La “mia” Bali: perché è l’”isola degli Dei”

In questi giorni in cui l’importanza di stare a casa è fondamentale, cerchiamo di rendere più interessante la permanenza facendo viaggiare la mente in luoghi esotici. Per questa ragione, abbiamo deciso di farci raccontare, da alcune delle firme più autorevoli di Weekend Premium, i loro viaggi speciali in giro per il mondo, per scoprire quelle che secondo loro sono le mete da visitare almeno una volta nella vita. Oggi e domani ci faremo raccontare di Bali!

 

Di Manuela Fiorini

Qual è il luogo del mondo in cui andare, almeno una volta nella vita? A questa domanda ho risposto senza esitazioni: Bali! È passato ormai qualche anno da quelle due settimane in cui mi sono innamorata dell’isola indonesiana, dei suoi abitanti dal sorriso gentile, da quella disponibilità all’accoglienza, al rispetto per religioni e tradizioni diverse che mi hanno fatto anche fare un pensiero, dopo aver conosciuto qualche italiano che ha fatto “il grande passo”, a trasferirmi proprio qui.

E a sorprendermi ancora di più c’è stato il fatto che Bali è stata un’esperienza di vita inaspettata. Non è stato infatti un viaggio programmato, o desiderato, quando un colpo di fortuna, un dono del destino, se volete. Negli anni della mia gavetta come giornalista, lavoravo in una redazione di un magazine di turismo. Il direttore un giorno mi convoca nel suo ufficio e mi dice: “L’Ente del Turismo Indonesiano ci offre un viaggio stampa a Bali, io sono impegnato. Vuoi andarci tu?” “Sì, certo! Grazie!”, avevo risposto d’impulso. “Bene, allora trovati un fotografo che venga con te”.

Uscita dall’ufficio carica come una molla, mi ero subito fiondata su internet per vedere dove si trovasse Bali esattamente: dall’altra parte del mondo. Il ché mi aveva galvanizzata ancora di più. La mia scelta del fotografo, invece, era caduta su Fabrizio, un freelance romano con appena qualche anno più di me, non solo perché faceva delle belle foto, ma se dovevo andarmene dall’altra parte del mondo con uno sconosciuto, preferivo che fosse un mio coetaneo o quasi, con lo stesso spirito d’avventura e la voglia di divertirsi.

Selamat datang, benvenuti!

È una delle prima parole che ho sentito e imparato in indonesiano, una lingua musicale, fluida, con suoni simili all’italiano, nonostante la grafia sia per un occidentale aliena e complessa. Selamat datang significa “benvenuti”, ed è proprio così che mi sono sentita fin dal mio primo impatto con l’isola di Bali.

L’imponente monumento equestre appena fuori l’aeroporto di Denpasar

Al nostro arrivo all’aeroporto Ngurah Rai di Denpasar, la capitale balinese, io e Fabrizio abbiamo trovato la nostra guida, Archana, un giovane balinese dai grandi occhi neri e dal sorriso gentile, che ci ha dato il benvenuto con una profumatissima collana di fiori cambogia. In questa avventura abbiamo avuto come compagno anche il taciturno Dewa, l’autista del monovolume che per dieci giorni ci ha scarrozzato da una parte all’altra dell’isola.

Il Bajra Sandhi Monument a Denpasar

Perché Bali è chiamata “Isola degli Dei”

Quando ci si riferisce a Bali, la si definisce così. E conoscendone gli usi e le tradizioni non mi è stato difficile capire il perché. Un’altra delle cose che ho imparato per prime, subissando Archana di domande, a cui lui ha sempre risposto con infinita pazienza è che il nome dell’isola, Bali deriva dal sanscrito wali, cioè “cerimonia”. L’espressione religiosa, infatti, è molto dai balinesi: non c’è casa il cui ingresso non sia protetto dalle statue dei guardiani, figure tra il mostruoso e il grottesco, ma dalla valenza positiva, la cui funzione è quella di proteggere gli abitanti dai tanti temuti spiriti maligni.

La mia impressione davanti a queste figure spaventose e grottesche, di primo acchito, è stata di timore, mi sentivo “osservata” ovunque entrassi o andassi, ma poi, a poco a poco, mi sono diventati familiari, quasi simpatici. Ho poi imparato che ogni luogo in cui vivono i balinesi, che sia un’abitazione, una spiaggia o un negozio, è provvisto di un piccolo tempio o un altare dove, quotidianamente, vengono fatte offerte di cibo, fiori e qualche rupia agli Dei.

