San Vito lo Capo e le “Busiate al pesto”

Continua il nostro viaggio estivo nell’Italia del gusto, alla scoperta dei borghi di mare più belli e delle loro ricette più famose. In questa puntata andiamo a San Vito lo Capo, in provincia di Trapani, da cui dista circa 39 km. Racchiusa nella baia compresa tra la Riserva Naturale dello Zingaro e la Riserva Naturale di Monte Cofano, vanta un territorio di rara bellezza, che si affaccia su un mare cristallino dalle intense tonalità del blu.

Il nucleo storico si snoda attorno a via Savoia, la strada principale, che conduce direttamente al mare. Fate una prima sosta al Santuario di San Vito, in stile arabo normanno, dalle dimensioni imponenti: ben 104 metri base e 16 di altezza, con mura spesse da 2 metri e mezzo a 20 centimetri. Poco distante, si può vedere anche il tempietto di Santa Crescenzia, dedicato alla nutrice del santo.

Procedendo ancora lungo via Savoia vale la pena fare una visita al Museo del Mare, che conserva importanti reperti archeologici recuperati dai fondali marini, tra cui i resti della nave arabo-normanna che giace ancora nella zona antistante il Faro. Proprio questo è un altro dei simboli di San Vito lo Capo. Si tratta, infatti, di uno dei fari più importanti della Sicilia. La sua potente luce, di notte, arriva oltre le venti miglia marine.

Un altro edificio degno di nota è Palazzo La Porta, sede del Municipio. Costruito nel XIX secolo, conserva ancora oggi gli antichi pavimenti di maiolica e l’atrio basolato con pietra locale secondo l’uso ottocentesco. Lo splendido giardino alle spalle del palazzo ospita ogni anno mostre e iniziative culturali.

I dintorni di San Vito lo Capo sono una meraviglia della natura. Non solo un mare cristallino, ma montagne, sentieri, calette e grotte e due Riserve Naturali tutte da scoprire. Tra queste c’è la Riserva Naturale dello Zingaro, che si estende per 7 chilometri nel tratto di costa che va da San Vito lo Capo a Castellamare del Golfo e ha un’estensione di 1700 ettari che occupano gran parte della penisola di San Vito lo Capo.

La zona costiera si compone di calette pittoresche che si affacciano su un mare cristallino dalle mille sfumature dell’azzurro e del verde. In pochi minuti a piedi dalla biglietteria si arriva alla Tonnarella dell’Uzzo, una delle spiagge più frequentate nella stagione estiva, ma che offre il meglio in autunno e in primavera.

Chi ama andare alla scoperta delle spiagge più “segrete”, può prendere il sentiero della costa che tocca Cala Torre dell’Uzzo, Cala Marinella, Cala Beretta, Cala della Disa, Cala del Varo, fino a Cala della Capreia, che tocca il territorio di Scopello.

INFO: www.sanvitoweb.com

I sapori del trapanese

Il piatto principe di San Vito lo Capo è il cous cous alla trapanese, che abbina la semola al pesce fresco. Impossibile resistere alle arancine di riso, alla carne, al burro o in fantasiose varianti. Tra lo street food locale ci sono le panelle, frittelle di farina di ceci racchiuse in un panino. Con le melanzane si preparano la caponata e le cotolette.

Tra i primi piatti abbondano i condimenti a base di pesce, come la pasta con le sarde, gli spaghetti alle vongole o al nero di seppia. Tra le paste al forno troviamo la ‘ncaciata, citata anche nel celebre serial “Il Commissario Montalbano, e il timballo di anellette, Da non perdere la celebra pasta alla Norma e le busiate al pesto alla trapanese, di cui trovate qui sotto la ricetta.

Busiate al pesto alla Trapanese

Ingredienti

  • 600 gr di busiate (pasta tipica trapanese)
  • 500 gr di pomodori da salsa
  • 40 gr di mandorle pelate
  • 4 spicchi di aglio
  • 1 mazzetto di basilico
  • 100 gr di pecorino grattugiato
  • Olio EVO
  • Sale e pepe q.b.

Tritate poi pestate insieme le mandorle, l’aglio e il basilico, aggiungendo un filo di olio di oliva. Quando sarà il tutto ben amalgamato, unite anche il pecorino grattugiato e mescolare. Mettete poi i pomodori a sbollentare nell’acqua calda per qualche minuto, poi pelateli, puliteli dai semi, tagliateli grossolanamente a pezzettoni e passateli nel mortaio. Unite anche gli altri ingredienti, il sale e il pepe. Aggiustate di olio. Cuocete la pasta in acqua salata, scolatela quando è al dente e versatela nel tegame con il sugo. Mescolate e servite.




Monterosso e la Torta di riso

Amata da Montale, Byron e Shelley, che a Monterosso, hanno lasciato segni del loro passaggio, la più occidentale delle Cinque Terre è un gioiello incastonato tra alte scogliere, un mare cristallino e un ricco entroterra fatto di terrazzamenti dove crescono viti, olivi e alberi di limone.

Da non perdere le sue spiagge, belle in tutte le stagioni. Chi arriva in treno si troverà, appena fuori dalla stazione, sul lungomare Fegina. Qui si trovano subito due piccole spiagge libere di sabbia e ciotoli, mentre altre dotate di stabilimenti si trovano presso l’attracco dei traghetti che portano alle altre Cinque Terre e al Golfo dei Poeti.

Camminando fino alla fine del lungomare di Fegina, in direzione di Levanto, invece, si incontra un’altra spiaggetta. Alla fine di questa, dove comincia il piccolo porto, si trova l’imponente scultura del Gigante, un’opera di ferro e cemento armato di 14 metri, opera di Arrigo Minerbi e dell’ingegner Levacher del 1910. La gigantesca scultura è stata commissionata da Giovanni e Juanita Pastine, due monterossini tornati in patria dall’Argentina.

La passeggiata nel centro storico può invece partire dalla duecentesca Chiesa di San Giovanni Battista, con la facciata di marmo bianco e serpentino verde e un rosone gotico traforato in marmo. Dietro la chiesa si trova l’Oratorio della Confraternita dei Neri, in stile barocco. che risale al XVI secolo, quando, durante la Controriforma, nacquero confraternite laiche dedite alle opere di bene. Poco distante si trova anche l’Oratorio della Confraternita dei Bianchi, che deve il suo nome al colore dell’abito utilizzato durante le cerimonie dagli adepti.

Vale una visita anche il Castello di Monterosso, con le sue belle torri merlate. La posizione è davvero mozzafiato. Sorge infatti su uno sperone roccioso a strapiombo sul mare. Visitatelo al tramonto, è ancora più suggestivo.

Tra le escursioni da non perdere, invece, c’è quella a Punta Mesco, a cui si arriva attraverso un sentiero panoramico che passa dal vecchio semaforo. Quasi sulla cima, si incontra la villa “Delle due Palme” di Eugenio Montale, dove il Premio Nobel per la Letteratura amava trascorrere lunghi periodi e nella quale ha scritto capolavori come Ossi di Seppia, Mediterraneo e Meriggi di Ombre.

Altre due belle escursioni sono quelle che portano al Colle dei Cappuccini, dove, nella Chiesa di San Francesco è custodita una Crocifissione attribuita a Van Dick. La seconda invece porta al Santuario di Nostra Signora di Soviore, appena sopra Monterosso, il più antico santuario mariano di tutta la Liguria.

Tra i sapori di Monterosso, invece, c’è la tipica torta di riso, che potete fare anche voi con la nostra ricetta.

Torta di riso di Monterosso

Ingredienti
• 400 gr di farina
• 300 gr d riso
• 3 uova
• 100 gr di grana grattugiato
• 2 cucchiai di olio extravergine di oliva
• 150 gr di ricotta
• 15 gr di funghi secchi
• Sale q.b

Mettete a bagno i funghi secchi in acqua tiepida. Lessate il riso in acqua salata e scolate al dente. Lasciatelo raffreddare, poi versatelo in una terrina e unite la ricotta, le uova, i funghi tritati e un pizzico di sale. Amalgamate il tutto. Preparate l’impasto per la base con la farina, il sale e un cucchiaio di olio di oliva. Ricavatene 4 sfoglie sottili. Stendetene due in una teglia unta di olio. Ungete anche le sfoglie, poi versatevi sopra il composto e livellatelo. Ricoprite con le altre due e richiudete facendo un orlo. Ungete la superficie con una pennellata di olio e infornate a 180° per circa 45 minuti.

INFO
www.lecinqueterre.org




Pfannkuchens, un dolce Capodanno alla tedesca

Ultimo appuntamento del nostro viaggio alla scoperta dei dolci delle feste nel mondo. Facciamo tappa in Germania, dove la tradizione vuole che, a Capodanno, si consumi la pfannkuchen, o, meglio, la Berliner pfannkuchen, dal momento che è proprio qui che è nato questo dolce di origine austro-tedesca. Il suo nome significa letteralmente “torta pancake di Berlino” e la tradizione vuole che tra le versioni dolci di questa delizia a forma di palla, che può essere ripiena di marmellata e liquore, nella versione più classica, oppure di crema pasticcera o cioccolata, se ne nasconda una “a sorpresa”, ripiena di senape, spezie o particolarmente piccante. Il divertimento consiste proprio nel vedere l’espressione di chi “pesca” la pfannkuchen incriminata!

La pfannkuchen, un dolce storico

Secondo la tradizione, l’invenzione della pfannkuchen risalirebbe al 1756, quando un pasticcere di Berlino voleva arruolarsi nell’esercito di Federico II di Prussia. Tuttavia, l’uomo venne riconosciuto inidoneo al servizio militare per le sue precarie condizioni fisiche. Federico II, vista la dedizione del pasticcere, trovò un escamotage per farlo arruolare nel suo esercito: gli conferì la mansione di pasticcere del reggimento.

Per ringraziare il sovrano, il pasticcere creò per lui una piccola ciambella, a cui diede poi la forma di una palla di cannone. Non disponendo di un forno, le pfannkuchen venivano fritte in una padella all’aperto, immerse nel lardo bollente. Pfannkuchen, in Germania, infatti è anche il nome di una padella.

Le tradizionali pfannkuchen tedesche si preparano con ingredienti semplici, il ripieno, può variare a piacere tra marmellata, panna, cioccolato. Noi vi lasciamo la ricetta della versione con la crema pasticcera. Non dimenticate, tuttavia, di riempire una pfannkuchen a sorpresa, magari con senape, maionese o salsa piccante!

LA RICETTA: Pfannkuchen

Ingredienti per la ciambella: 2 tazze di farina setacciata, 1 bustina di lievito per dolci, ½ tazza di latte caldo, 1 pizzico di sale, scorza di 1 limone, 1 uovo medio, 4 cucchiai di zucchero, 4 cucchiai di burro, olio vegetale per friggere, zucchero a velo.

Ingredienti per la crema pasticcera: 2 tazze di latte intero, 5 tuorli d’uovo, 1 baccello di vaniglia, 1 pizzico di sale, ½ tazza di zucchero a velo, 1/3 di tazza di farina, 4 cucchiai di amido di mais, 1 noce di burro.

Preparazione: alcune ore prima preparate la crema pasticcera. Mescolate l’amido di mais con la farina e setacciatele. Scaldate il latte con il baccello di vaniglia, portate a ebollizione e spegnete il fuoco.  In una terrina, sbattete i tuorli con lo zucchero fino a ottenere un composto liscio e omogeneo. Aggiungete poi la miscela di farina e amido di mais. Mescolate usando una frusta. Aggiungete anche metà del latte e continuate a mescolare finché il composto sarà liscio, senza grumi né bolle.

Versate il tutto in una casseruola con il resto del latte e fate cuocere a fuoco basso, mescolando continuamente per non fare attaccare la crema al fondo. Quando sarà densa, togliete la crema pasticcera dal fuoco. Strofinate la superficie della crema con una noce di burro per evitare che si formi la tipica pellicina durante il raffreddamento. Coprite la crema con una pellicola e mettete da parte in frigorifero per circa 3 o 4 ore.

Passate poi alla preparazione dell’impasto. In una ciotola mescolare la farina con il lievito, aggiungete gradatamente il latte caldo e impastate per circa un minuto. Potete usare anche un robot da cucina. Unite anche la scorza del limone, lo zucchero, l’uovo e il sale. Impastate per circa 15 minuti. Aggiungete metà del burro, impastate finché non si sarà completamente incorporato. Coprite l’impasto con un panno e lasciate lievitare per circa 2 ore. Cospargete di farina la superficie di lavoro. Togliete l’impasto dalla ciotola e dividetelo in circa 20 pezzi uguali. Formate delle palline e appiattitele leggermente con un mattarello. Disponete ogni pallina su un quadrato di pasta da forno. Coprite con un panno e lasciate riposare le pfannkuchen per circa 30 minuti.

Nel frattempo, mettete a scaldare in una padella grande una buona quantità di olio vegetale. Quando sarà bollente, immergetevi le pfannkuchen tre alla volta. Rigirateli e, quando saranno dorati, scolateli su carta assorbente e lasciateli raffreddare. Prendete la crema dal frigorifero, datele una bella mescolata e, se si è rappresa troppo, stemperatela con 1 o 2 cucchiai di latte caldo. Versate la crema in un sac-à-poche, riempite le pfannkuchen e servite con una spolverata di zucchero a velo. Potete sostituire la crema anche con marmellata, mascarpone, panna, crema al cioccolato o alla nocciola.




Buone feste “all’inglese” con il Christmas Pudding

Eccoci con un altro appuntamento per “viaggiare” con dolcezza attraverso le ricette della tradizione delle feste nel mondo. E, se è vero che Natale è appena passato, nulla ci vieta di provare a preparare una di queste golosissime ricette alla prima occasione. Dopo essere andati in Francia, in Polonia e negli Stati Uniti, oggi andiamo in Gran Bretagna, dove sulla tavola non può mancare il Christmas pudding, un budino dalla forma rotonda a base di uova, mandorle, frutta candita, spezie e rum.

Noto anche come plum pudding, letteralmente “budino di prugne”, in realtà non le prevede come ingrediente, il termine risalirebbe a una variazione della lingua, nel XVII secolo, infatti, quando già si preparava questo dolce, con il termine plum si indicavano anche l’uva passa e altri tipi di frutta secca.

Le origini del Christmas pudding

Preparare un Christmas pudding non significa solo fare un viaggio del gusto in Gran Bretagna, o in Irlanda, dove questo dolce è ugualmente diffuso, ma anche nella storia. Si ha notizia di questo “budino” già nel XVI secolo, ma le origini risalirebbero addirittura al Medioevo, quando si usava preparare pudding a base di frutta e carne. In seguito, i Puritani lo considerarono addirittura “peccaminoso”, al punto da vietarne la preparazione.

La preparazione del Christmas pudding in una vignetta ottocentesca

Tuttavia, vince la gola, dal momento che il Christmas pudding tornò a essere “legale” nel XIX secolo, quando la regina Vittoria in persona, se lo fece preparare. Da quel momento, divenne il principale dessert natalizio inglese e viene citato anche nel celebre Canto di Natale di Charles Dickens. Non solo, in questo periodo la ricetta venne arricchita con ingredienti sempre più sfiziosi, che resero il Christmas pudding davvero irresistibile.

Ritratto della regina Vittoria, ghiotta sostenitrice del Christmas pudding

Christmas pudding da record

Nel corso dei secoli, sono stati molti i Christmas pudding da record. Per esempio, nel 1818, l’infermiera inglese Kate Marsden ne portò con sé ben 18 chili nel suo lungo viaggio di 3000 km, in slitta, attraverso la Siberia, dove si stava recando per proseguire le sue ricerche per una cura per la lebbra. La stessa Marsen, interrogata sul perché si fosse portata dietro nella sua avventura un tal quantitativo del “budino”, rispose candidamente che “le piaceva” e poi “come tutte le casalinghe sanno”, si sarebbe conservato al freddo per lungo tempo.

