CE), tel 0823/305444, di fronte all’ingresso del Belvedere, dispone di due sale separate da un suggestivo arco di mattoni. Il menù propone piatti di pesce e ricette della tradizione partenopea.

DOVE COMPRARE LA SETA DI SAN LEUCIO

*Antico Opificio Serico San Leucio, viella Barbera 22, San Leucio (CE), tel 0823/361290, www.aos.it

*San Leucio Seta, via dei Giardini Reali 17, San Leucio (CE), tel 389/4284945

*Setificio Leuciano, Piazza della Seta 7/8, San Leucio (CE), tel 0823/1450679, www.setificioleuciano.it

INFO

www.sanleucio.it




UNESCO con GUSTO. Villa Adriana a Tivoli (RM), benvenuti a casa dell’Imperatore

Villa Adriana a Tivoli è uno dei siti archeologici più belli d’Italia. Sorge sulle pendici dei Monti Tiburtini, a circa mezz’ora da Roma, nel cuore della campagna romana. Una testimonianza della grandiosità dell’architettura e dell’arte imperiale che l’UNESCO l’ha inclusa, nel 1999, nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità, con la seguente motivazione:

“Villa Adriana è un capolavoro che in modo unico riunisce le più alte forme di espressione della cultura materiale dell’antico mondo mediterraneo; lo studio dei monumenti che compongono Villa Adriana ha giocato un ruolo cruciale nella riscoperta degli elementi dell’architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del periodo Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato numerosi architetti e progettisti del XIX e XX secolo”.

Il sogno dell’Imperatore Adriano

Già l’arrivo a Tivoli vi lascerà a bocca aperta. Il borgo medievale sorge a ridosso di una splendida cascata, alle spalle della quale si trova il Tempio di Vesta e, a pochi passi, il centro storico. Si dice che Tivoli sia più antica della stessa Roma e venne abitata dai popoli italici, tra cui i Sabini, i Siculi e i Latini. Dovette, tuttavia, arrendersi alla forza di Roma, che ne fece un importante centro commerciale e turistico, sede di ville e residenze di nobili e personaggi pubblici.

L’Imperatore Adriano scelse proprio Tivoli per farvi costruire la sua grandiosa villa estiva, un complesso architettonico che doveva riassumere le sue passioni e i suoi viaggi. La sua costruzione durò vent’anni, dal 118 al 133 d.C.

Villa Adriana si presentava come una vera e propria città, si estendeva per ben 120 ettari ed era divisa in quattro aree principali: gli edifici di rappresentanza con le terme, il Palazzo Imperiale, la residenza estiva e l’area monumentale. Non mancavano poi teatri, biblioteche, un’arena, un’accademia per le arti, e poi magazzini, alloggi per la corte e la servitù, parchi, giardini e ninfei. Il tutto immerso in un’atmosfera da sogno tra statue, giochi d’acqua, mosaici, marmi pregiati, stucchi e affreschi.

Un paradiso che Adriano poté godersi poco. Morì, infatti, a 62 anni nel 138 d.C. Alla morte dell’Imperatore iniziò, purtroppo, il declino della Villa, il cui culmine si raggiunse con la caduta dell’Impero romano. Per molti secoli Villa Adriana fu oggetto di razzie e come cava per materiali da costruzione.

Papi e cardinale, nel Cinquecento vi attinsero a piene mani, facendo man bassa di statue e marmi. Villa Adriana ebbe però un ruolo fondamentale per la riscoperta dell’architettura classica da parte degli umanisti del Cinquecento, tra cui Antonio da Sangallo, Francesco Borromini e Piranesi. Nel Seicento e nel Settecento, invece, la villa in rovina veniva spesso inclusa tra le mete del Grand Tour. Solo alla fine del XIX secolo Villa Adriana entrò a fare parte del patrimonio del Regno d’Italia e iniziò il suo recupero, che coinvolse per tutto il XX secolo archeologi di fama internazionale.

Visitiamo Villa Adriana

Adriano volle che la sua grandiosa villa rappresentasse non solo la città ideale, ma anche l’Impero stesso. Per questo molte aree sono un “omaggio” ai luoghi più importanti dei possedimenti romani. La visita comincia dal Pecile, che si trova poco dopo il varco che si apre alle spalle del Museo Didattico, dove è possibile avere una visione della villa grazie al dettagliatissimo plastico.

Il Pecile è ispirato alla Stoà Poikile di Atene, un portico variopinto che invitava alla meditazione e che raccoglieva le opere dei più grandi artisti greci. È formato da un quadriportico con al centro una piscina, sulla quale si affacciano le Camerelle, 160 stanze probabilmente destinate alle guardie imperiali.

Di fronte alle Camerelle si trova invece l’Antinoeion, un tempio dedicato alla memoria di Antinoo, un giovane di straordinaria bellezza, amato dall’imperatore Adriano, scomparso tragicamente nel 130 d.C, annegato nel Nilo.

Riportato alla luce nel 2002, il tempio si ispira alla religione egizia ed è costituito da un’esedra a semicerchio preceduta da un recinto che circondava due templi. L’interno, invece, era decorato con statue in marmo nero raffiguranti divinità egizie e con un pilastro con il geroglifico del faraone Ramses.

La visita prosegue alla Villa, il luogo in cui Adriano amava ritirarsi in tranquillità. Sorge al centro di un’isoletta artificiale, circondata da un canale chiuso da un portico ad anello con quaranta colonne. Fanno parte del piccolo complesso anche un peristilio con una fontana, un giardinetto e un’area termale.

A Villa Adriana non potevano poi mancare le terme, suddivise in ben due complessi: le Piccole Terme, riservate all’imperatore e ai suoi famigliari, e le Grandi Terme, ricavate in una grande sala con volta a crociera, provviste di frigidarium, calidarium, iaconicum (una sorta di sauna), una palestra e un locale caldaie.

La passione di Adriano per l’Egitto si riflette ancora nel complesso del Canopo, che ricostruisce simbolicamente un braccio del Nilo dell’area del delta. Attorno a uno specchio d’acqua adornato da copie di famose statue greche si snoda un colonnato, oltre il quale si trova un ninfeo formato da una grande nicchia e otto vasche.

Altri splendidi luoghi della Villa che si incontrano lungo il percorso sono la Torre di Roccabruna, un belvedere che, probabilmente, intendeva replicare le fattezze di un antico faro. All’interno dell’uliveto si trova invece l’Accademia, mentre in un’area di circa 50 mila mq si concentrano il Palazzo Imperiale, il Pretorio, cioè gli alloggi delle guardie pretoriane, la Piazza d’Oro, l’Atrio dorico, il Peristilio Grande e il Cortile delle Biblioteche, che comprendeva la Biblioteca Greca e quella Latina. Qui si trovano anche gli Hospitalia, il Tempio di Venere e un ninfeo. Da non perdere il panorama della Valle di Temple a conclusione della visita a Villa Adriana.

INFO: www.villaadriana.beniculturali.it/

…scopri nella 2° pagina che cosa mangiare a Tivoli…

Sulle tavole di Tivoli, sapori antichi

A Tivoli la tradizione enogastronomica si rifà alle origini contadine e ai prodotti tipici della terra. Su tutti spicca l’Olio extravergine di Oliva delle Terre Tiburtine DOP, dal colore giallo-verde, il sapore leggermente amarognolo e il profumo fruttato, da gustare nelle insalate, nei contorni di verdura o per condire primi piatti.

Un altro prodotto locale è l’Uva pizzutella, sia bianca che nera, dalla caratteristica forma a cono a cui è dedicata una sagra annuale.

Tra i piatti tipici di Tivoli troviamo invece i ghiozzi, una pasta fatta a mano, da gustare con diversi condimenti. Dalla tradizione contadina arriva la scafata, un piatto di verdure miste tra cui carciofi, fave, patate, piselli, aglio e cipolla. Tra i dolci spicca il pangiallo, con miele, cacao amaro, scorze di arancia, cioccolato fondente e frutta secca, e la pizza cresciuta, a base di anice, limone, aranci, vermouth bianco, anice, olio di oliva e zucchero.

Naturalmente, non possono mancare i piatti romani, come la celebre Carbonara, gli gnocchi alla romana, le fettuccine cacio e pepe e i bucatini all’Amatriciana.

Tra i secondi, come non assaggiate la coda alla vaccinara, la trippa alla romana, i saltimbocca, l’abbacchio allo “scottadito” o con patate. Infine, per uno spuntino veloce, lasciatevi tentare dai supplì, lo street food della capitale, a base di riso, ragù, mozzarella, impanati e fritti.

