Il Mondo in Italia. Il teatro greco di Siracusa e di Epidauro, Patrimoni UNESCO

Ci sono tante buone ragioni per vedere il mondo e viaggiare. Ma, se ancora non è venuto il momento buono per andare lontano, per diverse ragioni, possiamo trovare un pezzo di mondo anche nella nostra bella Italia. Sono tante, infatti, le meraviglie italiane che hanno qualcosa in comune con altre all’estero. Potete decidere di visitare il nostro immenso patrimonio e, perché no, in un’altra occasione vedere dal vivo anche il suo “gemello”. Abbiamo deciso di proporvi  “Il Mondo in Italia”, partendo  da Siracusa, in Sicilia, dove si trova il magnifico Teatro Greco, e poi a Epidauro, nella regione del Pelopponneso, in Grecia.

Maschere della tragedia greca

I teatri di Siracusa ed Epidauro, quante cose in comune

Sono due dei teatri più belli e importanti del mondo antico ed entrambi sono stati inseriti dall’UNESCO nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità. Il teatro greco di Siracusa risale al V secolo a.C, quello di Epidauro al IV, ma i punti in comune sono molti. Entrambi sono stati costruiti sfruttando una collina naturale, la spettacolare acustica di tutte e due è ancora oggetto di studi, sono talmente belli che, a differenza di molti altri monumenti dell’epoca, il cui progettista è rimasto anonimo, si conosce il nome dei due architetti.

Il teatro greco di Siracusa gremito durante una rappresentazione

Entrambi, poi, avevano una capienza che si avvicinava al 15 mila spettatori. Infine, tutti e due i teatri, ospitano ancora degli spettacoli, tra rassegne teatrali e festival, che consentono anche a noi di vivere le stesse emozioni degli antichi greci.

Il teatro greco di Siracusa, il palcoscenico della storia

Il teatro greco di Siracusa è uno dei capolavori dell’antichità e uno dei meglio conservati, nonostante sia stato oggetto di rifacimenti e di abbandono nel corso dei secoli. Fa parte dal 2005 del sito UNESCO che comprende il “Centro Storico di Siracusa e la necropoli rupestre di Pantalica”

Veduta dell’area archeologica di Siracusa

La sua esistenza è già accertata nel V secolo a.C e, come detto in precedenza, a differenza di altri monumenti, si conosce il nome del suo architetto, Damocopo, detto Myrilla. Si sa poi che Eschilo vi rappresentò per la prima volta le Etnee in onore del tiranno Jerone I dopo la fondazione della città di Etna, nel 476 a.C e, successivamente, anche “I Persiani”.

Allestimento dell’opera “Le troiane” al teatro greco di Siracusa

Tuttavia, il primo rifacimento, che lo annoverò tra i più grandi teatri del mondo greco, fu quello voluto da Ierone II, nel III secolo a.C, che di fatto gli diede l’aspetto che possiamo ammirare ancora oggi. Prima di tutto, la progettazione sfrutta la naturale pendenza del colle Temenite e garantisce agli spettatori una splendida vista panoramica sul porto e sull’isola di Ortigia. La cavea ha un diametro di 138,60 ed è una dei più grandi del mondo greco. In origine, poi, era costituita da 67 ordini di gradini scavati nella roccia e divisi in 9 settori da scalinate.

Circa a metà una recinzione, chiamata diazoma, la divideva in ulteriori due settori. Sul diazoma, in corrispondenza dei cunei, sono incisi i nomi di Zeus Olimpio, Eracle e quelli dei membri della famiglia regnante di Siracusa, tra cui Gerone II, sua moglie Filistide, la nuora Nereide e il figlio Gelone II. Sulla parte centrale della gradinata, scavata nella roccia, si trova una zona dove, un tempo, doveva trovarsi una tribuna riservata alle personalità più importanti.

In epoca romana, sotto l’imperatore Augusto, la cavea è stata modificata in una forma semicircolare, anziché a ferro di cavallo, e vennero aggiunti i corridoi di accesso alla scena. Altre modifiche importanti vennero fatte alla stessa scena, con l’aggiunta di nicchie semicircolari ai lati, e venne scavata una nuova fossa per il sipario. Altre modifiche sostanziali si ebbero anche in età tardo imperiale, quando l’orchestra fu dotata di giochi acquatici e la scena spostata più indietro. Le ultime modifiche sono accertate nel V secolo d.C.

