Panettone da Guinness: Villacidro (CA) batte il record di Milano

Milano non ha fatto in tempo a festeggiare il suo “Panettone più grande del mondo”, con tanto di certificazione del Guinness World Record, e festa, lo scorso 17 dicembre, nella cornice della Galleria Vittorio Emanuele, che il primato gli è stato soffiato dalla Sardegna.

Arriva infatti da Villacidro, in provincia di Cagliari, un altro “superpanettone”, dal peso di ben 404 kg, e 200 mila calorie, che ha battuto quello milanese, di appena 332 kg! Lo ha realizzato il pasticcere di Sarroch Emanuele Pinna, 47 anni, ed è stato presentato pochi giorni prima di Natale presso la Galleria Sant’Ignazio di Villacidro nell’ambito di una grande festa, che celebrava anche i 40 anni di Topolino e ha visto la “partecipazione” di tanti personaggi Disney, per la gioia dei bambini. Il superpanettone è stato poi affettato e distribuito ai presenti.

Per realizzare il panettone da record, un prodigio di uvetta e canditi, secondo la ricetta tradizionale, ci sono voluti quindici giorni di preparazione e quaranta ore di cottura. Un record battuto anche questo, dal momento che il “rivale” milanese è stato realizzato dal maitre chocolatier Davide Comaschi in 100 ore.

E, siccome un panettone deve essere soprattutto buono, in tutti i sensi, nello svelare la sua opera, Emanuele Pinna ha spiegato come il colore rosa della copertura voleva essere un omaggio alle donne vittime di violenza, mentre una dedica speciale è andata ai suoi due bambini adottivi disabili e a tutti coloro che si prendono cura delle persone con disabilità.

Potete leggere qui la storia del panettone milanese con la ricetta tradizionale.

Ma, vedendo come sono andate le cose, c’è da scommetterci che qualcun altro tenterà di battere il primato sardo con un panettone ancora più grande!

Sa Turri ‘e Su Scogliu, la località che ha ispirato il panettone da record

Il suo creatore ha dichiarato per la forma del superpanettone si è ispirato a “Sa Turri ‘e Su Scogliu”, uno dei luoghi più belli e suggestivi di Sarroch, che esprime bellezza e salute, proprio come il grande panettone.

Nota anche come Torre del Diavolo, è una torre di avvistamento risalente al XVII secolo che domina il promontorio di Punta Zavorra e si affaccia sullo splendido Golfo degli Angeli. Secondo quanto riporta la Carta di Francesco Vico, la torre fu costruita nel 1639 a 50 metri sul livello del mare, con materiale di roccia vulcanica, andesite e fregi di arenaria calcarea. Ha la forma di un tronco di cono con una volta a cupola con un foro di accesso al terrazzo.

Costruita per volontà della Corona di Spagna, fa parte del complesso di fortificazioni che dall’Alto Medioevo alla metà del XIX secolo hanno costituito un efficiente sistema difensivo, oltre che di comunicazione e avvistamento, in tutta la fascia costiera della Sardegna.

Oggi la “Torre del Diavolo” si può raggiungere attraverso uno splendido trekking con sentieri immersi nella macchi mediterranea e a picco sul mare. Il sentiero si raggiunge percorrendo la strada litoranea di Sa Punta, con punti panoramici sul Golfo degli Angeli e della costa verso Pula. Una volta arrivati al cospetto della torre, oltre al panorama del Golfo, si possono scorgere anche la Torre di Nora e la Torre di San Macario.

INFO: www.visitsarroch.it




Cenone di Capodanno, le alternative vegetariane e vegane

Ormai il 2018 ha le ore contate e stiamo già pensando al Cenone di Capodanno. Nella tradizione italiana ci sono i piatti a base di carne, tra arrosti, cotechini, ragù…Ma che cosa succede se tra i nostri commensali c’è qualcuno vegetariano o vegano? Potremmo vederlo rifiutare la maggior parte dei piatti, con il rischio di lasciarlo alzare da tavola “a pancia vuota”. In alternativa, potete inserire nel vostro menù dei piatti preparati senza carne. Di seguito, vi proponiamo una serie di ricette per il vostro “cenone”, vegetariane e vegane. E se anche siete “carnivori convinti”, siamo sicuri che anche il vostro palato saprà apprezzarli!

Vegetariani o vegani?

Prima di lasciarvi le nostre ricette, vale la pena ribadire la differenza tra vegetariani e vegani, termini spesso confusi o usati con lo stesso significato, quando, invece, le differenze tra i due diversi stili alimentari sono fondamentali.

I vegetariani escludono dalla loro alimentazione la carne di qualsiasi animali, che sia di terra, di aria o di acqua. Quindi non mangiano nemmeno il pesce, il pollo, il tacchino o la selvaggina. Includono, tuttavia, i prodotti di derivazione animale, come il latte, i formaggi e le uova, che possono quindi essere utilizzati come ingredienti nelle vostre ricette.

I vegani, invece, escludono dalla dieta sia la carne che i prodotti di origine animale. Assumono quindi solo cibi di origine vegetale, come frutta, verdura, legumi, semi, ma non formaggi, uova o latticini. Oltre alla dieta, i vegani seguono una vera e propria filosofia di vita che include l’esclusione di prodotti che implichino lo sfruttamento degli animali. Ciò significa che non indossano indumenti di cuoio, seta, lana, pellicce e non utilizzano cosmetici testati su animali.

Detto questo, ecco le nostre proposte per un Cenone di Capodanno “veggie”

ANTIPASTI

Tomini alla granella di nocciole (piatto vegetariano)

Ingredienti

  • 4 tomini
  • 100 gr di granella di nocciole
  • 500 gr di scalogno
  • 30 gr di burro
  • 30 gr di zucchero di canna
  • ½ bicchiere di vino rosso
  • Aceto rosso q.b
  • sale e pepe q.b.

Affettate lo scalogno, poi saltatelo in padella con il burro e un pizzico di sale e di pepe. Aggiungete poi lo zucchero di canna, il ½ bicchiere di vino rosso, una spruzzata di aceto rosso e fate cuocere il tutto per circa 15 minuti, mescolando di tanto in tanto. Nel frattempo, eliminate la pellicina dai tomini e girateli nella granella di nocciole. Posizionateli su una placca ricoperta di carta da forno e cuocete in forno preriscaldato a 180° per circa 2/3 minuti. Sfornate e servite i tomini con la salsa di scalogni.

Frittata aromatica senza uova (piatto vegano)

Ingredienti

  • 3 cucchiai di farina di ceci
  • 1 scalogno
  • 1 cucchiaio di amido di mais
  • 1 bicchiere di latte di riso
  • Sale q.b
  • Olio extravergine di oliva
  • Timo e maggiorana

Setacciate l’amido di mais poi unitelo alla farina di ceci e al latte di riso, regolate di sale e mescolate fino a ottenere un composto liscio e omogeno. Lasciate riposare la pastella per circa 30 minuti. Affettate lo scalogno e mettetelo a soffriggere in una padella con l’olio di oliva, il timo e la maggiorana. Lasciate dorate, poi unite la pastella e cuocete la frittata da entrambe le parti. Servite tagliata a quadretti.

PRIMI PIATTI

Risotto al limone (piatto vegetariano)

Ingredienti

  • 320 gr di riso Carnaroli
  • 100 gr di robiola
  • ½ bicchiere di vino bianco
  • 20 gr di pecorino romano grattugiato
  • Scorza di 1 limone
  • 1 rametto di timo

Per il brodo

  • 1,5 l di acqua
  • 1 sedano, 1 carota, 1 cipolla bianca
  • 1 limone
  • 1 cucchiaino di sale grosso
  • 1 cucchiaino di pepe nero in grani

Cominciate preparando il brodo vegetale al limone: lavate e pulite il sedano, la carota e la cipolla, mettetele in un tegame abbastanza profondo, poi aggiungete il limone tagliato a metà, insaporite con il pepe in grani e il sale, coprite con l’acqua e calcolare circa 30 minuti di cottura dal bollore. Una volta pronto, filtrate il brodo con un colino e tenetelo al caldo coprendo la pentola. In una casseruola, tostate il riso per circa 3/4 minuti, mescolando spesso.

Sfumate con il vino bianco, poi proseguite la cottura per 16-18 minuti allungando con il brodo vegetale un mestolo alla volta. Quando il riso sarà pronto, spegnete il fuoco e mantecate con il pecorino grattugiato e la robiola. Unite le foglioline di timo e la scorza grattugiata del limone. Versate un altro mestolo di brodo e amalgamate. Servite ben caldo, con una spolverata di pepe o di limone grattugiato.

Carbonara con seitan e zucchine (piatto vegano)

Ingredienti

  • 300 gr di seitan al naturale
  • 4 zucchine medie
  • 6 cucchiai di Panna vegetale
  • 1 cucchiaino di curcuma
  • 1 spicchio di aglio
  • Timo fresco
  • Sale e pepe
  • Olio extravergine di oliva
  • 480 gr di spaghetti integrali

Tagliate il seitan e dadini piccoli e riducete a pezzetti le zucchine. In una padella antiaderente fate rosolare in un filo di olio di oliva lo spicchio di alio, poi eliminatelo e mettete a saltare i dadini di seitan con un pizzico di pepe. Unite poi anche le zucchine e fate cuocere il tutto a fuoco medio.

Nel frattempo, lessate gli spaghetti in abbondante acqua salata e lasciateli cuocere per 2 minuti in meno rispetto a quanto indicato sulla confezione. In una ciotola, unite la panna vegetale e la curcuma e mescolate. Scolate gli spaghetti e saltateli in padella. Aggiungete poi il composto di panna e curcuma, condite con il timo e servite.

SECONDI PIATTI

Polpettine di lenticchie con salsa cremosa al cocco (piatto vegetariano)

Ingredienti

  • 250 gr di lenticchie rosse
  • 2 peperoni di due colori diversi
  • 2 spicchi d’aglio
  • Erba cipollina
  • 1 cucchiaino di lievito in polvere
  • 1 cucchiaio di farina
  • 2 scalogni
  • Sale
  • Olio per friggere

Per la salsa

  • 150 gr di yogurt bianco
  • 100 gr di cocco grattugiato
  • 1 scalogno tritato
  • ¼ di cucchiaio di peperoncino in polvere
  • 1 cucchiaino di coriandolo
  • 2 cucchiai di olio di sesamo
  • Sale

Unite lo yogurt, il cocco grattugiato, lo scalogno, il coriandolo e l’olio di sesamo e mescolate con il mixer fino a ottenere una purea. Regolate con l’acqua calda se risultasse troppo solido. Insaporite con il sale e con il peperoncino in polvere e mettete la salsa a riposare in frigo.

Sgocciolate le lenticchie poi mettetele in una pentola e aggiungete gli scalogni tritati e l’aglio. Lavate i peperoni, eliminate i semi e tagliateli a striscioline. Unite anche l’erba cipollina sminuzzata e riducete il tutto in purea aiutandovi con il mixer a immersione. Aggiungete poi i semi di finocchio e aggiustate di sale. Mescolate la farina e il lievito in polvere e uniteli al composto. Con le mani bagnate, ricavate ora delle polpettine. In un tegame riscaldate l’olio, quando sarà bollente, immergetevi le polpettine rigirandole di tanto in tanto. Quando avranno assunto un colore dorato scolatele. Servite con la salsa al cocco.

Burger di quinoa (piatto vegano)

Ingredienti

  • 200 gr di quinoa
  • 200 gr di patate
  • 50 gr di cipollotto fresco
  • 130 gr di pomodori da insalata
  • 30 gr di senape di Digione
  • 4 foglie di radicchio
  • 10 gr di insalata misticanza
  • 2 rametti di maggiorana
  • 6 panini integrali

Mettete la patata a bollire per circa 15 minuti, sciacquate la quinoa sotto l’acqua corrente poi tostatela in una pentola con un filo di olio. Coprite con 400 gr di acqua a temperatura ambiente e lasciate cuocere a fuoco basso per circa 10 minuti a tegame coperto. Al termine della cottura, sgranate la quinoa con una spatola. Nel frattempo, pulite il cipollotto e tritatelo finemente, poi fatelo appassire a fiamma bassa in una padella ampia con due cucchiai di acqua.

Spegnete e lasciatelo intiepidire. Versate poi la quinoa in una ciotola capiente e aggiungete la patata sbucciata e schiacciata, il sale, il pepe e il cipollotto stufato. Mescolate poi unite anche le foglioline di maggiorana. Impastate con le mani fino a ottenere un composto omogeneo. Ricavate dei mini burger della stessa grandezza dei panini. Cuoceteli poi in una padella antiaderente con un filo di olio per 3 minuti per lato. Tagliate poi i pomodori a fette. Assemblate i panini. Tagliateli a metà e mettete sulla parte inferiore il pomodoro e una foglia di radicchio, il burger di quinoa e la misticanza. Spalmate con la senape la parte superiore del panino e richiudete. Servite caldi.