Kate Marsden in Siberia con la sua slitta che trasportava ben 18 kg di Christmas pudding

Altri Christmas pudding da record, questa volta solo per dimensioni, vennero realizzati nel 1819 e nel 1859, quando il gigantesco dolce venne offerto ai poveri della città di Paignton. Il Christmas pudding più grande della storia, dal peso di 3,28 tonnellate, venne invece realizzato nel luglio del 1992 ad Aughton, nel distretto di Lancaster, nel Lancashire.

Preparazione del Christmas pudding da record

Il Christmas pudding, fra superstizione e tradizione

C’è una superstizione legata al Christmas pudding: si dice infatti che questo budino debba contenere 13 ingredienti, che rappresenterebbero Cristo e gli Apostoli. Inoltre, deve essere preparato in senso orario da tutti i membri della famiglia. Si dice anche che ogni commensale debba mangiarle almeno un po’, o nell’anno venturo rischia di perdere un’amicizia.

Nel Christmas pudding per tradizione viene nascosto un piccolo oggetto portafortuna

Infine, un’altra tradizione vuole che all’interno del dolce venga nascosto un piccolo oggetto, che porterà fortuna a chi lo troverà: un anellino per chi cerca l’amore, una moneta per la prosperità, un bottone, un ditale da cucito, un maialino di plastica per i più piccoli.  Impazienti di preparare anche voi il vostro Christmas pudding? Ecco allora la ricetta.

LA RICETTA: Christmas pudding

Ingredienti – 200 gr di margarina, 350 gr di uvetta, 200 gr di uva sultanina, 200 gr di uva passa, 50 gr di canditi misti, 25 gr di mandorle tritate, 175 gr di farina, 2 cucchiaini di spezie miste in polvere (chiodi di garofano, cannella, zenzero), 1 cucchiaino di noce moscata in polvere, 175 gr di briciole di pane fresco (pane al latte, senza crosta), 700 gr di zucchero di canna, 2 uova, succo di 1 limone, 1 cucchiaio di melassa, 4 cucchiai di latte, 2 cucchiai di brandy.

Preparazione – Mescolare in una ciotola grande tutti gli ingredienti, lavorare in modo da ottenere un impasto ben legato. Con l’impasto riempire lo stampo da budino (capacità da 1 litro), ben imburrato. La superficie deve rimanere al di sotto del bordo di circa 2,5 cm. Coprire quindi con doppio foglio di carta oleata, con la parte imburrata rivolta verso l’interno, piegato bene intorno al bordo e legato con spago da cucina. Mettere quindi il pudding in una pentola e aggiungere acqua calda per coprire la forma fino ad un terzo.

Coprire con il coperchio e cuocere a fuoco basso per 6 ore, aggiungendo acqua calda man mano che evapora. Al termine del tempo indicato, togliere il pudding e lasciar raffreddare. Sostituire il coperchio di carta oleata con un altro, da legare allo stesso modo del precedente e conservare il pudding in luogo fresco. Al momento di servire, il pudding deve essere riscaldato per circa 3 ore utilizzando lo stesso metodo della prima cottura, sempre aggiungendo acqua man mano che evapora. Quindi, rovesciarlo sul piatto di portata e decorarlo con l’agrifoglio, e con un cucchiaio di brandy riscaldato in pentolino. Per finire, flambare quando si serve in tavola.




La Pumpkin Pie, negli USA le feste profumano di zucca!

Continua il nostro viaggio attraverso le “dolci” tradizioni delle feste. Oggi vi portiamo negli Stati Uniti, dove il dolce tipico delle festività invernali è la Pumpkin Pie, la torta di zucca, che si prepara in occasione di Halloween, del Thanksgiving Day e del Natale.

Questa gustosissima torta è formata da uno strato di crema alla zucca su un guscio di pasta frolla e aromatizzata con cannella, noce moscata, chiodi di garofano e zenzero. La tradizione vuole che non ci sia una copertura o delle strisce di pasta come nella crostata e che sia servita con panna montata. Gli americani, poi, molto pratici, la preparano con polpa di zucca, che si trova già pronta al supermercato, anche nella versione già aromatizzata e pronta all’uso.

Le origini della Pumpkin Pie

La nascita della Pumpkin Pie pare essere strettamente legata al Thanksgiving Day, il Giorno del Ringraziamento, che si celebra l’ultimo giovedì di novembre.  Si racconta che, nel 1621, nelle terre del New England abitate dai coloni inglesi, riuniti in piccoli villaggi, il freddo e la fame avevano messo a dura prova gli abitanti, sfiniti da quel clima ostile. In loro soccorso giunsero i nativi, che donarono loro i frutti delle loro terre, in particolare le zucche, che crescevano anche con le basse temperature. I coloni conobbero così la zucca, e iniziarono a utilizzarla nella loro alimentazione quotidiana. Il suo sapore gradevole si prestava bene sia a ricette dolci che a ricette salate, spesso con l’aggiunta di spezie.

La nascita della moderna Pumpkin Pie

La prima ricetta della Pumpkin Pie come la conosciamo oggi, invece, si deve a uno chef francese, La Varenne, che nel 1651 inserì in un ricettario che divenne famosissimo non solo in Francia, ma anche nel resto del mondo.  La sua versione, tuttavia, prevedeva l’uso della pasta sfoglia, con un morbido ripieno di crema di zucca. Fu la cuoca americana Amelia Simmons, invece, a sostituire la sfoglia con la pasta frolla. Non solo, arricchì anche la lista degli ingredienti con uova, panna, spezie e melassa. La sua versione è quella che oggi va per la maggiore, anche se ogni famiglia ha la sua ricetta, che si tramanda di generazione in generazione. E voi? Avete mai preparato la Pumpkin Pie? Vi lasciamo la nostra ricetta.

LA RICETTA: Pumpkin Pie

Ingredienti – 175 gr di zucchero, mezzo cucchiaino di zucchero, un cucchiaino di semi di cannella, mezzo cucchiaino di chiodi di garofano, 2 uova grandi, 400 gr di purea di zucca (far bollire la zucca per 30 minuti e poi frullarla), 400 gr di latte condensato, 1 rotolo di pasta frolla precotta.

Preparazione – Mescolare zucchero, sale, cannella, zenzero e chiodi di garofano in una ciotola. Aggiungere le uova. Mescolare la purea di zucca con le spezie. Unire le due ciotole e poi aggiungere gradualmente il latte condensato. Preparare una tortiera con la carta forno e stendere la pasta frolla, quindi versare la crema e infornare in forno preriscaldato a 220° per 40-50 minuti. Lasciar freddare un paio di ore. Servire immediatamente o conservare in frigorifero.




ITALIA DEL GUSTO. Tre TOP RICETTE da Monterosso (SP), Torre di Palme (FM) e Alghero (SS)

Stiamo per ri-partire. Molte regioni dal prossimo 18 maggio apriranno le spiagge e, se tutto andrà bene, dal prossimo 1°giugno potremo pensare a programmare le vacanze. Anche se saranno diverse, con qualche precauzione in più, potremo viaggiare e godere dei paesaggi e dei sapori della nostra bella Italia. Intanto, nella nostra rubrica “ITALIA del Gusto” vi diamo un assaggio, come sempre con tre TOP RICETTE da altrettante località a Nord, Centro e Sud.

Monterosso (SP) e la “sua” Torta di riso

Amata da Montale, Byron e Shelley, che a Monterosso, hanno lasciato segni del loro passaggio, la più occidentale delle Cinque Terre è un gioiello incastonato tra alte scogliere, un mare cristallino e un ricco entroterra fatto di terrazzamenti dove crescono viti, olivi e alberi di limone.

Da non perdere le sue spiagge, belle in tutte le stagioni. Chi arriva in treno si troverà, appena fuori dalla stazione, sul lungomare Fegina. Qui si trovano subito due piccole spiagge libere di sabbia e ciotoli, mentre altre dotate di stabilimenti si trovano presso l’attracco dei traghetti che portano alle altre Cinque Terre e al Golfo dei Poeti.

Camminando fino alla fine del lungomare di Fegina, in direzione di Levanto, invece, si incontra un’altra spiaggetta. Alla fine di questa, dove comincia il piccolo porto, si trova l’imponente scultura del Gigante, un’opera di ferro e cemento armato di 14 metri, opera di Arrigo Minerbi e dell’ingegner Levacher del 1910. La gigantesca scultura è stata commissionata da Giovanni e Juanita Pastine, due monterossini tornati in patria dall’Argentina.

La passeggiata nel centro storico può invece partire dalla duecentesca Chiesa di San Giovanni Battista, con la facciata di marmo bianco e serpentino verde e un rosone gotico traforato in marmo. Dietro la chiesa si trova l’Oratorio della Confraternita dei Neri, in stile barocco. che risale al XVI secolo, quando, durante la Controriforma, nacquero confraternite laiche dedite alle opere di bene. Poco distante si trova anche l’Oratorio della Confraternita dei Bianchi, che deve il suo nome al colore dell’abito utilizzato durante le cerimonie dagli adepti.

Vale una visita anche il Castello di Monterosso, con le sue belle torri merlate. La posizione è davvero mozzafiato. Sorge infatti su uno sperone roccioso a strapiombo sul mare. Visitatelo al tramonto, è ancora più suggestivo.

Tra le escursioni da non perdere, invece, c’è quella a Punta Mesco, a cui si arriva attraverso un sentiero panoramico che passa dal vecchio semaforo. Quasi sulla cima, si incontra la villa “Delle due Palme” di Eugenio Montale, dove il Premio Nobel per la Letteratura amava trascorrere lunghi periodi e nella quale ha scritto capolavori come Ossi di Seppia, Mediterraneo e Meriggi di Ombre.

Altre due belle escursioni sono quelle che portano al Colle dei Cappuccini, dove, nella Chiesa di San Francesco è custodita una Crocifissione attribuita a Van Dick. La seconda invece porta al Santuario di Nostra Signora di Soviore, appena sopra Monterosso, il più antico santuario mariano di tutta la Liguria.

Tra i sapori di Monterosso, invece, c’è la tipica torta di riso, che potete fare anche voi con la nostra ricetta.

Torta di riso di Monterosso

Ingredienti
• 400 gr di farina
• 300 gr d riso
• 3 uova
• 100 gr di grana grattugiato
• 2 cucchiai di olio extravergine di oliva
• 150 gr di ricotta
• 15 gr di funghi secchi
• Sale q.b

Mettete a bagno i funghi secchi in acqua tiepida. Lessate il riso in acqua salata e scolate al dente. Lasciatelo raffreddare, poi versatelo in una terrina e unite la ricotta, le uova, i funghi tritati e un pizzico di sale. Amalgamate il tutto. Preparate l’impasto per la base con la farina, il sale e un cucchiaio di olio di oliva. Ricavatene 4 sfoglie sottili. Stendetene due in una teglia unta di olio. Ungete anche le sfoglie, poi versatevi sopra il composto e livellatelo. Ricoprite con le altre due e richiudete facendo un orlo. Ungete la superficie con una pennellata di olio e infornate a 180° per circa 45 minuti.

INFO
www.lecinqueterre.org

Torre di Palme (FM) e il Brodetto di Porto San Giorgio

Sorge sulla cima di un colle, a 100 metri sul livello del mare Adriatico, sul quale si affaccia, regalando panorami e scorci mozzafiato. Siamo a Torre di Palme, nella provincia di Fermo, nelle Marche. Lasciate l’auto nel parcheggio all’ingresso del borgo e incamminatevi nel centro storico, che si può visitare con una rilassante passeggiata di un’ora. Gli edifici più interessanti si affacciano su via Piave, che taglia il borgo da est a ovest.

Da non perdere la splendida Torre merlata, risalente al XIII secolo, facente parte di un complesso difensivo che comprendeva altre cinque torri e una cinta muraria con camminamenti coperti. Bellissimo anche il Palazzo Priorale, attuale sede del Municipio, con il suo campanile a forma di vela, un arco a tutto sesto murato nella facciata e una splendida meridiana.

Fermatevi per una visita alla Chiesa di Sant’Agostino, in stile tardo gotico, una bella costruzione in mattoni a vista che custodisce al suo interno tesori come il Polittico di Vittore Cribelli, un sarcofago di età longobarda, una tavola di Vincenzo Pagani e una reliquia della croce.

Proseguendo lungo la via, arriviamo poi alla Chiesa di Santa Maria a Mare, costruita tra il XII e il XIII secolo. L’interno è in stile neoclassico, abbellito con splendidi affreschi della scuola giottesca e di quella dei fratelli Sanlimbeni.

Di fronte alla chiesa sorge poi l’Oratorio di San Rocco del XII secolo, sulla cui facciata cinquecentesca campeggia lo stemma di Torre di Palma. Infine, fermatevi in Piazza Amedeo Lattanzi per ammirare dalla terrazza panoramica una vista mozzafiato sul mare Adriatico e su tutto il litorale.

Tra le escursioni da non perdere c’è quella al Bosco del Cugnolo, che si raggiunge attraverso un facile sentiero di 2 km segnalato dal CAI, dal quale si arriva alla Grotta degli Amanti, che deve il suo nome alla vicenda di due innamorati, Antonio e Laurina. Durante le guerre coloniali del XX secolo, Antonio tornò a casa per una licenza di pochi giorni, ma, anziché tornare al fronte, fuggì con l’amata Laurina. I due si nascosero in una piccola grotta di arenaria scavata nelle pareti di tufo, circondata dal bosco.

Tra i piatti di mare da non perdere, c’è il Brodetto di Porto San Giorgio, un piatto “povero” che costituiva il pasto dei pescatori dell’Adriatico. Con il tempo, ha raggiunto un alto valore gastronomico e culturale, al punto che il Comune di Porto San Giorgio, che dista appena 12 km da Torre di Palme, ha codificato il brodetto come De.Co (Denominazione Comunale).

Il Brodetto di Porto San Giorgio

Ingredienti

  • 1,5 kg di pesce misto tra sgombro, gattuccia di mare, merluzzo, suro, scorfano, pesce di San Pietro, gronco, rosciolo, sogliola, arfanciu, razza, rana pescatrice, tracina, gallinella di mare, pesce prete, cicala di mare, totani, seppie, calamati, moscardini, scampi, gamberi e mazzancolla
  • 380 gr di olio extravergine di oliva
  • ½ peperoncino tagliato sottile
  • Acqua di mare o sale marino q.b
  • ¼ di aceto di vino
  • 5 spicchi di aglio, 1 rametto di prezzemolo
  • 1 cipolla
  • 1 peperone
  • Salsa di pomodoro + 2 pomodori rossi
  • Pane raffermo a fette

Tritale finemente il prezzemolo e l’aglio e metteteli a rosolare in una casseruola. Tagliate a cubetti i pomodori rossi e aggiungeteli. Aggiungete le cozze e le vongole pulite e lavate e lasciate bollire finché non si saranno aperti. Unite poi la seppia e i calamari tagliati a pezzetti. Coprite la pentola e lasciate bollire a fuoco medio per circa 10 minuti. Unite quindi tutti i pesci a eccezione degli scampi e delle triglie, che cuociono più in fretta. A questo punto unite l’aceto e la salsa di pomodoro. Aggiungete anche il peperoncino e il peperone tagliato a cubetti e aggiustate di olio. Lasciate cuocere il brodetto per circa 30 minuti, a fuoco moderato e coperto. Nel frattempo, tagliate il pane a fette e servite insieme al brodetto quando sarà pronto e ben caldo.

INFO

www.comune.fermo.it
www.fermoturismo.it

Alghero e l’aragosta alla catalana

 Viene chiamata anche Barceloneta per la sua storia, ma anche per le architetture e persino nel dialetto, retaggio della dominazione spagnola. Alghero è una delle perle della Sardegna, tra monumenti, paesaggi mozzafiato, un mare da sogno e una cucina che risente degli influssi regionali e spagnoli, come la celebre aragosta alla catalana.

La visita alla città comincia con una passeggiata lungo i Bastioni, per ammirare le torri difensive tra cui San Giacomo, San Giovanni, Vincenzo Sulis e della Maddalena. Dopo aver ammirato il panorama dalla Torre di Sant’Elmo, una scalinata conduce alla Piazza Civica, sulla quale si affacciano Palazzo de Ferrera, Casa de la Ciutat, e la Duana Real.