Offerte votive

Una delle prime cose che ho notato, lungo la strada che dall’aeroporto mi portava in hotel, è stato vedere la fila di grossi alberi, ognuno dei quali era “fasciato” con un drappo a scacchi bianchi e neri. Ne ho subito chiesto il motivo. Anch’esso era legato al culto degli spiriti. I ficus benjamin, gli alberi in questione, sono considerati le dimore degli spiriti maligni, e “legandoli” con i colori che simboleggiano il bilanciamento tra il bene e il male, e che ricorreranno in molte altre cerimonie religiose a cui ho avuto la fortuna di assistere, si impedisce loro di uscire a fare danni.

Da Jimbaran a Kuta

Il mattino dopo il mio arrivo, la prima tappa è il villaggio di Jimbaran. Lungo la strada, le situazioni che mi incuriosiscono sono molte: ci sono famiglie intere a bordo di piccoli scooter, donne dagli abiti variopinti che espongono frutta, fiori e ceste per le offerte in piccoli banchi improvvisati ai bordi delle strade.

Tradizione e modernità lungo le strade dell’isola

Ne approfitto per entrare nel mercato coperto, che apre tutti i giorni dalle 5 alle 11 del mattino, un piccolo microcosmo colorato dove poter trovare dalla frutta ai fiori, dai polli al pesce, dalle ceste a piccoli oggetti di artigianato artistico. È qui che si respira il vero spirito dell’isola: tra la sua gente. Li osservo contrattare, barattare, scambiare un pollo con un mazzo di fiori, e tutti con il sorriso sulle labbra.

Il mercato di Jimbaran

Risalgo in auto e procedo alla volta di Kuta, uno dei più famosi centri turistici di Bali e meta preferita dei surfisti, soprattutto del sud est asiatico e dall’Australia. Bali si trova a soli 5° a Sud dell’Equatore e gode di una temperatura costante di circa 28° praticamente tutto l’anno, alternando una stagione secca a una piovosa, determinata dai Monsoni. Per questo è così ambita dagli amanti della tavola, che qui sfoggiano i loro fisici scolpiti e i loro tatuaggi, sfidando le onde più alte.

La spiaggia di Kuta

In tutta sincerità, Bali non mi ha particolarmente colpita per le spiagge. Kuta è una lunga mezzaluna dalla sabbia rosso dorata, con un mare pulito, ma piuttosto scuro, a causa delle origini vulcaniche dell’isole.

Surfisti a Kuta

Alle mie spalle, sfila una lunga serie di palme, che separano la strada dalla via principale, lungo la quale abbondano i negozi dei grandi marchi sportivi americani e occidentali. Vendono soprattutto abbigliamento sportivo e per il surf, ma ci sono anche ristoranti e le grandi catene di fast food. Un aspetto un po’ troppo turistico e commerciale, che forse ho apprezzato meno della parte più mistica e naturale dell’isola o, forse, semplicemente, perché troppo affine al consumismo occidentale a cui sono abituata.

Negozi adiacenti la spiaggia di Kuta

Ubud e la Foresta delle Scimmie

A mio avviso, Ubud custodisce l’anima antica e operosa di Bali. Non aspettatevi una città, piuttosto un grande villaggio, composto da altri centri più piccoli. Nel cuore della città antica si trova il Puri Saren Agung, noto anche come Ubud Palace. Prezioso esempio di architettura e di arte balinese, è stato parzialmente ricostruito dopo il terremoto del 1917.

Ingresso del Puri Saren Agung a Ubud

A nord di esso sorge il tempio privato della famiglia reale, il Pura Marajan Agung, mentre a ovest, spicca per bellezza e senso di pace il piccolo Taman Saraswati, dedicato a Dewi, dea della saggezza. Sul retro si trova un laghetto sul quale spiccano migliaia di fiori di loro e statue della dea. A colpirmi è proprio questa armoniosa simbiosi tra l’architettura degli edifici, frutto dell’ingegno umano, e la natura del luogo.

Ubud, Palazzo Reale

Una delle esperienze più belle che ho vissuto a Ubud, è stato immergermi nel cuore di Alas Kedaton, la “Foresta delle scimmie”, una striscia di jungla in cui si trovano tre templi e, soprattutto, una numerosa comunità di scimmie e macachi balinesi, che si avvicinano alle persone senza timore, per non dire in maniera spudorata.

Alas Kedaton, tempio di Haruman, il dio scimmia

Il primo consiglio che ci è stato fornito è stato quello di non dare loro cibo o di sfoggiare oggetti, come cellulari o macchine fotografiche, in grado di incuriosire gli animali, per il rischio concreto di vederseli letteralmente portare via! Consiglio che ho prontamente disatteso, dal momento che mi è stato impossibile resistere agli occhietti furbi di queste famigliole di scimmiette.