DOLCI & DESSERT

Tiramisù vegetariano (piatto vegetariano)

Ingredienti

  • Biscotti secchi o Pan di Spagna (per una variante vegana scegliete quelli senza latte e uova)
  • 300 gr di latte di soia
  • 20 gr di farina 00
  • 30 gr di olio di semi
  • 30 gr di zucchero di canna integrale
  • Cacao amaro in polvere
  • Cioccolato fondente a scaglie
  • Caffè per inzuppare i biscotti o il Pan di Spagna

Stemperate la farina con un goccio di latte di soia per non far formare i grumi, poi scaldate il composto unendo lo zucchero, l’olio di semi e il resto del latte vegetale. Quando la crema comincia a bollire, spegnete il fuoco e mescolate per qualche minuto. Lasciate raffreddare. Preparate il caffè nella moka, poi imbeveteci il Pan di Spagna tagliato a fette o i biscotti e foderate uno stampo oppure le coppette da dolce. Componete degli strati alternando i biscotti (o il Pan di Spagna) e la crema. Sull’ultimo spolverate il cacao amaro in polvere e le scaglie di cioccolato fondente.  Lasciate riposare in frigo per 2 ore e servite.

Torta di zenzero, arance e mandorle (piatto vegano)

Ingredienti

  • 280 gr di farina 00
  • 10 gr di amido di mais
  • 100 gr di zucchero di canna
  • 1 bustina di lievito per dolci
  • 1 radice di zenzero piccola
  • 190 gr di latte di soia
  • 70 gr di marmellata di arance
  • 75 gr di olio di semi di girasole
  • 1 pizzico di vaniglia in polvere
  • 1 pizzico di sale
  • Mandorle non pelate

Lavate la radice di zenzero, grattugiatela spremendo la polpa per estrarre il succo. In una ciotola mescolate la farina, l’amido di mai, lo zucchero di canna, il lievito, il sale e la vaniglia. Aggiungete poi il latte di soia, l’olio di semi di girasole e la marmellata di arance. Unite anche 2 cucchiai di succo di zenzero e impastate bene il tutto.

Trasferite poi l’impasto in una tortiera foderata di carta da forno. Infornata a 180°C per 40/45 minuti. Verificate il grado di cottura con uno stecchino. Sfornate e lasciate raffreddare. Ricoprite poi la torta con tre cucchiai di marmellata di arance e con le mandorle tritate.

 




Il giro d’Italia in sei cocktail! Provateli per le feste

Che siano francesi o italiane, le bollicine sono da sempre un ingrediente fondamentale per l’alta miscelazione. La storia narra di cocktail a base di Champagne sin dall’Ottocento, quando, poche gocce di Angostura su una zolletta di zucchero, rendevano ancor più piacevole la pregiata bevanda.

In Italia invece i cocktail con il prosecco si legano al rito dell’aperitivo. Il Negroni Sbagliato, nato a Milano nello storico Bar Basso, o il celebre Spritz sono solo due esempi della grande varietà di drink che si possono preparare con questo versatile prodotto. Ogni distillato ha poi la sua ricetta; il gin – magari un italianissimo Ginepraio – nell’antico French ’75 (con Gin Ginepraio, succo di limone, zucchero e champagne) o il Bourbon nel Bourbon & Bubbles, preparato con il tradizionale ‘whisky del Kentucky’, il Jim Beam (con bourbon Jim Beam, sciroppo di zucchero, succo di limone, angostura e champagne).

Seguendo le tappe italiane segnalate dall’app gratuita scaricabile online, la Guida ai migliori cocktail bar d’Italia di BlueBlazer, si scoprono queste sei varianti di grandi classici che vedono, come protagoniste, proprio le bollicine.

Da Venezia, con il celebre Bellini, ispirato al colore utilizzato dal pittore in un suo famoso quadro, a Roma, dove il cocktail trova la sua espressione in ricerca e sperimentazione, fino a Torino, dove il recente Salone del Gusto, ha ospitato, per la prima volta e con grande successo, uno spazio dedicato esclusivamente ai cocktail.

E la miscelazione è sempre più al femminile, con barlady di livello internazionale come la romana Giulia Castellucci, di cui vi proponiamo una ricetta, o l’ucraina, naturalizzata italiana, Solomiya Grytsyshyn, unica finalista al recente Premio Strega Mixology e protagonista dell’unico programma televisivo italiano dedicato alla miscelazione, Spirits – I Maestri del Cocktail, in onda sul Gambero Rosso Channel.

Un bere bene e con responsabilità che è sinonimo di qualità, che è paragonabile all’alta gastronomia, come spesso ricordato e proposto da manifestazioni ormai di grande respiro internazionale che si tengono in Italia, da ShowRUM al Roma Whisky Festival. Come vi proponiamo di seguito, ce n’è per tutti i gusti…

L’AVION

BARMAN: Mario Farulla del Ristorante Baccano di Roma

INGREDIENTI:

  • 30 ml Liquore H Theoria Hystérie
  • 30 ml Seedlip Garden
  • 10 ml Sciroppo di mandarino chiarificato
  • 1 drop Bitter alla liquirizia
  • 0.5 gr Acido Citrico
  • Top Champagne Jacquart

PREPARAZIONE

Versare tutti gli ingredienti in un mixing glass precedentemente raffreddato. Mescolare leggermente. Filtrare il liquido in una coppa contenente un unico blocco di ghiaccio. Completare con un top di Champagne Jacquart.

CANEVA (drink veneto del mixology bar del Salone del Gusto 2018)*

REALIZZATO DA: I MAESTRI DEL COCKTAIL BlueBlazer

INGREDIENTI

  • 10 ml grappa Casta
  • 30 ml Liquore delle Sirene
  • Fill di Prosecco
  • Top Soda

PREPARAZIONE
Versare tutti gli ingredienti in un bicchiere da vino rosso. Colmare il bicchiere di ghiaccio e mescolare delicatamente il liquido. Completare riempiendo il bicchiere di prosecco. Decorare con una buccia di limone.

*Caneva è uno dei drink ideati da I Maestri del Cocktail – BlueBlazeR per il Salone del Gusto Terramadre 2018. In omaggio allo spirito di Slow Food, il mixology bar dell’enoteca di Palazzo Reale è stato infatti dedicato al tema: cocktail internazionali, materie prime regionali. Globale e locale al tempo stesso, proprio come il Salone del Gusto, la drink list proponeva sette grandi cocktail classici (Boulevardier, Collins, Negroni, Americano, Ti’ Punch, Mule, Spritz) rivisitati con liquori, distillati e materie prime provenienti da altrettante regioni. Il Caneva è una variante dello Spritz, preparato però con una grappa di nuova generazione veneta, Casta e un bitter proveniente dal lago di Garda, il Liquore delle Sirene.

OUR FAMOUS BELLINI (considerato dagli esperti il miglior Bellini di Venezia)

BARMAN: Marino Lucchetti del Londra Palace di Venezia

INGREDIENTI

  • Polpa di pesca bianca
  • 1 lampone
  • Fill di Prosecco

PREPARAZIONE

Spremere a mano la polpa di una pesca bianca insieme ad un lampone. Versare il contenuto in un flute ben freddo. Colmare con il prosecco.

FLY ME TO THE MOON

BARMAN: Marco Ricetti dell’Inside di Torino

INGREDIENTI

  • 20 ml China Martini
  • 10 ml di Martini Bitter Riserva Speciale
  • 2 barspoon di polpa di passion fruit
  • 3 dashes di bitter al tabacco
  • 60 ml di Berlucchi 61 Brut

Tecnica: Throwing

THE ORIGINAL CHAMPAGNE COCKTAIL

BARMAN: Alessandro Antonelli dello Sky Stars Bar dell’A.Roma Lifestyle Hotel di Roma

INGREDIENTI

  • Una zolletta di zucchero
  • 20 ml di Hine Cognac
  • Alcune gocce di Angostura Bitter
  • Champagne Jacquart

PREPARAZIONE

Posizionare la zolletta sul fondo di un flute ben freddo. Imbevere la zolletta di zucchero con le gocce di bitter ed il cognac. Colmare il bicchiere di champagne.

SARTO SBAGLIATO

BARLADY: Giulia Castellucci del bar Co.So. Cocktails&Social di Roma

INGREDIENTI

  • 40 ml di Liquore Biancosarti
  • 40 ml di Martini Riserva Speciale Ambrato
  • 1 cucchiaino di Riduzione di aceto di lamponi
  • Top di Prosecco

PREPARAZIONE
Il drink è nato per la manifestazione “Vinoforum” di Roma, alla quale Co.So. ha partecipato, si presenta come una rivisitazione del classico Negroni Sbagliato bianco. L’elemento che lo caratterizza è la presenza della riduzione di aceto di lamponi, in quanto per la manifestazione romana si doveva usare un prodotto come il vino o un suo derivato. Il drink, in pieno stile Co.So., rappresenta la contaminazione tra cucina e bar, avendo utilizzato una preparazione come la riduzione di aceto di lamponi nel bar.

 




ANDREA MAINARDI SI RACCONTA. LA SCUOLA, LA GAVETTA, GUALTIERO MARCHESI, IL GRANDE FRATELLO, IL SUO PIATTO EROTICO E… LE LENTICCHIE SALVATRICI

-di Cesare Zucca-

Ti abbiamo visto nel Grande Fratello VIP. Complimenti per il secondo posto.
Come è stata questa esperienza in cucina?
77 giorni ai fornelli… davvero un tour de force. Sono passato da menu sofisticati a piatti estremamente familiari, che ci riportassero a casa nostra.
Per esempio?
Il  classico spaghetto aglio, olio e peperoncino. Tutti felici e budget rispettato.
Il budget spesa era ristretto vero?
Super ristretto: ho dovuto fare miracoli. Per fortuna mi hanno salvato le lenticchie, saporite, ricche di proteine vegetali e a buon mercato. Quindi lenticchie in tutte le salse…
Il tuo rapporto con i coinquilini?
Ho sopratutto cercato di trasmettere ai ragazzi la passione per la cucina. Qualcuno era negato, ma sia Walter Nudo che Silvia Provvedi sono diventati ottimi sous chef. La vera rivelazione è stata Francesco Monte, si è specializzato nelle uova e se la cava benissimo, dall’ occhio di bue alle omelettes.
Se ti invitassero come ospite d’onore alla finale del prossimo Grande Fratello Vip, cosa cucineresti per impressionare pubblico, critica e finalisti?
Posso dirti la verita? Dopo una clausura e una tensione di 77 giorni, penso che tutti vogliano rilassarsi e festeggiare a tavola con un cibo che esalti semplicità, tradizione, gusto e amicizia. Quindi il più classico dei classici: spaghetti pomodoro e basilico, Un piatto fatto col cuore, un cibo che giova al palato e allo spirito.
Come sei diventato chef?
Curiosità, interesse, passione e poi la scuola alberghiera, l’ IPSSAR di San Pellegrino, in provincia di Bergamo, tante ore di studio, grande gavetta, duro lavoro per poi fare esperienza in ristoranti stellati e l’immensa fortuna di aver incontrato Il grande ‘Maestro’ Gualtiero Marchesi.
Come l’hai conosciuto?
Il primo incontro è stata…una fotografia. Mia mamma collezionava copertine di riviste di cucina. Su una di questa c’era proprio questo straordinario personaggio, con questo cappello importante, questo sorriso…mi colpii tantissimo e ricordo che da lì nacque il desiderio di poter lavorare con lui. Sono rimasto a L’Albereta per 3 anni, ricordo che quando Marchesi entrava in cucina, eravamo tutti sull’attenti. Non dimenticherò mai la sua grande sensibilità e il suo raffinato modo di esprimersi. Poi e’ arrivato Andrea Berton, altro grande professionista e grande uomo. una seconda educazione, dettagliata e precisa, a lui devo tanto e gli sono riconoscente.
Da quando hai iniziato a pensare a un tuo ristorante?
Praticamente da sempre, appena terminate la scuola. Ho lavorato inseguendo il sogno di avere il mio ristorante. Sogno purtroppo irrealizzabile per motivi economici, quindi mi è venuta l’idea di una cosa diversa, piu contenuta. E’ nata così a Brescia Officina Cucina, un ambiente con una tavola unica da 2 a 10 persone, Menu differenti, anche come numero di portate, per colazioni di lavoro, cene aziendali, compleanni ed eventi.
Un’occhiata al tuo menu. In quale piatto ti riconosci?
Forse nel piatto che mi ha rappresenta di più: risotto di ostriche con limone e liquirizia. Lì c’è un po’ tutta la mia filosofia: abbinamenti insoliti che in bocca che si sposano perfettamente.