Nel centro storico si trova la Cattedrale di Santa Maria, in stile catalano. Tra gli edifici religiosi, meritano una sosta anche la Chiesa di San Michele con la cupola policroma e la Chiesa della Misericordia. Da visitare anche il suggestivo Museo del Corallo, ospitato nell’elegante Villa Costantino. Splendida anche la passeggiata serale sul Lungomare Dante e Valencia, circondati da ville in stile liberty.

Tra le escursioni da non perdere c’è quella alle Grotte di Nettuno, formazioni naturali di origine carsica, che si raggiungono scendendo una scalinata di 654 gradini chiamata la Escala del Cabirol. In alternativa, dal porto turistico partono i traghetti che consentono di raggiungere le grotte via mare.

Le Grotte di Nettuno si snodano per 4 chilometri sotto il Promontorio di Capo Caccia, un’altra eccellenza naturalistica da non perdere, ma non solo. Qui, infatti sono stati rinvenuti importanti reperti archeologico, mentre i fondali sono un paradiso per gli amanti delle immersioni. Sotto le acque cristalline si trova infatti la Grotta di Nereo, la più estesa grotta sommersa di tutto il Mediterraneo, culla del prezioso corallo rosso. Il promontorio fa parte dell’Area Marina di Capo Caccia che ha tra i suoi “abitanti”, il regale grifone.

Tra le bellezze naturali da non perdere c’è anche Punta Giglio, un promontorio di roccia calcarea dove si trovano diverse roccaforti con postazioni per i cannoni usati durante la Seconda Guerra Mondiale. Qui si trovano alcune grotte marine, che si possono visitare con un’immersione. Se amate il mare, dirigetevi invece verso Porto Conte, che fa parte di un parco naturale di oltre 5000 ettari e ospita diverse specie di animali.

Tra le spiagge più famose ci sono Le Bombarde, Il Lazzaretto, Mugoni, Cala Dragunara, la Spiaggia della Speranza, Punta Giglio e la Spiaggia del Porticciolo.

Non dimentichiamo, poi, che la zona è ricca di complessi nuragici, come quello di Palmavera, che include insediamenti successivi. La parte più antica è stata realizzata tra il 1600 e il 1300 a.C, la seconda tra il 1300 e il 1150 a.C, mentre la più recente attorno all’anno 1000 a.C.

Da non perdere anche una visita alla Necropoli di Anghelu Ruju, la più grande necropoli della Sardegna con 31 tombe a ipogeo. L’altra sua caratteristica è quella di essere una Domus de Janas, cioè una “casa delle fate” (o delle streghe) con la tipica forma a pozzetto.

Durante gli scavi per costruire l’acquedotto di Alghero, poi, è emersa la Necropoli di Santu Pedru, composta da dieci tombe, tra cui spicca la Tomba dei Vasi Tetrapodi, composta da nove celle. Di seguito, invece, vi sfidiamo a preparare la celebre aragosta alla catalana.

Aragosta alla catalana

Ingredienti

  • 2 aragoste da 500 gr cadauna
  • 300 gr di cipolle
  • 600 gr di pomodori
  • 1/3 di litro di olio extravergine di oliva
  • Succo di limone q.b
  • Sale e pepe nero macinato

Mettete a bollire le aragoste in acqua bollente per circa 45 minuti. Affettate le cipolle, mettetele a bagno in e tagliate i pomodori a spicchi. Preparate la vinaigrette sbattendo l’olio, il limone, il sale e il pepe macinato. In una pirofila mettete uno strato di cipolle e pomodori e versate sopra una parte della vinaigrette. Tagliate l’aragosta in pezzi ed eliminate il carapace. Versate sull’aragosta il rimanente delle vinaigrette. Lasciate riposare un paio d’ore prima di servire.

INFO

www.algheroturismo.eu




Santa Maria di Leuca: le vacanze sul Tacco d’Italia

Prosegue il nostro viaggio alla scoperta della costa salentina. Dopo aver visitato la splendida Otranto, per il secondo giorno del vostro weekend vi proponiamo un itinerario lungo la litoranea Otranto -Leuca, una delle più belle e importanti strade panoramiche d’Italia. Realizzata a ridosso del mare, consente di ammirare scorci e panorami mozzafiato. Quindi, non dimenticate la macchina fotografica!

Partiamo, quindi, da Otranto e prendiamo la litoranea in località Orte, nelle vicinanze della base americana. La strada costeggia poi la scogliera della Palascia a un’altezza di circa 100 mslm consentendo di ammirare la costa da Punta Facì all’estremità orientale di Capo d’Otranto.

Proseguendo ancora, arriviamo a Torre Sant’Emiliano, che prende il nome dalla torre di avvistamento che domina tutto il Canale d’Otranto, circondata da un mare blu intenso. Ancora qualche centinaio di metri e arriviamo alla località balneare di Porto Badisco. Nei pressi di Cala Badisco si trova la Grotta dei Cervi, uno dei luoghi più antichi d’Europa frequentati dall’uomo preistorico.

Lasciamo il territorio del Comune di Otranto ed entriamo nel territorio di Santa Cesarea Terme, nota per le sue acque benefiche e per i singolari fanghi all’interno delle grotte Fetida e Sulfurea, dove la strada comincia a salire fino a 130 mslm. Superata la Grotta Zinzulusa, ricca di stalattiti, arriviamo a Castro, splendida cittadina a picco sul mare, che gode di una caratteristica unica: grazie alla sua posizione riparata dai venti, le acque in cui si specchia sono quasi sempre calme.

Da Marittima a Santa Maria di Leuca

Proseguiamo ancora fino a raggiungere la marina di Marittima, dove si trova la splendida insenatura di Acquaviva, con le sue sorgenti di acqua fredda che sgorgano direttamente dalla roccia. Arriviamo quindi alla marina di Andrano, nota per le sue celebri località balneari di Grotta Verde e La Botte. Ancora qualche km e arriviamo a Tricase Porto, una delle località più rinomate della costa orientale della Puglia. Degna di una sosta anche Marina Serra.

Porto Santa Maria di Leuca

Da qui affrontiamo gli ultimi 14 km della strada litoranea, che ci conduce alla nostra meta finale: Santa Maria di Leuca. Prima, però, incontriamo la marina di Tiggiano dove ci fermiamo su un meraviglioso punto panoramico per scattare qualche foto. Ci facciamo poi incantare dalla bellezza di Novaglie per poi arrivare al ponte del Ciolo, che si affaccia su un’insenatura di rara bellezza.

Continuiamo ancora per un lungo rettilineo, finché non vediamo spuntare, all’orizzonte, la sagoma del faro di Santa Maria di Leuca.

Santa Maria di Leuca, la splendente

Leukos, cioè bianco, è l’aggettivo che i marinai greci diedero a questa terra illuminata dal sole. Il resto del nome, Santa Maria, si attribuisce invece a San Pietro, che secondo numerose testimonianze, sbarcò proprio qui dall’Oriente per cominciare la sua evangelizzazione e consacrò la città alla Vergine.

Panorama di Santa Maria di Leuca

La città sorge nell’insenatura tra Punta Ristola e Punta Meliso, su un tratto di costa che alterna frastagliate scogliere a piccole calette di sabbia finissima, tra le quali di insinuano affascinanti grotte.

La Basilica Santuario di Santa Maria de Finibus Terrae

Cominciamo la nostra visita alla città proprio dal Santuario (www.basilicaleuca.it)  dedicato alla Madonna, che si raggiunge salendo una scalinata di ben 184 gradini.

La Basilica Santuario di Santa Maria de Finibus Terrae

Ne vale tuttavia la pena, poiché la posizione sopraelevata su cui sorge il santuario consente di ammirare panorami superbi, lasciando spaziare la vista dal porto alla costa. Lungo la scalinata si incontra anche una grande cascata d’acqua che celebra l’Acquedotto Pugliese, la cui costruzione iniziò nel 1906 per concludersi solo nel 1939. La Cascata Monumentale compie un salto di 120 metri e ha una portata d’acqua verso il mare di mille litri al secondo. Il salto d’acqua viene attivato solo in occasioni particolari, mentre rimane viva una cascata più piccola alla base della struttura.

Arriviamo quindi al cospetto della basilica, che sorge sulle vestigia di un antico tempio dedicato a Minerva. L’edificio attuale risale al Settecento, dopo diverse distruzioni e ricostruzioni in seguito alle incursioni di turchi e pirati. La chiesa è a croce latina e a un’unica navata. Sull’altare maggiore è collocata un’immagine della Vergine, mentre sono presenti altri sei altari minori

Il faro e il porto di Santa Maria di Leuca

A pochi metri dal santuario si trova il maestoso Faro di Santa Maria di Leuca, alto 47 metri e situato a 102 mslm. Si tratta di un’opera monumentale, in funzione fin dal 1866, con una lanterna fatta di 16 lenti che proietta il fascio di luce a 50 km di distanza.

Il faro e il porto di Santa Maria di Leuca

Una scala a chiocciola di 254 gradini conduce a un terrazzo circolare da cui si può godere della superba vista del mare Adriatico e dello Jonio. Nelle giornate limpide si possono scorgere anche l’isola di Corfù, i monti dell’Albania a oriente e quelli della Calabria a occidente.

Merita una visita anche il porto, che si estende a Sud Ovest del faro, tra Punta Meliso e Punta Ristola. Il consiglio è di dedicargli una passeggiata dopo il tramonto, per ammirare le imbarcazioni da pesca “disegnate” da magnifici colori.

Il fascino delle ville

Una caratteristica peculiare di Santa Maria di Leuca sono le sue ville, testimonianza di una vocazione turistica che risale al XIX secolo e che ha attirato qui le famiglie nobili e facoltose. Alcune sono in stile liberty, altre in stile moresco o pompeiano, a seconda dell’estro e dei desideri dei “padroni di casa”, si affacciano sul mare e conferiscono al paesaggio un fascino antico.

La più antica della città è Villa Romasi, che risale alla fine del Settecento. Villa Meridiana, che prende il nome dall’orologio solare posto sulla facciata, risale invece al 1874 ed è stata fatta costruire da Giuseppe Ruggeri. Per le torrette dotate di cornicioni sporgenti ricorda invece una pagoda cinese la raffinata Villa Episcopo, mentre Villa Fuortes richiama il gusto neoclassico per le sue colonne doriche. È conosciuta anche come Villa dei Misteri perché, si dice, dopo anni di abbandono è diventata dimora di elusive presenze.

Passeggiando per le strade di Leuca incontriamo anche Villa Colosso che spicca per la sua elegante balaustra centrale, e Villa Daniele, con il suo stile moresco, detta anche “La nave” per le sue dimensioni e la sua caratteristica forma.

Le grotte lungo la costa

Sia la costa di Levante, alta e frastagliata, bagnata dall’Adriatico, che quella di Ponente, bagnata dallo Ionio, si presentano ricche di grotte e cavità, che si possono visitare attraverso un’escursione in barca.

Tra le grotte più significative della costa di Levante vi segnaliamo la Grotta della Cazzafre, la Grotta del Pozzo, la Grotta del Brigante  e quella di Montelungo. Lungo la litoranea che porta a Gallipoli, invece, si trovano la Grotta Porcinara, antico luogo di culto romano, e la Grotta del Diavolo, luogo sacro fin dalla preistoria.

Lungo la costa di Ponente troviamo invece, la Grotta dei Giganti, dove sono stati trovati denti e ossa di pachidermi preistorici, e la Grotta del Bambino, dove è stato trovato un molare di un fanciullo preistorico. Da questa grotta si accede alla suggestiva Grotta delle tre Porte, con i suoi accessi dal mare. Splendida anche la Grotta del Presepe, con stalattiti disposte in un modo che ricordano la rappresentazione della Natività, e la Grotta Cipollina.

Si conclude così il nostro itinerario sulla costa del Salento, ma non quello gastronomico, alla scoperta dei piatti tipici e dei prodotti della terra e del mare.

I sapori del Salento

La vocazione contadina e quella marinara trovano il perfetto connubio sulle tavole salentine. Tra i piatti più rinomati troviamo il polpo alla pignata, dal nome del recipiente di terracotta dove viene cucinato in umido con abbondante sugo, gli spaghetti con le cozze, la taieddhra, un timballo a base di cozze, patate e riso cotto al forno, i panzerotti e a pitta, di cui vi abbiamo svelato ieri la ricetta.

Semplice e gustoso l’acqua e sale è un piatto povero a base di pane raffermo condito con olio, pomodorini, cipolla, aceto, sale e origano. Una variante più “nobile” è la frisa, fatta con un pane biscottato  e condito con pomodoro, sale e olio. Ottime anche le pittule, frittelle di pasta lievitata, e le pucce, i panini con le olive. Non dimentichiamo poi le paste fatte in casa, come le orecchiette, i minchiareddi, le sagne ritorte, condite con sugo, ricotta oppure alici e frutti di mare.

Tra i dolci, non si può mancare il pasticciotto, a base di pastafrolla e ripieno di crema pasticcera, lo spumone, un gelato ai frutti misti solidificato, i mustazzoli, biscotti alla cannella, e la cupeta, una specie di croccate di mandorle ricoperta di caramello.

E, naturalmente, i piatti salentini vanno accompagnati dagli ottimi vini locali. Tra i rossi ricordiamo il Primitivo di Manduria e il Salice Salentino. Tra i rosati c’è il celebre Negramaro, mentre tra i bianchi spicca il Liverano.

Senza dimenticare, come condimento o anche da gustare solo sul pane, il rinomato Olio Extravergine di Oliva, tra i migliori d’Italia.

Dove acquistare prodotti tipici

*Azienda Agricola Settembre, SP366, Km 34, Otranto, tel 0836/802789.Produce e vende olio extra vergine di oliva DOP Terra d’Otranto di alta qualità. Presso il punto vendita si possono acquistare, oltre ai prodotti dell’Olearia Settembre, anche vino, prodotti sottolio e prodotti tipici salentini.

*Azienda Agricola e Vitivinicola Tenuta Merico, via Frassanito, Otranto, tel 333/7190074, www.tenutamerico.it Nata nel 2001, produce e vende vini pregiati tra cui il Don Paolo DOC Galatina, ed il Musivo Rosato IGT Salento, e lo Stafìda Aleatico DOC. Possibilità di visite guidate con degustazione di vini abbinati a prodotti tipici pugliesi.

*Azienda Vitivinicola Castel di Salve, via Salvemini 32, Tricase (LE); tel 0833/771041, www.casteldisalve.com Storica azienda fondata nel 1885, produce a vende vini selezionati da vitigni autoctoni del Salento, primo tra tutti il Negramaro.

Dove dormire a Santa Maria di Leuca

*Massapia Hotel & Resort****, Contrada Masseria Li Turchi, Marina di Leuca (LE), tel 0833/750027, www.messapia.com A 1 km, dal centro di Leuca, a 800 metri dal mare, dispone di 110 sistemazioni tra camere hotel e residence. A disposizione: piscina, vista panoramica, animazione, navetta gratuita per le spiagge. Doppia con colazione continentale da € 116.

*Hotel L’Approdo****, via Panoramica 1, Santa Maria di Leuca (LE), tel 0833/758548, www.hotellapprodo.com Struttura con 52 camere, recentemente ristrutturata e con vista panoramica sul porto turistico di Santa Maria di Leuca. Prestigioso ristorante L’Approdo segnalato dalle principali guide gastronomiche. Doppia da € 130.

Dove Mangiare a Santa Maria di Leuca

*Boccondivino, Via Enea 33, Santa Maria di Leuca (LE), tel 0833/758174. Propone un menù con piatti tipici della cucina salentina, ma anche ricette di mare a base di pesce fresco in un ambiente rilassante e familiare.

*Hosteria Del Pardo, via Doppia Croce 1, Santa Maria di Leuca (LE) tel 0833/758603, www.hosteriadelpardo.it Locale immerso nel verde ideale anche per un aperitivo. Il menù propone piatti tipici della cucina salentina e ricette di mare.

INFO

www.viaggiareinpuglia.it




Un weekend a Otranto, la città più orientale d’Italia

I Greci la chiamavano ùdor kai derento (acqua a monte), i Romani Hydruntum, e da qui sono passati, nel corso dei secoli, bizantini, goti, normanni, svevi, angioini e aragonesi che hanno lasciato testimonianze storiche e artistiche della loro presenza.