Il teatro di Siracusa, dall’abbandono alla rinascita

Il teatro rimane quindi abbandonato per molti secoli, finché, nel 1526, gli Spagnoli di Carlo V depredano il teatro dei suoi blocchi di pietra per costruire le nuove fortificazioni attorno a Ortigia. Solo dopo la seconda metà del Cinquecento, Pietro Gaetani, marchese di Sortino, fa riattivare a proprie spese l’antico acquedotto che portava l’acqua sulla sommità del teatro. Sulla cavea sorgono così alcuni mulini e, sulla sommità, la cosiddetta “Casa dei Mugnai”, ancora visibile.

Il teatro greco di Siracusa è ancora “vivo”

Il Settecento è l’anno del Grand Tour e della riscoperta dell’archeologia. Nasce l’interesse per il teatro greco di Siracusa. Nell’Ottocento alcune campagne di scavo lo liberano della terra accumulata e iniziano gli studi archeologici. È nel 1914 che l’Istituto Nazionale del Dramma Antico (INDA), inaugura nel teatro le rappresentazioni delle opere greche con l’Agamennone di Eschilo.

Le Latomie

Dopo la pausa forzata della Prima Guerra Mondiale, le rappresentazioni riprendono nel 1921, quando arriva a Siracusa anche Filippo Tommaso Marinetti, mentre, nel 1930, re Vittorio Emanuele II è tra gli spettatori. Le rappresentazioni continuano ancora oggi, norme anti Covid permettendo, mentre il teatro e il parco archeologico di cui fa parte sono meta dei visitatori provenienti da tutta Italia e dal mondo.

Filippo Tommaso Marinetti, padre del Futurismo, fu tra gli spettatori del teatro greco

Il parco archeologico della Neapolis

Il teatro greco di Siracusa è inserito nel Parco Archeologico della Neapolis, un’area di 35 ettari che comprende anche altri importanti monumenti antichi che si possono visitare. Tra questi c’è l’Anfiteatro Romano, a dorma ellittica, completamente scavato nella roccia sul lato sud. Anch’esso è stato depredato delle sue pietre dagli Spagnoli per costruire i bastioni difensivi di Ortigia.

Veduta dell’Anfiteatro romano

Fa parte del complesso anche l’Ara di Ierone II, del III sec. a.C, dedicata a Zeus Eleutherios, in onore del quale si teneva la festa delle Eleutheria, durante la quale venivano sacrificati 450 tori. L’Ara presenta due ingressi, di cui quello sul lato nord un tempo era presieduto da due Telamoni, di cui oggi rimangono solo i piedi della statua a destra. Di tutta la costruzione, poi, oggi rimane solo la base, sempre a causa dell’azione predatoria degli Spagnoli.

Quel che rimane dell’Ara di Ierone II

Vicino al teatro greco di trovano poi le Latomie, grotte artificiali circondate da una lussureggiante vegetazione. La più famosa è l’Orecchio di Dioniso, alta 23 metri e larga dai 5 agli 11. La sua forma ricorda quella di un padiglione auricolare, fondo ben 65 metri.

L’ingresso dell’Orecchio di Dioniso

La grotta è dotata di eccezionali proprietà acustiche, in grado di amplificare un suono fino a 16 volte. Il nome sarebbe stato dato alla grotta dal pittore Caravaggio che, in visita a Siracusa nel 1608, che volle avvalorare la leggenda secondo la quale la grotta sarebbe stata voluta da Dioniso, tiranno di Siracusa, per rinchiudervi i prigionieri e tormentarli con suoni e parole amplificate dall’eco.