Un’indagine tra i giovani dice che il 50% sogna di diventare un top chef televisivo. Cosa ne pensi?
Penso di essere la persona giusta per rispondere. Sono professore, insegno nell’ istituto CFP Canossa di Bagnolo Mella, quindi sono in contatto con tanti giovani, a cui ripeto che la televisione è un gran bel mezzo per esporsi, fare spettacolo e soldi. Certamente attira, ma alla base ci vuole gavetta, esperienza, insomma le mani in pasta. Ritengo che il traguardo si raggiunga solo dopo una consolidata esperienza in una vera cucina, non in uno studio televisivo. La TV è un’occupazione temporale e limitata mentre la professione del cuoco e del ristoratore può protrarsi per tutta la vita.
Cose ne pensi di certi ‘duelli’ tra Chefs?
La competizione è un’ esigenze del copione. Il pubblico ama il guerriero, l’eroe, il vincitore e il vinto…anche in cucina. La TV è un modo di fare spettacolo, ma poi c’e’ la vita reale dello chef, due percorsi da tenere separati. In TV si possono regalare dei sogni, ma la realtà non è tutta rose e fiori. Ben venga se riesco a stimolare ragazzi che vogliono manifestare il loro talento in cucina, però, ripeto, bisogna sempre fare gavetta.
Le tue esperienze americane?
Mi è piaciuto portare all’estero la nostra cultura e farla conoscere a un nuovo pubblico. A New York ho iniziato con una consulenza per The Bowery Kitchen, seguita da O C Kitchen. Per ora le attività sono sospese: molti problemi personali, come la lontananza dalla mia famiglia e problemi organizzativi, dai permessi di lavoro all’ impossibilità di essere sempre presente, la dove la presenza è necessaria e fondamentale.
New York: pensi di riprovarci?
Mai dire mai, l’estero mi affascina, per ora resto in Italia, anche perchè sto definendo un progetto di ristorazione davvero speciale.


Un sogno nel cassetto ?
Aprire un locale particolare e portarlo in varie citta italiane e all’estero e anche a New York, visto che li ho un conto in sospeso…
Un rimpianto?
Si, un’esperienza mancata. Avevo la possibilita di andare a lavorare all’iconico El Bulli di Ferran Adria, il profeta spagnolo della cucina molecolare. Non accettato per questioni familiari. Peccato, sarebbe potuta essere un’ avventura che mi sarebbe piaciuta vivere.
Quali sono stati i tuoi viaggi preferiti ?
Un lungo tour in Grecia con mia figlia Michelle, indimenticabile sia per le cose che abbiamo vist , sia perchè ho potuto fare il papà e dedicarmi a lei. Memorabile anche il recente viaggio con Anna, la mia fidanzata, attraverso Shrilanka e le Maldive E’ stato bellissimo vedere e vivere le tradizioni locali, cucina compresa.
A proposito di Anna, qual è il piatto con cui l’hai conquistata?
Spaghetti mantecati con scampi e limone, profumo di olive taggiasche. Sapori e sensazioni inebrianti, fascino erotico irresistibile, very sexy… Anna conquistata!
Un viaggio che sogni?
Il Giappone, penso che sia la destinazione della nostra prossima luna di miele. Sono curioso di scoprire piccoli ristoranti e i tipici mercati del pesce.
Dove ti piace passare un weekend?
Adoro guidare attraverso la Toscana. Mi rilassa e mi appaga. Amo Firenze e tutta la zona del Senese.
Cucini a casa?
Raramente. Quando Mainardi cucina a casa è perchè deve farsi perdonare qualcosa…
Cosa c’è sempre nel tuo frigo?
Broccoli, salame e un formaggio da casera o formaggella nostrana, adoro I formaggi, fanno parte della storia della mia mia famiglia a tavola, dove veniva servitor un assaggio di formaggio prima del dolce.


Per questo sei testimonial dei formaggi DOP Valtellina?
Nelle valli bergamasche i formaggi sono di casa sia in abbinamenti storici , come Valtellina Casera DOP e i pizzoccheri o inconsueti come nella mia ricetta, dove ho sposato pollo, curry e ananas al gusto vigoroso e intensamente aromatico del Biitto DOP, un formaggio che può essere stagionato fino a 10 anni. In questo piatto ho usato un bitto giovane piu facilmente squagliabile, capace di creare un piacevole contrasto piccante, aumentare la succulenza e arrotondare il sapore.

POLLO AL CURRY CON MANDORLE E BITTO DOP


Ingredienti

Per una porzione
1 confezione di fettine di petto di pollo
50 gr. di Bitto DOP
curry q.b.
1 confezione di crostini di pane
1 mela
1 ananas
erba cipollina q.b.
sale e pepe q.b.
1 confezione di panna fresca da 250gr

Procedimento
Sbucciare una mela e tagliarla a fettine . Mettere una noce di burro in padella e buttarci le fettine di mela fino a farle dorare. Aprire l’ananas e ricavare dei cubetti dalla polpa. Aggiungere i cubetti ottenuti alla mena in padella. Tagliare le fettine di pollo a cubetti e metterle in padella. Aggiungere curry, sale, pepe e la panna fresca. Cuocere il tutto. Unire le mandorle e l’erba cipollina. Per impiattare, utilizzare l’ananas scavato in precedenza, decorare con crostini di pane e mandorle intere. Completare con una grattata di Bitto DOP.

INFO
Officina Cucina
Via S. Zeno, 119, 25124 Brescia BS
Tel: 333 302 0033
http://www.officinacucina.com/




La Toscana è la meta preferita da italiani e stranieri per turismo enogastronomico. La sfida è aperta!

La regione più desiderata come meta enogastronomica dai turisti italiani? È la Toscana. È quanto è emerso dal “Rapporto sul turismo enogastronomico italiano”, il primo e più completo studio specifico sul tema.

Un primato che la Toscana ha conquistato grazie ad anni di attività e promozione sui temi dell’enogastronomia affermandosi quindi come punto di riferimento non solo in Italia (il 18% degli intervistati indica la Toscana come migliore destinazione per un viaggio o una vacanza enogastronomica) ma anche nel mondo. Gli stranieri infatti indicano sempre l’Italia tra le mete preferite e quando scelgono di nominare una regione citano la Toscana che viene quindi riconosciuta come vero e proprio brand legato al turismo enogastronomico.

Le ragioni vanno ricercate non solo nella grande ricchezza dei prodotti locali, delle esperienze e del paesaggio, ma anche nel fatto che la Regione Toscana ha saputo essere antesignana in questo settore, promotrice di tendenze sul turismo enogastronomico.

Tra le best practice di evoluzione del turismo enogastronomico che hanno aperto la strada ai diversi trend, la ricerca cita Vetrina Toscana “come luogo di comunicazione dell’offerta del cibo locale che spesso è la prima esperienza ricercata dei turisti (il 73%) quando compiono un viaggio”. Sempre dalla ricerca, la Toscana risulta essere la regione con il maggior numero di agriturismi e di cantine aperte all’enoturismo.

Per gli stranieri è tra le “Top destination”

Per quanto riguarda gli stranieri, secondo un indagine sul turismo realizzata dalla Banca d’Italia, l’enogastronomia rappresenta in Toscana il 7% circa delle notti posizionandosi al terzo posto come motivazione di viaggio subito dopo l’arte e cultura ed il balneare. Il valore è superiore alla media nazionale (3,4%).

Non solo leva importante per il turismo, ma anche leva economica, dall’analisi dei dati emerge infatti che il turista straniero che raggiunge la Toscana con motivazione principale l’Enogastronomia è il “Top Spender” per la spesa giornaliera (163,90 euro) e per la ristorazione (47,47 euro). La spesa per ristorazione dei turisti stranieri in Toscana supera i mille milioni di euro, attestandosi sul 24% del totale. Dal 2012 è cresciuta di circa sei punti percentuali più della spesa totale.

Il turista straniero che punta sull’enogastronomia non è un turista mordi e fuggi, si ferma sul territorio e spende di più. Altro fattore interessante è che puntare su questo tipo di turismo consente di ampliare la stagione turistica, sia in senso temporale che di estensione laddove il turista enogastronomico percorre i sentieri meno battuti alla ricerca di prodotti cantine e ristoranti

Tra giugno e novembre il numero di pernottamenti mensili dei viaggiatori che hanno nell’enogastronomia la prima o la seconda motivazione di viaggio è superiore alla media. A Ottobre si registra la punta massima sia per chi la porta come prima ragione di visita, sia per chi la dichiara come motivazione accessoria.

La cucina toscana tra le esperienze più apprezzate

Infine, il cibo toscano piace, piace molto. I pasti hanno il gradimento più alto tra gli stranieri che soggiornano in Toscana: 8,7/10. Il giudizio generale sulla vacanza enogastronomica è sopra la media.

Una curiosità: il giudizio migliore sui pasti degli stranieri in visita alla regione sono fuori dai grandi centri turistici, in zone di forte tipicità, il ché conferma l’importanza della “Toscanità” nell’offerta turistica.

Al di là dei giudizi del turista enogastronomico, la ristorazione assume un valore qualitativo molto alto anche per i turisti delle città d’arte e del balneare e l’enogastronomia assume sempre più valore nell’esperienza totale del viaggio ed è un elemento portante che caratterizza l’offerta della Toscana.

Tra i tour italiani più popolari fra i turisti statunitensi ai primi due posti ci sono viaggi che hanno come meta la Toscana e tra le destinazioni di crescente interesse per il mercato statunitense la Toscana con Maremma, Pitigliano e Saturnia è al primo posto in assoluto con una percentuale del 91,3%. (Fonte ufficio studi ENIT Italy Survey of Travel Leaders Network Agents).

La sfida, tuttavia, è aperta, perché l’enogastronomia è uno dei fiori all’occhiello della nostra bella Italia e ogni regione ha le sue tipicità e le sue eccellenze.




Il Panforte, il dolce natalizio di Siena

Ricco di storia e tradizioni, il territorio di Siena annovera tra le sue eccellenze natalizie un dolce davvero “storico” e conosciuto in tutta Italia: il panforte. A base di canditi, frutta secca e miele, si fregia del marchio IGP e la sua preparazione segue un rigido disciplinare. Vero è, però, che ogni famiglia, comune o zona ha la sua versione, spesso tramandata oralmente, con il risultato che di questo dolce natalizio ne esistono infinite varianti. La ricetta originale, tuttavia, è ben documentata, così come le sue versioni e varianti successive.

Dalla tavola dei poveri a quella dei nobili

La ricetta originale del panforte è nata nella provincia di Siena, dove si ha notizia di una focaccia dolce, chiamata “panmelato”, che fino al X secolo veniva preparato con acqua, farina, miele e frutta dalle classi meno abbienti. La frutta fresca, tuttavia, non si seccava completamente durante la cottura e conferiva al dolce un gusto acido, da qui il nome panis fortis.

Successivamente, nell’Abbazia di Montecelso, attorno al XII secolo, ne nacque una versione più nobile, fatta di frutta candita, come arance e meloni e, soprattutto, un sapiente mix di spezie degne di un alchimista. Si dice infatti che la preparazione venisse lasciata ai monaci speziali o farmacisti per garantirne un gusto unico. Le spezie, tuttavia, erano ingredienti molto costosi, per questo il dolce veniva destinato ai nobili e al clero e consumato durante il periodo natalizio. Il panforte, o panpepato, divenne quindi un dolce della tradizione.

La ricetta originale rimase la stessa fino al 1879, quando la regina Margherita di Savoia si recò in visita a Siena. In questa occasione un mastro speziale, Enrico Righi, decise di preparare per la sovrana una versione inedita del dolce: sostituì la concia del melone con lo zucchero vanigliato nella copertura. Nacque così il Panforte Margherita, una delle versioni più note del dolce natalizio senese.

Un dolce unico…in tante versioni

Secondo il disciplinare, esistono quattro versioni “ufficiali” del panforte. La più classica e antica è il panforte nero, o panpepato, che prevede l’utilizzo di arance, fichi e meloni, mescolati con mandorle, noci, farina e spezie.

Nel 1820, Giovanni Parenti, fondatore della prima fabbrica di panforte, crea la versione al cioccolato, forse per imitare la celebre Torta Sacher. Di consistenza più morbida, passa alla storia anche come Panforte delle dame.

Come vi abbiamo già raccontato, nel 1879 nasce invece il Panforte Margherita, grazie all’estro di Enrico Righi per omaggiare la Regina Margherita di Savoia in visita a Siena. In questa versione l’impasto è più chiaro, con i canditi “in trasparenza”, mentre la copertura è di zucchero vanigliato.

Nei primi anni del Novecento nasce invece il panforte fiorito, di colore bianco e decorato con fiori di zucchero, una versione artistica da presentare e regalare in splendide scatole artistiche decorate con motivi floreali.

In tempi più moderni, arrivano anche versioni più particolari ed esotiche, come il panforte di castagne, con la farina di castagne al posto di quella di frumento, oppure la versione con datteri e mandorle, con datteri e uvetta. Il panforte è di facile preparazione casalinga, il segreto sta tutto nella qualità degli ingredienti, che deve essere eccelsa. Ve ne forniamo di seguito una ricetta classica.