Siamo a Otranto, annoverata tra i “Borghi più belli d’Italia” e Bandiera Blu del Touring, che vanta anche il primato di “città più orientale d’Italia”. La città e la sua costa, tuttavia, colpiscono per gli scorci naturali, per le scogliere candide su cui si riflette la luce del sole, regalando riflessi di rara bellezza, per il mare cristallino che non ha nulla da invidiare alle mete esotiche. Senza dimenticare la ricca e gustosa tradizione culinaria salentina, un perfetto connubio di ingredienti di terra e di mare.

Visitiamo il Castello d’Otranto

Prima di dedicarci alle bellezze naturali e al mare azzurro della costa salentina, dedichiamo il primo giorno alla visita del centro storico di Otranto, ricco di testimonianze storico artistiche secolari. Entriamo in città attraverso la Porta Alfonsina, un varco che si apre tra le imponenti mura difensive fatte costruire dagli Aragonesi dopo l’invasione turca del 1480.

Ci troviamo immersi in un’atmosfera senza tempo, fatta di stradine lastricate di pietre, vicoli minuscoli che corrono fino al mare e scorci dai quali irrompono all’improvviso la luce e i colori del Mediterraneo.

Immancabile una visita al castello aragonese (orario: mar-dom 9-13 e 16-19), che ha ispirato il primo romanzo gotico della storia, Il castello di Otranto di Horace Walpole, scritto nel 1764. La costruzione della fortezza, invece, iniziò su impulso di Alfonso d’Aragona, duca di Calabria, dopo il Sacco di Otranto da parte dei Turchi, nel 1480. Del periodo aragonese, oggi rimangono solo parte delle mura e un torrione. L’aspetto attuale, invece, risale ai Viceré spagnoli che ne fecero un esempio d’eccellenza di architettura militare.

Nel 1535, Don Pedro da Toledo, il cui stemma campeggia sul portale di ingresso e sulla cortina esterna, fece aggiungere opere di difesa straordinaria. Nel 1578 furono aggiunti due bastioni poligonali sul versante che volge verso il mare. Un’ulteriore aggiunta difensiva venne aggiunta alla metà del secolo successivo. Oggi, il castello che ci troviamo ad ammirare è un massiccio edificio a pianta pentagonale, scandito da quattro torri difensive, mentre sul lato scoperto spicca il ponte levatoio. Il castello è circondato da un ampio fossato.

La basilica di San Pietro, gioiello bizantino

Ci fermiamo poi a visitare la basilica bizantina di San Pietro, costruita tra i X e l’XI secolo. L’interno è a croce greca, suddivisa in tre navate scandite da quattordici colonne di granito sormontate da capitelli romanici. La cripta è decorata sulle pareti da pitture bizantine. Nell’abside della navata destra, invece, sono custodite le spoglie degli 800 abitanti uccisi dai turchi per non aver voluto rinnegare la fede cristiana.

Splendido il mosaico del 1166 che ricopre il pavimento della chiesa suddiviso in tre parti: “L’albero della vita”, che va dalla navata centrale alle due laterali, il “Pavimento musivo”, che va dal transetto all’altare maggiore, e le Figure disposte attorno al primitivo altare circolare.

Percorrendo la litoranea in direzione di Santa Maria di Leuca, a circa un chilometro e mezzo dal centro storico, si arriva all’abbazia di San Nicola di Casole, di cui non rimangono che poche vestigia a causa dell’attacco dei turchi.

Il litorale e le spiagge più belle di Otranto

Se Otranto è la città più orientale d’Italia, c’è un luogo che potremo definire “il più a est della città più a est”. È Punta Palascìa, nota anche come Capo d’Otranto. In estate, il sole sorge alle 5.30 del mattino colorando il cielo e il mare di riflessi multicolori di rara bellezza, per poi ripetersi al tramonto. Una curiosità: la notte di San Silvestro, il 31 dicembre, qui si radunano residenti e turisti per salutare il nuovo anno al cospetto del maestoso faro che svetta tra le rocce.

Non possiamo, poi, dimenticare le favolose spiagge di sabbia candida, lambite da un mare di cristallo. Tra le più belle c’è la Spiaggia degli Alimini, circondata da dune di sabbia finissima e dalla macchia mediterranea. Famosissima la Baia dei Turchi, una lingua di sabbia bianca che regala atmosfere tropicali, e Porto Badisco, un’insenatura dove, secondo la leggenda, approdò Enea dopo la fuga da Troia in fiamme.

La seconda parte del nostro itinerario sarà on line domani, intanto, di seguito vi sveliamo la ricetta della Pitta di patate Salentina.

PITTA DI PATATE SALENTINA

È una delle ricette salentine più antiche e non manca mai sulle tavole. Le massaie del Salento si sono tramandate la ricetta nel corso degli anni utilizzando sempre gli stessi ingredienti, semplici e genuini.

Ingredienti

  • 1 kg di patate a pasta gialla
  • 2 uova
  • 200 gr di pecorino o parmigiano
  • 2 cipolle grandi
  • 1 bicchiere di passata di pomodoro
  • Una manciata di capperi e olive senza nocciolo
  • 2 o 3 acciughe sottolio
  • Olio EVO, sale e pepe q.b.
  • Pangrattato q.b.
  • 2-3 foglioline di mentuccia

Affettate le cipolle e soffriggetele in abbondante olio EVO, poi aggiungete i capperi, le olive, l acciughe, il sale e il pepe. Mescolate poi unite anche la passata di pomodoro e fate cuocere il tutto per circa 20 minuti. Nel frattempo lessate le patate, sbucciatele e schiacciatele, unite le uova, il formaggio grattugiato, sale, pepe e le foglie di mentuccia tritate fini. Amalgamate bene fino a ottenere un composto omogeneo. Con un filo di olio ungete il fondo di una pirofila antiaderente, poi bagnatevi le mani e stendete uno strato del composto di patate, poi uno strato del composto di cipolle e pomodoro. Spolverate con il formaggio grattugiato e stendete poi un altro strato di composto di patate. Livellate bene la superficie e completate con una spolverata di pangrattato. Infornate a 200°C per circa 20 minuti.

Come arrivare a Otranto

In auto: Autostrada A16 con uscita Bari Nord. Proseguite poi lungo la superstrada per Brindisi, poi ancora in direzione di Lecce. Poco prima di entrare in città, imboccate la tangenziale Est con direzione Otranto-Santa Maria di Leuca – Maglie

Dove dormire a Otranto

*Hotel Palazzo Papaleo*****, via Roncadi 1, Otranto, tell 0836/802108, www.hotelpalazzopapaleo.com Nel centro storico di Otranto, a pochi metri dal mare, dispone di camere di diversa tipologia con vista mare, una splendida terrazza con piscina jacuzzi e centro benessere. Doppia con colazione da € 136.

*Vittoria Resort & SPA****S, via Catona, Otranto, tel 0836/237280, www.vittoriaresort.it . A pochi passi dal centro storico, dispone di 66 camere disposte su tre piani. A disposizione centro benessere, palestra, piscina e servizio navetta per la spiaggia. Doppia con colazione da € 98

Dove mangiare a Otranto

*Peccato Divino, via Roncadi 7, Otranto, tel 0836/801488, www.peccatodivino.com. Nella città vecchia, a pochi passi dalla cattedrale, offre piatti della cucina tradizionale pugliese con ingredienti a km zero. Il menù varia ogni giorno. Buona carta dei vini provenienti da cantine locali. Prezzo medio, bevande incluse € 46 pp.

*Vecchia Otranto, Corso Garibaldi 96, Otranto, tel 0836/801575.Locale caratteristico con volte a botte e muri in pietra  nel centro storico. Propone piatti di pesce fresco, ma anche di terra, della tradizione pugliese, ma anche creativi.

Info su Otranto

www.comune.otranto.le.it

 




Monterosso, il borgo amato dai poeti

È la più occidentale delle Cinque Terre e paesaggi che hanno ispirato poeti come Eugenio Montale, che qui trascorreva molto tempo nella villa di famiglia in stile liberty, ma ci sono passati anche Shelley e Byron, a cui è dedicata una grotta poco distante. Monterosso al Mare, territorialmente in provincia di La Spezia, è un gioiello incastonato in una conca, tra alte scogliere, un mare cristallino e un entroterra fatto di rilievi e terrazze dove crescono olivi, vitigni e limoni. Al punto che il borgo fa parte sia della Comunità Montana della Riviera Spezzina che del Parco Nazionale delle Cinque Terre.

Nel cuore  di Monterosso

Cominciamo la nostra passeggiata nel centro storico con una visita alla Chiesa di San Giovanni Battista, costruita tra il 1244 e il 1307. Spicca per la facciata di marmo bianco e serpentino verde con un rosone gotico traforato in marmo, opera di Pietro e Matteo da Campiglio. L’interno, invece è a tre navate. La pianta, invece, si restringe verso l’uscita in modo da amplificare sia la prospettiva che il suono.


Dietro la chiesa si trova l’Oratorio della Confraternita dei Neri, in stile barocco. Al suo interno è custodita una statua di Sant’Antonio Abate, unico retaggio del convento che verso l’anno Mille sorgeva sul promontorio di Punta Mesco. L’oratorio, invece, risale al XVI secolo, quando, durante la Controriforma, nacquero confraternite laiche dedite alle opere di bene. Poco distante si trova anche l’Oratorio della Confraternita dei Bianchi, che deve il suo nome al colore dell’abito utilizzato durante le cerimonie dagli adepti.

Vale una visita anche il Castello di Monterosso, con le sue belle torri merlate. La posizione è davvero mozzafiato. Sorge infatti su uno sperone roccioso a strapiombo sul mare. Visitatelo al tramonto, è ancora più suggestivo.

L’arte a Monterosso…è una passeggiata

Dopo essersi persi tra le stradine del borgo, attraverso piacevoli passeggiate o escursioni tra natura, arte e storia si possono raggiungere altri interessanti eccellenze che testimoniano la storia del borgo. Tra quelle che vi consigliamo c’è l’escursione a Punta Mesco.

Il percorso panoramico passa dal vecchio semaforo, un vecchio faro abbandonato, dal quale si gode di uno splendido panorama. A un centinaio di metri si incontrano i resti di una piccola chiesa.


Alle pendici di Punta Mesco si trova anche la villa “Delle Due Palme” di proprietà di Eugenio Montale. Qui il Premio Nobel per la Letteratura trascorreva lunghi periodi di villeggiatura e durante i suoi soggiorni ha scritto capolavori immortali come Ossi di Seppia, Mediterraneo e Meriggi di Ombre.


Un’altra bella escursione è quella che porta al Colle dei Cappuccini, dove sorgono la Chiesa di San Francesco e il Convento dei Cappuccini. La chiesa, a un’unica navata e con un altare di legno, custodisce opere di straordinario valore, come una Crocifissione attribuita a Van Dick, una Madonna degli Angeli di Oldoino Multedo del 1896 e un San Girolamo Penitente del Cambiaso. Accanto alla chiesa sorge un piccolo cimitero, dove un tempo si trovava uno dei numerosi castelli della potente famiglia dei Doria.


Appena sopra Monterosso, con un’altra bella escursione si arriva al Santuario di Nostra Signora di Soviore, il più antico santuario mariano di tutta la Liguria. Il luogo in cui sorge sarebbe lo stesso dove gli abitanti del villaggio di Albareto, oggi scomparso, trovarono rifugio dopo che il re longobardo Rotari lo aveva messo a ferro e fuoco, nel 643 d.C.

La datazione delle strutture murarie lo fanno risalire al 996, anche se la “versione” che possiamo vedere oggi è il risultato di diversi rifacimenti nei secoli. Splendido il campanile a tre piani, coronato da una guglia. Da non perdere il panorama che si gode dal piazzale. Nelle giornate limpide, la vista può spaziare dal promontorio di Portofino fino alle Alpi Liguri, guardando a ponente, e da Monte Pisano all’Arcipelago Toscano, e addirittura fino alla Corsica, spostando gli occhi a levante.

Le spiagge di Monterosso e il Gigante

Chi arriva a Monterosso in treno, appena fuori dalla stazione si troverà sul lungomare Fegina, la parte nuova del borgo, separata dalla parte storica da una galleria percorribile a piedi in pochi minuti. Qui si trovano subito due piccole spiagge libere di sabbia e ciottoli. Altre piccole spiagge con stabilimenti balneari si trovano proprio di fronte al centro storico e all’attracco dei traghetti per le altre Cinque Terre e per il Golfo dei Poeti. Verso Vernazza, oltre uno scoglio imponente, si trova un’altra bella spiaggia libera.


Camminando fino alla fine del lungomare di Fegina, in direzione di Levanto, invece, si incontra un’altra spiaggetta. Alla fine di questa, dove comincia il piccolo porto, si trova l’imponente scultura del Gigante, un’opera di ferro e cemento armato di Arrigo Minerbi e dell’ingegner Levacher del 1910. La gigantesca scultura è stata commissionata da Giovanni e Juanita Pastine, due monterossini tornati in patria dall’Argentina dopo essersi arricchiti.


Il Gigante, che è alto 14 metri, raffigura il dio del mare Nettuno e in origine decorava la lussuosa villa Pastine. Durante la Seconda Guerra Mondiale, sia la villa cha la statua sono state bombardate e hanno subito danni, al punto che della prima, che sorgeva sulla Casa dei Doganieri, rimase solo una torre. Il Gigante, invece, dopo essere stato di nuovo “offeso” da una mareggiata nel 1966, oggi si presenta mutilo, con solo un tronco, privo di una gamba, delle braccia e del suo mitico tridente.

I sapori delle Cinque Terre

Chi visita Monterosso e le Cinque Terre troverà nella cucina ligure un ottimo compromesso tra piatti di mare e di terra, spesso mescolati in maniera gustosa, sapiente e creativa. Naturalmente, c’’ il pesto, a base di basilico, olio extravergine di oliva e formaggio grattugiato, con il quale si possono condire le tipiche trofie. Tra i primi di terra troviamo le tagliatelle, da gustare con i funghi.

Per uno spuntino veloce, non perdete la farinata, una focaccia bassa a base di farina di ceci, oppure gli sgabei, pasta di pane lievitata e tagliata a strisce, fritta nello strutto e salata in superficie. Varie e gustose le torte salate, soprattutto a base di erbe, tra cui borraggine, carciofi, patate, porri e bietole. A Monterosso si prepara la tipica torta di riso (di cui trovate sotto la ricetta).

Passando ai piatti di mare, provate le acciughe ripiene e fritte, oppure quelle salate di Monterosso. Ottime le frittelle di bianchetti e il fritto misto “da passeggio” a base di gamberi, totani e calamari. Questi ultimi si preparano anche bolliti oppure farciti con verdure, formaggio grattugiato, mollica e tentacoli tritati.

Non dimentichiamo poi i vini, tra il cui il più famoso è lo Sciacchetrà, un passito dal sapore e profumo fruttato che si accompagna bene con dolci e formaggio. Ci sono poi il Cinque Terre Doc e il Vermentino.

Torta di riso di Monterosso

Ingredienti
• 400 gr di farina
• 300 gr d riso
• 3 uova
• 100 gr di grana grattugiato
• 2 cucchiai di olio extravergine di oliva
• 150 gr di ricotta
• 15 gr di funghi secchi
• Sale q.b

Mettete a bagno i funghi secchi in acqua tiepida. Lessate il riso in acqua salata e scolate al dente. Lasciatelo raffreddare, poi versatelo in una terrina e unite la ricotta, le uova, i funghi tritati e un pizzico di sale. Amalgamate il tutto. Preparate l’impasto per la base con la farina, il sale e un cucchiaio di olio di oliva. Ricavatene 4 sfoglie sottili. Stendetene due in una teglia unta di olio. Ungete anche le sfoglie, poi versatevi sopra il composto e livellatelo. Ricoprite con le altre due e richiudete facendo un orlo. Ungete la superficie con una pennellata di olio e infornate a 180° per circa 45 minuti.

