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Etiopia sconosciuta, tra i deserti e i vulcani della Dancalia (2° parte)

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Di Paolo Pobbiati

Nella seconda parte del mio viaggio in Etiopia, mi avventuro alla scoperta della Dancalia. Si tratta della regione che separa l’altopiano etiopico dal Mar Rosso e dal Golfo di Aden, la sua parte costiera della quale è in territorio eritreo. La depressione dancala è la parte più settentrionale del rift africano, la spaccatura nella crosta terrestre in continua apertura che da qui a qualche milione di anni probabilmente causerà il distacco dell’Africa Orientale dal resto del continente con la formazione di un nuovo continente e nel suo punto più basso tocca i 155 metri sotto il livello del mare.

Questo comporta sostanzialmente due cose: si tratta di una regione terribilmente calda e secca, che in estate raggiunge temperature di oltre 50° ed è considerata una delle zone più inospitali al mondo, ed è caratterizzata da una intensa attività vulcanica e geologica.

A dispetto delle sue condizioni ambientali non è disabitata: ci vivono gli Afar, una popolazione seminomade di religione musulmana rude come la terra che abitano e tradizionalmente piuttosto bellicosa: vivono di pastorizia, dell’estrazione e del commercio del sale, e imponendo dazi e balzelli a chi attraversa la regione.

Chi legge avrà già immaginato quanto avventurarsi in questa regione necessiti di una organizzazione del viaggio assolutamente adeguata e professionale e di uno spiccato spirito di adattamento. In realtà la realizzazione della strada costruita dai cinesi che collega la Dancalia con Makallé nel nord del paese sta rendendo tutto molto più accessibile, oltre a contribuire drenare risorse – soprattutto idriche – a favore di installazioni industriali e minerarie, con immaginabili danni per l’ecosistema e per le popolazioni locali.

Anche se vi è già stato un progressivo aumento dei viaggi in questa zona negli ultimi anni, luoghi che ora necessitano di diversi giorni di spostamenti diventeranno destinazioni da escursioni in giornata e probabilmente molte delle sue bellezze naturali non saranno in grado di reggere l’impatto con flussi di turisti che sino ad ora sono limitati a poche centinaia di persone all’anno. E mondi che ruotano attorno alle carovane di dromedari che trasportano il sale sull’altopiano verranno spazzati via da un più veloce e funzionale flusso di camion. Ma per il momento il fascino di questi luoghi è ancora grande. E io così proverò a descrivervelo.

In avvicinamento: l’Awash e Asayta

Il percorso da Addis Abeba alla regione dancala ci porta a passare nel Parco di Awash, con la sua savana già molto secca, popolata da tantissimi uccelli, come marabù, pellicani, ibis, struzzi, avvoltoi e aquile abissine, da facoceri e da diverse specie di gazzelle e di scimmie, fra cui i babbuini gelada. Ma nulla può competere in bellezza e maestosità con gli orici, delle eleganti antilopi dal manto beige bordato di nero e bianco e dalle splendide corna lunghe e ricurve. Arriviamo alle cascate del fiume Awash, l’ultima acqua che vedremo per diversi giorni.

L’ultimo centro abitato che attraversiamo è Asayta, antica capitale del Sultanato di Aussa, nel cui mercato del mattino arrivano gli Afar dal deserto circostante a vendere e comprare capre e dromedari e a rifornirsi di tutto ciò di cui necessitano per la loro spartana ed essenziale esistenza: suppellettili per la cucina, macine per i cereali o bricchi per il caffè, oltre a frutta e verdura, introvabili altrove.

Una straordinaria umanità sospesa in una dimensione dove il tempo della modernità fatica a entrare. Le donne sono per lo più velate ma indossano vestiti dai colori sgargianti; gli uomini sfoggiano capigliature ricce e irsute e, come da qui in avanti ci abitueremo seppure con un certo disagio a vedere, girano quasi tutti armati di fucile.