INFO: www.siracusaturismo.net

…scopri nella 2° pagina il teatro greco di Epidauro

Il teatro greco di Epidauro, capolavoro di architettura e acustica

Per scoprire il “gemello” del teatro greco di Siracusa, andiamo ora a Epidauro, nel cuore della regione del Pelopponneso, in Grecia, un’area caratterizzata da un paesaggio bucolico, che sembra essersi fermato al V secolo a.C, quando il teatro fu costruito. Ricco di sorgenti e aria buona, è stata anche la sede di un centro di cura, che gli antichi greci dedicarono ad Asclepio, dio della Medicina e figlio di Apollo.

Statua di Asclepio, dio della medicina

Il teatro di Epidauro, Patrimonio dell’Umanità UNESCO dal 1988, insieme a quello di Siracusa, è uno dei più belli e famosi del mondo antico ed è famoso per la sua acustica perfetta. Si dice infatti che basta sussurrare qualcosa sulla scena per fare arrivare le parole ben distinte sulle fila più alte delle gradinate.

Veduta del teatro greco di Epidauro, Patrimonio UNESCO

Come il teatro di Siracusa, anche quello di Epidauro sfrutta la pendenza naturale del monte Kynotrio e anche del suo architetto si conosce il nome: Policleto il Giovane. La sua costruzione è databile attorno al 340-330 a.C e, a differenza del “gemello” italiano, ancora oggi possiamo ammirarlo nella sua forma originaria. Questo anche grazie a un “provvidenziale” terremoto, che lo ricoprì completamente di terra nel VI secolo. Il teatro vide poi di nuovo la luce nell’Ottocento, grazie a una campagna di scavi archeologici.

Il teatro di Epidauro che cosa vedere

Una visita al teatro greco di Epidauro è un vero e proprio viaggio nel tempo. La sua orchestra, infatti, è l’unica di tutta la Grecia a mantenere la sua forma originaria. Ha un diametro di 20 metri e una forma semicircolare. Al centro si trovava invece l’altare dedicato a Dioniso, divinità legata al teatro e alle sue rappresentazioni, tragedie o commedie che fossero.

Gli spettatori, invece, entravano da due enormi porti situate ai due lati della scena, situata alle spalle dell’orchestra. La cavea, lo spazio riservato al pubblico, era composta da gradinate disposte in una sezione semicircolare attorno all’orchestra per circa i 2/3. Le gradinate erano poi divise in settori e collegate da scalinate per facilitarne l’accesso al pubblico. La capienza era di circa 14 mila spettatori.

Particolare delle gradinate riservate al pubblico

Come per Siracusa, anche il teatro greco di Epidauro è ancora attivo. Dal 1954, infatti, ospita il Festival di Epidauro una rassegna teatrale internazionale che vede in cartellone i grandi classici del teatro antico.

Uno degli spettacoli durante il Festival di Epidauro

Da vedere nei dintorni del teatro greco

Nei pressi del teatro greco meritano una visita anche gli altri monumenti della zona archeologica. Tra questi c’è l’Asklepion, uno dei templi più importanti dell’antica Grecia dedicata al dio della medicina. Oggi, purtroppo, sono rimaste solo alcune colonne.

L’area archeologica con l’Asklepion

Sempre nelle vicinanze ci sono lo Stadio, risalente al V secolo a.C, che ogni quattro anni ospitava i giochi, e il Tholos, un edificio a pianta circolare con colonne, la cui funzione non è ancora stata del tutto chiarita. Merita una visita anche il Museo Archeologico di Epidauro, dove sono conservati i reperti e le statue ritrovati durante le campagne di scavo.

Una delle sale del Museo Archeologico di Epidauro

INFO: www.visitgreece.gr




I 10 Parchi Nazionali più belli del mondo

(Italian and English version)

MARZO IN THE WORLD: TOP 10 parchi nazionali

Parchi e Riserva hanno l’obiettivo di tutelare paesaggi ed ecosistemi di rara bellezza, consentendo di preservare una ricca biodiversità dalla mano dell’uomo che, tuttavia, in queste zone protette può diventare uno spettatore e stupirsi della bellezza della natura. Ma quali sono i Parchi Nazionali più belli del mondo? Abbiamo provato a cercarli per l’appuntamento settimanale della nostra rubrica TOP 10. Questi sono quelli che, secondo noi, meritano una posizione in classifica.