COME ARRIVARE

In auto: A12 Genova-Livorno, uscire a Brugnato-Borghetto Vara, poi seguire le indicazioni per le Cinque Terre – La Spezia. Dopo aver attraversato Beverino, girare a sinistra per Monterosso. In treno: linea Genova-Roma, fermata La Spezia, da qui partono all’incirca ogni ora i treni regionali che fermano in tutte le Cinque Terre.

DOVE MANGIARE

*Ristorante Via Venti, via XX settembre 32, Monterosso, tel 0187/818347, www.ristoranteviaventi.com Nel cuore del borgo, offre una cucina a base di pesce fresco, tra cui spaghetti alle alici, gamberoni al forno con lardo, cozze ripiene, orata ai porcini e torta Monterossina.

*Il Bocconcino, via Fegina, Monterosso, tel 0187/818107. Nei pressi della stazione ferroviaria, offre specialità in formato street food, tra cui cartocci di calamari e gamberi, acciughe e pollo fritto, patatine e piadine.

DOVE DORMIRE

*Hotel Porto Roca****, via Corone 1, Monterosso, tel 0187/817502, www.portoroca.it Situato nella parte antica del borgo, all’inizio del Sentiero Azzurro delle Cinque Terre, a ridosso di una scogliera, offre una splendida vista sul mare, giardini e terrazza e una spiaggia privata attrezzata. A disposizione ristorante con piatti di pesce fresco e della tradizione italiana, piscina e SPA con sauna e bagno turco. Doppia da € 280.

*Albergo Amici***, via Buranco 36, Monterosso, tel 0187/817544. www.hotelamici.it Nel centro storico di Monterosso e a poca distanza dalla spiaggia offre un giardino panoramico con terrazza solarium. Colazione continentale con salumi, formaggi e brioche e ristorante con specialità delel Cinque Terre. Doppia da € 168.


INFO
www.lecinqueterre.org




Termoli, la perla che non ti aspetti

Di Raffaele D’Argenzio

 Per la prima volta ci siamo capitati per caso, qualche anno fa, durante un nostro weekend dedicato alla riscoperta della transumanza che dall’Abruzzo passava per il Molise. Sapevamo che Termoli era il porto da cui partivano i traghetti per le Isole Tremiti, ma finiva lì. Una tappa veloce di passaggio.

Ma mi era rimasta nel tessuto della memoria questa cittadina che si tuffa nel mare come una sirena dalla classe riservata, pudica ma libera di farsi ammirare. Appare giovane e linda eppure è antica. Creata da qualche popolazione orientale, ha visto passare Greci, Etruschi, Sanniti, Romani, Longobardi, Carolingi, Normanni, Svevi…Ed è il Castello Svevo, che ci appare subito impotente come nume protettore del Borgo Antico.

Purtroppo vediamo sulla cima non una bandiera, ma una blasfema casupola appollaiata, con irte antenne e parabole: e scopriamo che il castello Svevo è ancora una stazione meteorologica dell’Aeronautica Militare. Assurdo. Ma certo prima o poi troveranno altra più consona ubicazione. Speriamo che si verifichi prima del prossimo 15 agosto quando ci sarà l’incendio del castello, con fuochi d’artificio fra i più belli d’Italia, per rievocare l’assalto dei Turchi del 2 agosto del 1566. Uno spettacolo da non perdere.

Il Duomo dove si scoprono i santi

Stavolta non ci siamo arrivati per caso, ma perché volevamo tornarci e scoprirne i tesori.  E il Duomo si apre subito come uno scrigno, a cominciare dalla sua parte sotterranea in cui si può leggere la storia della città.

E dove nel 1761 sono state trovate le reliquie di San Basso, oggi patrono della città, e nel 1945 le preziose reliquie di San Timoteo, discepolo prediletto di San Paolo.

Forse se si scava ancora… La facciata ha un gran fascino specialmente di sera, peccato che un lato è rovinato dal palazzo vescovile costruito a ridosso, senza rispetto per i Santi, per i Fedeli e per il buon gusto italiano.

Le spiagge più belle e il vicolo più stretto

La bella Termoli antica, il Borgo Vecchio, è come polena che fende il mare e si lascia ai lati scie di sabbia dorata. Due splendide spiagge, per nove chilometri, da cui si ammirano le isole Tremiti che possono essere raggiunte in poco tempo: da un’ora a un’ora e 40.

Da vedere anche nel Borgo Vecchio uno dei vicoli più stretti d’Europa. La lotta è aperta e siccome è una questione di millimetri, non si riesce a decidere quello più stretto.

Nella “bellezza diffusa”, anche una residenza diffusa: la Residenza Sveva

Termoli dà la sensazione di bellezza, pulizia e simpatia diffusa. Qui non si respira lusso, ma qualità ed empatia. Le strade, i vicoli sono tutti curati. È come se fosse la porta d’ingresso del Molise e i termolesi volessero far fare bella figura a tutta la loro regione. E pensare che non è neppure provincia.

E qui vi è anche uno degli alberghi diffusi più belli d’Italia: la Residenza Sveva, cui si affianca anche il ristorante Svevia in un antico palazzo del 1700, con volte a botte, davvero bello e suggestivo, con un menù di classe a km zero  con prodotti del territorio e del mare. La cucina è diretta dallo chef Massimo Talia.

U’ Pappone (Pane cotto alla marinara)

È una ricetta tipica della cucina povera della costa Molisana. Nella tradizione era a base di pane raffermo e pesce poco pregiato. Costituiva il nutrimento principale delle famiglie di pescatori. Qui vi presentiamo la ricetta nella versione moderna rivisitata dallo chef Massimo Talia.

 Ingredienti

  • 280 gr di pane di grano duro raffermo
  • 10 gr di cipolla
  • 20 gr di aglio
  • 80 gr di peperoni verdi a cornetto
  • 120 gr di olio extravergine di oliva di Larino
  • 400 gr di Ali di razza spellata e pulita
  • 240 gr di seppioline
  • ½ bicchiere di vino bianco
  • Peperoncino secco intero
  • Prezzemolo, basilico, alloro
  • Rosmarino fresco
  • Sale fino q.b

Per il fumetto leggero

  • 30 gr di cipolla
  • 30 gr di sedano
  • 30 gr di champignons
  • 10 gr di aglio
  • Prezzemolo
  • Lische di razza e carapaci di scampi
  • 1,5 l di acqua

Per la salsa di pomodoro

  • 1 spicchio di aglio
  • 40 gr di olio extravergine di oliva
  • 1,2 kg di pomodori freschi maturi
  • Foglie di basilico fresco

Per il fumetto di scampi

  • 40 gr di olio extravergine di oliva
  • 10 gr di aglio
  • 10 gr di peperone verde
  • 300 gr di salsa di pomodoro
  • 500 gr di fumetto leggero
  • ½ bicchiere di vino bianco secco
  • Basilico, prezzemolo e sale q.b.

Cominciate dal fumetto leggero portando a ebollizione le lische della razza e i carapaci degli scampi, schiumate e aggiungete le verdure. Sobbollite per 20 minuti, fare riposare, poi filtrate. Preparate poi la salsa di pomodoro fresco. Sbianchite i pomodori, fateli raffreddare, poi spellateli, privateli dei semi e tagliateli a cubetti. Soffriggete uno spicchio di aglio con l’olio extravergine di oliva, poi aggiungete i pomodori a dadini, il basilico e fate cuocere per 20 minuti. Regolate di sale poi frullate con il mixer a immersione.

Passate ora al fumetto di scampi. Fate saltare i gusci degli scampi in olio di oliva con l’aglio e il peperone, bagnate con il vino bianco e aggiungete un mestolino di salsa di pomodoro e due di fumetto leggero. Regolate di sale, profumate con basilico e prezzemolo e cuocete per 20 minuti.

Infine, preparate il pappone. Il un tegame alto mettete a soffriggere la cipolla affettata, l’aglio e il peperone verde. Unite la fogliolina di allora, la seppiolina a julienne, gli scampi sgusciati e la razza. Fate rosolare il tutto e aggiungere la salsa di pomodoro e 600 gr di fumetto. Lasciate sobbollire per 20 minuti. A cottura ultimata mettete il pane raffermo tagliato a dadini, girate e lasciate che il composto di unisca nel pappone.

Impiattamento: con l’aiuto di un cilindro formate e comprimete il pappone in un piatto fondo, sistemate a lato il fondo di scampi e molluschi. Guarnite con uno spiedino di seppia, completate con un peperone fritto e croccante e un goccio di olio extravergine.

COME ARRIVARE

In auto: da Nord e da Sud prendere la A14 in direzione Pescara con uscita Termoli e proseguire lungo la SS87 Bifernina. Da Roma, prendere l’A24 Roma-L’Aquila, continuare sull’A25 per Pescara, poi sulla A14. Uscire a Termoli e proseguire sulla SS87 seguendo le indicazioni per Termoli. Da Napoli, prendere l’A1 Roma – Napoli, uscire a Caianello, poi seguire le indicazioni per Isernia, Campobasso e SS17, poi immettersi sulla SS650 in direzione di San Salvo e successivamente prendere l’A14 verso Bari, uscire a Termoli e proseguire sulla SS87 fino a destinazione.

DOVE DORMIRE

*Residenza Sveva, Piazza Duomo 11, Termoli, tel 0875/706803, www.residenzasveva.com È un albergo diffuso nel centro storico dotato di 23 camere.  La mission è quella di far vivere al turista ospite la vita del borgo come un residente. Le vie del borgo sono i corridoi delle stanze.

*Hotel Corona****, Corso Mario Milano 2N, Termoli, tel 0875/84041, www.hotelcoronatermoli.it A 300 metri dalla spiaggia e vicino al centro storico mette a disposizione camere spaziose, con bagno privato e wi fi. Colazione all’italiana con cornetti, cappuccino e cereali. Doppia da € 75.

*Hotel Mistral****, via Cristoforo Colombo 50, Termoli, tel 0875/705246, www.hotelmistral.net

Albergo con 66 camere con vista sulla cittadina o sul mare. Accesso a una spiaggia privata e ristorante a disposizione degli ospiti. Doppia da € 100.

DOVE MANGIARE

*Ristorante Svevia, via Giudicato Vecchio 24, Termoli, tel 0875/550284, www.svevia.it

*Trattoria l’Opera, via Adriatica 31, Termoli, tel 0875/808001, www.trattorialopera.com Offre un menù di specialità termolesi di mare in ambiente intimo e familiare.

*Il Binario dei Sapori, via XXIV Maggio 12, Termoli, tel 0875/705645. Cucina tradizionale di mare, in ambiente raffinato e accogliente.

INFO

www.termoli.net




Orsara di Puglia, gioiello medievale

Orsara di Puglia è un borgo adagiato sui monti Dauni in provincia di Foggia, da cui dista circa 30 km, Bandiera Arancione Touring, circondato da splendidi boschi di cerro. Luogo bellissimo, amato da Federico II di Svevia che in questi luoghi della Daunia ha lasciato tante tracce.

A Orsara di Puglia ci si arriva lasciando l’autostrada a Foggia e seguendo le indicazioni per Troia, e poi Orsara. È un borgo a misura d’uomo, con viuzze abbellite da maestri della pietra e da splendidi portali. Tra le eccellenze spicca la Chiesa dell’Annunziata, in stile romanico e con due cupole di grandezza diversa, che sorge al limite occidentale del paese, in posizione dominante su uno strapiombo.

Poco distante si trova la Grotta di San Michele, in parte scavata nella roccia e in parte naturale, a cui si accede dalla Scala Santa. L’interno si presenta a navata unica, con una volta a botte di roccia, un altare e una nicchia che, in occasione della Festa di San Michele, ospita la statua dell’Arcangelo.

Il complesso comprende anche la Chiesa di San Pellegrino, del 1643, poi distrutta da un terremoto e ricostruita in stile neogotico nel 1935, e la duecentesca Abbazia di Sant’Angelo, che tra il 1228 e il 1294 fu gestita dall’Ordine monastico e militare spagnolo dei Cavalieri di Calatrava.

I monaci guerrieri alloggiavano nel Palazzo Baronale, che nel 1563 venne trasformato in dimora gentilizia dalla potente famiglia dei Guevara. In largo San Michele si trova poi Palazzo Varo, del XVI secolo, che ospita il Museo Diocesano, che conserva una ricca collezione dal Neolitico al XX secolo, tra reperti archeologici, opere d’arte, documenti e oggetti di uso quotidiano.

Da Largo San Michele si arriva poi nel centro del paese, in Piazza del Municipio, su cui si affaccia la Chiesa di San Nicola di Bari, di origini medievali, ma rimaneggiata nel Seicento.

Sapori antichi

Spiccano le verdure e le erbe selvatiche, come “l’asparago verde della Daunia”, l’asparago selvatico e i cardi, le cimette di senape selvatica, il marasciuolo e l’erba “cal’catric”. La regina della tavola è la pasta fresca, tra cui orecchiette, fusilli, cicatelli.

Tra i primi piatti troviamo “fagioli e laganelle”, zuppe di fagioli e ceci condite con abbondante peperoncino. Tra i secondi domina la carne e i salumi come salsicce, soppressate e prosciutti locali. Il formaggio simbolo è il cacioricotta caprino di Orsara, da gustare con il pane casereccio di grano duro.

Risotto alle ortiche

Ingredienti

  • 1 mazzetto di ortiche tenere
  • 4 patate grosse
  • 1 tazza di riso
  • 1 cipolla
  • ½ litro di latte
  • ½ litro di acqua
  • 50 gr di burro
  • Sale e pepe

Lavate bene le foglie di ortica, poi tritatele finemente. Mettete a soffriggere a fuoco basso per qualche minuto il burro le ortiche tritate e la cipolla. Aggiungete poi il latte e l’acqua e portate a bollore. Nel frattempo lavate, pelate e tagliate a dadini le patate. Aggiungetele nella pentola insieme al sale e al pepe. Unite poi anche la tazza di riso e cuocete per circa 15/20 minuti rigirando spesso affinché non si attacchi.

COME ARRIVARE

In auto da nord autostrada Bologna-Bari, uscire al casello di Foggia. Poi prendere la SS16 seguendo le indicazioni per Troia e seguire sulla SS90 in direzione Napoli e immettersi poi sulla SS546 per Troia e poi sulla SP per Orsara. Da Napoli, autostrada Napoli-Bari, uscire al casello di Candela, poi prendere la superstrada per Foggia con uscita Orsara e seguire la SS 160 fino al bivio Giardinetto – T.Guevara – Orsara.

 DOVE MANGIARE

*Peppe Zullo, via Piano Paradiso, Orsara di Puglia (FG); tel 0881/964763, www.peppezullo.it

*Ristorante Borgo Antico, via F.lli Bandiera 16, Orsara di Puglia (FG), tel 389/7962292

DOVE DORMIRE

*B&B Relais Maffia,Corso della Vittoria 203 Orsara di Puglia (FG) tel 328/2232556

*Albergo Le Querce, SS 90, km 54, Orsara di Puglia (FG); tel 0881/961256

INFO

www.comune.orsaradipuglia.fg.it




Argegno e la Valle d’Intelvi. Sul Lago di Como con Ford Ecosport (1° giorno)

Piccolo gioiello che si affaccia sulla riva occidentale del Lago di Como, Argegno, ad appena una ventina di chilometri da Como, è bella da visitare in tutte le stagioni. Proprio il tardo autunno è il momento migliore per ammirare scorci inediti, atmosfere romantiche e il suo cuore medievale.

Noi ci siamo andati con Ford Ecosport, un SUV compatto ideale sia affrontare le salite sia per viaggiare comodi in autostrada come sulle strade urbane. Ci godiamo quindi la Statale Regina, che prende il nome dall’antica via Regia romana che portava a Chiavenna e a Coira.

Ci godiamo anche gli splendidi panorami della Valle d’Intelvi, tra rinomate località turistiche, come Castiglione, San Fedele o Lanzo, e borghi e paesi tranquilli, lungo la strada che collega il Lago di Como al Lago di Lugano, in un paesaggio che alterna colline ammantate di boschi a terrazzamenti creati dall’uomo.