Panforte

Ingredienti

  • 250  gr di mandorle
  • 250 gr tra noci e nocciole
  • 75 gr di farina
  • 25 gr di cacao in polvere
  • 8 gr di cannella in polvere
  • 1 pizzico di chiodi di garofano in polvere
  • 8 gr di noce moscata
  • 6 gr di spezie miste (coriandolo, pepe nero, macis)
  • 150 gr di frutta candita mista
  • 150 gr di scorza d’arancia candita
  • 150 gr di miele millefiori
  • 150 gr di zucchero
  • 40 gr di cialda (ostie)

Tostate nel forno per circa 5 minuti le mandorle, le noci e le nocciole, poi tritatele grossolanamente. In una ciotola mescolate la farina setacciata, il cacao, le spezie, la frutta secca tritata, la frutta e la scorza candite. In un pentolino fate sciogliere a fuoco basso lo zucchero e il miele fino a ottenere una melassa densa. Unite il composto all’impasto di frutta secca, spezie e canditi. Rivestite uno stampo rotondo con la cialda (ostia), posizionatevi l’impasto pressandolo bene. Infornate a 180° per circa 30 minuti. Sfornate, lasciate raffreddare e spolverate la superficie con lo zucchero a velo. Servite accompagnato da un buon bicchiere di Vin Santo Toscano. Buona Natale!




CHEF DAMIANO BASSANO E UN PIATTO CLASSICO VENEZIANO

-Testo e Foto di Cesare Zucca –

Damiano Bassano è uno chef davvero internazionale. Ha lavorato a Parigi, Strasburgo, negli Stati Uniti e in Spagna nel ristorante tre stelle Michelin Ferran Adrià.  È poi approdato a L’ Alcova, il ristorante dello splendido Hotel Ca’ Sagredo a Venezia.


Hai cucinato in mezzo mondo. Un Paese che ti manca?
Il Cile. Non ci sono ancora andato, ma è un Paese di cui mi interessa la cucina, senz’altro molto particolare e in via di sviluppo.

Dove ti piacerebbe passare un weekend ?
Nella zona di Asiago e visitare un caseificio per vedere come preparano il formaggio.
E’ un’esperienza che ancora non ho avuto la possibilità di fare.
La tua destinazione italiana preferita?
Il mio Salento. C’è ancora qualche piccola osteria senza un menu specifico. La nonna cucina giornalmente 2 o 3 piatti in base a ciò che ha trovato al mercato. E sono tutti spettacolari!
Quei profumi e sapori sono da sempre nel mio cuore e mi piace farli rivivere nel menù dell’ Alcova.
Molto pesce nel tuo menù. Dove te lo procuri?
Al mercato di Rialto. Faccio affidamento sulla stagionalità e sui suggerimenti del mio fornitore.
Da lì decido il menù del giorno e preparo dei piatti che rispecchiano la tipica cucina italiana, tenendo sempre d’occhio la nostra clientela internazionale, spesso con gusti diversi dai nostri.
Frutta e verdura?
Incredibilmente buona. Siamo forniti dall’isola di Sant’Erasmo, la cui produzione ha avuto un tale successo che il Consorzio di Sant’Erasmo ha aperto un punto vendita proprio qui a Venezia. Speriamo bene …troppo successo a volte può guastare.
Un pesce che ami cucinare?
Non ho dubbi: la spatola, soprattutto dopo le mie esperienze siciliane. A L’Alcova
la richiesta è principalmente orientata su cozze, vongole, orata, spigola, gamberoni, tonno, spada, cioè pesci ‘universalmente noti’ e preferiti dai turisti che generalmente temono di provare sapori che non conoscono.
La tua ricetta?
Spaghetti al nero, un piatto tipico veneziano.

SPAGHETTI AL NERO DI SEPPIA
Ingredienti
Per 4
Spaghetti: 280 gr
Seppie: 200gr
Aglio:10 gr
Pomodoro: 20 gr
Vino bianco: 1dl
Olio Evo: 1dl
Prezzemolo: 20 gr
Peperoncino: 5gr
Sale e pepe: qb

Preparazione
Pulire le seppie ed estrarre il nero.  Cuocerle in abbondante acqua salata per 4 minuti.
In una padella aggiungere olio, aglio, prezzemolo tritato e il peperoncino. Far rosolare il tutto, aggiungere il pomodoro precedentemente frullato e il nero di seppia.
Far cuocere per 5 minuti.
A parte cuocere gli spaghetti, scolarli, unirli al sugo delle seppie e condirli con Olio Evo.

INFO
L’Alcova
Campo Santa Sofia 4198/99 – Ca’ D’Oro
30121 Venezia, Italy
Tel +39 041 2413111
E-mail info@casagredohotel.com

 

 




A Milano il panettone è da Guinness

50 mila gr di farina, 40 mila di burro, 25 mila gr di zucchero e altrettanti di cioccolato fondente, 22 mila gr di uvetta e 2200 di arance candite, 15 mila gr di panna, 7 mila di cioccolato Ruby, 2 mila di cioccolato bianco e 2 mila gr di miele…No, non siamo impazziti! Sono gli ingredienti del Panettone più Grande del Mondo, certificato dal Guinness World Records ed entrato di diritto nel Guinness dei Primati.

Il “super panettone”, 332 kg di peso, 115 cm di diametro e un’altezza di un metro e mezzo è stato realizzato in 100 ore di lavoro, dal maitre chocolatier Davide Comaschi, direttore della Chocolate Academy Center di Milano, presentato e “tagliato” lo scorso 17 dicembre, nella splendida cornice della Galleria Vittorio Emanuele II di Milano, “vestita” a festa con le luminarie e il meraviglioso albero di Natale adornato con i cristalli Swarovski. Il panettone da record è stato poi tagliato e offerto gratis a tutti gli intervenuti.

Un primato “storico”

Un primato di cui andare orgogliosi, perché il panettone è nato proprio a Milano. Le prime attestazioni di questo “pane dolce” lo fanno risalire al 1490, ma sulla sua nascita ci sono diverse versioni. Una di queste vuole che il panettone sia nata alla corte degli Sforza, quasi per caso. Il cuoco di corte era infatti disperato per aver lasciato bruciare il dolce che aveva preparato per il banchetto.

Per fortuna un giovane sguattero di nome Toni, che aveva rubato un pezzo di impasto per mangiarselo in pace, non solo lo aveva arricchito con uvetta, zucchero, uova e canditi, ma lo restituì al cuoco che così riuscì a realizzare un dolce nuovo e inedito, con grande apprezzamento della corte. Il nuovo dolce, secondo la leggenda, venne chiamato Pan del Toni,  poi divenuto “panettone”. Una seconda versione, invece, vuole che a ideare il dolce natalizio per eccellenza sia stato un panettiere di Milano, sempre grazie al suo garzone, di nome Toni.

In realtà, il nome panettone non deriverebbe da un nome di persona, ma di un’evoluzione del termine pane, prima con l’aggiunta del suffisso del vezzeggiativo -etto, poi dell’accrescitivo -one, con il significato di “grosso pane” o “pane arricchito”. Inoltre, questo dolce viene tradizionalmente associato al Natale, e consumato nel periodo delle feste, poiché nella tradizione cristiana al pane viene attribuita una valenza sacra. Nell’Eucarestia, infatti, diventa il “corpo di Cristo”.

Le origini del panettone, secondo alcune fonti storiche, sarebbero ancora più antiche. Dolci di pasta di pane con frutta e canditi esistevano già nel Medioevo. Proprio i canditi sarebbero stati introdotti durante la dominazione araba. La lievitazione multipla, caratteristica della preparazione del panettone, risalirebbe invece al Settecento.

I “segreti” del panettone

La produzione industriale del panettone risale invece alla fine del XIX con la Motta. Attorno al 1930 assume la tipica forma “a cestello” che ha ancora oggi. La Motta, infatti, per ottenere panettoni più alti e lievitati inventò i cestelli di carta dove mettere a cuocere i dolci. Una volta cotti, per impedire che perdessero volume e si appiattissero, venivano messi a raffreddare a testa in giù e in appositi contenitori di vimini. Da allora, alla versione classica se ne sono affiancate innumerevoli, da quella senza canditi a quella al cioccolato, da quella con le creme ad altre con ingredienti esotici.

Una cosa è certa, la preparazione del panettone è un’arte, poiché la sua lavorazione è lunga e complessa e richiede una certa dose di pazienza. Ecco perché viene affidata alle mani esperte e sapienti dei pasticceri. Ma se volete mettervi alla prova, vi lanciamo una sfida: la ricetta del panettone tradizionale. Pronti a mettervi ai fornelli?

Panettone tradizionale

Ingredienti per 2 panettoni

  • 315 gr di farina tipo 0
  • 200 gr di burro
  • 165 gr di zucchero
  • 200 gr di canditi misti
  • 110 gr di uvetta ammollata in acqua e Marsala
  • 30 gr di miele
  • 10 tuorli d’uovo
  • 12 gr di lievito di birra fresco
  • 1 baccello di vaniglia
  • 90 gr di lievito madre
  • 1 limone
  • Sale
  • Olio di semi

Per la preparazione, servitevi di un’impastatrice. Prendete 250 gr di farina e 100 gr di zucchero. Nel contenitore dell’impastatrice mettete 90 gr di lievito madre e 100 gr di acqua e fatelo sciogliere. Aggiungere un po’ di farina, un cucchiaio di zucchero e il lievito di birra. Impastate. Unite poi il primo dei cinque tuorli, un cucchiaio di zucchero e impastate ancora. Aggiungete poi altra farina, i restanti quattro tuorli e il resto dello zucchero. Aggiungete anche 90 gr di burro, già diviso a pezzetti e ammorbidito a temperatura ambiente. Impastate per bene.

Prendete un contenitore di forma cilindrica e dalle pareti abbastanza alte. Ungetelo con l’olio di semi e versateci l’impasto. Copritelo e lasciatelo lievitare finché non triplicherà il suo volume. Quando sarà lievitato in queste proporzioni, rimettetelo nell’impastatrice. Pesate 65 gr di zucchero e 65 di farina. Aggiungete all’impasto 30 gr di acqua e 30 gr dei 65 di zucchero. Unite un po’ di farina e altri 4 tuorli, il resto dello zucchero e della farina. Aggiungere anche un cucchiaino di sale e l’ultimo tuorlo. Unite anche il miele. Infine, unite anche 80 gr di burro, un poco alla volta, mescolando il tutto.

In un tegame, sciogliete 30 gr di burro, l’uvetta strizzate, i canditi, i semi del baccello di vaniglia e la scorza del limone grattugiato. Mescolate il tutto e unitelo all’impasto. Lasciate riposare per 30 minuti. Poi dividete l’impasto a metà, coprite i due panetti e lasciateli riposare per altri 40 minuti. Poi metteteli in sacchetto alimentare, uno per ogni panetto, e lasciateli lievitare in forno a 30°C finché non avranno raddoppiato il loro volume. Toglieteli dal forno e dai sacchetti e lasciateli riposare per altri 30 minuti.

Incidete a croce la superficie di ogni panettone, metteteci in cima un fiocchetto di burro e infornate a 165°C per circa 40 minuti. Negli ultimi 10 minuti alzate la temperatura a 175°C. Quando saranno cotti, togliete i due panettoni dal forno, infilzateli alla base con due stecchi da spiedo e metteteli a raffreddare a testa in giù per una notte.




Da Garessio a Monasterolo Casotto (2° giorno)

Nella seconda giornata del nostro itinerario, da Garessio ci spostiamo nel territorio di Monasterolo Casotto, percorrendo la SP 178. I due Comuni non sono molto distanti, ma sono moltissime le cose da vedere sia lungo il tragitto che nei dintorni.

La Reggia di Valcasotto: dai Certosini ai Savoia

La prima tappa è la magnifica Reggia di Valcasotto, dimora sabauda dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità nel 1997. Come la maggior parte delle dimore storiche, anche questa ha un passato molto travagliato. Nasce infatti nel XI secolo come Certosa di Santa Maria, attestandosi tra le più antiche d’Italia. Il fondatore, San Bruno, veniva dalla Grande Charteuse di Grenoble e si stava recando a Roma quando decise di fondare alle pendici del Bric Mindino, a 1090 metri di altezza, un monastero.

I monaci vi rimasero fino alla calata delle truppe napoleoniche, nel 1803, che occuparono e danneggiarono gravemente la certosa. Recenti scavi condotti dall’Università di Torino hanno riportato alla luce le antiche fondamenta e un ampliamento quattrocentesco. Cacciati i certosini, il complesso viene acquistato da Carlo Alberto di Savoia nel 1837 che lo trasformò in un casino di caccia.

A trascorrerci però lunghe estati è però Vittorio Emanuele II, insieme ai suoi figli, Maria Clotilde, Umberto, Amedeo, Oddone e Maria Pia, rimasti orfani di madre. In particolare, è grazie alla dodicenne Maria Clotilde e ai suoi diari che siamo riusciti a conoscere come si svolgeva la vita quotidiana nella Reggia. La principessa amava a tal punto questa residenza di famiglia da celebrarvi il suo matrimonio con Napoleone Gerolamo Bonaparte. Umberto I vendette successivamente Valcasotto a un privato nel 1881. Dopo vari passaggi di mano, oggi è di proprietà della Regione Piemonte, che l’ha sottoposta a un complesso progetto di restauri. La reggia è attualmente chiusa al pubblico e aprirà presumibilmente nel 2021, ma vale la pena menzionarla per il suo valore storico artistico.