COME ARRIVARE

In auto: da Roma A24 con uscita al casello di Tivoli. Poi percorrere la strada Maremmana Inferiore fino alla frazione di Villa Adriana (circa 2,5 km). Seguire le indicazioni fino all’ingresso della Villa. Da Roma potete prendere anche la Statale Tiburtina seguendo le indicazioni per Tivoli Terme e frazione Villa Adriana.

DOVE MANGIARE

*Ristorante Sibilla, via della Sibilla 50, Tivoli (RM), tel 0774/335281, www.ristorantesibilla.com Il più antico ristorante di Tivoli, aperto nel 1720, situato ai piedi dell’acropoli. Dispone di sale interne ed esterne nel giardino, Propone menù con piatti della tradizione e gradevoli rivisitazioni.

*Il Ciocco, via Ponte Gregoriano 33, Tivoli (RM), tel 0774/333482, www.ristoranteilciocco.com. Splendida location tra i vicoli di Tivoli, ricavato in una parete di roccia che si affaccia sulle Terme Gregoriane. Propone piatti di terra e di mare e pizza.

DOVE DORMIRE

*Hotel Dimora Adriana, via Maremmana Inferiore Km 2150, fraz. Villa Adriana, Tivoli (RM), tel 0774/535955, www.dimoraadriana.it  A 2 km da Villa Adriana, propone camere singole, doppie e matrimoniali dotate di arredi raffinati. Sala meeting e piscina interna.

*B&B Antica Torre, piazza delle Erbe 13, Tivoli (RM); tel 0774/318635, www.bbanticatorre.it Ricavato in un antico edificio medievale nel cuore del centro storico, consente di raggiungere facilmente Villa Adriana e le altre eccellenze del territorio.

INFO

www.visittivoli.eu




UNESCO con gusto. Alberobello e i suoi trulli, un borgo da fiaba

I trulli di Alberobello (BA), borgo Bandiera Arancione e annoverato tra “I più belli d’Italia”, rappresentano un unicum nel loro genere e sono famosi in tutto il mondo. Per questo, il 6 dicembre 1996, sono entrati a far parte della prestigiosa lista dei siti “Patrimonio dell’Umanità” dell’UNESCO. Con questa motivazione:

“I trulli di Alberobello illustrano l’uso a lungo termine della costruzione a secco, una tecnica che ha una storia di molte migliaia di anni nella regione mediterranea. Sono un esempio eccezionale di un insieme architettonico vernacolare che sopravvive all’interno di un contesto di paesaggio urbano e sono un eccezionale esempio di insediamento umano che conserva la sua forma originale in misura notevole”.

I Trulli di Alberobello tra storia e leggende

Il termine “trullo” deriva dal greco trûllos, cioè “cupola”, per la caratteristica forma rettangolare sormontata da un tetto conico fatto da pietre incastonate. La loro caratteristica è di essere costruiti senza fondamenta, direttamente sulla roccia e con blocchi di pietra calcarea, di cui la zona è ricca, appoggiati gli uni sugli altri senza calce a fissarli tra loro.

Il tetto a cono è invece composto da piccole lastre di pietra calcarea grigia, chiamate chianchiarelle, che riportano motivi e simboli che hanno la funzione di tenere lontano gli spiriti maligni e la sfortuna. Realizzati in latte di calce, ne sono stati catalogati più di duecento diversi, tra simboli pagani, magici, ornamentali, grotteschi e firme dei “maestri trullari”.

Anche se i trulli sono diffusi in tutta la Valle d’Itria, Alberobello può esserne considerata la capitale. Conta infatti quasi 1500 trulli. Qui, infatti, ci sono tracce di insediamenti rurali fin dal 1000 a.C. che si svilupparono fino a formare gli attuali rioni di Aia Piccola e Monti.

Qui, nel XVI secolo si contavano una quarantina di trulli, ma l’espansione vera e propria si ebbe nel XVII secolo quando, secondo un aneddoto, Giangirolamo Acquaviva d’Aragona, conte di Conversano, per aggirare un decreto regio che imponeva una tassa su ogni nuova abitazione, fece costruire dai suoi coloni case “a secco”, in modo che potessero essere “smontate” in fretta e furia nel caso arrivassero gli ispettori del re.

I trulli, primo esempio di…bioedilizia

Anche se a prima vista sembrano tutti uguali, una delle caratteristiche dei trulli di Alberobello è quella di essere tutti differenti e di essere nati come abitazioni “civili” e non come ricovero per attrezzi o bestiame.

Inoltre, possono essere annoverati come esempio di architettura ecosostenibile, perché costruiti con materiale pressoché a chilometro zero, il calcare, sia perché la sua struttura, fatta di mura spesse e sbocchi ridotti verso l’esterno, consente di mantenere il calore durante l’inverno e disperderlo in estate.

Inoltre, le chiancarelle che compongono il tetto a cupola impediscono all’acqua e all’umidità di entrare all’interno, mentre il cornicione sporgente raccoglie l’acqua piovana in apposite cisterne. Ogni anno, poi, le pareti dei trulli vengono imbiancati con il latte di calce. Questa operazione, nell’antichità, aveva anche un intento “purificatore”.

Alberobello, che cosa vedere

Alberobello è un delizioso borgo che sembra uscito da una fiaba, tra stradine strette e i celebri trulli. Si può tranquillamente visitare tutto in un giorno. Cominciate dal Rione Monti, dove si trovano ben 1030 trulli, disposti ordinatamente lungo otto viuzze dall’andamento irregolare, che sembrano arrampicarsi sul colle, sulla cima del quale si trova la singolare chiesa di Sant’Antonio da Padova, anch’essa ricavata in un trullo.

Tuttavia, come vi abbiamo spiegato, i trulli non sono tutti uguali, ve ne renderete conto osservandoli uno a uno e notando i particolari che ne rendono ciascuno unico. Molti di essi, poi, ospitano negozi, ristoranti e botteghe. Spiccano i trulli siamesi, così chiamati perché sono uniti in cima, ma provvisti di due ingressi che si affacciano su strade opposte. Si dice che all’origine di questa “divisione” ci fu un dissidio tra due fratelli, innamorati della stessa fanciulla del paese.

Per una vista mozzafiato, invece, recatevi in piazza Giangirolamo D’Acquaviva D’Aragona, nel centro del borgo, e affacciatevi alla Terrazza di Santa Lucia. Per immergervi invece in atmosfere medievali, raggiungete il rione Aia Piccola, dove ci sono 400 trulli, tutti adibiti ad abitazioni private. Qui si trova il Trullo Sovrano, a due piani e con una grande facciata. Al suo interno è stato ricavato un museo (ingresso a pagamento) che conserva antiche sale arredate e un rigoglioso giardino con piante mediterranee.

Spostatevi poi verso Piazza del Popolo per visitare Casa Pezzolla, un complesso di 15 trulli comunicanti tra loro e sede del Museo del Territorio, che conserva testimonianze della storia e dell’economia locale, oltre ad arredamenti tipici di un trullo di epoca contadina.

…scopri nella 2 pagina dove mangiare nei trulli e le specialità pugliesi…

Mangiare nei trulli

Per un’esperienza unica, che unisca tradizione, storia e sapori locali, non perdetevi un buon pranzo o una cena in un trullo. Tra quelli che vi consigliamo c’è il Trullo d’Oro  dove si possono ancora vedere le travi di legno dell’Ottocento, le mangiatoie, le camere da letto e i “focarili”, i locali adibiti alla preparazione dei cibi. Tra le specialità, le immancabili orecchiette alle cime di rapa, le bruschette, i piatti a base di crostacei e una selezione di vini pugliesi.

Atmosfere ottocentesche anche a L’Aratro  diretto da Domenico Laera, che tra antichi arredi e testimonianze della vita contadina, serve piatti tipici della cucina pugliese, tra cui taglieri di salumi, burrata, cavatellucci con fagioli e cozze tarantine, i Fricielli UNESCO, un primo con salsiccia e peperoni, Fave e cicorie, e poi secondi di carne e di pesce.

Per chi non sa scegliere tra colazione, pranzo, cena o pizza, La Perla dei Trulli propone un ampio menù con diversi primi, tra cui le orecchiette fatte in casa da abbinare a sughi diversi, secondi di carne, e le specialità della casa, tra cui la burrata, la stracciatella e le polpette al sugo.