Ford Ecosport, la nostra compagna di viaggio

Per questo viaggio abbiamo deciso di utilizzare Ford Ecosport: il SUV compatto ideale sia per gli spostamenti in città che per un weekend fuori porta. A prima vista questa vettura dimostra molta personalità, soprattutto grazie all’allestimento ST line della versione che abbiamo in prova, e ricorda vagamente una Ford Edge in miniatura.

Lanciata da Ford nel 2003 e poi presentata in una seconda versione nel 2013, Ecosport è stata rinnovata a inizio 2018 con un restyling che ha donato molto carattere in più rispetto a prima. Il design è stato aggiornato con l’adozione di una mascherina esagonale più grande e rialzata a filo del cofano, al cui centro troviamo il logo Ford. Nuovi anche i fari e i cerchi in lega da 17 pollici che sono stati ridisegnati e conferiscono un look più sportivo alla vettura. L’allestimento ST line introduce, inoltre, minigonne, testo nero a contrasto, un paraurti posteriore più squadrato e altri dettagli in colore nero.

Saliti a bordo, gli interni sono simili a quelli di Ford Fiesta, con cui condivide anche lo stesso telaio. I materiali utilizzati nella zona alta della plancia sono più morbidi rispetto a prima ed è montato anche un nuovo volante. Al centro, invece, troviamo un display da 8 pollici. Il divanetto posteriore è comodo e la seduta permette di avere lo spazio necessario per le gambe.

Nonostante sia il modello più compatto della categoria, vanta un baule da 356 litri di capacità, estendibili a 1.238 litri se si abbattono i sedili. L’apertura a sinistra del portellone può risultare un po’ scomoda quando si ha poco spazio attorno.

Andiamo a visitare il centro storico

Dopo aver percorso un tratto della Statale Regina e ammirato gli splendidi scorci offerti dal Lago di Como, arriviamo ad Argegno. Lasciamo la nostra Ford Ecosport nel parcheggio che si trova proprio nel centro del paese e cominciano a esplorarlo a piedi per godere a pieno delle sue bellezze e “andare a caccia” di scorci inediti.

Di origini romane, Argegno ha un cuore medievale, che raggiungiamo a piedi attraversando una piazza attorno alla quale si trovano ristoranti, un’enoteca e una fontana. Ci troviamo quindi nella parte storica, tra vicoli, case addossate le une alle altre, ma sempre seguendo una propria armonia, interrotte da portici e da visioni fugaci del panorama del lago. Siamo nella zona bassa, la più antica, mentre nella parte alta si trova la parte più moderna.

Ci incamminiamo lungo Vicolo Mulini, un tempo sede della Roggia Molinara, che veicolava le acque del Telo per fornire energia motrice ai quattro mulini adibiti alla macinazione del grano, del frumento e delle castagne. Oggi, i mulini sono stati trasformati in abitazioni private.

Costeggiando il fiume arriviamo poi al ponte romanico a sesto acuto, ancora perfettamente conservato. Lasciamo spaziare lo sguardo per ammirare il meraviglioso contrasto di colori tra l’azzurro delle acque del lago e il verde delle montagne. Proseguiamo ancora verso la foce del Telo e arriviamo a un piccolo imbarcadero, con una doppia fila di barche che sembrano oziare crogiolandosi nelle miti atmosfere autunnali. Da qui, ammiriamo il profilo dell’Isola Comacina.

Dal Lido al Belvedere di Pigra

Poco distante dall’imbarcadero, merita una visita la Chiesa della Santissima Trinità, costruita su un edificio seicentesco preesistente. In stile neogotico, è stata consacrata nel 1929 e spicca per gli splendidi mosaici raffiguranti i quattro evangelisti che adornano la facciata, ai quali si affiancano le figure di Sant’Anna, patrona del paese e Sant’Abbondio, patrono di Como. Mirabile anche il rosone con i suoi vetri colorati.

Dopo aver visitato l’interno ci soffermiamo ad ammirare il Lido, che si trova proprio di fronte alla chiesa. Il panorama è davvero mozzafiato, ma anche qui il tempo in questa stagione sembra sospeso, in attesa dell’arrivo della bella stagione per animarsi di musica e voci nei locali che circondano la spiaggetta.

A sinistra della chiesa si trova una scalinata, salendo la quale arriviamo alla funivia che conduce al Belvedere Pigra. Il dislivello per arrivare al belvedere è di circa 650. La salita è lenta per consentire alla vista di perdersi in panorami mozzafiato. Dall’alto scorgiamo Laglio, Nesso, Bellagio, Varenna, Punta Balbianello e l’Isola Comacina, ma anche i riflessi dei monti che si specchiano nelle acque chiare. Un’esperienza che vi consigliamo di non perdere.

Si conclude qui la nostra prima giornata sul Lago di Como. Domani ci rimetteremo alla guida della nostra Ford Ecosport e ci sposteremo a Briennio, per una visita a un altro piccolo gioiello del lago tutto da scoprire. Prima, però, ci mettiamo a tavola per una buona cena a base dei sapori del Lario.

Una cucina di acqua e di terra

La tradizione culinaria del Lario si basa prevalentemente sul pesce fornito dal lago, alla quale, tuttavia, si affiancano sapori e ricette della collina e della montagna. Tra queste le varie preparazioni a base di polenta, come la polenta taragna, di grano saraceno, oppure la polenta uncia, riccamente condita con formaggio, burro e aglio.

Il lago fornisce invece gli ingredienti per il fritto misto, come alborelle e agoni, che si gustano in tutte le stagioni, infarinati e fritti. Il lavarello e i filetti di pesce persico si preparano invece impanati con l’uovo e fritti con burro e salvia. Vale l’assaggio il pesce in carpione, che viene fritto e poi marinato in un composto di cipolle, aceto e alloro. Ottimo anche il pesce in salsa verde, che viene prima grigliato e poi marinato in una salsa di prezzemolo, capperi, acciughe, agli, olio d’oliva, mollica di pane e tuorlo d’uovo.

Il prodotto tipico del Lario sono invece i missoltini, agoni che vengono essiccati al sole e conservati a strati e alternati a foglie di alloro in un recipiente, chiamato missolta, chiuso da un coperchio di legno al quale sono applicati dei pesi. Si gustano leggermente grigliati e conditi con olio e aceto, accompagnati dalla polenta abbrustolita.

Tra i dolci, tipica è la miascia, di origine assai antica, che si prepara con pane raffermo, uova, latte, zucchero, mele e pere, uvetta e, a seconda delle varianti, con cioccolato, amaretti e scorza di limone.

Noi invece vi suggeriamo la ricetta del masigott, un dolce che arriva dalla tradizione povera. Secondo alcune versioni, il suo nome deriverebbe dalla descrizione del popolano, goffo e sempliciotto, mentre secondo altre dalla forma irregolare e dalla pasta grossolana. Dal 2000 gode dell’etichetta di Prodotto Agroalimentare Tradizionale Lombardo del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.

Masigott

Ingredienti

  • 200 gr di farina di grano tenero tipo 00
  • 100 gr di farina di grano saraceno
  • 100 gr di farina di mais
  • 1 bustina di lievito per dolci
  • 4 uova
  • 100 gr di burro
  • 200 gr di zucchero semolato
  • 150 gr di noci sgusciate
  • 100 gr di pinoli
  • 150 gr di uvetta
  • 150 gr di scorze di arancia candite
  • Buccia di 1 limone
  • 1 pizzico di sale

Lavorate insieme il burro ammorbidito e lo zucchero, poi incorporate le uova sbattute con un pizzico di sale. Mescolate tutte le farine con il lievito e aggiungetele al composto. Amalgamate il tutto fino a ottenere un impasto liscio e omogeneo. A questo punto unite anche l’uvetta ammollata e strizzata, la buccia del limone grattugiato e tutti gli altri ingredienti. Se l’impasto risultasse troppo duro potete aggiungere un altro uovo. Disponete l’impasto su una placca da forno precedentemente imburrata e infarinata (o su carta da forno), dandogli una forma ovale. Infornate a 190°C per circa 40 minuti.

COME ARRIVARE

In auto: da Milano A9 con uscita “Lago di Como”. Proseguire poi sulla SS340 Regina in direzione di Argegno-Menaggio per circa 15 minuti. Dalla Valtellina e dalla Valchiavenna percorrere la SS340 Regina in direzione Menaggio e seguire le indicazioni per Argegno-Como.

DOVE MANGIARE

*Ristorante La P’Osteria, via Lungo Telo Sinistra 3, Argegno (CO), tel 031/4474072, www.laposteria1817.net Locale ricavato negli antichi locali dell’ufficio postale, che includono anche una grotta del 1800 con sassi a vista e un ambiente più moderno. Il menù propone piatti della cucina lariana e piemontese. Prezzo medio € 46 a persona.

*La Piazzetta, piazza Roma 48, Argegno (CO), tel 031/821110, www.piazzettargegno.com Locale elegante, arredato con pietra a vista e travi di legno, con dehors vista lago. Propone piatti di carne e di pesce con ingredienti stagionali, locali e di origine controllata, in composizioni e abbinamenti creativi. Prezzo medio € 57 a persona.

DOVE DORMIRE

*Hotel Argegno***, via Milano 14, Argegno (CO), tel 031/821455, www.hotelargegno.co.it Struttura di 14 camere e un appartamento di lusso per soggiorni lunghi. Alcune sistemazioni godono di una doppia vista sul Lago di Como. A disposizione ristorante-pizzeria e parcheggio. Doppia con colazione da € 77. Appartamento da € 1120 a settimana per 4 persone.

*Hotel Villa Belvedere***, via Milano 1, Argegno (CO), tel 031//821116, www.villabelvedererelais.it Bella struttura di 20 camere di diversa tipologia, alcune con vista lago, arredate con colori chiari e materiali naturali per una vacanza di charme e relax. A disposizione ristorante con menù tipico. Doppia con colazione da € 89.

INFO

www.comune.argegno.co.it/

 




Da Egna a Salorno (2° giorno), tra storia e natura

Dopo il nostro primo giorno a Egna, il borgo famoso per i suoi portici, ci spostiamo a Salorno, che si dista poco più di 10 km e si raggiunge percorrendo la via Statale 12. Salorno è il Comune più meridionale dell’Alto Adige. Il confine con il Trentino è sancito da una chiusa fatta di ripide pareti di roccia, che segna anche lo spartiacque tra la lingua e cultura italiana e quella tedesca

Visita al castello di Haderburg

Il monumento più affascinante di Salorno è il castello di Haderburg, che spicca su uno sperone roccioso. Arroccato come un nido d’aquila, domina la valle e quasi si fonde e si confonde con le rocce. Anche se, a prima vista, sembra quasi impossibile da raggiungere, ci arriviamo invece facilmente percorrendo in circa 20 minuti a piedi il “Sentiero delle Visioni”, una comoda strada forestale che porta proprio sotto le imponenti mura medievali.

Si è subito colpiti da questo affascinante castello, le cui origini sono collocabili tra il XII e il XIII secolo. Si pensa che la rocca, con le imponenti cinte murarie e le torri merlate sia stata costruita proprio per proteggere la Chiusa di Salorno, in posizione strategica tra la Valle dell’Adige e il confine con l’Austria.

Un tempo, il castello ospitava guarnigioni militari e la famiglia del castellano. Oggi, invece, è sede di suggestive rievocazioni medievali, con tanto di banchetti a tema. Per chi fosse interessato ad approfondire la storia del castello, tornando in paese, nella centrale Piazza del Municipio, può visitare il piccolo Museo che racconta la storia della rocca attraverso alcuni cimeli e reperti.

Un centro storico dalle nobili origini

Torniamo quindi in paese per una passeggiata nel centro storico. Quello di Salorno è caratterizzato da una grande presenza di palazzi e residenze nobiliari, mai così numerosi in nessun comune della Bassa Atesina.

Camminando lungo le vie incontriamo facciate abbellite con portoni pregiati, stemmi, decorazioni, finestre abbellite con fregi e bifore, simbolo di una ricchezza fondata sui traffici commerciali e, soprattutto, sulla produzione di vino. A questo, nei secoli, si è aggiunta la preferenza dei nobili per trasferire qui le residenze estive per poter godere del clima salutare.

Tra gli edifici degli di nota, merita una menzione il palazzo sede del Municipio, che spicca sulla piazza principale, caratterizzata dalla presenza di una fontana con i delfini. Il palazzo del XVI secolo apparteneva ai baroni Winklhofer e spicca per il su Erker, il caratteristico balcone sporgente, a due piani.

La canonica, poi, è stata ricavata nell’antica dimora della famiglia Von Vilas. È in stile barocco, con soffitti decorati con stucchi e balaustre preziose in ferro battuto. Sempre in stile barocco,  Palazzo von Lutterotti spicca per  l’imponente portone, da cui si accede al Tribunale. Ha ospitato anche le carceri della vecchia Giurisdizione di Salorno.

È appartenuto invece a diverse famiglie nobili il Palazzo della Signoria, mentre Casa Coreth dal 1483 è stata la residenza ufficiale dei Conti di Salorno. Casa Noldin, antica dimora di nobili asburgici, oggi è invece sede di un centro culturale.

Salorno vanta anche un gran numero di alberghi storici. La sua vocazione commerciale, infatti, la rendeva molto frequentata da visitatori di passaggio, per affari o diletto. Le strutture ricettive erano dislocate lungo via Trento. Un tempo, se ne contavano una dozzina, con nomi suggestivi, come “Cavallino Bianco”, “Alle Rose”, “Aquila nera”. Oggi molti non esistono più, ma la storia tramanda che qui soggiornarono personalità del calibro di Napoleone, Martin Lutero, Massimiliano di Baviera, Leopoldo II e Albrecht Dürer.

Lungo il sentiero per Monte Corno

Gli amanti delle escursioni, mirate soprattutto per ammirare i colori autunnali, possono prendere Salorno come punto di partenza per visitare le frazioni e i panorami del Parco Naturale di Monte Corno.

Dal paese parte infatti la strada panoramica che conduce prima alla frazione di Pochi, a 560 metri di altezza, situata su un pendio ammantato di vigneti. In paese si trova anche la deliziosa chiesa di Sant’Orsola, che merita una breve sosta.

Proseguendo ancora in salita lungo la strada panoramica si arriva invece alla frazione di Cauria, a 1230 metri, da cui si può godere dello splendido panorama delle Dolomiti del Brenta. Chi volesse proseguire ancora oltre, da qui parte un’escursione di circa 2 ore e mezzo che conduce a Malga Corno, nel cuore del Parco Naturale del Monte Corno, un’area protetta di 6660 ettari, caratterizzato da fitti boschi, torbiere e laghi, habitat naturale di ungulati, rapaci notturni, del gallo cedrone e del francolino di monte.

La Strada del Vino dell’Alto Adige

Salorno è la tappa finale della Strada del Vino dell’Alto Adige (www.suedtiroler-weinstrasse.it ) eletta, tra 140 “strade” del vino la più antica d’Italia. La Strada tocca le località di Nalles, Terlano, Andriano, Appiano, Caldaro, Termeno, Cortaccia, Magré, Cortina, Salorno, Ora, Montagna, Egna, Vadena, Bronzolo e, naturalmente, il capoluogo e città del vino Bolzano.

Attraversa una superficie vitivinicola di 4000 ettari, su un totale complessivo di 5000 ettari in tutto l’Alto Adige, e si può percorrere in auto, in moto, in bicicletta, da soli o in compagnia, con tappe nelle varie cantine per degustare i pregiati vini altoatesini, la cui produzione risale addirittura ai tempi del Romani.

Tra i vini bianchi, alla cui produzione è dedicata il 55% della superficie coltivata, spiccano bianchi freschi, fruttati, come Gewürztraminer, Sylvaner, Müller-Thurgau, Riesling, Sauvignon, Veltliner e il Kerner. I rossi, invece, derivano da due varietà di vitigni autoctoni, il Vernatsch e il Lagrein, ma anche da vitigni classici, come il Pinot Nero, il Merlot e il Cabernet.

Vi lasciamo ora con una ricetta tipica di questa zona dell’Alto Adige, magari da accompagnare proprio con uno di questi “rossi” unici. Abbiamo scelto per voi il tipico Herrengröstel, a base di carne e patate, un piatto corposo, ideale per recuperare le energie dopo una giornata di visite ed escursioni. Alla prossima settimana!