Le saline dal lago Afrera

Il lago Afrera – conosciuto anche come lago Giulietti, dal nome dell’esploratore italiano che fu il primo europeo ad arrivare qui, dove fu poi ucciso – rappresenta la prima tappa della Dancalia vera e propria ed è anche posizionato in uno dei suoi punti più bassi. Riceve l’acqua da decine di torrenti e fiumiciattoli e il suo bacino è spesso interessato da movimenti del fondale che ne modificano la profondità e la forma. Non avendo emissari l’acqua ne esce solamente per evaporazione lasciando sulle sue sponde tonnellate di sale, in realtà non adatto all’alimentazione perché le sue acque contengono acido solforico.

Ciò nonostante vi abitano alcune specie di pesci. Il sale, che comunque viene utilizzato per usi industriali, viene raccolto in grandi bacini formando delle piramidi bianchissime, che verranno successivamente pressate in lastre adatte per il trasporto. Lo spettacolo che osservo dalla mia tenda del sale illuminato dalla luna piena è impagabile.

Da questo punto in avanti saremo sempre accompagnati da “guardie del corpo” forniteci, ovviamente a pagamento, dai clan Afar che controllano le zone che via via attraverseremo. Ci accompagneranno tutti fino alla fine viaggio, quando ne avremo sei, tutti armati, e appartenenti a clan spesso rivali.

Il percorso prosegue in un’ampia pianura circondata da colline brulle. Nelle zone meno aride la rada vegetazione serve a rifocillare i dromedari che periodicamente vengono lasciati in questa zona al pascolo libero soprattutto nella stagione delle nascite dei piccoli, in modo da consentire alle madri di nutrirsi adeguatamente per allattarli nelle prime settimane di vita.

Ci imbattiamo più volte in piccole carovane di uno o due gruppi famigliari, con i loro animali e i pochi averi racchiusi in qualche gerla, inclusa la legna che servirà loro per edificare le loro capanne. Sono pastori che seguono, come fanno da secoli, le loro bestie nella transumanza che una regione così povera di risorse obbliga da sempre a fare.

L’Erta Ale, salita al cratere

Ci fermiamo a metà pomeriggio dove le nostre macchine proprio non possono proseguire. Le guide noleggiano da alcuni pastori un dromedario che servirà per il carico, soprattutto per l’acqua, e ingaggiano per l’occasione altre guardie armate, perché qui la tensione fra clan è più forte. Non è che ci debbano difendere davvero, ma così non scontentiamo nessuno: tutti loro sono soddisfatti e di conseguenza anche noi saliamo più tranquilli.

Non appena cala il sole comincia l’ascesa all’Erta Ale, il più importante vulcano attivo della zona. La salita deve essere fatta di notte: impensabile farla con il sole ancora alto. Ci vogliono cinque ore per la salita, indovinando nel buio un sentiero che non c’è fra creste di lava lasciate dall’ultima eruzione di una quarantina di anni fa. Arrivati al cratere principale la luce rossastra che sale dal vulcano ci consente di muoverci anche senza torce.

La enorme caldera ribolle di lava a una temperatura che supera il migliaio di gradi centigradi che solo nella parte più superficiale si coagula in una crosta scura sotto la quale è evidente l’attività sottostante. L’aspetto è quello di un mare del colore del fuoco, sul quale galleggiano iceberg di basalto, le cui onde si infrangono sulle pareti del cratere. Rimaniamo incantati per più di un’ora sul bordo, incuranti del caldo quasi insopportabile e delle esalazioni sulfuree che ci bruciano la gola, mentre il vulcano ci regala questo straordinario spettacolo.

Dormiamo sulla cima, appena riparati da una cresta. Curiosamente al mattino l’attività vulcanica si è molto attenuata – ci spiegano per via della differenza di temperatura – ma dobbiamo rientrare velocemente al campo base, prima che il sole salga troppo e il caldo diventi davvero eccessivo.

Ahmed Ela, stazione di posta dei cammellieri

Il viaggio prosegue per Ahmed Ela, un minuscolo e polverosissimo villaggio che nell’economia della zona è fondamentale in quanto tappa di snodo delle carovane di dromedari che dalle varie saline della zona risaliranno da qui lungo l’alveo del fiume Saba (più che fiume un torrentello) verso i mercati dell’altopiano. Nell’enorme spiazzo davanti al villaggio all’imbrunire cominciano ad arrivare decine di carovane di dromedari.