Prende invece il nome dalle nicchie che, in passato, custodivano le statue sacre il ristorante La Nicchia che propone piatti della cucina pugliese con ingredienti di stagione e tipici della cucina contadina, tra cui verdure e legumi, formaggi come la burrata pugliese e la stracciatella, ma anche primi di pasta fresca, secondi di carne e pesce e pizza.

Nel Rione Monti, a pochi passi dalla Chiesa di Sant’Antonio, si trova invece il Trullo del Conte che propone gustosi primi con pasta fatta in casa, tra cui friscielli con funghi e salsiccia, cavatelli, orecchiette, spaghetti alla chitarra con gli scampi, spiedini e arrosti, oltre alla pizza cotta con il forno a legna.

Sempre nel Rione Monti si trova anche Il Pinnacolo dove gli ospiti sono accolti in piccole e intime salette, oppure nella tavernetta o sulla terrazza panoramica. Nel menù taglieri di salumi e formaggi, primi e secondi di carne e di pesce e deliziosi dolci.

COME ARRIVARE

In auto: A14 Bologna-Taranto, prendere l’uscita Gioia del Colle, poi imboccare la SS171 di Santeramo e proseguire sulla SS604 di Alberobello, uscire ad Alberobello. Da Brindisi, prendere la SS16, uscire a Fasano e proseguire in direzione di Locorotondo-Alberobello. Per chi arriva dalla Calabria, prendere la SS106 e proseguire sulla SS7 e poi sulla SS100 seguendo le indicazioni per Bari-Mottola-Gioia, prendere la deviazione a Massafra e proseguire in direzione di Noci-Alberobello.

DOVE DORMIRE

*Trulli Holiday***, Piazza XXVII Maggio 38, Alberobello (BA), tel 080/9996170, www.trulliholiday.com Suggestivo albergo diffuso nel centro di Alberobello che offre l’occasione unica di soggiornare in un trullo arredato secondo tradizione, comfort e sicurezza.

*Le Alcove Luxury Hotel dei Trulli****, Piazza Re Ferdinando IV di Borbone 4/7, Alberobello (BA), tel 080/4323754, www.lealcove.it. Struttura di lusso e dal fascino antico, dispone di 9 sistemazioni con pareti in pietra a vista e arredi romantici. Ogni camera è indipendente e porta il nome di un antico mestiere.

*Trulli e Puglia Resort***, piazza G. D’Annunzio 2, Alberobello (BA), tel 347/5538539, www.trulliepuglia.com Per vivere l’esperienza di dormire in un trullo. Gli appartamenti, di diversa tipologia, sono stati restaurati con tutti i comfort moderni, ma senza rinunciare al fascino romantico e antico.

INFO

www.tuttoalberobello.it

www.comunealberobello.it




UNESCO con Gusto. L’orto botanico di Padova

L’Orto Botanico dell’Università di Padova è un piccolo grande gioiello della nostra Italia da visitare, magari in occasione delle vacanze estive o durante un weekend che includa una visita culturale alla città veneta.

Istituito nel 1545, è il più antico del mondo occidentale, è servito come esempio per tutti gli altri orti botanici in Italia e in Europa e ha anche dato il via agli studi scientifici partendo dalle piante officinali. Per questo, l’UNESCO ha deciso di inserirlo nella prestigiosa lista dei siti Patrimonio dell’Umanità con questa motivazione:

L’orto botanico di Padova è all’origine di tutti gli orti botanici del mondo e rappresenta la culla della scienza, degli scambi scientifici e della comprensione delle relazioni tra la natura e la cultura. Ha largamente contribuito al progresso di numerose discipline scientifiche moderne, in particolare la botanica, la medicina, la chimica, l’ecologia e la farmacia.»

Storia e dimensioni dell’Orto…

Tra le peculiarità dell’Orto Botanico di Padova c’è quella di avere conservato la sua architettura originaria, che parte da un progetto dell’architetto Daniele Barbaro, successivamente parzialmente modificata dal collega Michiel.

La pianta originale conta di una circonferenza centrale, simbolo del mondo, circondato da un anello di acqua, dove sono messe a dimora le piante acquatiche. L’area è alimentata da una falda posta a trecento metri sotto il livello del terreno. Nel cerchio è inscritto un quadrato suddiviso in quattro parti da sentieri ortogonali e orientali secondo i punti cardinali. Uno schema che riprende la raffigurazione antica dell’Universo, poi ripresa dagli architetti del Quattrocento e Cinquecento anche per creare la città ideale del Rinascimento.

Nel 1704, poi, sono state riprogettate le quattro entrate e i cancelli in ferro battuto che portavano ai cerchi interni, insieme ai quattro acroteri, sono stati posizionati su otto pilastri, sormontati da quattro paia di piante in ferro battuto. Successivamente, durante la prima metà del XVIII secolo, è stata completata anche la balaustra che sormonta il muro circolare lungo 250 metri.

L’Orto botanico oggi

Attualmente, l’Orto Botanico si estende su una superficie di quasi 22 mila mq e ospita più di 6 mila piante coltivate di 3500 specie differenti. In particolare, nel giardino sono coltivate le piante più rare, mentre sono presenti due importanti collezioni, costituite dall’erbario, il secondo più grande d’Italia, e la biblioteca, che conserva più di 50 mila tra volumi e manoscritti di enorme importanza storica, scientifica e didattica.

Grazie all’Orto Botanico di Padova, poi, sono state introdotte in Italia dall’estero, per la prima volta, piante come la magnolia, la patata, il gelsomino, l’acacia e il ginko biloba.

Visitando il giardino, oggi si possono vedere le piante insettivore, custodite della prima delle serre di origine ottocentesca situata poco dopo la Porta Nord. Nella collezione ci sono poi le piante officinali e velenose, molto utilizzate in passato e continuazione diretta della vocazione originaria dell’Orto botanico.

Un’altra sezione contiene poi la collezione di piante dei Colli Euganei, con esemplari delle piante più caratteristiche del territorio. Nella sezione dedicata alle piante introdotte, si possono invece ammirare esemplari importati, frutto della fitta rete di scambi internazionali intercorsi tra gli studiosi di Padova con quelli del resto del mondo fin dalla fondazione dell’horto.

…scopri nella 2° pagina gli alberi storici e i sapori padovani…

Gli alberi storici

All’interno dell’Orto Botanico sono presenti alcuni esemplari di alberi storici, denominazione attribuita agli esemplari particolarmente longevi. È possibile riconoscerli dall’etichetta che ne indicano il nome scientifico della specie, la famiglia di appartenenza, ma, soprattutto il nome di chi le ha catalogate per primo e la data.

L’ albero più “anziano” di tutti è sicuramente la Palma di Goethe, ospitata nell’Orto Botanico dal 1585 e alta 12 metri. Deve il suo nome alla visita del grande poeta tedesco che, nel 1786, dopo averla ammirata, ebbe l’intuizione per scrivere il suo Saggio sulla metamorfosi delle piante, poi pubblicato nel 1790. La si può ammirare in una serra ottagonale situata presso la Porta Nord.

Un altro primato è riservato all’Acacia (o Robinia), ed è quello del primo esemplare della sua specie introdotto in Italia nel 1662. Il primo esemplare in Europa era arrivato invece sessant’anni prima grazie al giardiniere del re di Francia Enrico IV, di nome Jean Robin, dal cognome del quale il botanico Carlo Linneo, ricavò quello botanico della pianta, appunto, Robinia. Dai semi di questa prima pianta nacque il primo esemplare introdotto in Germania, mentre da quelli dell’Acacia dell’Orto Botanico di Padova nacque un esemplare poi trapiantato dell’orto botanico dell’Arcispedale di Santa Maria Nova di Firenze, poi trapiantato nel Giardino dei Semplici.

Nell’arboreto che si trova nei pressi dell’ingresso si trova invece il Platano Orientale, messo a dimora nel 1680, che spicca per le sue dimensioni imponenti. Risale invece al 1786 l’esemplare di Magnolia, il primo introdotto in Italia, situato tra le porte Ovest e Sud. Spicca per le sue maestose radici, anche se le dimensioni non sono esagerate. Altri due esemplari di inizio Ottocento si trovano presso l’ingresso dell’Orto botanico.