Herrengröstel con speck e filetto di manzo

Ingredienti

  • 400 gr di patate
  • 1 cipolla
  • 100 gr di speck a strisce
  • 4 filetti di manzo da circa 150 gr cadauno
  • Brodo di carne
  • Sale e pepe
  • maggiorana

Mettete a bollire le patate in abbondante acqua salata, poi scolatele, lasciatele intiepidire, poi sbucciatele e tagliatele in fette uniformi. Fate rosolare il filetto in padella con 2 cucchiai di olio d’oliva. Poi mettetelo a riposare in forno a circa 80°C. Tagliate la cipolla a rondelle e rosolatela insieme allo speck con un filo do olio. Unite anche le patate. Condite con sale, pepe e maggiorana. Aggiungete un po’ di brodo di carna. Togliete i filetti dal forno e serviteteli insieme alle patate.

COME ARRIVARE

In auto: A22 del Brennero, uscita Egna-Ora-Termeno e poi seguire le indicazioni per Salorno.

 DOVE MANGIARE

*Zum 18 Fass, Haderburg, Salorno, tel 334/7775843, www.zum18tenfass.it Per un pasto veloce, ma senza rinunciare alla tradizione e alla qualità. Il menù offre taglieri di salumi e formaggi, canederli, speck e porchetta, salsicce e dolci tradizionali.

* Fichtenhof, Cauria 18, Salorno, tel 338/3028653, www.fichtenhof.it. Trattoria storica con sede in un maso nel cuore del parco naturale Monte Corno. Offre un menù di piatti tradizionali, tra cui canederli, tagliolini al tarassaco e speck, secondi di carne e pesce di fiume.

DOVE DORMIRE

Fichtenhof, Cauria 18, Salorno, tel 338/3028653, www.fichtenhof.it. Offre camere doppie e singole arredate in stile tirolese, nella splendida cornice naturale del parco di Monte Corno. Doppia con colazione da € 42, mezza pensione da €58.

INFO

www.castelfeder.info




Da Vallo di Nera a Spoleto (2° giorno)

Nella seconda parte del nostro itinerario alla scoperta dell’Umbria medievale, lasciamo il bel borgo di Vallo di Nera per immetterci prima sulla SP 465, poi sulla SS685 in direzione di Spoleto, la città che, nei secoli, ha conquistato Goethe ed Herman Hesse, ma anche il celebre pittore Turner, che ritrasse il Ponte delle Torri in uno dei suoi capolavori.

A lungo capitale del regno dei Longobardi, Spoleto ha una ricchezza storico artistica che lascia senza fiato, a testimonianza delle diverse epoche storiche che si sono susseguite. In tempi moderni, Spoleto è diventata famosa in tutto il mondo grazie al Festival dei Due Mondi, che si svolge ogni anno dal 1958 tra la fine di giugno e la prima metà di luglio.

In occasione della manifestazione, che ogni anno prevede un ricco programma di incontri e spettacoli di musica, arte, cultura e spettacoli che animano i teatri, le strade e le chiese della città, artisti provenienti da ogni parte del mondo arrivano qui con il loro seguito, trasformando la città in un vivace centro cosmopolita.

La rocca e il centro storico

A Spoleto ci sono davvero tantissime cose da fare e da vedere e l’ideale sarebbe avere a disposizione più giorni. Se il tempo poco, tuttavia, ecco un itinerario “ristretto” che tocca i monumenti più importanti.

Cominciamo il nostro tour dalla maestosa Rocca Albornonziana, sede di papi e governatori, che domina la città con le sue mura imponenti e il sistema di mura alternate a sei torri squadrate. La Rocca si divide in due aree, il Cortile d’Onore, che ospita il Museo Nazionale del Ducato, con testimonianze della ricca storia della città, è il Cortile delle Armi, sede di un teatro all’aperto.

Da qui parte il Giro della Rocca, una passeggiata panoramica da cui si ammira la splendida valle e la Cattedrale, e tocca la cima del Colle Sant’Elia. Poco dopo l’inizio del percorso segnalato si arriva a una corta galleria che porta sia alla Rocca che alla parte bassa del centro storico, collegato da un suggestivo sistema di otto blocchi di scale mobili che, in poco più di 8 minuti, collegano questa zona al Quartiere della Ponzanina, a Corso Garibaldi, alla Basilica di San Salvatore, dichiarata dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità, e alla Chiesa di San Ponziano con annesso il Monastero.

Un ponte da record (e da brivido!)

È uno dei simboli di Spoleto e uno dei monumenti più belli e impressionanti. Il Ponte delle Torri unisce la Rocca e il Monteluco e ha misure uniche nel suo genere: 230 metri di lunghezza e 82 di altezza, con una visuale a strapiombo su un orrido boscoso, dal quale sembrano spuntare i suoi archi regolari e cadenzati. La sua costruzione è stata completata tra il Duecento e il Trecento, a seguito del saccheggio della città da parte di Federico Barbarossa. Il ponte, nei secoli, ha impressionato artisti e letterati, tra cui Goethe, che lo descrive nella sua opera Viaggio in Italia.

In epoca romana, invece, Spoleto era una località turistica molto gettonata dai nobili, che qui avevano “la casa delle vacanze”, grazie al clima salubre e fresco. Scendendo verso il centro visitiamo quindi il bel Teatro Romano, risalente al I secolo, dove ancora si tengono spettacoli e concerti.

Prendiamo quindi via Monterone e la percorriamo fino a un incrocio. Sulla destra ci troviamo Palazzo Mauri, sede della Biblioteca Comunale, mentre a sinistra ci sono la Chiesa di Sant’Ansano e la Cripta di Sant’Isacco, risalenti ai secoli XI e XVIII. Più avanti troviamo anche l’Arco di Druso e Germanico, di epoca romana.

Oltrepassiamo l’arco e ci troviamo in via Fontesecca che imbocchiamo per raggiungere la bella Piazza del Mercato. Prima, però, diamo un’occhiata a Palazzo Leti Sensi, sede prima del Podestà e poi del Consorzio della Bonifica Umbra. Ora, invece, ospita mostre ed esposizioni.

Arriviamo finalmente in Piazza del Duomo, dominata dalla splendida Cattedrale di Santa Maria Assunta, che custodisce al suo interno affreschi preziosi di Pinturicchio e Filippo Lippi. Nelle vicinanze c’è anche la Casa Romana, che si dice sia appartenuta a Polla, madre dell’imperatore Vespasiano.

Sulle orme di Don Matteo

Se invece siete fans della fortunata serie interpretata da Terence Hill, nei panni del simpatico Don Matteo, e Nino Frassica, nel ruolo del maresciallo Cecchini, ecco i luoghi che hanno fatto da sfondo alle ultime stagioni e che possono essere oggetto di un tour “cinematografico”.

In Piazza del Duomo si trovano la Canonica di Don Matteo, la Caserma del Carabinieri. Il Parlatoio del carcere, invece, è ospitato del Teatro Melisso. In Piazza della Signoria, invece sono state girate alcune scene esterne della Caserma dei Carabinieri. La chiesa di Don Matteo è invece la Basilica di Sant’Eufemia, mentre in via Fonseca ci sono le case di Cecchini e del Maresciallo Tommasi.

Le famose pedalate di Don Matteo e le passeggiate con il maresciallo Cecchini si svolgono invece lungo Corso Garibaldi, via delle Mura, Vicolo della Basilica, via dell’Arringo e il Ponte delle Torri. La scuola elementare, invece, è la Scuola delle Maestre Pie Filippine, che si trova accanto al complesso Monumentale di San Nicolò.

Bontà in tavola

Il re della tavola è sicuramente il tartufo nero, con il quale si gustano gli spaghetti al tartufo, gli stringozzi, la pasta tipica di Spoleto, ma anche la frittata. Nella zona c’è anche il presidio Slow Food del raro Sedano di Trevi, dal cuore carnoso e dal sapore spiccato, da gustare al meglio in pinzimonio, magari accompagnato dall’Olio di Trevi, oppure “alla parmigiana”.

Gli stringozzi, oltre che con il tartufo, si possono gustare “alla spoletina”, cioè conditi con un sugo a base di aglio, olio e peperoncino. Tra i secondi di carne, troviamo la coratella di agnello, che viene preparata in padella con olio e cipolla tritata e insaporita con sale, pepe, rosmarino, vino bianco e pelati a cubetti.

Ottime anche le braciole di castrato “a scottadito”, cotte alla griglia dopo essere state spalmate con un composto di lardo macinato, grasso di prosciutto, aglio, salvia, rosmarino, sedano, cipolla e maggiorana. Da gustare rigorosamente caldissime per non fare rapprendere il condimento. Le braciole si gustano anche “alla spoletina”, come nella nostra ricetta, cioè cotte con una salsa di olive, alloro, peperoncino e rosmarino.

A Spoleto, poi, i piatti di carne si cucinano al “pilotto”, dal nome del pezzo di lardo che viene arrotolato a imbuto e avvolto in un foglio di spessa carta paglia. Quando la carne, che può essere di manzo, pollo, agnello, maiale o quaglia, è arrivata a metà cottura, si incendia la carta del pilotto che viene poi tenuto sospeso sullo spiedo affinché le gocce di lardo fuso cadano sulla carne, donandole un sapore unico.

Tra i dolci, vi consigliamo la crescionda, una torta morbida a base di tuorli d’uomo, farina, latte, zucchero, amaretti, cioccolato fondente, cannella, scorza di limone e mistrà, oppure Attorta, una specie di strudel con un impasto di mele, cioccolato, frutta secca, rum o alchermes avvolto nella pasta sfoglia.

Braciole alla spoletina

Ingredienti

  • 4 braciole di maiale con l’osso
  • 1 bicchiere di vino bianco secco
  • 50 gr di olive verdi snocciolate
  • 2 cucchiai di pasta di olive verdi
  • 2 foglie di alloro
  • 1 pizzico di peperoncino macinato
  • 1 rametto di rosmarino
  • Farina q.b.
  • Olio extra vergine di oliva
  • Sale e pepe

Pestate le braciole per assottigliarle e praticate qualche taglio sui bordi per non farle arricciare durante la cottura, poi infarinatele leggermente e fatele rosolare in una padella con 4/5 cucchiai di olio EVO. Aggiungete le foglie di alloro e il rosmarino. Giratele un paio di volte e fatele dorare a fuoco basso per circa 10 minuti. Unite anche le olive, il peperoncino e il paté di olive verdi. Lasciate cuocere ancora per qualche minuto, regolate di sale e di pepe e servite calde.

COME ARRIVARE

In auto: A1 Milano-Firenze-Roma-Napoli con uscita Valdichiana per chi arriva da nord e uscita Orte per chi viene da Sud. Poi seguire indicazioni per Spoleto. A14 Adriatica Bologna-Taranto con uscite Cesena, Fano o Ancora per chi viene da Nord e San Benedetto del Tronto per chi arriva da Sud. Superstrada E45 Cesena-Orte con uscita su SS75 in direzione di Assisi, uscita Acquasparta poi SS 418 o uscita Terni, poi uscita SS3.

DOVE MANGIARE

*Osteria Ristorante “Al Bacco Felice”, via Sasffi 24/26, Spoleto, tel 0743/225821, www.albaccofelicespoleto.com Locale che offre un menù di piatti tradizionali, a base di ingredienti locali, tra cui funghi e tartufi, in primi e secondi piatti. Prezzo medio alla carta € 25.

*Cantina dei Corvi, piazzetta SS Giovanni e Paolo 10//A, tel 0743//420427, www.cantinadeicorvi.com Locale di lunga tradizione ospitato al piano terra di un palazzo delle antiche famiglie Corvi Zacchei Travaglini del XVI secolo. Il menù propone ricette a base di prodotti tipici della zona, anche per celiaci. Prezzo medio € 22.

DOVE DORMIRE

*Hotel dei Duchi****, viale Matteotti 4, Spoleto, tel 0743/44541, www.hoteldeiduchi.it

Affacciato sul Teatro Romano, la struttura si trova nel centro di Spoleto, all’interno dei giardini del Parco Ancajani e comodo al centro storico e ai principali monumenti. Doppia da € 90.

*Hotel San Luca****, via Interna delle Mura 21, Spoleto, tel 0743/223399, www.hotelsanluca.com Nel centro storico della città, è immerso nel verde di un antico convento e dotato di uno splendido cortile. Le camere sono spaziose e arredate in tonalità pastello. Dispongono di bagno privato in marmo, minibar, aria condizionata e riscaldamento. Alcune sono provviste di balcone e vasca idromassaggio. Doppia da € 110

 INFO

www.comunespoleto.gov.it




Vallo di Nera, benvenuti nel Medioevo (1° giorno)

Un dedalo di viuzze che si arrampicano lungo mura e case di pietra, edifici antichi che si fondono l’uno all’altro e si aprono a ventaglio tra la cinta muraria e le torri, chiese che racchiudono tesori inimmaginabili. Siamo a Vallo di Nera, in provincia di Perugia, borgo medievale tra “i più belli d’Italia”, un luogo dove il tempo sembra essersi fermato al Medioevo.

Dal toponimo, Castrum Valli, si pensa che qui ci sia stato un primo insediamento già in epoca romana. Ma è nel 1217, quando la vicina città di Spoleto, da cui dipendeva il piccolo centro di Vallo, acconsente alla costruzione di un castello e di mura difensive, che il borgo prende la connotazione attuale.

Ancora oggi, infatti Vallo di Nera ha la forma di una fortezza medievale con un impianto urbanistico a pianta ellittica, che sorge su un colle che si affaccia sul versante sinistro del fiume Nera. Al borgo si può accedere solo a piedi.

Nei silenzi del borgo

La prima cosa che ci colpisce, entrando da Portella, la porta di accesso al borgo, simmetrica a Portaranne, dalla parte opposta delle mura, è il silenzio. Nel senso che mancano tutti quei rumori a cui siamo abituati nella nostra quotidiana modernità: quello delle auto e dei clacson, dei mezzi di trasporto e dei telefonini.

Tutt’attorno a noi sembra fermo al Medioevo. Ci inoltriamo lungo vicoli stretti, passaggi angusti, sbirciamo il paesaggio dalle feritoie, ci arrampichiamo su ripide salite di pietra, mentre sulle nostre teste svettano archi e loggette. Spicca la casa torre di Petrone, che osò guidare la rivolta dei castelli della valle contro la “matrigna” Spoleto.

I gioielli del borgo sono tre chiese romaniche, che conservano tesori artistici di inestimabile valore. È alquanto singolare che ben tre edifici religiosi, e di tal fatta, siano concentrati in un borgo proporzionalmente così piccolo. Le tre chiese sono disposte ai lati di un triangolo immaginario il cui vertice corrisponde al castello.

Il giro delle tre chiese

Cominciamo la nostra visita dalla Chiesa di San Giovanni Battista, situata sulla parte più alta del colle che domina il borgo. Il nucleo originario è romanico e risale al XIII secolo. Successivamente, la chiesa è stata ampliata e ricostruita nel 1575, come testimonia la data incisa sull’angolo sinistro della facciata.

Sono rinascimentali, infatti, la facciata, il rosone, il portale e il campanile. Entriamo e ammiriamo lo splendido affresco di Jacopo Siculo del 1536, che si trova nel catino absidale e raffigura la Morte della Madonna. Un altro dipinto dello stesso autore, raffigurante l’Annunciazione e il Santi Sebastiano e Rocco a grandezza naturale è situato sul fronte dell’arco.

La tappa successiva è la chiesa francescana di Santa Maria, il cui primo nucleo risale al 1273. Successivamente rimaneggiata, spicca per il suo bel portale gotico e il campanile. L’interno è un vero e proprio scrigno di affreschi preziosi, opera di artisti di scuola giottesca.

Uno dei più belli e interessanti è la Processione dei Bianchi  di Cola di Pietro del 1401, che ha anche un valore storico e antropologico, poiché testimonia usi e costumi del movimento penitenziario del Bianchi, che nel 1399 ha attraversato tutta l’Italia. Di notevole pregio anche il Martirio di Santa Lucia di un pittore di Camerino del XV secolo.