Valcasotto è noto anche come “il borgo dei formaggi” per la presenza di caseifici e per la produzione e vendita di formaggi locali con possibilità di effettuare golose degustazioni. Non lasciatevi sfuggire l’occasione!

Verso Monasterolo Casotto

Riprendiamo la SP178 e raggiungiamo il piccolo borgo di Monasterolo Casotto, che conta circa 126 abitanti e ha una superficie di appena 7,7 kmq, ma concentra alcune eccellenze di un ricco e movimentato passato.

Il paese si divide in diverse borgate, le cui principali sono Borgata Sottana, Borgata Cravena, Borgata Soprana e Borgata Case Scuole. Le origini del borgo risalirebbero ai romani, come attesta un’iscrizione rinvenuta presso la chiesa di San Colombano. Il nome, invece, sarebbe da attribuire a un monastero di frati benedettini che arrivarono qui nel XII secolo. Nel 1962 viene invece aggiunto “Casotto”, grazie a un regio decreto che concedeva ai Comuni di dotarsi di un nuovo nome.

Il borgo passa diverse volte di mano. Da proprietà dei conti di Bredolo passa ai conti di Alba, e, infine, al Marchese di Ceva, il cui casato abitò il castello, i cui resti sono ancora visibili, insieme a una torre, presso il torrente Feia. Il castello ha una fama sinistra. Durante la “Guerra del Sale” qui vennero impiccate numerose persone e l’ultima condanna a morte venne eseguita alla fine del 700.

Gli edifici religiosi del borgo

Con un passato legato alla presenza degli ordini monastici, sono molti gli edifici religiosi. Per esempio, a metà strada tra Borgata Sottana e Borgata Soprana si nota la chiesa parrocchiale dedicata a San Giacomo, costruita nel 1900 per unificare due chiese preesistenti, quella di San Bernardo e quella di Sant’Antonio.

Alzando lo sguardo sull’altura che domina la borgata Soprana si scorge invece il Santuario di San Colombano, risalente all’anno Mille e fondato dai monaci benedettino. La chiesa si compone di due corpi risalenti a due diverse epoche, quello longitudinale risale infatti al Medioevo, mentre il campanile a pianta quadrata è seicentesco. Sono presenti anche elementi aggiungi nel 1884, come il porticato della facciata.

Da vedere nei dintorni

Se avete tempo, vi consigliamo di passare e visitare alcune delle bellezze della Valcasotto, che regala panorami di rara bellezza, caratterizzati da boschi di castagni e viste mozzafiato. Percorrendo la vallata, in appena 20 minuti, da Monasterolo si arriva a Pamparato, altro bel centro dal cuore antico.

Altre belle mete da raggiungere a poca distanza sono il monumentale Santuario di Vicoforte, raggiungibile in circa 15 minuti, e Mondovì, ricca di testimonianze storico-artistiche e di eccellenze enogastronomiche.

In circa 40 minuti da Monasterolo, invece, si arriva alle Grotte di Bossea, un complesso naturale che si estende per circa 2 km, tra le più belle grotte italiane visitabili. A conclusione del nostro itinerario, vi suggeriamo di non perdere l’occasione di sedervi al tavolo di una trattoria tipica e di gustare i ricchi piatti della tradizione cuneese, che in questo periodo godono di ingredienti offerti direttamente dalla natura, come i funghi, i tartufi e le castagne.

I sapori del cuneese

I frutti dell’autunno sono gli ingredienti principali delle corpose ricette, alcune delle quali sono caratterizzate da una sfumatura provenzale. Porri, castagne, funghi, in particolare i profumati porcini, patate, ma anche erbe aromatiche, sono la base di antipasti, frittate e torte salate. Tra i secondi abbonda la carne, tra cui la cacciagione, come il cinghiale e il camoscio, ma anche la razza bovina piemontese, dal sapore inconfondibile. Da non perdere il Gran Bollito alla Piemontese, la cui ricetta originale prevede sette diversi tagli di vitello di razza piemontese, sette “ammenicoli” e sette salse.

Tra i formaggi, ricordiamo il Raschera, il Castelmagno, la Toma e i Tomini. Tra i dolci, l’ingrediente principe è la castagna (come nella ricetta che vi proponiamo), con la quale si prepara il Monte Bianco o il Castagnaccio. Per concludere il pasto, vengono serviti anche dolci a base di frutta.

Budino di castagne

Ingredienti

 

  • 300 gr di castagne fresche
  • 4 uova
  • 100 gr di mandorle tritate
  • 1 cucchiaio di cacao amaro
  • 1 bicchierino di rhum
  • 1 bustina di vanillina
  • ½ litro di latte
  • 80 gr di burro
  • 100 gr di zucchero
  • 1 pizzico di sale

Eliminate la buccia dalle castagne, poi scottatele per circa 5 minuti in acqua bollente. Eliminate anche la seconda buccia più sottile. In una casseruola mettete a scaldare il latte, versatevi anche le castagne e lasciatele cuocere per circa 30 minuti mescolando spesso. Prelevate le castagne e passatele nello schiacciapatate lasciando cadere la polpa in una terrina. Unit poi il burro, i tuorli, lo zucchero, le mandorle tritate, la vanillina, il cacao, il rhum e il pizzico di sale. Amalgamante bene il tutto. Poi incorporate con delicatezza anche gli albumi montati a neve. Infine, versate il composto in un o stampo rettangolare e mettete a cuocere in forno per 50 minuti a 180°C. Sfornate, lasciate raffreddate, poi capovolgete il dolce su un piatto da portata. Servite con panna montata a piacere.

COME ARRIVARE

In auto: per chi vuole arrivare direttamente, percorrere la Torino-Savona con uscita Niella-Tanaro, poi seguire le indicazioni per San Michele Mondovì. Dalla rotonda, sulla SS28, procedere verso Torre Mondovì e poi attraversare il ponte seguendo per Pamparato. Poco dopo la frazione di Tetti Casotto deviare per Monasterolo Casotto.

DOVE MANGIARE

*Trattoria da Franca, via Don Gasco 63, Loc. Torre Roatta di Torre Mondovì (CN), tel 0174/329024, www.trattoriadafranca.it. Funghi, castagne, dolci e pasta fresca, cacciagione e ricette piemontesi costituiscono il menù di questo locale a gestione familiare da tre generazioni. Vale la sosta.

*Ristorante Albero Fiorito, via Corsaglia 5, Vicoforte (CN), tel 0174/329023, www.ristorantealberofiorito.it Il menù di piatti piemontese e nazionali varia a seconda della stagionalità dimostrandosi una piacevole scoperta. Anche per vegetariani e per chi soffre di intolleranze.

 DOVE DORMIRE

*Agriturismo La Bottalla, via dei Castagneti 11, loc Scagnello (CN), tel 339/3742454, www.labotalla.it Immerso nella natura e ideale per chi cerca una sistemazione tranquilla, dispone di quattro camere di diversa tipologia, dotate di scrivania, armadio, bagno privato con doccia, asciugacapelli e sapone. Doppia con colazione da € 60. Junior suite da 4 posti da € 75.

*Hotel Ristorante del Peso***, via Nielli 12, San Michele di Mondovì (CN) tel 0174/222048, www.hoteldelpeso.it Struttura di 11 camere grandi e confortevoli con vista sulle Alpi. A disposizione degli ospiti Wi fi gratuito e ristorante con piatti tipici piemontesi. Doppia da € 65. Possibilità di mezza pensione e pensione completa.

INFO

www.comune.monasterolocasotto.cn.it

 




Paolo Meneguz: nei suoi “Ravioli del Plin con Castelmagno e cipolla” si gustano tradizioni ed emozioni delle Langhe

Di Raffaele D’Argenzio

La tradizione delle Langhe si sposa con il tocco da maestro di un giovane chef, Paolo Meneguz, classe 1986, che in ogni piatto armonizza ricette e prodotti del territorio, gusto, creatività ed estetica. Siamo a Monforte d’Alba, in località San Sebastiano, dove nell’antica bottega del maniscalco e fabbro di Monforte e Dogliani, oggi si trova il Ristorante Fré (in dialetto piemontese, fabbro si dice fré), dove è possibile vivere una vera e propria esperienza multisensoriale che coniuga eccellenze del territorio, materie prime di produttori locali a maestria dello chef.

Così, nel menù si possono trovare “Trippa e ceci”, “Tortelli, anguilla ed erbe amare”, ma anche “Tajarin e topinambur”, “Costata, verza e karkadé” o, ancora, “Cinghiale, cicoria e nocciole”, piatti unici, dove il gusto riconosce piacevolmente il sapore della tradizione, ma subito dopo si stupisce per una sfumatura inedita.

Abbiamo incontrato chef Paolo Meneguz e ci siamo fatti svelare una delle sue ricette più famose: i “Ravioli del plin con Castelmagno e cipolle”.

Raccontaci un po’ di te? Dove hai studiato e come sei arrivato nel cuore delle Langhe?

“Sono nato nel 1986 a Torino. Conseguita la maturità scientifica ho scelto di evitare l’università “canonica” per seguire un mio personale percorso di studi che, dopo un breve corso all’ICIF di Costigliole d’Asti, mi ha portato dal sud al nord Italia passando per le cucine di Ciccio Sultano a Ragusa, Nadia Santini a Canneto sull’Oglio e Valeria Piccini a Montemerano. Poi, ho sempre lavorato alla partita dei secondi, per cui direi che su carne e pesce sono avvantaggiato, ma la fortuna di lavorare in brigate piccole mi ha permesso di tenere sempre un occhio su tutte le preparazioni, così da avere le giuste basi per intraprendere l’avventura in cui mi trovo ora”.

I piatti della tradizione sono importanti per te? 

“La tradizione è fondamentale per la mia cucina, racconta quello che siamo ed è scintilla scatenante di ricordi che ci riportano all’infanzia. Gli stessi ricordi che, indelebili, suscitano emozioni quando assaggi un sapore impresso nella memoria. La tradizione deve essere un punto di partenza su cui studiare, da cui partire per innovare e contestualizzare nel presente la mia cucina”.

Sei specializzato in piatti a base di carne, non temi i vegani?

“La carne in Piemonte è elemento fondamentale, d’allevamento e di caccia. Ma lo sono anche le verdure e la frutta che caratterizzano il nostro territorio. Cerco di trovare un senso ad ogni piatto che servo, senza sottostare a dettami, ma lasciando che siano gli ingredienti stessi ad esprimersi, a volte in maniera più vegetale, a volte più carnivora”.

Tu hai girato il mondo, mi dici un posto che bisogna assolutamente visitare e perché?

“Il luogo che porto nel cuore è la Maremma, per come sono stato accolto e per la conoscenza che ho portato con me. Terra dura e forte, come chi la abita; ma, per chi ha la pazienza di insistere, ha molto da offrire”.

Sei giovane, aspetti già la stella Michelin?

“Non nego di aver pensato alla stella negli ultimi mesi, ma la soddisfazione più grande è vedere la mia squadra che porta il sorriso sul volto dei nostri ospiti, con impegno e dedizione ogni giorno. Se poi il macaròn dovesse arrivare non mi tirerei indietro”.

Tra le tue ricette ci sono “i ravioli del Plin con Castelmagno e cipolla”, come nasce questo piatto?

“Il piatto dei plin nasce da un ricordo, un pranzo alla posta di Monforte dove, Mangiando un piatto di plin, mi è arrivato al naso il profumo della cipolla arrosto ripiena di fonduta. Mi piaceva l’idea che due piatti della tradizione potessero fondersi insieme per trarre forza uno dall’altro e così è stato”.

Un’ultima domanda: come mai hai deciso di chiamare il tuo locale Ristorante FRE?

“Con la rinascita del resort tutto ha preso un’aria nuova, più giovane e moderna. Sentivo però la necessità di trovare un legame con la storia delle mura in cui abbiamo deciso di intraprendere questa avventura. Da qui scopro che nella cascina dove adesso c’è Reva e in particolare nella sala del ristorante, operava il maniscalco e fabbro di Monforte e Dogliani, che in dialetto si chiama frè.  Da qui il nome del ristorante, un luogo che guarda al futuro ma con la necessità di riscoprire la tradizione e utilizzare quello come punto di partenza”

Ravioli del Plin con Castelmagno e cipolla

Ingredienti per 4 persone

 Per la pasta

  • 500g farina “0”
  • 12 tuorli
  • 1 uovo intero

Per il ripieno:

  • 100g di Castelmagno d’alpeggio
  • 250g di Raschera
  • 250 g di latte
  • Sale q.b.