Tra la Fontana delle Quattro Stagioni e la Montagnola si trova invece un raro Cedro dell’Himalaya, qui dal 1828, il primo della sua specie introdotto in Italia, mentre all’interno della Porta Nord si può ammirare il maestoso Ginko Biloba, importato nel 1750 e dalla storia curiosa. In origine, infatti, si trattava di un esemplare maschile, ma circa a metà dell’Ottocento, gli venne fatto un innesto femminile a scopo di studio. Dopo essere stato colpito da un fulmine ha assunto la tipica forma a cono. Sempre Goethe, durante la sua visita, rimase affascinato dal Ginko e gli dedicò uno dei suoi celebri scritti.

Più recente, risale al 1961, invece, la Metasequoia, che si può trovare presso la Porta Sud, quasi a ridosso del muro circolare, tra le piante medicinale. Detto anche Abete d’Acqua perché ama i terreni alluvionali, può raggiungere i 35 metri di altezza.

Sono quattro invece gli esemplari di Cipresso Calvo ospiti dell’Orto Botanico. Sono tutti piuttosto antichi e si trovano nel settore delle piante euganee, presso la Porta sud, presso il Ponte d’Ingresso lungo il canale, dove si trova anche il quarto cipresso, dalla forma rotondeggiante.

Il giardino della biodiversità

Nel 2014 è stato inaugurato all’interno dell’Orto Botanico dell’Università di Padova il Giardino della Biodiversità, con 1300 piante inserite nel percorso espositivo. Il “giardino” è suddiviso in zone climatiche, così che il visitatore ha l’impressione di attraversare le Americhe, l’Africa, il Madagascar, l’Asia, l’Europa temperata e l’Oceania, naturalmente dal punto di vista delle piante.

Attraverso i pannelli informativi, ma anche filmati, exhibit interattivi e didattici si può conoscere lo stretto rapporto che, fin dai tempi più antichi, ha legato l’uomo e il mondo vegetale, contribuendo all’evoluzione, dai primi uomini ai nostri giorni. All’esterno delle serre, invece, sono posizionate aiuole tematiche dedicate a temi specifici e con esemplari compatibili con i climi euganei, come piante fiorite, aromatiche o alimurgiche.

Infine, nell’Orto Botanico di Padova è presente l’Index Seminum, un catalogo di semi presenti disponibili per essere spediti a istituzioni pubbliche per finalità di ricerca, riproduzione, conservazione e istruzione.

All’Orto Botanico un’estate di…Risvegli

Per l’estate 2020 l’Orto botanico più antico del mondo ospita gli eventi della rassegna Risvegli, tra musica, teatro e cultura. La partecipazione alle iniziative è inclusa nel biglietto di ingresso all’Orto (5 euro dalle 16, bambini fino a 12 anni gratis).

Il programma prevede, mercoledì 12 agosto e mercoledì 19 agosto, dalle 18, una visita guidata al tramonto con un esperto naturalista per scoprire i segreti delle piante, tra medicina e magia. Mercoledì 26 agosto, invece, si tiene la visita guidata notturna L’Orto segreto, mentre sabato 5 settembre, alle 16, è in programma E così nacque il mondo, uno spettacolo itinerante dedicato alle famiglie, nell’ambito del progetto europeo “The legend of the Great Birth”, in cui in ogni tappa si parla di un paese europeo e delle sue leggende ancestrali, spesso basate su elementi vegetali e animali.

Martedì 8 settembre, alle 18, evento finale con l’Orchestra di Padova e del Veneto per un insolito concerto in cui la voce si affianca agli strumenti per raccontare la natura in musica. L’appuntamento e nell’area di fronte alle serre. Ogni domenica, poi, per tutta l’estate i più piccoli, ma non solo, potranno prendere parte a una caccia al tesoro botanica¸ inclusa nel biglietto di ingresso.

INFO

www.ortobotanicopd.it

I sapori padovani

Durante la vostra visita all’Orto Botanico, ritagliatevi una pausa per gustare i piatti tipici di Padova e del Veneto. Tra i primi piatti, non perdetevi i risotti, dal classico “risi e bisi” a quelli al radicchio, ai piselli o agli asparagi, oppure i bigoli da gustare al ragù di petto d’oca.

Tra i secondi, invece, troviamo il gran bollito alla padovana, ma anche deliziosi salumi, come il prosciutto di petto d’oca, la soppressa, il cotechino e la salsiccia luganega.

I più golosi avranno solo l’imbarazzo della scelta, tra la fugassa padovana, la torta di fichi (figassa), la smergiassa (focaccia con l’uvetta) e la sbrisolona. Legati alla figura di Sant’Antonio, patrono della città, ci sono invece il Pan del Santo, gli amarettoni e i merletti.

COME ARRIVARE

In auto: A4 Milano-Venezia, uscita Padova Est per chi arriva da Venezia e Padova Ovest per chi arriva da Milano. Per chi arriva da Sud A13 Bologna-Padova con uscita Padova Sud.

DOVE DORMIRE

*Hotel Grand Italia****, Corso del Popolo 81, PD, tel 049/8761111, www.hotelgranditalia.it – Albergo storico ricavato nell’antica residenza nobiliare del Cavalier Guglielmo Foschi, risalente al 1907. A due passi dalla stazione ferroviaria, dal centro storico e comodo per raggiungere Venezia.

*Hotel Sant’Antonio***, via Fermo 118, PD, tel 049/8751393, www.hotelsantantonio.it. Nel centro storico, a 200 metri dalla zona pedonale e dalla cattedrale. Le camere sono arredate con mobili e pavimenti in legno e provviste di wi fi, TV e aria condizionata. Colazione a buffet al bar.

DOVE MANGIARE

*Ristorante pizzeria Pontecorvo, piazzale Pontecorvo 5/C, tel 049/8763819, www.ristorantepontecorvo.com Nel centro di Padova, accoglie gli ospiti in sale con soffitti a volta dall’atmosfera molto suggestiva. Il menù a base di piatti tipici padovani e veneti cambia a seconda degli ingredienti di stagione.

*Bastioni del Moro, via Bronzetti 18, PD, tel 049/8710006, www.bastionidelmoro.it Appena fuori dal centro storico, dispone di tre sale per un totale di 60 posti a sedere e più di 40 nel giardino estivo. Il menù propone piatti della cucina veneta e internazionale, anche senza glutine.

INFO

www.turismopadova.it

 




UNESCO con gusto. Castel del Monte ad Andria (BT), tra confetti e burrata

È una delle fortezze più belle d’Italia e unica per le sue caratteristiche. Questa settimana andiamo ad Andria, in provincia di Barletta-Andria-Trani, nella zona delle Murge occidentali, nella splendida Puglia, per conoscere Castel del Monte, inserito dall’UNESCO nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità nel 1986 con la seguente motivazione:

“Castel del Monte possiede un valore universale per la perfezione delle sue forme, l’armonia e la fusione di elementi culturali venuti dal Nord dell’Europa, dal mondo musulmano e dall’antichità classica. È un capolavoro unico dell’architettura medievale che riflette l’umanesimo del suo fondatore: Federico II di Svevia”.

Castel del Monte, tra simbolismo e misteri

La fortezza svetta su una collina a 540 metri sul livello del mare, nel cuore del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, e rappresenta un capolavoro di architettura medievale, pur mancando di alcuni elementi tipici, come il fossato. Fatto costure dall’imperatore Federico II di Svevia nel 1240, Castel del Monte rispecchia la formazione, la cultura e l’apertura mentale del suo committente nei confronti di culture diverse.

Appassionato di poesia, filosofia, astronomia, matematica, Federico II spicca nella storia per la sua personalità di sovrano illuminato, che aprì le porte della sua corte a studiosi orientali, ebrei, greci, arabi e, naturalmente, italiani, al punto da essere definito un precursore dell’Umanesimo. Castel del Monte, tuttavia, colpisce per la sua perfezione matematica e architettonica, dove nulla è lasciato al caso ma, anzi, ogni cosa è densa di simbolismo e rimanda a qualcos’altro, per molti aspetti ancora misterioso.

La fortezza è a pianta ottagonale e si presenta, dall’alto, come una corona. Il numero otto, poi, ricorre in maniera costante. Otto sono le sale del piano terra e del primo piano, otto anche le magnifiche torri e ottagonale, come già detto, la pianta, che poggia su otto spigoli. Nel cortile interno, poi, era presente una vasca anch’essa ottagonale.

La fortezza, poi, unisce stili diversi in perfetta armonia. I leoni posti all’ingresso, infatti, sono un esempio di stile romanico medievale, le torri sono invece gotiche, mentre i fregi interni richiamano l’arte classica e gli splendidi mosaici l’arte araba del mosaico.