1. Parco Nazionale del Serengeti (Tanzania)

Il suo nome in lingua masai significa “pianura sconfinata”. Il Parco Nazionale del Serengeti, con i suoi 14.763 kmq è una delle aree protette più importanti dell’Africa Orientale e tra le più famose del mondo. Si trova nel nord della Tanzania, nell’omonima pianura, tra il Lago Vittoria e il confine con il Kenya. Confina poi con altri celebri parchi africani, come quello di Masai Mara, in Kenya, e la riserva naturale di Ngorongoro.

Qui vivono leoni, leopardi, elefanti, zebre, antilopi, gazzelle gnu, ippopotami e tante altre specie. Qui si può assistere a uno degli spettacoli della natura più belli del mondo, chiamata la “grande migrazione”, si tratta infatti del più importante movimento di animali selvatici della Terra. Nel 1981 è stato inserito dall’UNESCO tra i siti Patrimonio dell’Umanità.

2. Parco Nazionale di Yellowstone (Stati Uniti)

È il Parco Nazionale più antico del mondo. La sua istituzione risale infatti al 1° marzo 1872. Yellowstone si estende su un’area di 8983,18 kmq (quasi quanto la Corsica) e si trova a cavallo fra tre stati, il Wyoming per la parte nord occidentale, l’Idaho per quella sud orientale e il Montana per quello sud occidentale. È anche uno dei parchi più visitati del mondo, con più di 4 milioni di visitatori all’anno. E di fascino ne ha da vendere. Basti pensare che include diversi ecosistemi, tra cui il più ampio è quello della foresta subalpina.

Qui si trovano canyon mozzafiato, catene montuose, laghi, tra cui lo Yellowstone, uno dei più grandi laghi d’alta quota in tutti gli USA, e, soprattutto la Caldera di Yellowstone, il più grande super vulcano del mondo considerato dormiente. Inoltre, più della metà dei geyser e delle sorgenti idrotermali del mondo si trovano in questo parco, tutti alimentati dall’attività vulcanica in corso. Tra gli “ospiti” troviamo il lupo grigio, il grizzly, il bisonte americano e il wapiti. La mandria di bisonti dello Yellowstone, poi, è la più antica e numerosa di tutti gli Stati Uniti. Dal 1978 è Patrimonio dell’Umanità UNESCO.

3. Parco Nazionale delle Isole Galapagos

Al terzo porto il Parco Nazionale delle Isole Galapagos, anch’esso Patrimonio dell’Umanità UNESCO dal 1979. Fondato nel 1959 in omaggio a Charles Darwin che su queste isole formulò le sue teorie dell’evoluzione, è divenuto operativo dal 1968. Comprende il 97% del territorio delle Isole Galapagos, inclusi i centri abitati di Santa Cruz, San Cristobal, Baltra, Floreana e Isabela. Uno degli itinerari più belli è Tortuga Bay, sull’isola di Santa Cruz, a circa 20 minuti a piedi dal molo da dove partono i taxi acquatici a Puerto Ayora.

Il percorso consente di fare incontri ravvicinati con iguane marine, granchi e uccelli. Nella baia, poi, si possono avvistare gli squali pinna bianca che nuotano a piccoli gruppi e la gigantesca tartaruga delle Galapagos. Le isole vantano una biodiversità unica al mondo che include l’iguana terreste delle Galapagos e quella marina, la tartaruga gigante e la tartaruga verde, il pinguino delle Galapagos, l’unico che vive all’Equatore, il cormorano attero, la sula dai piedi azzurri, il pellicano bruno. il leone marino e l’otaria orsina.

4. Parco Nazionale di Goreme (Turchia)

Il suo nome completo è Parco Nazionale di Goreme e dei siti rupestri della Cappadocia. Entra di diritto nella nostra TOP 10 per i suoi paesaggi unici, disegnati nei secoli da rocce erose dall’acqua e dal vento. Si trova nella Turchia Centrale, in un’area di circa 100 kmq, nella provincia di Neysehir. Include la regione vulcanica dei monti Hasan ed Ercives nell’Anatolia centrale. Le rocce di basalto e di tufo hanno dato origine a torri rocciose, pilastri, rocce a tende e i famosi Camini delle fate.