Lungo un intricato sentiero che conduce nel cuore di questa jungla di città, scorgo subito un gruppo di macachi che sosta lungo la via. Al nostro passaggio, ci ritroviamo circondati da tanti buffi visetti. Un cucciolo mi si attacca ai pantaloni, altre scimmiette giocano tra loro, una femmina allatta il suo neonato, mentre i grossi maschi vigilano sul resto del gruppo.

A Bali, le scimmie sono considerate animali sacri perché discendenti di Haruman, la grande scimmia bianca che aiutò il principe Rama, protagonista del poema epico indù Ramayana, a liberare l’amata Sita, fatta prigioniera dal demone Rawana.

I villaggi degli artisti

Una delle esperienze più belle è stata visitare, appena a Sud di Ubud, alcuni dei villaggi dove vengono realizzati gli oggetti tipici dell’artigianato locale, ma non solo. Grazie alla nostra indispensabile guida balinese, ho imparato che dietro a ogni realizzazione artistica c’è un significato quasi mistico. Inoltre, ogni “mestiere” si tramanda da padre in figlio, in modo tale che gli abitanti di un villaggio spesso sono tutti intagliatori, tessitori o, artisti.

La splendida maschera del Barong, animale mitico tra il drago e il leone, simbolo del Bene

Come nel villaggio di Batubulan, dove tre volte al giorno, presso il teatro Saharadewa, viene messa in scena la “Danza Barong”, uno degli spettacoli più suggestivi a cui mi sia capitato di assistere. La ragione di queste “repliche” non è solo turistica, ma ha un significato intrinseco, che è quello di tenere bilanciati il Bene e il Male. Sul palcoscenico, infatti, c’è sempre un sacerdote e gli attori che interpretano i personaggi malvagi tengono in mano un fazzoletto bianco, simbolo del bene.

Batubulan, ballerine di danza Legong

Lo spettacolo si apre con le sensuali ballerine di Legong, una danza tutta al femminile, accompagnata dal suono del gamelan, uno strumento tradizionale. Le danzatrici, tutte bellissime, si muovono lente, spostando gli occhi in maniera unica. Un altro momento topico della danza è l’ingresso della strega Rangda, personificazione del male. Ha il corpo ricoperto di pelliccia animale e sul volto una maschera spaventosa e colorata, con una lingua di fiamme lunga fino alla vita e zanne possenti.

Danza del Kriss, stregati da Rangda i guerrieri si pugnalano

Contro di lei si scagliano i guerrieri armati di coltelli rituali, ma la strega li fa impazzire e questi rivolgono l’arma contro di sé, pugnalandosi. È la danza del Kris, il pugnale sacro. E mi garantiscono che i pugnali sono veramente appuntiti come sembrano, ma lo stato di concentrazione, quasi di trance, in cui cadono i danzatori fa sì che essi non sentano il dolore.

Il Barong interviene per salvare i soldati caduti sotto il sortilegio della malvagia Rangda

Finalmente, preceduto dalla danza delle scimmie, fa il suo ingresso il Barong, animale mitico, impersonato da due attori -danzatori, uno governa la testa, l’altro la parte posteriore. Simbolo del Bene, ha l’aspetto di un leone, il corpo ricoperto da un pesante vello di capra e sul volto una maschera colorata, con gli occhi sporgenti, le zanne e fauci che vengono fatte schioccare dall’attore al ritmo del gamelan. Il Barong sconfigge Rangda e riporta l’equilibrio tra il Bene e il Male. Alla fine dello spettacolo, sul palcoscenico vengono lasciati i cestini con le offerte.

Mas, bottega di un intagliatore

Batubulan è anche il villaggio degli scultori che ricavano dalla pietra vere e proprie opere d’arte, molte delle quali finiscono ad abbellire i templi della zona. Mas, invece, è il villaggio degli intagliatori di legno. Qui ho acquistato le mie maschere, e anche una splendida rappresentazione in odoroso legno di sandalo di Rama e Sita, gli amanti del Ramayana, che ora mi guardano da una vetrina e mi riportano come per magia di nuovo sull’isola.

Realizzazione di un batik

A Batuan, invece, ho la fortuna di assistere alla realizzazione di un’opera in batik, l’arte pittorica balinese fatta di colori vivaci, disegni complessi che si ripetono e raffigurano elementi della natura, piante e animali., ma anche forme geometriche complesse. Qui ci sono anche molte gallerie d’arte. Le opere in batik autentiche riportano lo stesso disegno da una parte e dall’altra della stoffa, se il disegno compare su una parte sola, si tratta di una stampa.