Qui i cammellieri possono trovare di che rifocillarsi e di poter usufruire di piccoli servizi, come il barbiere, prima della salita che inizieranno nelle ultime ore della notte. A sera sono migliaia le bestie acquartierate in questo caravanserraglio all’aperto con il loro carico di tavole di sale. Un insieme di uomini e animali davvero insolito da ammirare.

Dalol, verso il confine con l’Eritrea

Ahmed Ela non è una tappa importante perché punto di passaggio per le carovane, ma come ideale punto di partenza per visitare un altro dei luoghi più insoliti e straordinari della Dancalia: Dalol. Siamo molto vicini al confine eritreo – le relazioni fra i due paesi non sono ancora completamente normalizzate – e c’è il rischio di entrare nel mirino di bande di afar che se in caso di rapimento ci portassero oltre il confine, renderebbe estremamente complessa e difficile qualsiasi operazione di polizia. Perciò siamo obbligati ad avvalerci anche di una scorta militare, con tanto di camionetta e mitragliatrice da campo, il cui unico apparente scopo è quello di far sì che i nostri autisti si fotografino a vicenda in pose molto guerresche. Con il nostro piccolo esercito personale attraversiamo una vasta pianura con le nostre macchine che corrono su una distesa di sale cristallizzato in strutture poligonali simili a grosse piastrelle in un originalissimo design.

Dalol è una collina non alta ma molto estesa. Si è formata nel 1925 per l’esplosione della camera magmatica posizionata sotto uno strato di sali di sodio, zolfo e magnesio. Il risultato è un insieme di piccoli geyser, di fumarole, di sorgenti di acqua calda, di terrazzamenti e di pozze di acido che generano una varietà di formazioni e concrezioni di una varietà unica caratterizzate da vivaci colorazioni che combinano bianco, ocra, verde, arancio e giallo in una tavolozza talmente strana da ridefinire il concetto stesso di colore.

Ci aggiriamo per ore, incuranti del caldo che qui sembra anche più intenso che altre parti, in un ambiente talmente irreale da sembrare quello di un altro pianeta. Poco lontano un laghetto sul cui fondo si aprono delle sorgenti di acqua bollente e le cui rive sono ricoperte da concrezioni dalla forma assai simile ai frattali.

Tornando verso Ahmed Ela troviamo la marea che sale, il che può sembrare abbastanza strano in un deserto. Ma in questa landa così eccezionalmente piatta se le acque del lago che si trova non lontano da qui esondano per il vento sono in grado di ricoprire un’area assai vasta, creando l’effetto piuttosto curioso per cui a 360° non vediamo terra ed è come se navigassimo in mare aperto. In questo originale scenario assume un carattere assolutamente surreale l’apparizione all’orizzonte delle carovane di centinaia di dromedari che percorrono la loro strada verso l’altopiano.

Risalendo il Saba

L’ultima tappa dancala la percorriamo a piedi, affiancando le fila di dromedari lungo il corso del Saba, che si snoda lungo uno stretto canyon. L’acqua fresca del fiume e l’ombra rendono la temperatura sicuramente più accettabile e il percorso si snoda in questa gola spettacolare. I dromedari proseguono in fila indiana legati l’uno all’altro, il che consente a un unico cammelliere di controllarne un numero molto elevato. A un certo punto passo accanto a una fila che si è interrotta e prendo la fune del dromedario di testa e per qualche chilometro guido quel pezzo di carovana, sino a quando il legittimo cammelliere se la viene a riprendere

A sera arriviamo al campo che ci hanno preparato gli autisti che ritroviamo dopo averli lasciati al mattino. Siamo fuori dalla depressione dancala, davanti a noi si stagliano le montagne della regione del Geralta, con le sue chiesette abbarbicate su torrioni di roccia inaccessibili che si alzano come colonne dalla pianura, e dove migliaia di fedeli si preparano a festeggiare il Timkat, l’Epifania, come avviene da secoli. Ma questo è già un altro viaggio.