Qui nel IV secolo si insediò una prima comunità di anacoreti, che iniziarono ad abitare in celle scavate nella roccia e, successivamente, in veri e propri villaggi sotterranei per sfuggire agli attacchi dei predoni arabi.  Attorno all’842 le chiese sotterranee vennero decorate con dipinti colorati di una bellezza unica. Ancora oggi, alcune persone vivono in case rupestri, anche se non sotto terra. Anche il Parco Nazionale di Goreme è stato inserito tra i siti Patrimonio dell’Umanità UNESCO nel 1985.

5. Parco Nazionale Torres del Paine (Patagonia, Cile)

Laghi cristallini, torri di granito, ghiacciai perenni. Il Parco Nazionale Torres del Paine regala uno dei paesaggi più straordinari del Cile. Siamo nella regione della Patagonia, a 112 km a nord di Puerto Natales e a 312 dalla città di Punta Arenas. Tra le montagne comprese nel suo territorio ci sono il complesso del Cerro Paine, la cui cima più importante tocca i 3050 mslsm, le Torred del Paine, che danno il nome al parco, e i Cuernos del Paine.

Vallate, fiumi, ghiacciai sono l’habitat dove hanno trovato casa puma, guanachi, volpi grigie, marà, nandù e il condor delle Ande. Qui si trovano anche due rari mammiferi, il kodkod, un piccolo gatto selvatico, e l’orso dagli occhiali, l’unico orso nel Sud America. Tra le specie di uccelli assai rare, invece, troviamo il fenicottero del Cile e l’anatra muschiata. È uno dei parchi più visitati del Paese e il 75% dei turisti è straniero, per lo più proveniente dall’Europa. È stato inaugurato il 13 maggio 1959, il 28 aprile 1978 è diventato Riserva della Biosfera e, nel 1994, è entrato nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità.

6. Parco del Gran Canyon (Arizona, USA)

È uno dei parchi più famosi al mondo per le sue caratteristiche e inconfondibili rocce rosse che si colorano di sfumature incredibili riflettendo la luce del sole, soprattutto all’alba e al tramonto. Istituito il 26 febbraio 1919 prende il nome dal Grand Canyon una gola formata dal fiume Colorado in più di 5 milioni di anni, profonda ben 1600 metri e lunga 450 km.

Il parco si estende per 49128 kmq e, fino alla presidenza Roosvelt, l’area era di proprietà dei Nativi Americani che oggi abitano solo in una piccola zona. È considerata una delle “meraviglie naturali del mondo” e ogni anno attira milioni di visitatori provenienti da tutto il pianeta che vogliono ammirare almeno una volta nella vita lo straordinario panorama da uno dei tanti punti di osservazione oppure grazie a un volo panoramico in elicottero. Costa circa 250 dollari, ma ne vale la pena.

7. Parco Nazionale dei Laghi di Plitvice (Croazia)

Una successione di ben 16 laghi, collegati tra loro da cascate e circondati da una vegetazione lussureggiante. Entra nella nostra TOP 10 anche il Parco Nazionale del Laghi di Plitvice, nella vicina Croazia, una meraviglia della natura che fa parte del Patrimonio dell’Umanità UNESCO dal 1979. Il parco si estende su una superficie di 33mila ettari tra boschi, grotte, cascate, laghi e corsi d’acqua dove vive una ricca biodiversità tra cui 157 specie di uccelli, 50 di mammiferi, 321 di lepidotteri, tra cui 76 specie di farfalle e 245 di falene.

Tra gli animali che si possono avvistare qui ci sono l’orso bruno, il lupo, la lince, il cinghiale e il capriolo. Gli splendidi laghi sono formati da due fiumi, il Fiume Bianco e il Fiume Nero, che confluiscono nel fiume Korana. Inoltre, le loro acque sono ricche di Sali minerali di origine calcarea, come carbonato di calcio e di magnesio che nei secoli hanno formato strati di travertino, che insieme alla folta vegetazione, regala scorci di rara bellezza. Nel parco ci si può spostare a piedi, in bicicletta, ma anche in barca e con un trenino, ammirando i suoi incredibili colori.

8. Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni (Italia)

Non potevamo non inserire un parco italiano nella nostra TOP 10. E la scelta è caduta sul Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, in provincia di Salerno. Natura incontaminata, un mare cristallino, antiche vestigia e tesori barocchi fanno di questo parco uno dei più belli e interessanti del mondo. Diventato Parco Nazionale nel 1991, si estende oggi per più di 181 mila ettari, corrispondenti alla parte meridionale della provincia di Salerno, compresa tra la Piana del Sele a nord, la Basilicata a sud e il Mar Tirreno a ovest. Nell’area del parco sono inclusi anche 80 Comuni e 8 Comunità Montane.

Inoltre, fanno parte del territorio del parco anche gli splendidi siti archeologici di Paestum e Velia, città greche poi passate sotto il dominio romano. Un altro gioiello del parco è la Certosa di Padula, la più grande d’Italia, e uno del più monumentali complessi religiosi in stile barocco del Sud Italia. L’ampio territorio e la varietà di ambienti ha poi fatto sì che nel parco trovassero il loro habitat ideale circa 600 specie di animali diverse. Come l’istrice, la faina, lo scoiattolo, il lupo, la lontra, la lepre, ma anche il ghiro, il gatto selvatico, il cinghiale, il cervo e il capriolo.

Sono poi presenti numerose specie di pipistrelli e di rapaci, come l’aquila reale, il nibbio, il falco pellegrino, il gufo reale, e il nibbio. Nelle acque del Tirreno nuotano poi tursiopi e capodogli. Ci sono stati avvistamenti anche di tartarughe Caretta caretta. Dal 1997 è anche Riserva della Biosfera, dal 1998 Patrimonio UNESCO e dal 2010 è l’unico parco italiano a essere diventato geoparco.

9. Parco Nazionale di Huanglong (Cina)

Un paesaggio magico, formato da terrazze di acqua termale in centinaia di piscinette di calcite. Le terrazze, disposte su diversi livelli, si trovano a diverse altezze e fino a 4000 metri. Il tutto circondato da boschi, cascate e cime innevate. Entra nella nostra TOP 10 anche il Parco Nazionale di Huanglong, il cui nome significa “drago giallo”.

Si trova nella Contea di Songpan, nella provincia di Sichuan, in Cina. Occupa la parte meridionale della catena montuosa del Minshan, a 150 km a nord ovest di Chengdu. Qui vivono diverse specie, tra cui alcune rare e considerate in via di estinzione, come il panda gigante e la scimmia dorata del Sichuan. Anche il parco di Huanglong fa parte, dal 1992, dei siti Patrimonio dell’Umanità UNESCO e dal 2000 è stata aggiunta anche all’elenco delle Riserve della Biosfera.

10. Parco Nazionale Uluru-Kata Tjuta (Australia)

Chiude la nostra TOP 10 l’iconico Parco Nazionale Uluru-Kata Tjuta, uno dei simboli dell’Australia. Situato nella provincia dei Territori del Nord, a circa 1400 km a sud di Darwin, si estende su un’area di 1326 kmq e comprende le famosissime formazioni geologiche che gli danno il nome: Ayers Rock, Uluru, in lingua aborigena, lo straordinario monolito di granito rosso che muta colore a seconda delle ore del giorno, e Mount Olga, Kata Tjuta in aborigeno, una cupola rocciosa che svetta nel bel mezzo di una piana. Questa area è considerata sacra dagli aborigeni australiani, ai quali è stata restituita nel 1985. Oggi, il parco è gestito in maniera congiunta dal Governo australiano e dalla comunità aborigena.

È Riserva della Biosfera dal 1977 e Patrimonio dell’Umanità UNESCO dal 1987. Qui si possono osservare canguri, emù, dingo e wallaby che vagano liberi sulle sabbie di questo “deserto rosso”, ma anche 13 specie di serventi, rapaci come il falco marrone e il gheppio australiano, un raro parrocchetto e altre 170 specie di uccelli che ne fanno un paradiso per gli amanti del birdwatching. E, anche se non è un uccello, l’animale più ambito per il proprio obiettivo fotografico è…l’euro, o wallaroo, un incrocio tra un canguro e un wallaby.