La posizione del castello, poi, è stata concepita in modo tale da creare particolari effetti di luce in occasione del Solstizio e dell’Equinozio, altra concezione recepita dalle filosofie orientali.

Visitiamo Castel del Monte

Il percorso di visita parte dal bel portale di ingresso, un bell’arco in stile arabeggiante ma con un timpano greco-romano e bifore gotiche. Prima di entrare, ammiriamo l’imponente facciata in pietra calcarea mista a quarzo, che riflette i raggi del sole e fa sembrare il castello brillante.

All’interno si possono invece vedere le belle e alte volte a crociera e a botte, un tempo decorate con mosaici e dettagli in marmo, di cui oggi non rimangono, purtroppo, che pochi resti a causa della lunga incuria.

Si salgono poi i due piano, collegati da scale a chiocciola posizionate nelle torri. Una curiosità: le scale si sviluppano in senso antiorario, a differenza di quanto accade nelle altre costruzioni medievali. Un altro dei misteri di Castel del Monte da svelare…

Su ogni piano, poi, si trovano otto sale di forma trapezoidale. Anche se non rimane molto, degno di nota è l’apparato decorativo, tra piastrelle, maioliche, paste vitree, dipinti murali e tessere di mosaico, che testimoniano quanto prezioso e raffinato doveva essere, in origine l’aspetto delle sale. Di stampo orientale, invece, è il sistema di raccolta e distribuzione dell’acqua piovana, che riforniva l’intero complesso.

Castel del Monte si può visitare dal lunedì alla domenica dalle 10 alle 18.45, con ingressi scaglionati orari, massimo 18 persone a visita, che dura 45 minuti. L’ingresso è su prenotazione. Biglietto intero € 7, ridotto € 2.

…scopri nella 2° pagina che cosa vedere ad Andria…

Da Castel del Monte ad Andria

Castel del Monte dista circa 15 km da Andria, il cui centro storico vale la pena visitare. Tracce dell’operato di Federico II si trovano anche qui. Per esempio, su Porta Sant’Andrea, l’unica rimasta tra quelle che consentivano l’accesso alla città. Qui si trova scolpita una frase riferita all’imperatore, che ne attesta l’origine sveva, anche se è stata ristrutturata in stile barocco nel 1593.

Da non perdere una visita alla Cattedrale di Santa Maria Assunta, in stile romanico-pugliese, risalente alla fine del XI secolo ma completata agli inizi del XIV.

Al suo interno custodisce la Sacra Spina, la più grande reliquia della corona di spine di Cristo, lunga 8 cm, su cui è possibile vedere ancora piccole macchie di sangue che, secondo la tradizione, diventerebbero di un rosso più vivo ogni 25 marzo, durante le celebrazioni per l’Annunciazione. All’interno della cattedrale si trovano anche le tombe di Iolanda di Brienne e di Isabella d’Inghilterra, mogli di Federico II e le reliquie di San Riccardo.

Ne resta poco, ma vale una visita anche la cripta di Santa Croce, una chiesa rupestre scavata nel tufo del IX secolo, che conserva alcuni resti di affreschi di epoca bizantina.

Tra gli altri edifici religiosi che meritano una sosta c’è anche la Chiesa di San Francesco, i cui lavori per la costruzione sono iniziati nel 1230 e terminati nel 1346. È stata invece commissionata dai Templari la Chiesa di Sant’Agostino, sempre del Duecento, poi passata nel secolo successivo agli Agostiniani. Da notare il bel portale decorato. Più recente, invece, la Chiesa di Santa Maria di Porta santa, della seconda metà del Quattrocento, con pilastri rinascimentali su cui si notano due medaglioni che ritraggono Federico II e Manfredi di Svevia.

Splendido anche il Palazzo Ducale con il suo splendido portale. Il Palazzo ha origini medievali ma è stato trasformato dalla potente famiglia Carafa in residenza rinascimentale nel Cinquecento e successivamente ancora rimaneggiata nel XIX secolo. Tra i misteri che ancora cela, la possibile presenza di un lungo tunnel che lo collegherebbe proprio a Castel del Monte, da utilizzare per la fuga in caso di attacco o di assedio.

…scopri nella 3° pagina Andria da gustare…

Il Museo del Confetto

Parlando di gusto, non si può non citare il Museo del Confetto di Andria, unico nel suo genere in tutto il Sud Italia, dichiarato “bene di interesse culturale”. Situato in via Museo del Confetto 12, nel centro storico, all’interno di una bella palazzina liberty, è stato istituito nel 2005, ma la sua storia è molto più antica.

Inizia infatti nell’Ottocento, quando il giovane Nicola Mucci apre un laboratorio per la produzione di confetti. Con Giovanni Mucci, nel 1894, diventa una vera e propria azienda dove si producono dolcezze dal sapore incomparabile.

Il museo sorge proprio nell’originaria sede della fabbrica. Nelle quattro sale si possono così conoscere la storia, la tradizione e i segreti della produzione dei confetti, ma anche del cioccolato e delle caramelle, ammirando gli utensili, gli stampi, ma anche ricette e documenti.

Tra gli “attrezzi del mestiere” ci sono il branlante dell’Ottocento, una bacinella di rame per la lavorazione a mano dei confetti, oppure il pelamandorle del 1920, e poi, ancora una “confettatrice” a vapore dei primi del Novecento a trazione meccanica, un’impastatrice per il cioccolato del 1915, una modellatrice di Gianduiotti del 1920 e una macchina per cuocere lo zucchero utilizzato per la produzione delle caramelle, sempre dei primi del Novecento.

La visita include anche una golosa degustazione di confetti e di alcune specialità come i Tenerelli, ricetta segreta della famiglia Mucci, con mandorle di Puglia e nocciole del Piemonte, ricoperti al cioccolato. Le visite al museo si effettuano su prenotazione, dal lunedì al sabato dalle 8.30 alle 13 e dalle 17 alle 21, la domenica dalle 10 alle 13. Biglietto intero € 5, ridotto € 3.

A Castel del Monte è nata la burrata

Proprio nelle vicinanze di Castel del Monte, presso la Masseria Piana Padula, è nata la Burrata di Andria Igp (www.burratadiandria.it), un delizioso formaggio fresco dalle caratteristiche uniche.  Fu il casaro Lorenzo Bianchino Chieppa che la inventò per non gettare via gli scarti della produzione della mozzarella.

La sua tecnica consisteva nell’introdurre in un “sacchetto” di pasta filata della mozzarella una farcitura cremosa ottenuta dagli sfilacci della pasta stessa mescolata alla panna ricavata dalla centrifugazione del siero rimasto dalla lavorazione, la stracciatella. Ne ottenne un formaggio dal gusto delizioso e inconfondibile, un misto di latte e panna che ben presto varcò i confini regionali e nazionali.

La sua caratteristica di sciogliersi in bocca come burro, le valse il nome. Oggi si trova in pezzature da 7-10 cm, le Burratine, e in pezzi più grandi di 15-20. Essendo un formaggio fresco, si consuma entro 5 giorni dalla produzione, che avviene sempre in maniera artigianale, dalla filatura alla salatura. La Burrata non deve mai essere cotta, ma si può accompagnare a gustosi piatti freddi di pasta o di verdura, oppure gustata al naturale.

I piatti tipici della tradizione

Tra gli altri piatti tipici della tradizione, troviamo poi il piatto simbolo della Puglia, le orecchiette alle cime di rapa, le cui origini risalgono al XII secolo. Secondo la tradizione, le orecchiette devono cuocere insieme alle cime di rapa per assorbirne il sapore.

Da non perdere, per colazione o merenda, o per uno spuntino la focaccia pugliese, condita con pomodorini ed erbe aromatiche e con un impasto a base di farina, olio e patate schiacciate.

Come non citare poi i taralli, piccoli anelli di pasta cotta al forno, fatti con farina, olio d’oliva, vino bianco secco e sale. Alcune varianti prevedono l’aggiunta di semi di finocchio, sesamo, cipolla, origano o peperoncino.

Dalla vicina Bari arrivano poi le Brascioline, involtini di carne al sugo, fatte con fettine di carne di cavallo o di manzo, che vengono batture, strofinate con l’aglio, e cosparse con prezzemolo, sale, pepe, parmigiano e una fetta di lardo. Il tutto viene poi arrotolato e chiuso con uno stuzzicadenti prima di venire cotto in un delizioso sughetto a base di salsa di pomodoro e vino bianco.Come piatto unico o come antipasto sulle bruschette il puré di fave e cicoria arriva invece dalla tradizione contadina ed è un ottimo piatto per chi preferisce mangiare vegetariano. Non dimentichiamo poi che Andria è tra le prime città al mondo per la produzione di olio extravergine di oliva di qualità.