Per il fondo di cipolla:

  • 2 kg di cipolle

Lavate le cipolle poi tagliatele in quarti e infornatele a 180° finché non iniziano ad abbrustolirsi. Mettetele poi in una pentola e copritele d’acqua. Fate poi restringere il brodo di cipolle fino a ottenere una salsa dalla consistenza densa e scura. Preparate poi la pasta impastando la farina con le uova fino a ottenere un impasto liscio e omogeneo. Formate una palla e lasciatela riposare in frigorifero per circa un’ora. Passate nel frattempo alla preparazione del ripieno. Tagliate il formaggio Raschera a cubetti, copritelo con il latte e frullatelo dopo averlo riscaldato a 70°. Una volta caldo e omogeneo versateci sopra il Castelmagno precedentemente grattugiato e aggiustate di sale. Lasciate raffreddare e rapprendere. Togliete la pasta dal frigo, tirate una sfoglia sottile e ricavate dei quadretti. Ponete al centro di ognuno un po’ di crema di formaggio e ripiegate la sfoglia per formare i ravioli. In una padella di alluminio scaldate una noce di burro, lasciatelo scaldare finché non raggiunge un colore nocciola, poi stemperate con un po’ d’acqua e con un cucchiaino di fondo di cipolle arrosto. Cuocete i plin in acqua bollente e saltateli delicatamente in padella.

INFO

Ristorante FRE, Loc. San Sebastiano 68, Monforte d’Alba CN, tel +39 0173789269, www.ristorantefre.it




Garessio, la “perla delle Alpi marittime” (1° giorno)

Una vallata che nei mesi estivi splende di un verde smeraldo, cime innevate che svettano da un lato, mentre dall’altro si intravede il turchese del Mar Ligure. Questa settimana vi portiamo a Garessio, che per la sua splendida posizione, a cavallo tra Piemonte e Liguria, si è meritato l’appellativo di “perla delle Alpi marittime”, mentre per la sua storia e le sue bellezze architettoniche e artistiche è annoverato tra i “borghi più belli d’Italia”.

Bello in tutte le stagioni, il borgo, che appartiene alla provincia di Cuneo, vanta due eccellenze: le sue terme, aperte da giugno fino a settembre, che sfruttano le benefiche acque San Bernardo, che sgorga anche dalle fontane. Scarsamente mineralizzata, l’acqua San Bernardo è utile nella cura delle infezioni biliari e renali, per i disturbi dell’apparato genito-urinario e per l’alimentazione dei neonati.

In inverno, invece, può contare sul comprensorio sciistico Garessio 2000, che comprende 30 km di piste per lo sci alpino e lo snowboard, servite da quattro sciovie e una seggiovia biposto dalla portata oraria di 1200 persone.

Il comprensorio dista appena 12 km dal centro del paese e si sviluppa sulla dorsale che separa le valli Casotto e Tanaro. Nelle giornate più limpide, dalla partenza delle piste del Mussiglione, sulla vetta del Monte Berlino, si può ammirare lo splendido panorama del Ponente ligure e lasciare spaziare la vista fino alla Corsica. Insomma, forse è l’unica pista da sci da cui…si vede il mare!

Nel cuore del borgo

Compostezza piemontese e “carattere” ligure si incrociano in questo borgo dal cuore antico, con case di mattoni e di cotto, dove prevale la tonalità del rosso e dove chiese e vestigia medievali ci riportano a un passato che risale all’epoca dei Celti. Si deve proprio a loro il toponimo Tanaro (da Tanaris, nome di una loro divinità) dato al fiume, mentre Garessio deriverebbe da garriguo, cioè “campo coperto di querce”, per la presenza di folti boschi di questi alberi sulla vicina collina di San Costanzo.

Iniziamo quindi la nostra visita al Borgo Maggiore, da dove sono passati Gozzano, Calvino e Guareschi, il cuore medievale. Percorriamo via Cavour in direzione sud, fino ad arrivare alla Porta Rose, una torre antica che oggi ospita una galleria d’arte. Qui, attorno al 1100 si trovavano le mura, le torri di cui rimane ancora qualche traccia. Porta Rose costituiva l’accesso principale a centro abitato ed era difesa da due torri e da un ponte levatoio.

Arriviamo quindi in Piazza Carrara, sulla quale si affacciano alcuni begli edifici medievali, come Casa Odda, che spicca per la facciata in pietra e per le sue finestre gotiche. Dalla parte opposta si trova invece il seicentesco Palazzo Comunale, sormontato da un’imponente torre quadrata con un bell’orologio. Nelle sale del palazzo è ospitata la Pinacoteca Civica, dedicata a Eugenio Colmo, vignettista e caricaturista, noto come Golia, le cui opere sono custodite nel museo insieme ad altre 150 di vari autori ed epoche.

Da qui la strada comincia a salire. Appena sulla destra, si nota la facciata di Casa Averame, mentre sulla sinistra spicca per bellezza la piazzetta di San Giovanni, sulla quale si affaccia la chiesa dedicata al Santo, caratterizzata da un’ampia scalinata e, al suo interno, da diciotto lunette istoriate che “raccontano la vita di San Giovanni”, risalenti alla seconda metà del Seicento.

La piazza, considerata una delle più belle del Piemonte, spicca per la singolare pavimentazione in ciottoli bianchi e neri e per la facciata in trompe.l’oeil di Casa Giugiaro. Riprendiamo ancora via Cavour, superiamo un piccolo slargo fino all’edificio noto come Isola di Caprera, poi svoltiamo a sinistra in via Montegrappa e ci troviamo nel cosiddetto Bricco, un agglomerato di abitazioni raccolte sotto la collina dominata dal castello.  

Questa parte della cittadina è, forse, quella più ricca di storia. Spicca la sede cinquecentesca delle terziarie domenicane, dalla quale parte la discesa di via Relecca, sulla quale si affacciano piccole case in pietra, dove si trasferirono gli abitanti delle frazioni in seguito alla minaccia dei Saraceni, nel X secolo. Arriviamo quindi alla Porta Jhape, unita sul lato sinistro alle mura medievali.

Gli edifici religiosi più antichi

Superata Porta Japhe parte l’antica strada commerciale che collegata il Piemonte alla Liguria. Alla destra del ponte si nota la chiesa di Santa Maria Extra Moenia, la più antica di Garessio, costruita intorno all’anno Mille e rimaneggiata nei secoli. Accanto spicca il campanile del 1448 il stile romanico gotico.

Seguiamo il percorso delle mura fino ad arrivare alla chiesa dedicata a Maria Vergine Assunta, in origine un convento domenicano poi riprogettata nel 1717 dall’architetto Francesco Gallo. Durante le guerre napoleoniche, la chiesa è stata distrutta, poi ricostruita secondo il progetto originario e riconsacrata nel 1878.

Proseguiamo oltre il ponte e arriviamo così in piazza dei Battuti Parvi e da qui costeggiamo il fiume lungo via Fasiani fino a Porta Liazoliorum, detta anche dei Viassolo. Da qui, ritorniamo nella piazza del Comune. Prendendo invece via Cavour dalla parte opposta, in salita, si arriva invece nella parte più antica del Borgo Maggiore, con le sue case medievali e dove, un tempo di concentravano botteghe e mercati. Da qui si accede alla Piazza del Mercato, dove spicca un antico vascone e una fontana. Prendendo sulla sinistra una stradina piuttosto ripida si arrivai invece a quel che resta del Castello dei XII secolo con la sinistra “torre dell’impiccato”.

Prendendo a destra si arriva invece sulla strada provinciale. L’attraversiamo per raggiungere un ponticello e poi la Cappella di San Giacomo, risalente al Seicento. Andando ancora oltre, dopo un gruppo di case a ridosso del Rio San Giacomo, sulla sinistra si innalza la Torre Clocharium, di origine medievale.

Si conclude qui il primo giorno del nostro itinerario nel cuore medievale di Garessio. Domani passeremo dalla Reggia di Valcasotto, dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, per poi visitare Monasterolo Casotto Prima, però, non ci facciamo mancare una cena a base dei sapori tipici.

Garessio in tavola

Le castagne “garessine, i funghi, i porri e le patate sono gli ingredienti dei piatti autunnali che abbondano sulle tavole di trattorie e ristoranti. I dolci, invece, sono soprattutto a base di cacao e delle celebri nocciole del Piemonte. Ottime anche le frittelle di mele, che qui si chiamano friscioi.

Ma a fare la parte del leone è la polenta, quella di ceci si chiama panissa, mentre il piatto principe di Garesso è sicuramente la polenta saracena, fatta con farina di grano saraceno e servita con un gustoso sugo a base di porri. Provate a farla anche voi con la nostra ricetta.

Polenta Saracena con salsa di porri e funghi

Ingredienti per la salsa

  • 500 gr di porri
  • 200 gr di porcini freschi o 20 gr di funghi secchi
  • 500 ml di latte
  • 500 ml di panna
  • 30 gr di farina
  • 40 gr di burro
  • 40 ml di olio extravergine di oliva

Per la polenta saracena

  • 1 kg di patate
  • 175 gr di grano saraceno
  • 175 gr di farina gialla
  • 40 gr di burro
  • 3 l di acqua
  • Sale q.b
  • Parmigiano grattugiato q.b.

Lavate e sbucciate le patate, poi tagliatele a pezzi e mettetele a bollire in un paiolo con l’acqua e portate a cottura. Unite poi le farine e il burro e fate cuocere a fuoco lento, mescolando spesso, per circa 45 minuti. Aggiustate di sale. Quando la polenta saracena sarà pronta sarà liscia e omogenea e si staccherà facilmente dal paiolo. Passate poi alla preparazione della salsa. Lavate e affettate il porro e i funghi. Mettete a soffriggere in un filo di olio il porro, poi unite i funghi e continuate la cottura per qualche minuto. Aggiungete poi la farina, poi il latte e la panna. Aggiustate di sale e continuate la cottura fino a ottenere una salsa cremosa. Servite la polenta a fette con la salsa colata e una spolverata di Parmigiano Reggiano grattugiato.

COME ARRIVARE

In auto: A5 Torino-Savona con uscita Ceva. Prendere poi la SS28 in direzione Bagnasco-Garassio, poi la SP178 in direzione Garessio -Colle Casotto.

DOVE MANGIARE

*Ristorante Pizzeria “Il Farinello”, via Marro 15, Garessio, tel 0174/81365, locale tradizionale che offre piatti della cucina piemontese e pizza cotta nel forno a legna. Si possono gustare anche piatti a base di pesce, carne alla brace, oltre a polenta saracena e bagnacauda.

*Ristorante “La selva oscura”, Fraz. Trappa, via Naizonale 11, tel 0174/89254, a poca distanza dal centro abitato, offre piatti della cucina piemontese, dolci fatti in casa tra cui zabaione al Moscato, primi e secondi a base di funghi.

DOVE DORMIRE

*B&B Route 28, viale Marro 2, Garessio (CN), tel 331/789375, www.route28.it . In posizione centralissimo, la struttura è ampia e luminosa, con camere su due pieni e circondata da un grande giardino.

*B&B Vecchio Convento, Fraz. Mindino 4. Garessio (CN), tel 333/5352911, www.antico-convento.it Splendida struttura a 1000 metri di quota, a pochi chilometri dal centro abitato. Ricavato da un antico edificio in pietra, mette a disposizione degli ospiti un chiostro, una veranda panoramica con vista sulle Alpi e due camere con bagno indipendente. Doppia con colazione da € 60.

info: www.comune.garessio.cn.it




La nipitiddata, il dolce messinese dell’Immacolata

È un dolce goloso, a base di pasta frolla che svela un ricco ripieno di fichi, mandorle, noci, spezie, canditi, marmellata e un tocco di cioccolato. Tipica della provincia di Messina, la nipitiddata ha una tradizione antichissima, che si perde nella notte dei tempi, risalente, secondi alcune fonti, alle dominazioni romane e greche. Come tutti i dolci tipici di un territorio, ne esistono diverse varianti, a seconda della tradizione familiare, tramandata da madre in figlia.

Nel messinese la nipitiddata è il dolce che si prepara in occasione della festa dell’Immacolata, l’8 dicembre, e quello che inaugura la tradizione natalizia di dolci sempre più ricchi e squisiti. Come accade per molti dolci della tradizione siciliana, non a caso anche questi dolcetti racchiudono una simbologia religiosa. Si dice infatti che questi dolci ripieni siano un simbolo della maternità di Maria, poiché si schiudono durante la cottura rivelando il ricco ripieno, segno beneaugurante che preannuncia la nascita del Bambino Gesù.

Per legare ancora di più il dolce al territorio, spesso la nipitiddata viene preparata con le noci di Motta Camastra, un borgo della provincia di Messina. L’unicità di queste noci, le loro caratteristiche e il legame con il territorio di produzione, nonché il legame con la tradizione agroalimentare messinese ne ha decretato l’inserimento nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) redatto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.

Le noci di Motta Camastra, di grande pezzatura (possono superare i 40 mm di diametro!) sono particolarmente ricche di polifenoli e selenio. Per godere al meglio delle loro proprietà nutritive è meglio consumarle fresche. Essiccate, invece, sono utilizzate per le prelibate ricette locali, tra cui il pollo ripieno, la torta alle noci e, appunto la nipitiddata.