Splendida la torre campanaria, massiccia e a pianta quadrata, dove le campane vengono ancora suonate a mano. La terza chiesa che vale una visita è quella dedicata a Santa Caterina, risalente al 1354.

Tra le curiosità, spicca La Casa dei Racconti, un centro di ricerca sulla letteratura popolare, che conserva e raccoglie materiale cartaceo, editoriale, audiovisivo e digitale con lo scopo di preservare e diffondere la cultura popolare. Attraverso il sito internet www.laterradeiracconti..it si possono depositare le proprie storie e consultare quelle degli altri.

Nei mesi di luglio e agosto, poi, ogni anno si tiene la manifestazione La Terra dei Racconti, che prevede una rassegna di teatro di piazza, incontri con autori, storie itineranti per le vie del borgo e un concorso letterario.

Fuori le mura

Uscendo dalle mura di Vallo si trovano alcuni piccoli gioielli che vale la pena visitare. Tra questi c’è il minuscolo borgo di Santa Maria con la chiesa francescana, e il borgo di Casali la cui fondazione risale al Cinquecento. Qui si trova un microcosmo antico con edicole campestri, torri colombaie, antiche botteghe artigiane e fontane. C’è la piccola chiesa di San Rocco e l’Eremo di Sant’Antonio. Nella frazione di Piedipaterno, invece, si trova l’abbazia benedettina di Santa Maria.

Il viaggio nel tempo prosegue poi a Meggiano, dove si trovano la Pieve di Paterno e la chiesa di San Michele Arcangelo, che meritano una visita, ma anche atmosfere antiche che si perdono tra portali di pietra, balconcini sporgenti, orti e forni per cuocere il pane.

La prima tappa del nostro itinerario si conclude qui. Domani partiremo alla volta di Spoleto.

I piaceri della tavola

L’autunno in Valnerina regala frutti preziosi, come i tartufi neri, i porcini e le castagne. Tuttavia, questa terra antica porta in tavola anche squisiti salumi, il formaggio pecorino, le lenticchie, i legumi, il farro e l’orzo, ma anche le trote di fiume.

Tra i piatti della tradizione, ci sono gli strangozzi al tartufo o le tagliatelle, le minestre e le zuppe, (come la Zuppa di farro e castagne che trovate nella nostra ricetta) a base di farro, castagne e legumi, le torte salate, come il tortino con zafferano e funghi.

Tra i primi piatti, ci sono gli gnocchi al castrato o la polenta al tartufo, mentre tra i secondi di carne troviamo l’agnello tartufato, l’anatra al forno, le polpette ai funghi e zafferano.

La ricotta è l’ingrediente di molti dolci. Nel periodo natalizio, si prepara invece la Torta di Natale, a base di mele cotte, cioccolato, cannella, noce moscata e frutta secca, che vengono avvolti nella pasta sfoglia.

Zuppa di farro e castagne

Ingredienti

  • 150 gr di farro
  • 200 gr di castagne
  • 1 spicchio di aglio
  • 1 foglia di alloro
  • 1 ciuffetto di prezzemolo
  • 4 fette di pane casereccio
  • Olio extravergine di oliva
  • Sale e pepe

Mettete il farro in una ciotola di acqua fredda e lasciatelo per qualche minuto in ammollo. Incidete le castagne con un coltello e fatele bollire per circa 40 minuti in acqua salata a cui avrete aggiunto la foglia di alloro. Scolatele e sbucciatele. Lavate e tritate il prezzemolo, sbucciate l’aglio e affettatelo finemente. Prendete una casseruola, versateci 2 cucchiai di olio EVO e fate rosolare l’aglio e il prezzemolo. Aggiungete il farro e le castagne, regolare di sale e di pepe e coprite il tutto con acqua. Lasciate cuore la zuppa per circa un’ora, mescolando di tanto in tanto. Abbrustolite le fette di pane e disponetele in una zuppiera, versateci sopra la zuppa e conditela con un filo di olio crudo prima di servire.

COME ARRIVARE

In auto: da Roma, A1 con uscita Orte, da Terni e da Spoleto uscita Cascia-Norcia. Poi prendere la SS Valnerina e uscire a Castel San Felice. Seguire le indicazioni per Vallo di Nera. Da Firenze: A1 con uscita Valdichiana, poi prendere la Perugia-Foligno con uscita Cascia-Norcia e seguire per Vallo di Nera. Da Pescara, A14 in direzione di Ascoli Piceno, poi prendere la SP 476 in direzione Norcia e la SS Valnerina in direzione Borgo Cerreto-Piedipaterno, seguire poi per Vallo di Nera.

DOVE MANGIARE

*La Taverna del Bordone, Piazzale Pianillo Fantucci, Vallo di Nera (PG), tel 334/1764842, in splendida posizione con vista sulla Valnerina, offre un menù di piatti tradizionali umbri, preparati con ingredienti genuini da fornitori locali. Ottimo rapporto qualità prezzo. Prezzo medio € 22 p.p.

*Locanda Cacio Re, loc. I Casali, Vallo di Nera (PG), tel 0743/617003, www.caciore.com Agriturismo e ristorante ricavati in un antico casale del Cinquecento. Gli ingredienti dei piatti preparati quotidianamente dalle mani degli chef sono stagionali e del territorio. Menù degustazione da € 28 a € 40.

DOVE DORMIRE

*Agriturismo Valnerina, loc Piedilacosta 5, Vallo di Nera (PG), tel 335/6455708, www.agriturismovalnerina.it Mette a disposizione quattro appartamenti con area salotto, TV con canali satellitari, angolo cottura attrezzato, bagno privato e macchina da caffè. Splendida vista sulle montagne e, in estate, piscina all’aperto. Colazione all’italiana. Da € 65.

*Hotel Umbria***, via Valnerina 48, Vallo di Nero (PG), tel 334//3194568, www.hotelumbriavalnerina.it In splendida posizione, offre camere di diversa tipologia con bagno privato, wi fi gratuito, riscaldamento regolabile, TV a led. Il ristorante propone piatti della cucina umbra. Doppia con colazione da € 50, tripla da € 60.

INFO

www.comune.vallodinera.pg.it




Brisighella, il borgo dell’olio (1° giorno)

Ci sono tanti buoni motivi per visitare Brisighella, in provincia di Ravenna. Non solo è annoverato tra i “Borghi più belli d’Italia”; ma è anche stato certificato dal Touring Club con la Bandiera Arancione, oltre ad avere ottenuto le certificazioni di Città Slow e Città dell’Olio e del Vino.

Eccellenze gastronomiche, un antico passato, uno stabilimento termale e le meraviglie naturali del Parco della Vena del Gesso Romagnola, dove organizzare passeggiate ed escursioni a piedi, in bicicletta o a cavallo, fanno del borgo un piccolo gioiello da scegliere per trascorrervi un weekend.

Una passeggiata nel Medioevo

Al confine dei territori di Faenza e Firenze, Brisighella si sviluppa a ridosso di una rupe gessosa, sovrastata da tre scogli di seleniti, sui quali svettano la Rocca, la Torre dell’Orologio e il Santuario del Monticino. L’antica doppia linea di mura spunta, di tanto in tanto, tra le case di costruzione successiva.

Il centro storico, invece, è una meraviglia antica fatta di viuzze, vicoli, piccole piazze e cortili nascosti, case basse e saliscendi. Cominciamo la nostra visita dalla centrale Piazza Marconi, su cui si affaccia Palazzo Maghinardo, oggi sede del Municipio.

Da cui parte la splendida “via del Borgo”, conosciuta anche come Via degli Asini, una strada sopraelevata coperta da archi a mezzaluna di differente ampiezza. Si tratta di una costruzione unica al mondo, sorta tra i secoli XII e XIII, prima a scopo difensivo, poi utilizzata dai birocciai, coloro che trasportavano il gesso a dorso d’asino dalle vicine cave. Gli animali venivano ospitati sotto agli archi coperti, mentre i carri parcheggiati nella piazza sottostante.

Alziamo lo sguardo e ci soffermiamo ad ammirare la Torre dell’Orologio, il cui nucleo originario risale al 1290. L’intervento di ricostruzione più importante si ebbe nel 1548, mentre la forma attuale è del 1850.

Svetta imponente sul vicino scoglio di selenite la Rocca manfrediana, eretta da Manfredi di Faenza a scopo difensivo della valle del Lamone. Si compone del Torrione Veneziano del XVI secolo e del Torricino trecentesco. Al suo interno ospita il Museo della Civiltà Contadina, ma vale la pena salire sui suoi spalti per ammirare lo splendido paesaggio. Sul terzo colle si erge invece il Santuario del Monticino, del XVIII secolo, dal quale la vista spazia dalla valle del Lamone fino alla Toscana.

Appena fuori le mura

Ci spostiamo appena fuori dalla linea delle antiche mura e raggiungiamo la collegiata di San Michele Arcangelo del 1697. Spicca sulla facciata il portale in bronzo di Angelo Biancini mentre, all’interno sono presenti alcuni tesori, come un crocifisso in legno di olivo del XVI secolo, l’altare in scagliola policroma e una tavola del Palmezzano raffigurante l’Adorazione dei Magi, del XVI secolo.

Uscendo invece dal borgo, lungo la strada che porta a Firenze, incontriamo la Chiesa dell’Osservanza, del 1525, dedicata a Santa Maria degli Angeli, che conserva al suo interno ceramiche e stucchi seicenteschi, oltre a una bella tavola del Palmezzano sull’altare maggiore.

Proseguendo ancora lungo la strada per Firenze incontriamo la pieve del Tho, dedicata a San Giovanni Battista. Conosciuta anche come San Giovanni in Ottavo, deve questo nome al fatto che sorge all’ottavo miglio della strada romana che congiungeva Faenza alla Toscana. Si presenta come un solido edificio in stile romanico, con l’interno a tre navate, divise da archi che appoggiano su undici colonne di marmo grigio e una di marmo rosso di Verona. Capitelli, strutture e stucchi di epoche diverse testimoniano il suo passato movimentato.

Ad appena 500 metri dal centro abitato, si trova, invece lo stabilimento termale, (www.termedibrisighella.it) con acqua sulfuree e salsobromoiodiche, immerso in uno splendido parco.

Il museo e il sentiero dell’olio

Per conoscere l’olio extravergine di oliva “Brisighello” Dop e la sua tradizione secolare, vi raccomandiamo una visita al Museo dell’Olio, un vero e proprio museo a cielo aperto che ripercorre il ciclo produttivo dell’olio, dalla cura degli olivi alla raccolta, dalla spremitura alla produzione e vendita del prodotto finito.

Il percorso si snoda in mezzo agli olivi. Nel mese di novembre, poi, è possibile assistere alla brucatura, la tradizionale raccolta a mano dei frutti. Il percorso parte dall’antico Frantoio Sociale presso la Cooperativa Agricola Brisighellese e consta di sette soste, segnalate da una nicchia esplicativa.

Lo scorso anno è stato inaugurato anche Il Sentiero dell’Olio, un’escursione guidata di circa 3 ore che parte dal Frantoio Cab alle 8.30 e tocca i punti più importanti della storia del Borgo: la pieve di Tho, luogo del ritrovamento di una macina del II secolo, il pendio di via Valloni, dove si trovano alcuni olivi centenari, la Pieve di Rontana, il Museo Geologico dell’ex cava del Monticino, dove si possono vedere gli originari movimenti della crosta terrestre che hanno dato vita alla Vena del Gesso, il Santuario di Monticino, la Rocca manfrediana, il Giardino di Ebe, il labirinto opera dello scultore Hidetoshi Nagasawa, e il centro storico di Brisighella.

Le escursioni si effettuano il 21 ottobre, il 4 e il 18 novembre. La quota di partecipazione è di € 15 per gli adulti e di € 13 per i ragazzi dai 6 ai 12 anni. La quota include, oltre alla visita guidata, anche un aperitivo degustazione di olio e prodotti del territorio. (info e prenotazioni: tel 0546/81166)

I sapori del borgo

Oltre al olio dal tipico color giallo smeraldo e dal profumo fruttato, in autunno si portano in tavola funghi e tartufi, castagne, marroni e la pera volpina, uno dei frutti “dimenticati” e valorizzati nella zona.

Tra i formaggi, ci sono il “conciato”, un pecorino stagionato nelle grotte di gesso, e il raviggiolo, un formaggio burroso a pasta bianca e dal sapore delicato. Ottima la carne di Mora romagnola, un’antica razza autoctona di suini, con la quale si producono i salumi. Brisighella, poi, è zona di produzione del Carciofo Moretto e dello Scalogno IGP di Romagna.

Tra i primi piatti, troviamo i tortelli di ricotta, le tagliatelle al sugo di salsiccia di cinta o con la salsa di scalogno, i cappelletti, i passatelli e la spoja lorda, di cui trovate qui sotto la ricetta.

Immancabile la piadina romagnola, che accompagna taglieri di salumi e formaggi, oppure i secondi di carne alla griglia. Tra i dolci, troviamo gli zuccherini, ottimi biscotti secchi, e la ciambella, ma anche la zuppa inglese, la composta di riso e il migliaccio, fatto con farina di castagne e sangue di maiale. Celebri i vini Doc della zona, come l’Albana, il Sangiovese di Romagna, il Trebbiano di Romagna, il Pagadebit e la Cagnina.

Spoja Lorda

 Ingredienti per la sfoglia

  • 300 gr di farina
  • 3 uova

Ingredienti per il ripieno

  • 200 gr di raviggiolo (o in alternativa ricotta o casatella)
  • 100 gr di parmigiano grattugiato
  • 1 uovo intero
  • 1 pizzico di noce moscata
  • Brodo di carne o di cappone

Preparate la pasta sfoglia impastando insieme le uova e la farina e tiratela con il mattarello. Ricavate due sfoglie uguali piuttosto sottili. Passate poi al ripieno amalgamando insieme il raviggiolo, il parmigiano, l’uovo e la noce moscata. Stendete poi l’impasto su una delle due sfoglie e ricoprite con l’altra premendo leggermente in modo da fare aderire tra loro la superficie. Con una rotellina da pasta con i bordi zigrinati ricavate dei quadratini di circa 2 cm di lato. Fateli poi cuocere per alcuni minuti, finché non verranno a galla, in abbondante brodo di carne. Servite con una spolverata di Parmigiano grattugiato.

Il vino: un rosso Colli di Faenza dal sapore asciutto e corposo e dal colore rubino.

COME ARRIVARE

In auto: da nord A14 in direzione Ancona, poi uscire al casello di Faenza e immettersi sulla SP 302 in direzione Firenze. Proseguire per circa 13 km seguendo le indicazioni per Brisighella. Da Sud: prendere la SP 302 che collega Firenze a Brisighella in direzione Faenza e percorrerla per circa 87 km.

 DOVE MANGIARE

*Ristorante Cantina del Bonsignore, via Recuperati 4/A, Brisighella (Ra), tel 0546/81889. Locale accogliente, nel centro del borgo, ricavato all’interno di una cantina medievale ospitata in un palazzo cinquecentesco. Offre un menù di ricetta della tradizione, anche vegetariane, con ingredienti locali. Prezzo medio € 39.

*Trattoria La Casetta, via Ugonia 6, Brisighella (Ra), tel 0546/80250, www.trattoria-lacasetta.it  Locale tradizionale che offre piatti a base di funghi e tartufi, grigliate di carne, ma anche menù a base di pesce, vegetariano e dolci fatti in casa. Menù degustazione da € 20 a € 35. Alla carta prezzo medio € 40.

 DOVE DORMIRE

*Hotel La Meridiana***, viale delle Terme 19, Brisighella, tel 0546/81590, www.lameridianahotel.it Immerso nel parco delle terme, a poca distanza dal borgo medievale, offre 54 camere con vista sui colli o sul fiume Lamone. Doppia da € 65.

*La Rocca***, via delle Volte 10, Brisighella, Tel 0546/81180, www.albergo-larocca.it , offre 15 camere tra singole, doppie e suite con arredi moderni. A disposizione terrazza panoramica, ristorante e centro benessere. Doppia da € 70.

INFO

www.comune.brisighella.ra.it

www.brisighella.org

www.terredifaenza.it