Gunung Kawi, al cospetto dei Re scolpiti nella pietra

Un’altra delle tappe più sorprendenti del mio viaggio è stata la visita al tempio di Gunung Kawi, o Tempio della Tomba Reale. Vi confesso che di templi ne ho visitati tanti a Bali, ma questo è davvero unico per la sua posizione, nel mezzo della jungla.

Una parte del tempio di Gunung Kawi, immerso nella jungla

Per arrivarci ho attraversato villaggi e risaie a terrazza. Il sentiero di pietra, fatto di saliscendi e gradini, dal villaggio di Tampaksiring segue il corso del fiume Pakrisan e si addentra in una fitta vegetazione tropicale. Lungo il percorso, tra ponticelli sospesi, palme imponenti e “alberi del pane” si incontrano diversi templi dedicati alla dea del fiume e alcuni villaggi di capanne.

A poco a poco, il sentiero diventa più stretto, mentre i lati della collina assumono la forma di un complesso sistema di coltivazione a terrazze, dove si scorgono i primi germogli delle piantine di riso. A un tratto, nella parete della montagna, tra il fogliame della jungla, spuntano cinque gigantesche strutture, i candi.

I candi del tempio della Tomba Reale

Secondo la leggenda, questi enormi monumenti celebrativi, anche se in un primo tempo si era pensato che si trattasse di tombe della famiglia regnante balinese del XI secolo, sarebbero stati scolpiti nella montagna nel corso di una sola notta dalle possenti unghie di Kebo Iwa, una divinità locale. Al primo gruppo di cinque candi se ne aggiunge un altro di quattro, situati nella parte ovest rispetto al fiume, e uno isolato, a sud della valle, dedicato a un alto ufficiale del re.

Un secondo complesso di candi a Gunung Kawi

Fa parte del complesso del tempio anche una grande vasca dalle acque cristalline, alimentata dalle stesse sorgenti che confluiscono poi nel fiume Pakrisan, a cui vengono attribuiti poteri di guarigione. Confesso che questa parte del viaggio mi ha particolarmente colpita. Soprattutto per le persone che ho incontrato durante il percorso.

Complesso di Gunung Kawi, la vasca alimentata dal fiume Pakrisan

Nella jungla, infatti, ci sono molte abitazioni, capanne molto curate, ma essenziali, dove vivono i balinesi che coltivano il riso sulle terrazze. I bambini sono tantissimi, corrono e si nascondono tra le foglie immense come folletti, per poi rispuntare con i loro sorrisi sdentati. E con questa immagine nel cuore, mentre ritorno in hotel, penso già alle altre splendide esperienze che mi attendono, tra misteri, templi e leggende tutte da scoprire.

COME ARRIVARE

Sono diversi i tour operator italiani che offrono pacchetti e tour, in genere di 9 giorni e 7 notti, a Bali. Tra questi “I viaggi dell’Elefante” (www.viaggidellelefante.it) propone tour da 8 a 14 giorni, Blue Vacanze (www.bluvacanze.it) propone invece il tour di 12 giorni alla scoperta della Bali classica. Tour di Bali e Gili anche con Metamondo (www.metamondo.it).

DOVE MANGIARE

*Spaccabapoli, Jl. Raya Pengosekan Ubud No.108, Ubud, Kabupaten Gianyar, Bali, tel +62 361 9080197, gestito da un napoletano doc, offre piatti della cucina italiana e napoletana, tra cu un’ottima pizza con pomodori San Marzano e olio di oliva, pasta, secondi di carne e di pesce. Per chi ha voglia dei gusti di casa.

*Kayumanis Resto Jimbaran, Jl. Yoga Perkanthi, Jimbaran, tel +62 361 705777. Per chi vuole gustare la cucina indonesiana, questo locali a due passi dalla spiaggia offre un menù ampio e variegato, anche con piatti vegetariani e vegano. Ottimo rapporto qualità-prezzo.

DOVE DORMIRE

*Intercontinental Resort Bali*****, Raya Uluwatu No.45, Jimbaran, Kuta Sel., Kabupaten Badung, Bali, tel +62 361 701888, www.bali.intercontinental.com Situato a ridosso della spiaggia di Jimbaran, è un vero e proprio angolo di paradiso, con laghetti , giardini e cascate. 6 piscine ornamentali con sculture ispirate agli antichi palazzi, ristoranti che offrono un’ampia scelta di cucina tra asiatica, giapponese, intercontinentale.

*Parigata Resort & Spa****, Jl. Danau Tamblingan No.87, Sanur, Bali, +62 361 286286, www.parigatahotelsbali.com/ Piccolo delizioso resort con una grande piscina, a pochi passi dalla spiaggia di Sanur, downtown Denpasar e comodo alle principali attrazioni.

INFO

http://balitourismboard.or.id/

Appuntamento a domani con la seconda parte!!