COME ARRIVARE

In auto: A14 Bologna-Taranto oppure A16 Bari-Napoli con uscita Andria-Barletta, poi prendere la SS 170 fino ad Andria. In treno: linea Bari-Barletta con fermata Andria.

DOVE MANGIARE

*Agriturismo Montegusto, SS 170 km 1850, Andria (BT), tel 0883/569862, www.montegusto.it Ai piedi di Castel del Monte, in una splendida location, offre piatti della cucina pugliese con ingredienti stagionali e sempre freschi. La pasta è fatta a mano, mentre la carta propone salumi, formaggi, focacce, tortini di verdure, grigliate di carne e dolci fatti in casa.

*Taverna degli Svevi, SS170, km 65, via Castel del Monte, Andria (BT), tel 0883/569830, www.parcodeglisvevi.it Ristorante pizzeria nei pressi di Castel del Monte. Offre un’ampia scelta di piatti, tra cui tradizionali, creativi, di pesce, di carne e pizza.

DOVE DORMIRE

*B&B Le Stagioni, viale dei Cedri, Castel del Monte, Andria (BT), tel 333/7673574, www.beblestagioni.com Nelle vicinanze di Castel del Monte, che si può raggiungere anche a piedi, immerso in un grande giardino lussureggiante, dispone di camere con bagno privato e ingresso indipendente. Doppia da € 70.

*Tenuta Vigna del Noce, SP 30, uscita Castel del Monte, Corato (BA), tel 080/2227155, www.tenutavignadelnoce.it  Splendida guesthouse ricavata in una tenuta del XIX secolo. Le camere sono in raffinato stile shabby chic. Percorso benessere con sauna, aromaterapia, bagno turco.

INFO

www.casteldelmonte.beniculturali.it

www.comune.andria.bt.it




UNESCO con Gusto. Aquileia, tra vestigia romane e Prosciutto San Daniele

Continua il nostro viaggio alla scoperta dei siti italiani Patrimonio dell’Umanità UNESCO e della tradizione enogastronomica della regione che li ospita. Questa settimana andiamo in Friuli Venezia Giulia, in provincia di Udine, dove si trova l’Area Archeologica e la Basilica Patriarcale di Aquileia, inserita nella World Heritage List nel 1998 con questa motivazione:

“Aquileia è stata una delle più grandi e più ricche città dell’Impero Romano; poiché gran parte dell’antica città è rimasta intatta e ancora sepolta, è il più completo esempio di una città dell’antica Roma nell’area del Mediterraneo. Il complesso della Basilica Patriarcale di Aquileia è la testimonianza del ruolo decisivo nella diffusione del Cristianesimo nell’Europa nel primo Medioevo”.

Dopo la chiusura obbligata dall’emergenza coronavirus, la Fondazione Aquileia, che gestisce tutte le aree archeologiche del sito UNESCO, ha aperto di nuovo le porte al pubblico. I siti si potranno così visitare con ingresso gratuito dalle 9 alle 19. Lungo il percorso, poi, sono stati posizionati dei cartelli che ricordano i comportamenti da tenere, come indossare la mascherina e mantenere una distanza interpersonale di almeno un metro, evitando assembramenti. Il personale di custodia, poi, monitorerà le aree conteggiando le presenze e monitorando l’andamento dei flussi dei visitatori per garantire la sicurezza.

Aquileia, gioiello romano

Cominciamo con un po’ di storia per conoscere questa splendida città antica. Fondata nel 181 a.C. dai Romani come colonia militare, è diventata presto una delle principali città dell’Impero, grazie alla sua posizione strategica sulle rive del fiume Natisone, che all’epoca era navigabile, e a pochi chilometri dal mare.

Il cuore della vita pubblica era il foro, con la sua splendida Basilica, parzialmente riportata alla luce dagli scavi. Aquileia è stata in parte distrutta dal saccheggio degli Unni, ma oggi si possono vedere numerose testimonianze del ricco e florido passato.

La Basilica e i suoi mosaici

Consacrata nel 1031 dal patriarca Poppone, la Basilica di Aquileia è il fulcro del sito UNESCO. Le sue origini, tuttavia, risalirebbero al secondo decennio del IV secolo, quando le dimensioni erano già circa quelle attuali e mancava solo del transetto e dell’abside con la sottostante cripta.

Poppone fece rifare la facciata, e, soprattutto, l’abside, con il meraviglioso ciclo di affreschi. Anche le colonne, dieci per lato, furono dotare di nuovi capitelli, e venne aggiunto il campanile, alto 73 metri. Dopo il terremoto del 1348, poi, sono stati resi necessari altri interventi.

È nel 1909, però, che il pavimento dell’epoca di Poppone viene rimosso fino al presbiterio per riportare alla luce il meraviglioso pavimento a mosaico, voluto dal vescovo Teodoro nel 313 d.C, che con i suoi 760 mq di estensione è il più esteso di tutto l’Occidente romano. I mosaici raffigurano attraverso immagini e allegorie, il percorso verso la salvezza, mentre nella campata orientali si trovano raffigurati episodi della storia di Giona.

Sotto l’altare maggiore si trova anche la Cripta degli affreschi, che risale all’epoca del patriarca Massenzio (IX secolo) che la fece realizzare per custodire le reliquie dei martiri Fortunato ed Ermagora con scene della vita di San Marco Evangelista. Nella Cripta degli scavi, invece, si possono vedere le fondamenta del campanile che poggiano sui mosaici dell’epoca di Teodoro (inizi del IV secolo).

Fanno parte del complesso anche il battistero, fatto costruire dal vescovo Cromazio nel IV secolo, e la Südhalle, la stanza a sud del battistero, dove si possono ammirare, grazie alla disposizione museale, più di 300 mq di pavimenti a mosaico databili tra la fine del IV secolo e l’inizio del V, tra cui lo splendido mosaico del Pavone, simbolo di immortalità e resurrezione.

Il Foro e il Porto Fluviale

Spostatevi poi al Foro, cuore della vita politica e sociale dell’Aquileia romana, costituito da una piazza circondata da edifici il cui primo nucleo risale al II secolo a.C. La piazza è circondata su tre lati da portici, sui quali si affacciavano numerose botteghe. Sul lato sud, invece, si trovava la basilica civile, una grande costruzione di età augustea con funzioni giudiziarie e amministrative.

Il sito è delimitato dal decumano di Aratria Galla, una delle strade principali, che prende il nome dalla cittadina di Aquileia che nel I secolo d.C finanziò la pavimentazione.

Degni di nota anche il Ciclo di Ammone e Medusa, una serie di bassorilievi che decoravano l’architrave del portico, e l’Iscrizione di Tito Annio, del II secolo a.C che riporta il nome del triumviro che arrivò ad Aquileia nel 169 a.C con un nuovo contingente di coloni.

Da non perdere il Porto fluviale, uno degli esempi meglio conservati del mondo romano, che sorgeva sul fiume Natisone e costeggiava la città a est. Qui si possono vedere i resti delle banchine, con alcune postazioni incise per il gioco, a cui si dedicavano i marinai durante le pause, gli anelli di ormeggio, i magazzini per lo stoccaggio delle merci e quel che rimane della cinta muraria, che in alcuni tratti arrivava fino a tre metri.

Potete percorre il tragitto tra la Basilica e il Porto Fluviale camminando lungo la Via Sacra, una passeggiata all’ombra dei cipressi costruita negli anni Trenta del Novecento con la terra degli scavi del porto.

…scopri i MUSEI e i piatti tipici di Aquileia nella 2° pagina…

I musei di Aquileia

Imperdibili i due musei che consentono di avere un quadro più completo del sito archeologico e dell’importanza di Aquileia. Il Museo Archeologico Nazionale  “racconta” attraverso reperti, iscrizioni, epigrafi e monumenti la storia della città dalle fasi precedenti alla sua fondazione al culmine della sua ricchezza, in età imperiale.

Il percorso di visita inizia a piano terra, con uno sguardo d’insieme alle opere più iconiche della collezione. Si prosegue poi al primo piano, dove si trovano tre sezioni tematiche: la domus e lo spazio privato, Aquileia porta del Mediterraneo, il territorio e le attività produttive. Lungo la scala, poi, si possono vedere i volti degli antichi abitanti di Aquileia, che accompagnano idealmente il visitatore. Nello spazio esterno, invece, si trovano le Gallerie Lapidarie, con iscrizioni e monumenti funerari e una splendida collezione di mosaici.