Chi è Paolo Pobbiati

Insegnante milanese, è autore del romanzo “Regine d’ Ebano”, ambientato in Etiopia dal XVIII secolo e ai giorni nostri, proprio nelle località dell’altipiano descritte in questo articolo. Ha viaggiato in oltre 80 paesi in tutto il mondo ed è appassionato di viaggi estremi. È attivo da più di trent’anni in Amnesty International, associazione della quale è stato Presidente dal 2005 al 2009.

La mia Top Ten

Congo

Un viaggio in uno dei paesi più belli e selvaggi dell’Africa, realizzato risalendo in barca il fiume Congo, sino a remoti villaggi di pigmei nel profondo della foresta  e impreziosito dall’escursione nel Parco Virunga per una visita a una delle ultime colonie di gorilla di montagna.

Mongolia

In uno scenario mozzafiato pastori nomadi seguono la transumanza di milioni di capi di bestiame fra cavalli, yak e capre, in un paese nel quale settant’anni di dittatura socialista non sono riusciti a cancellare una profonda spiritualità buddista.

Iran

Il paese con alcune fra le più belle moschee del mondo, decorate con maioliche dalle tonalità di colore uniche, cangianti a seconda delle ore del giorno, e con siti archeologici straordinari come Persepoli, l’antica capitale di Dario il Grande.

Uzbekhistan

La terra di Tamerlano, con le sue tre perle Khiva, Samarcanda e Bukhara, tre veri e propri scrigni di storia e di bellezza. I regni che furono la scacchiera così magistralmente raccontata da Peter Hopkirk nel suo libro (Il Grande Gioco) che narra degli intrighi, dei corpi di spedizione e degli agenti segreti russi e inglesi che qui incrociarono le loro avventure.

Iguazù (Brasile – Argentina)

Al confine fra Argentina e Brasile, possono essere visitate da entrambi i paesi. Si tratta di 270 cascate con salti sino a 70 metri che si estendono per un fronte di quasi tre chilometri in una natura lussureggiante. Particolarmente spettacolare la Garganta del Diablo, la Gola del Diavolo.

Karelia (Finlandia)

Uno splendido trekking in slitta trainata da cani, in mezzo ai laghi ghiacciati e alle foreste fatate di questo lembo remoto della Finlandia. Ogni “musher” è responsabile della sua muta di cani che deve accudire nelle varie tappe in spartani ma confortevoli cottage nella foresta.

Deserto Bianco (Egitto)

Quello che non ti immagini di trovare in quella zona del Sahara che si stende in Egitto dal Nilo sino al confine con la Libia, percorrendo la più grande duna del mondo e i fondali di un antico oceano preistorico fra formazioni di calcare bianco spettacolari, antiche foreste pietrificate, grotte calcaree grandi come cattedrali e fossili di conchiglie e di animali marini fra cui scheletri interi di balene.

Afghanistan

Un paese la cui bellezza non è stata ancora completamente devastata da decenni di guerra, e che conserva antiche tradizioni come quella del buskashi, un cruento gioco antesignano del polo in cui due squadre a cavallo si contendono una carcassa di pecora.

Mustang

Un remoto regno himalayano al confine fra il Nepal e il Tibet cinese. Anche se oggi la valle della Kali Gandaki che lo attraversa è percorsa da una strada, è una regione che può essere visitata solo con una spedizione a piedi con passaggi che superano i 4000 metri, per arrivare alla sua capitale Lo Manthang, cinta da mura con un’unica porta, che sino a pochi anni fa veniva chiusa al tramonto. Un vero e proprio viaggio nel tempo.

La Via della Seta

Un meraviglioso viaggio sulle tracce di mercanti e monaci che percorrevano le vie che collegavano l’Europa al Kathay, passando per gli scenari che dalla Cina classica di Pechino e Xian, portando sempre più a occidente alle grotte buddiste di Dunhuang e Binglingsi, al deserto del Taklimakan con le mitiche città di Turfan e Kashgar, al Pamir sino alle valli di Hunza e del Chitral in Pakistan, dove vive la straordinaria popolazione dei Kalash, i discendenti delle truppe di Alessandro Magno.