Se nel weekend dell’Immacolata passate da Messina, quindi, non dimenticate di assaggiarla. Oppure, potete provare a prepararla anche voi con la nostra ricetta.

Nipitiddata

 Ingredienti per la sfoglia

  • 500 gr di farina
  • 250 gr di burro
  • 150 gr di zucchero
  • 4 uova
  • 1 pizzico di sale
  • Latte q.b.

Ingredienti per il ripieno

  • 1 uovo
  • 350 gr di fichi secchi tritati
  • 150 gr di gherigli di noci a pezzetti
  • 50 gr di cioccolato fondente a scagliette
  • 200 gr di mandorle tostate tritate
  • 100 gr di uva passa
  • 1 pizzico di cannella + 1 chiudo di garofano (anche in polvere)
  • 250 gr di marmellata di albicocche
  • 1 cucchiaino di scorza di arancia grattugiata
  • Zucchero a velo

Preparate la frolla disponendo la farina a fontana su una spianatoia. Cospargete tutto intorno lo zucchero, mentre al centro ponete il burro tagliato a pezzetti e un pizzico di sale. Lavorate gli ingredienti con le dita, fino a ottenere un impasto grossolano, “a briciole”. Riformate poi la fontana e mettete al centro le uova. Impastate velocemente regolando la consistenza con qualche cucchiaio di latte. Fate bene attenzione a non scaldare l’impasto o la pasta risulterà poco friabile. Dopo aver ottenuto un panetto omogeneo, avvolgetelo in una pellicola trasparente e mettetelo a riposare in frigorifero per 30 minuti. Una volta trascorsi, infarinate la spianatoia o il piano di lavoro e tirate la sfoglia con un mattarello. Poi ricavatene dei dischetti di circa 12 cm di diametro.

Passate poi alla preparazione del ripieno. Tritate le noci, le mandorle, i fichi secchi e l’uva passa, riducete il cioccolato a scaglie, unite anche la cannella, il chiodo di garofano, la scorza d’arancia tritata, l’uovo e la marmellata di albicocche. Mescolate il tutto con un cucchiaio di legno.

Disponete con un cucchiaio un po’ di impasto al centro di ogni dischetto di pasta e ripiegate i margini come un fagottino. Preriscaldate il forno a 150°C e infornate per circa 40 minuti. Durante la cottura le nipitiddate si apriranno “svelando” il ripieno. Sfornate, lasciate raffreddate e servite con una spolverata di zucchero a velo.

 




CHEF IGOR JAGODIC: UNA RICETTA REGALE DAL CASTELLO DI LUBIANA

Il maestoso Castello di Lubiana ospita uno dei ristoranti più rinomati della città: Strelec.
Vista mozzafiato, servizio impeccabile, menù regale e una delle migliori esperienze culinarie che si potranno provare in tutta la Slovenia, grazie al talento di Igor Jagodic, premiato come Chef dell’Anno, vincitore della selezione ufficiale dei Ristoranti Regionali e considerato un vero punto di riferimento nella cucina slovena.

Chi ti ha convinto a diventare uno chef?
Volevo diventare uno chef fin da piccolo.
Dove trovi l’ispirazione per creare un piatto?
Prendo ispirazione in modi diversi, a volte nella natura, nei mercati, nei viaggi.
C’è un cibo che ami solo se cucinato da un altro?
Forse certi stufati tradizionali. Non sono nel mio menù e a casa spesso manca il tempo. Per fortuna li trovo in qualche piccolo ristorante tradizionale.
Quanto è rilevante la cucina tradizionale slovena nei tuoi piatti?
Il ristorante Strelec era originariamente un ristorante dove venivano preparati solo i piatti tradizionali del territorio. Dopo il mio arrivo il menù offre piatti nuovi ma sempre in rispetto con i prodotti dell’ambiente e qua e là qualche piatto tipico di Lubiana, rivisitato da tecniche moderne.
Come la ricetta che ti darò.
Parliamo di viaggi?
Mi piace viaggiare tutto l’anno, per fuggire un po’ dalla vita di tutti i giorni. Viaggiare stimola nuove energie e nuove idee. Una destinazione che ho in mente è Tokyo .
Dove ti piace trascorrere i tuoi weekend liberi?
In inverno mi piace andare a sciare con la mia famiglia, negli altri mesi esploro nuovi paesaggi e città. Purtroppo i weekend liberi sono sempre più rari.
Apri il cassetto e raccontaci il tuo sogno.
Un mio piccolo ristorante nel centro della città!

TARTARE DI VITELLO, CARCIOFO DI GERUSALEMME, FEGATO D’OCA AFFUMICATO, NOCCIOLE, SCALOGNO IN ACETO INVECCHIATO

INGREDIENTI

Per la tartare
50 g di filetto di vitello pulito
Sale pepe
Olio d’oliva
Riduzione di vino rosso.
Macinare finemente
Per il condimento (10 os.):
27 g di aceto di champagne
10 g di mostarda di Digione
100 g di olio di nocciole
Sale, pepe bianco
Tagliare a brunoise la metà dello scalogno
Mescolare tutti gli ingredienti in un mixer, eccetto per lo scalogno che verrà aggiunto prima di servire.
Per la maionese con olio di nocciola
Preparare la maionese con tuorli d’uovo pastorizzati, sale, pepe, senape, limone e olio di nocciole.
Per ottenere l’olio di timo
200 g di timo fresco in foglie
500 g di olio (spremuto a freddo o di girasole )
Mescolare in un Bimby. il timo, olio e un pizzico di sale. 7 minuti a 70 ° C
Per il carciofo di Gerusalemme in salamoia
Affettare il carciofo con un mandolino da cucina, ritagliare i pezzi rotondi, metterli in un contenitore di vetro, versare sopra il liquido bollente per il decapaggio, chiuderlo bene e lasciarlo per tutta una notte e un giorno.
Per il liquido per il decapaggio:
200 g di aceto alcolico
350 g di aceto di mele
450 g di zucchero
1500 g di acqua
Cucchiaio di cumino
Cucchiaio di pepe bianco
Cucchiaio di granella di pepe nero
Cucchiaio di semi di coriandolo
½ stella di anice
3 scalogni
Timo
Dragoncello
Bollire tutto, coprire con un foglio di PVC e lasciate riposare per un’ora, filtrare finemente.
Per il fegato d’oca affumicato
Lasciare riposare Il fegato per tutta una notte viene lasciato a in soluzione salina al 4%,.
Viene asciugato al mattino e messo ad affumicare a 60 ° C.
Tagliarlo quando si è raffreddato.
Decorare con chips di carciofo di Gerusalemme e nocciole tostate sbriciolate.

INFO
Ristorante Strelec
Grajska planota 1, 1000
Ljubljana, Slovenia




Passate da Roma a Natale? Provate il Pangiallo

Pandoro e panettone sono i classici dolci delle feste natalizie. Ma a Roma, soprattutto nella zona dei Castelli Romani, c’è una tradizione che ancora resiste…dai tempi dell’Impero romano. È quelle del Pangiallo, o “Pangiallo romano” per qualificarne la provenienza, un dolce a base di frutta secca e canditi, caratterizzato dal colore giallo della copertura.

Alcune pasticcerie la vendono ancora in occasione delle feste natalizie, ma la tradizione più autentica vuole che lo si prepari in casa, in più esemplari, e lo si doni ai propri cari, o agli amici, come simbolo di buon auspicio.

Un dolce di duemila anni fa…

Le fonti a nostra disposizione raccontano che l’imperatore romano Aureliano istituì, ogni 25 dicembre, periodo del solstizio d’inverno, la festa del Dies natalis solis invicti per celebrare la rinascita del nuovo sole. Uno dei simboli culinari della festa era appunto una pagnotta dolce, preparata con farina, frutta secca, miele e cedro candito, che veniva preparato e donato come simbolo di buona sorte. La forma tondeggiante e il colore giallo richiamava infatti il disco del sole

Tracce della ricetta originale del Pangiallo si trovano nel De re coquinaria di Apicio, cuoco della Roma antica paragonabile ai nostri chef. Nel ricettario si legge: “mescola nel miele pepato del vino puro, uva passita e ruta. Unisci poi a questi ingredienti pinoli, noci e farina d’orzo”.

Si sa invece che, nel corso dei secoli, e soprattutto in periodi di carestia o povertà, per non venire meno alla tradizione, le contadine del Lazio sostituivano la costosa frutta secca con i noccioli della frutta, fatti opportunamente essiccare. Questo era anche un modo per risalire al ceto sociale di chi aveva preparato il pangiallo.

Il segreto del colore giallo e le varianti

La caratteristica fondamentale del Pangiallo è appunto il colore dello strato superficiale, che richiama quello del sole. Per ottenerlo, ci sono versioni e varianti differenti. Alcuni sostengono che basta aggiungere spezie colorate all’impasto. Queste, a contatto con il colore del forno, conferirebbero al dolce il tipico colore ambrato.

Altri ancora, per assicurarsi il colore giallo, aggiungono dello zafferano, mentre un’altra corrente di pensiero sostengono che per un giallo più intenso occorra ricoprire il dolce con una pastella a base di rosso d’uovo, prima della cottura.

Di sicuro, nel corso dei secoli si sono sviluppate diverse varianti, alcune con il cioccolato, altre con la ricotta. Nel resto del Lazio, per esempio, spicca la versione del Pangiallo Viterbese, che per contaminazione con in Panpepato di origine umbra, inserisce il pepe tra gli ingredienti. Noi, di seguito, vi suggeriamo la versione più golosa con il cioccolato

Pangiallo

Ingredienti

  • 200 gr di mandorle pelate
  • 200 gr di noci
  • 200 gr di nocciole
  • 100 gr di pinoli
  • 100 gr di canditi
  • 300 gr di uva passa
  • 200 gr di farina
  • 200 gr di miele
  • 150 gr di cioccolato fondente
  • Buccia di 1 arancia + buccia di 1 limone grattugiata

Per la glassa

  • 2 cucchiai di farina
  • 1 cucchiai di olio di semi
  • 1 bustina di zafferano
  • Acqua q.b.

In un pentolino mettete a scaldare il miele finché non sarà diventato liquido. Unitevi poi la buccia del limone e dell’arancio grattugiati. Nel frattempo, mettete a bagno l’uva passa per circa 30 minuti. Tritate grossolanamente la frutta secca e unitela ai canditi, all’uva passa scolata e strizzata e al cioccolato fondente tritato a scaglie. Colatevi anche il miele e mescolate. Poi aggiungete a poco a poco anche la farina, mescolando fino a ottenere un impasto compatto e omogeneo. Ricavate poi quattro panetti rotondi e metteteli a riposare per circa 2 ore su una placca da forno. Preparate la glassa mettendo in un pentolino la farina, l’olio e lo zafferano sciolto in un po’ d’acqua. Aggiungete altra acqua fino a ottenere una pastella fluida. Spennellate i panetti in superficie con la pastella ottenuta. Infornate a 180°C per circa 40 minuti, fino a quando si sarà formata una crosticina. Sfornate, lasciate raffreddare e servite.




CHANTELLE NICHOLSON: UN GIARDINO, UN RISTORANTE E UN LIBRO PER VIVERE MEGLIO.

Testo e foto di Cesare Zucca

Dai giardini della Nuova Zelanda alla trendy Seven Dials di Londra.
Incontro con Chantelle Nicholson, la Patron Chef di Tredwells.