Vale una sosta anche il Museo Paleocristiano  che custodisce i resti della Basilica e dei mosaici emersi nel corso degli scavi, alcuni provenienti anche dalla basilica paleocristiana del Fondo Tullia alla Beligna e l’intera raccolta delle epigrafi paleocristiane di Aquileia.

Le residenze romane, i mercati e la necropoli

Fanno parte dell’area archeologica anche alcune aree esterne al nucleo centrale di Aquileia. Fuori dal più antico perimetro murario si trova il cosiddetto Fondo Cal, che conserva le vestigia di un quartiere residenziale dell’Aquileia repubblicana.  I resti appartengono a diverse abitazioni, databili tra il I e il IV-V secolo d.C).

Tra questa c’è la cosiddetta Domus Est, un complesso che include la Casa della Corte Colonnata, la Casa del Dioniso e la Casa delle Piccole Terme. La Domus Ovest, invece, o “Casa dei mosaici bianconeri”, risale all’età augustea e si articola su un peristilio interno composto da più ambienti separati da corridoi.

Fiore all’occhiello del sito è il Mosaico del Buon Pastore, che decora un’aula absidata situata nella zona settentrionale del Fondo Cal, e che raffigura, oltre al simbolo cristiano, anche delfini, pavoni, anatre, pesci e busti maschili e femminili.

Vicino all’angolo sud est delle mura repubblicane si trova invece l’area archeologica del Fondo Cossar, riportata alla luce negli anni Cinquanta. Comprende i resti di circa due o tre abitazioni romane, con numerosi mosaici e pavimentazioni risalenti agli ultimi decenni di I secolo a.C e fino agli inizi del I secolo d.C. Tra queste c’è la Domus di Tito Macro che si estende per circa 1500 mq, che si sviluppa attorno a uno spazio centrale scoperto e include diversi ambienti e persino delle botteghe.

Nei pressi della basilica cristiana costruita dal vescovo Teodoro si sviluppa invece, il Fondo Pasqualis Mercati, costituito da un grande magazzino e tre aree pavimentate. Il magazzino, demolito nel Settecento, comprendeva arcate cieche alte 20 metri e una corte centrale con porticati in legno per ospitare le merci.

Fuori dalle mura di Aquileia si trova infine il Sepolcreto, una necropoli costituita da cinque recinti funerari disposti lungo una strada secondaria che usciva dalla città. I recinti risalgono al I secolo d.C e vennero utilizzati fino al V dalle principali famiglie della città.

In tavola la tradizione friulana

La parte del leone dei prodotti tipici da non perdere durante una visita ad Aquileia la fa il rinomato Prosciutto di San Daniele Dop, da consumare da solo come antipasto o accompagnato con melone o fichi. Tra gli altri salumi della tradizione troviamo anche  il salam tal aset, il salame fresco cotto nell’aceto e nelle cipolle.

Tra i primi piatti, oltre alla polenta, troviamo i risotti, oppure la pasta di orzo e fagioli e i cjarsons, i deliziosi gnocchi ripieni originari della Carnia, il cui contenuto varia da zona a zona, ma la cui costante è una nota dolce, che può essere data da marmellate, prugne o cannella.

Il piatto friulano per eccellenza è il frico con polenta, un formaggio cotto in padella con patate o cipolle.

Si contende la palma di piatto friulano per eccellenza con il muset e bruade, un cotechino a base di carne di muso di maiale servito con rape viola tagliate a strisce e messe a marinare nelle vinacce prima di essere cotte. Tra i secondi troviamo piatti di selvaggina, da accompagnare con la polenta, in tutte le sue varianti. Ottima anche con la trippa.

Tra i dolci, invece, da non perdere il tiramisù, che è nato proprio in Friuli, e la gubana, tipica della Valli del Natisone, a base di pasta lievitata e ripiena di noci, uvetta, pinoli, scorza di limone e un goccio di grappa, dalla caratteristica forma a chiocciola.

COME ARRIVARE

In auto: A4 Venezia – Trieste o A23 Tarvisio-Udine con uscita Palmanova, che dista circa 17 km da Aquileia. Prendere poi la SR 352 e, per entrare in centro, la via Julia Augusta fino a piazza Capitolo.

DOVE MANGIARE

 *Antica Aquileia, via Bertrando di Saint Genies 2, Aquileia (UD), tel 0431/918825, ristorante pizzeria a pochi passi dall’area archeologica e dal centro. Offre piatti di carne e di pesce, tagliere di salumi tipici, pizze ai cereali e un curioso menù romano con rivisitazione di piatti d’epoca.

*La Capannina, via Gemina 10, Aquileia (UD), tel 0431/91019, www.ristorantelacapannina.net Ristorante di pesce con pescato di stagione e sempre fresco, tra cui pesce spada affumicato, baccalà mantecato, cappe sante e polpo in salsa di limone. Per secondi, grigliate di pesce e pesce al forno.

*Locanda Aquila Nera, Piazza Garibaldi 5, tel 0431/91045. Offre piatti tipici della cucina friulana accompagnati da vini Doc della zona. Anche pizza.

DOVE DORMIRE

*Hotel Patriarchi***, via Giulia Augusta 12, Aquileia (UD), tel 0431/919596, https://visitaquileia.com/it/hotel-patriarchi. Censito come locale storico dalla Regione Friuli Venezia Giulia, dispone di 23 camere con bagno privato, TV, minibar e wifi gratuito. In posizione strategica vicino al complesso della basilica.

*B&B Casa del Neri, via XXIV Maggio 18, Aquileia (UD), tel 0431/91171. Raffinata struttura di campagna a soli 5 minuti a piedi dal Museo Archeologico. Le camere hanno le pareti in pietra a vista e il soffitto a travi, mentre le suite sono provviste anche di angolo cottura. La colazione è servita in un elegante lounge.

INFO

www.visitaquileia.com

www.turismofvg.it




UNESCO con Gusto. In Val Camonica la natura è un libro di pietra. E si gustano i casoncelli

Un patrimonio italiano che è anche Patrimonio dell’Umanità, è quello custodito in Val Camonica, tra le province di Brescia e Bergamo, in Lombardia. Qui si trovano più di 140 mila petroglifi, tra simboli e figure scalfite su 2500 rocce, che coprono un periodo di circa 8000 anni di storia. I temi sono legati alla caccia, alla guerra, all’agricoltura, alla navigazione, ma anche al simbolismo e alla magia. Insomma, un enorme “libro di pietra” che vanta il primato di essere stato il primo sito italiano iscritto della lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, nel 1979, con questa motivazione.

 “La Valle Camonica, con le sue migliaia di incisioni rupestri, restituisce all’Europa 10.000 anni di storia. E quale storia! Un meraviglioso racconto a fumetti, impresso sulla roccia dai diretti protagonisti (…).  Le incisioni rupestri della Valle Camonica costituiscono una straordinaria documentazione figurata sui costumi e sulle ideologie preistoriche. L’interpretazione, la classificazione tipologica e gli studi cronologici su questi petroglifi hanno apportato un contributo considerevole nei settori della preistoria, della sociologia e della etnologia”.

Non solo. Quella della Val Camonica è annoverata tra le più grandi collezioni di incisioni rupestri al mondo, senza considerare poi che il sito, che si estende su un’area di 70 km, non è stato ancora completamente esplorato e potrebbe svelare ancora tanti tesori nascosti.

Val Camonica, una lunga storia in otto parchi

Si deve al geografo bresciano Walther Laeng la scoperta, nel 1909, nelle prime due incisioni rupestri su altrettanti sassi di Pian del Greppe, nei pressi di Cemmo (Capo di Ponte). In seguito, negli anni, ne emersero ben 2500, per lo più concentrate tra le cime della Concarena e il Pizzo Badile Camuno. Per tutelare le incisioni e per renderle fruibile ai visitatori, sono stati creati nell’area otto parchi archeologici, che hanno riaperto al pubblico lo scorso 2 giugno. Ecco quali sono.

Nel Parco del Lago Moro Luine e Monticolo, che si estende nel territorio di Darfo Boario Terme e Angolo Terme si possono ammirare le più antiche incisioni della valle risalenti al Mesolitico (VIII – VI millennio a C) e riferibili al popolo dei Camuni, da cui la valle prende il nome. Dopo un periodo di abbandono da parte dell’uomo, la zona è stata di nuovo ripopolata tra le fine del Neolitico e nelle Età del Bronzo e del Ferro. Qui si trovano circa 100 petroglifi.

A Ossimo (BS) si trova invece il Parco Archeologico di Asinino – Anvòia, che si estende sull’altopiano di Ossimo – Borno. Qui sono presenti diverse aree di culto risalenti all’Età del Rame (III millennio a.C) e si possono ammirare suggestivi santuari megalitici composti di massi e steli allineate.

L’area archeologica più grande della Valcamonica è invece la Riserva Naturale delle Incisioni Rupestri di Ceto, Cimbergo e Paspardo, che si estende per circa 300 ettari e include più di 400 incisioni rupestri, situate in un contesto montano di rara bellezza.

A Sellero (BS) si trova invece il Parco Archeologico Minerario, che include quattro diversi siti di iscrizioni rupestri e l’area mineraria di Carona. Le rocce qui sono caratterizzate da una particolare durezza e striature metalliche, con presenza di quarzo, quindi particolarmente difficili da incidere. I petroglifi presenti risalgono al Neolitico (IV – III millennio a.C) e all’Età del Ferro (I millennio a.C).

A Sonico (BS) si trova poi il Parco Pluritematico del “Coren delle Fate”, includo nel Parco dell’Adamello. Qui si concentrano le cosiddette “incisioni geometriche”, tra cerchi, linee e piccole incisioni circolari, dette “coppelle”, che creano composizioni artistiche unite a colte da linee e canalette.

I “parchi” di Capo di Ponte (BS)

Spostandosi a Capo di Ponte, troviamo invece il Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri di Naquane, il primo a essere istituito, nel 1955. Le rocce incise, circa 104, si possono ammirare grazie a cinque percorsi di visita di circa 3 km complessivi, che si snodano in uno splendido ambiente boschivo. I percorsi sono corredati da pannelli didattici. I petroglifi vanno dal Neolitico (V-VI millennio a.C) all’Età del Ferro (I millennio a.C).

Nel territorio di Capo di Ponte si trova anche il Parco Archelogico Nazionale dei Massi di Cemmo, dove si può ammirare un vero e proprio santuario sorto attorno a due massi precipitati all’inizio dell’Olocene. Il santuario risale all’Età del Rame e conta diverse incisioni rupestri e un’area antistante circoscritta da solchi e altre stele. Lo spazio sacro è stato ulteriormente arricchito durante l’Età del Bronzo con un muro largo 2,5 metri alla base, poi ristrutturato durante l’Età del Ferro. Le funzioni del santuario terminarono durante l’Età Romana e le stele furono abbattute e gettate in grandi fosse con l’avvento del Cristianesimo.

Nel Parco Archeologico di Seradina – Bedolina, istituto nel 2005, invece, cinque percorsi di visita consentono di ammirare le incisioni che raffigurano i guerrieri e i cacciatori, diverse scene di agricoltura e aratura e rare iscrizioni in Etrusco settentrionale.

A Capo di Ponte si trova poi il Museo Nazionale della Preistoria della Val Camonica (www.mupre.capodiponte.beniculturali.it), ospitato nello splendido contesto di Villa Agostani, nel centro storico. Il percorso di visita si articola su due piani, attraverso reperti archeologici, tra cui menir, stele, massi, ma anche oggetti di uso quotidiano, corredi funerari, iscrizioni in diversi alfabeti successivi, dal camuno all’etrusco, è possibile avere un quadro completo della storia della Val Camonica.

Nei parchi della Val Camonica con le guide

Tutti i parchi archeologici si sono attrezzati per garantire ai visitatori la completa sicurezza in tema di norme sanitarie per la prevenzione del Covid-19.  Si può anche usufruire delle visite guidate proposte dalla Federazione delle Guide Turistiche della Val Camonica, che accompagneranno i visitatori alla scoperta dei principali siti e punti di interessi di Bienno, Breno, Borno, Ponte di Legno, Capo di Ponte, Lovere e Pisogne tra monumenti, arte, storia, tradizione e archeologia.

In programma nel mese di giugno: sabato 20, Ponte di Legno, domenica 21, Borno, sabato 27, Capo di Ponte e Parco di Naquane, domenica 28, Pisogne. Le visite cominciano alle ore 14 e terminano intorno alle 16. La partecipazione è gratuita per i ragazzi e i bambini sotto i 12 anni. Le iscrizioni si accettano fino alle ore 12 del giorno precedente e la conferma dipende dal numero minimo di partecipanti. Le visite avverranno con un numero massimo di 10 persone, la mascherina è obbligatoria per tutti, è richiesto il rispetto del distanziamento di almeno un metro e ricorso frequente all’igiene delle mani.

Info:  guideturistiche.vallecamonica@gmail.com

….scopri i sapori della Val Camonica nella 2° pagina…

Val Camonica da gustare

E dopo l’UNESCO, il gusto. In Val Camonica il piatto simbolo, per sapore e storia, sono i casoncelli, una pasta ripiena a forma di mezzaluna che, si dice si il più antico formato di pasta ripiena d’Italia.

Presente in diverse zone del paese, vede nella variante della Val Camonica un ripieno di erbette lessate, tra cui spinaci, bietole o verze, aromi come l’Erba di San Pietro, mortadella o salame, salsiccia, grana grattugiato, patate, pangrattato, prezzemolo, noce moscata, sale e pepe, avvolto in un impasto di farina, sale, uova e latte, servite con burro, salvia e grana. Ne esistono, tuttavia, numerose varianti, a seconda della zona e anche il formato può variare. Quindi, ordinando un buon piatto di casoncelli, non vi annoierete mai!

Tra i primi piatti da gustare in Val Camonica troviamo anche gnocchi, minestre di orzo, tagliatelle ai funghi, maltagliati con farina di castagne. Tra i secondi di carne, invece, c’è il controfiletto alla brenese, la salsiccia di castrato, la carne salata, le salsicce “strinù”, carni bianche e selvaggina. Il contorno per eccellenza è invece la polenta di mais o di grano saraceno. Da non perdere i formaggi, nelle squisite varietà locali, tra cui ricotte, caprini, anche aromatizzati, formaggelle, “casole”, “fatuli”, “bagoss”, “silter” e i salumi di carne di suino.

I dolci sono semplici e gustosi, come biscotti, torte con farina di castagne e spongade, da accompagnare con liquori o grappe classiche o aromatizzare con erbe alpine, frutti di bosco, miele o bacche.

COME ARRIVARE

In auto, per chi arriva dal Trentino, Passo del Tonale. Da Sondrio e dalla Valtellina prendere la SS39 dell’Aprica. Da Bergamo, A4 Milano Venezia, uscita casello di Seriate poi SS42- Da Brescia A4 Milano Venezia, uscita Brescia Centro poi SS510.

DOVE MANGIARE

*Ristorante Lambich, via Nazionale 45, Fornaci (BS), tel 0364/434486, www.lambich.it, il luogo giusto per gustare i piatti tipici della Val Camonica, tra cui i casoncelli, ma anche i formaggi e secondi di carne e selvaggina. Anche pizza.

*Ristorante Pizzeria GheBel, via Cesare Battisti 1, Ossimo (BS), tel 0364/311058, www.ristoranteghebel.it Propone un menù particolare e sfizioso, che spazia dai tradizionali casoncelli alle imperdibili “Tagliatelle alla forma”, con porcini e crema di latte serviti su una forma di Parmigiano. Tra i secondi: cervo al barolo, filetto ai porcini con polenta integrale e arrosticini di pecora alla griglia con salsa piccante e pane nero.

DOVE DORMIRE

*B&B L’Invòlt Mountain Lodge, via Gorizia 11, Borno (BS), tel 342/0366707, www.linvoltmpuntainlodge.it B&B di charme con camere arredate in perfetto stile di montagna. Abbondante colazione con pane e dolci fatti in casa, marmellata e miele di montagna.

*Hotel Marcella***, via Manifattura V. Olcese 33, Darfo Boario Terme (BS), tel 0364/531837, www.hotelmarcella.it Nel centro della cittadina termale, comodo al parco archeologico e a quello termale. Dispone di 23 camere disposte su tre piani, dotate di ogni comfort.

*Hotel Graffitipark***, via Briscioli 42, Capo di Ponte (BS), tel 0364/42013, www.graffitipark.eu Comodissimo per raggiungere il Parco Archeologico di Naquane, dispone di 40 camere e ristorante interno con cucina internazionale.

INFO

www.vallecamonicaunesco.it/

www.turismovallecamonica.it/