Da dove viene la tua passione per il cibo?
È tutto merito dell’amore del mio giardino neozelandese ricco di erbe e verdure e delle mie due zie che erano grandi cuoche Probabilmente fin da quella tenera età volevo fare la chef, ma… sono andata all’università per diventare un avvocato.
Hai dimenticato la tua passione culinaria?
Non proprio, mentre studiavo, ho trovato lavoro in un ristorante. Mi svegliavo alle 6 per preparare muffin, poi davo una mano in cucina. C’era un bel giardino, passavo lì i miei momenti liberi, ero affascinata dalle crescita, la stagionalità e dall’ecosistema delle piante.
Cosa è successo dell’avvocato?
Ho preso la laurea, ma l’incanto della cucina era sempre nella mia testa. Ho partecipato al concorso Chef Search, gestito da Gordon Ramsay e mi è stato offerto di lavorare al Savoy, a Londra. Oggi sono nel cuore di Seven Dials, una zona popolata da fantastici ristoranti e sono orgogliosa di essere Patron Chef di Tredwells, creato dal genio di Marcus Wareing.
Quale sarebbe la destinazione dei tuoi sogni?
Ho sempre desiderato andare in Vietnam, principalmente per il cibo in quanto è una delle mie cucine preferite. Adoro i suoi freschi sapori.
Quale posto ti piacerebbe visitare che non hai ancora visitato?
Giappone, di nuovo, per il cibo!
Dove ami viaggiare?
Adoro l’Italia (stessa ragione: il cibo!) dove i prodotti estivi sono incredibili, formaggi meravigliosi, vino ma soprattutto ‘quei’ pomodori con ‘quel’ sapore di pomodoro…
Quando sei libera, dove ti piace passare il weekend?
Non sono spesso a casa, quindi è sempre un piacere restarci per tutto un fine settimana. In terrazza d’estate e accanto al camino in inverno.
Se ti identificassi in uno dei tuoi piatti d’autore, quale sarebbe?
Dal caramello salato al piatto con uovo di gallina cotto lentamente, funghi saltati, pancetta alsaziana quindi coperto di mousse olandese e servito con ‘soldatini’ di brioche tostata da inzuppare.
Quale destinazione ti ispira di più la tua cucina?
Ogni destinazione mi da degli spunti. New York in testa, forse perché è stata la città in cui ho trascorso più tempo.
Mi parli del tuo libro ‘Planted’ pubblicato da Kyle Books?
Racconta piatti gustosi, realizzati senza prodotti di origine animale. Tante ricette per una cucina a base di vegetali che esalta prodotti, stagionalità e cibo saporito.
Cosa non ti fai mai mancare?
Una bottiglia di Chardonnay della Nuova Zelanda, tante verdure e lenticchie tutto l’anno.
Sono ottime in insalate, zuppe e come contorno per qualsiasi piatto.
Qualche lenticchia speciale?
Le Puy, coltivatate nell’Alta Loira in Francia. Hanno un rivestimento molto sottile, una mandorla meno farinosa rispetto alle normali lenticchie verdi e un tempo di cottura più breve. Adoro condirle con salsa zhoug.
Salsa zhoug?
E’ un condimento nato nello Yemen ed è un po’ la risposta medio-orientle al pesto mediterraneo. Gustosissimo, l’ho usato anche in questa ricetta, tratta dal mio libro.

CARCIOFI DI GERUSALEMME, ARROSTO E CARAMELLATO, LENTICCHIE PUY
CON SALSA ZHOUG E PRUGNE SPEZIATE


Ingredienti per 4 persone.

1,5 kg di carciofo a scaglie
1/4 mazzetto di timo
50 g di burro non caseario
250 ml di latte ‘non diary’ cioe’ senza latte e derivati.
Sale marino e pepe nero appena macinato
Lenticchie Puy 280 (se non trovayte le Puy, potete usare delle normali lenticchie verdi)
2 foglie di alloro
1 spicchio d’aglio
1/4 mazzetto di timo
2 cucchiai di olio d’oliva
1/4 mazzo di prezzemolo finemente tritato
80 g di prugne snocciolate, tritate grossolanamente
1/2 cucchiaino di cannella in polvere
1/2 noce moscata, finemente grattugiata
1/2 cucchiaino di spezie miste.

Per la salsa zhoug
1 mazzetto di coriandol
1/2 mazzetto di prezzemolo a foglie piatte
1 peperoncino verde, disseccato e tagliato a dadini
1/2 cucchiaino di semi di cumino, tostato e tritato finemente
1 baccello di cardamomo, tritato finemente
2 chodi di garofano finemente tritati
1/2 cucchiaino di agave
2 spicchi d’aglio sbucciati e pressati finemente
50 ml di olio d’oliva
1/2 cucchiaino di sale da tavola
Mettere tutti gli ingredienti in un frullatore con 2 cucchiai d’acqua. Frullare fino a formare una pasta spessa.

Preparazione
Preriscaldare il forno a 180 ℃.
Disporre i carciofi in una teglia con il burro, il timo e condire con sale. Mettere in forno per 20-25
minuti fino a ottenere un colore dorato intenso e croccante.ruorali ogni 10 minuti per uniformare il colore. Rimuovere metà dei carciofi e mescolare con il latte, per formare una crema densa. Condire a piacere. Per le lenticchie, sciacquare bene sotto l’acqua fredda. Mettere in una padella con 1 litro d’acqua, foglie di alloro, aglio e timo. Condire bene e portare a ebollizione. Far bollire per 20-30 minuti fino a cottura ultimata. Scolare, scartando le erbe e l’aglio, quindi mescolare con l’olio d’oliva, sale, pepe e prezzemolo.Per le prugne, metterle in una casseruola media con le spezie e coprire con acqua calda. Portare a ebollizione per 10 minuti quindi immergerle in un frullatore, o utilizzare un frullatore a bastoncino, per creare una pasta spessa. Insaporire di sale. Per servire, dividere la purè in 4 ciotole. Aggiungere le lenticchi e i carciofi tagliati spicchi. Condire con zhoug e prezzemolo.

INFO
Tredwells
https://www.tredwells.com/
4A Upper St Martin’s Lane
London WC2H 9NY
Tel
+44 (0)20 3764 0840
Seven Dials
https://www.sevendials.co.uk/




Da Fumone ad Anagni, la città dello “schiaffo” (2° giorno)

Dopo aver visitato Fumone e il suo “castello dei misteri”, nella seconda giornata del nostro itinerario ci spostiamo ad Anagni, anch’essa legata indissolubilmente alle vicende terrene di un altro pontefice, quel Bonifacio VII, al secolo Benedetto Caetani (1235-1303), che Dante Alighieri, nel suo Inferno, mise nel girone dei Simoniaci, per il suo sfacciato sostegno alla teocrazia e al nepotismo.

Bonifacio VIII, storia e leggenda dello “schiaffo”

Proprio ad Anagni avvenne l’episodio dello “schiaffo”, atto conclusivo dei dissidi tra Bonifacio e il re di Francia Filippo IV “Il Bello” che vedevano al centro della disputa la supremazia del potere spirituale sul quello temporale. L’8 settembre 1303, il Papa si trovava ad Anagni dove aveva intenzione di emettere la bolla Super Petri Solio con lo scopo di scomunicare il re di Francia. Qualcosa, però, dovette giungere all’orecchio del sovrano d’Oltralpe, perché inviò in Italia il fido Guglielmo di Nogaret, che si alleò con Giacomo “Sciarra” Colonna e insieme marciarono su Anagni.

Con la complicità dei cittadini, entrarono facilmente in città e imprigionarono il Papa nell’episcopio annesso alla Cattedrale, (oggi non più esistente) e lo sottoposero ad angherie e privazioni per costringerlo a ritirate la bolla con la scomunica e, secondo alcune fonti, anche ad abdicare e seguirli a Parigi. In questo senso, lo “schiaffo” viene considerato più un’umiliazione morale, ma si dice che il pontefice venne effettivamente colpito al viso da Sciarra Colonna. Fatto sta che Nogaret e lo stesso Colonna non erano d’accordo sulla sorte da riservare al Pontefice, ed egli, dopo due giorni, venne liberato dagli stessi agnanini, di cui era concittadino. Poté così fare ritorno a Roma.

Passeggiando nella “città dei Papi”: i palazzi

Anagni dista da Fumone circa una ventina di chilometri. La raggiungiamo percorrendo per un tratto la SP24 e deviamo poi sulla SR6 Casilina. Adagiata su una collina che domina la Valle del Sacco, la “città dei Papi” spicca per i suoi tesori artistici, tutti risalenti all’epoca d’oro, dal XII al XIV secolo

Non possiamo che cominciare la nostra visita dal Palazzo dei Papi, o Palazzo di Bonifacio VIII. Costruito nel XIII secolo in stile gotico, appartenni prima a una famiglia di Conti. Interventi successivo abbellirono la facciata con bifore e costruirono un portico con volte a tutto sesto.

Le sale interne sono allestite in maniera sobria e valorizzano gli splendidi affreschi duecenteschi, tra i quali spicca quello che dà il nome alla Sala dei Colombi. Il celebre episodio dello “Schiaffo” o dell’”Oltraggio”, avvenne invece nella Sala delle Scacchiere.

Splendido anche il Palazzo Comunale, costruito nel 1160 su progetto di Jacopo d’Iseo e arricchito successivamente con elementi gotici. Spicca la Sala della Ragione, dove si riunivano i rappresentanti dei cittadini. Da qui, attraverso un porticato, si arriva nella Piazza Comunale, dove in passato si teneva il mercato e dove veniva amministrata la giustizia. È stata invece aggiunta nel XV secolo la bella Loggetta del Banditore, che arricchisce la facciata con i suoi stemmi nobiliari.

Gli edifici religiosi da visitare

Nella meravigliosa Piazza Innocenzo III svetta la Cattedrale di Santa Maria, capolavoro dell’architettura romanico-gotica. Le sue imponenti absidi dominano lo slargo della piazza, mentre la struttura esterna, con la Loggia di Bonifacio Benedicente, aggiunta nel Trecento, viene utilizzata come scenografia “naturale” durante il prestigioso Festival del Teatro Medievale e Rinascimentale.

A pochi metri dalla facciata in stile romanico campano, svetta il campanile, decorato con bifore e trifore, tra i simboli della città. Entriamo quindi all’interno della cattedrale e ammiriamo le volte gotiche, il ciborio romanico e, soprattutto, la Cripta di San Magno, definita “La Cappella Sistina del duecento” per i suoi meravigliosi affreschi del XIII secolo, e di autori rimasto ignoto, che raffigurano passi della Bibbia.

Usciamo dalla chiesa per visitare, poco distante l’Oratorio di San Tommaso Beckett, costruito su un tempio dedicato al culto di Mitra, e il Museo del Tesoro, che conserva un reliquiario di San Tommaso oltre a oggetti religiosi e di culto di vari secoli.

Se avete tempo, valgono una visita anche la Chiesa di Sant’Andrea, che custodisce il trittico del Santo Salvatore del XIII secolo, la chiesa di Santa Balbina e Sant’Agostino, entrambe del Duecento e successivamente rimaneggiate, e la Chiesa di San Pietro in Vineis, con i suoi affreschi di ispirazione francescana, che sorge appena fuori dal centro abitato.

Infine, l’edificio più singolare, e per questo meritevole di una visita, è la Casa Barnekow, che prende il nome del nobile svedese Alberto Barnekow, che nell’Ottocento acquistò questo edificio rinascimentale e lo abbellì con affreschi ed epigrafi mistici ed esoterici.

La cucina ciociara

Naturalmente, non possiamo lasciare Anagni prima di avere assaggiato qualche corposo piatto della cucina ciociara, caratterizzata da una semplicità e genuinità che arriva dalla tradizione contadina. Tra i primi piatti da assaggiare ci sono i fini fini, una sfoglia sottile di farina e uova, le cui origini risalgono al Cinquecento. È una delle ricette più antiche del Lazio meridionale e si accompagna con il “ragù ciociaro” a base di pollo, aglio e prezzemolo e con una spolverata di pecorino, o con un sugo semplice di pomodoro e basilico.

Molto amate e diffuse anche le zuppe, a base di fagioli, ceci, fave, lenticchie, tra cui il pane sott, di cui ieri vi abbiamo svelato la ricetta.  Da provare anche gli strozzapreti, mentre tra i secondi consigliamo le coppiette ciociare, strisce di coscia di suino insaporite con sale e spezie.

Tra i prodotti tipici da gustare e portare a casa a ricordo del viaggio, c’è il prosciutto di Guarcino e i deliziosi formaggi, come la mozzarella di bufala, il pecorino, la marzolina, il conciato e il caciocavallo. Ottimo anche l’Olio di Oliva ciociaro, in attesa della DOP, e il Pane di Veroli IGP, a lievitazione naturale e cotto nel forno a legna.

COME ARRIVARE

In auto: A1 Roma-Napoli, uscire al casello Anagni-Fiuggi. Subito dopo il casello svoltare a destra e prendere la SS155r “Articolana” in direzione di Fiuggi. Dopo circa 3 km svoltare all’incrocio per Anagni centro.

DOVE MANGIARE

*Ristorante Lo Schiaffo, Piazza Bonifacio VIII 5, Anagni, tel 0775/739148, in una suggestiva atmosfera medievale, questo locale con 60 coperti offre una cucina tipica e innovativa al tempo stesso, con piatti della tradizione ciociara, anche rivisitati. Ottima scelta di vini.

*Ristorante del Gallo, Strada Vittorio Emanuele 164, Anagni, tel 392/1406105, www.ristorantedelgallo.it . Il più antico ristorante di Anagni con insegna storica e una tradizione che risale al 1700. Offre piatti della cucina anagnina e ciociara, tra cui il Timballo alla Bonifacio, carbonara, piatti di carne e dolci casalinghi. Pane cotto nel forno a legna e vino prodotto nei poderi locali.

DOVE DORMIRE

*Hotel Città dei Papi***, via Articolana km 300, Anagni, tel 0775/772300, www.cittadeipapi.it A poca distanza dal centro e dal casello dell’autostrada, offre camere luminose, con bagno privato e wi fi gratuito. A disposizione anche un ristorante. Doppia da € 85.

*Hotel Le Rose***, via Articolana km 0,300, Anagni, www.albergolerose.it Albergo con ristorante e bar interno con possibilità di fare colazione a qualsiasi ora, a soli 300 metri dal casello. Camere ampie e luminose. Doppia da € 60, tripla da € 80.

INFO

www.comune.anagni.fr.it

www.ciociariaturismo.it/