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Parks and Reserves aim to protect landscapes and ecosystems of rare beauty, allowing them to preserve a rich biodiversity from the hand of man, who, however, in these protected areas can become a spectator and marvel at the beauty of nature. But which are the most beautiful National Parks in the world? We have tried to find them for the weekly appointment of our TOP 10 column. These are the ones that, in our opinion, deserve a place in the ranking.

 

1. Serengeti National Park (Tanzania)

Its name in the Maasai language means ‘boundless plain’. At 14,763 square kilometres, the Serengeti National Park is one of the most important protected areas in East Africa and among the most famous in the world. It is located in northern Tanzania, in the plain of the same name, between Lake Victoria and the Kenyan border. It borders other famous African parks, such as Kenya’s Masai Mara and the Ngorongoro Nature Reserve.

Lions, leopards, elephants, zebras, antelopes, wildebeest gazelles, hippos and many other species live here. Here you can witness one of the most beautiful spectacles of nature in the world, called the ‘great migration’, it is in fact the most important movement of wild animals on earth. In 1981, it was listed by UNESCO as a World Heritage site.

 

2. Yellowstone National Park (United States)

This is the oldest National Park in the world. It was established on 1 March 1872. Yellowstone covers an area of 8983.18 square kilometres (almost the size of Corsica) and straddles three states, Wyoming for the north-west, Idaho for the south-east and Montana for the south-west. It is also one of the most visited parks in the world, with more than 4 million visitors a year. And it has charm to spare. Suffice it to say that it includes several ecosystems, the largest of which is the subalpine forest.

There are breathtaking canyons, mountain ranges, lakes, including the Yellowstone, one of the largest high-altitude lakes in the entire USA, and, above all, the Yellowstone Caldera, the world’s largest supervolcano considered dormant. In addition, more than half of the world’s geysers and hydrothermal springs are found in this park, all fed by ongoing volcanic activity. Among the ‘guests’ are the grey wolf, the grizzly, the American bison and the wapiti. The Yellowstone bison herd is the oldest and most numerous in the United States. It has been a UNESCO World Heritage Site since 1978.

 

3. Galapagos Islands National Park

At the third port is the Galapagos Islands National Park, also a UNESCO World Heritage Site since 1979. Founded in 1959 in homage to Charles Darwin who formulated his theories of evolution on these islands, it has been operational since 1968. It encompasses 97% of the territory of the Galapagos Islands, including the settlements of Santa Cruz, San Cristobal, Baltra, Floreana and Isabela. One of the most beautiful itineraries is Tortuga Bay, on the island of Santa Cruz, about a 20-minute walk from the pier where the water taxis depart in Puerto Ayora.

The route allows for close encounters with marine iguanas, crabs and birds. In the bay, you can also spot white tip sharks swimming in small groups and the giant Galapagos tortoise. The islands boast a unique biodiversity that includes the Galapagos terrestrial and marine iguanas, the giant and green turtles, the Galapagos penguin, the only one living on the Equator, the land cormorant, the blue-footed gannet, the brown pelican, the sea lion and the orsina sea lion.

 

4. Goreme National Park (Turkey)

Its full name is Goreme National Park and Cappadocia’s rocky sites. It is rightfully in our TOP 10 for its unique landscapes, shaped over centuries by rocks eroded by water and wind. It is located in Central Turkey, in an area of about 100 square kilometres, in the province of Neysehir. It includes the volcanic region of the Hasan and Ercives mountains in central Anatolia. The basalt and tuff rocks have given rise to rock towers, pillars, tent rocks and the famous Fairy Chimneys.

An early community of anchorites settled here in the 4th century, who began to live in cells carved into the rock and, later, in actual underground villages to escape attacks by Arab raiders. Around 842, the underground churches were decorated with colourful paintings of unique beauty. Even today, some people still live in cave houses, although not underground. The Goreme National Park was also listed as a UNESCO World Heritage site in 1985.

 

5. Torres del Paine National Park (Patagonia, Chile)

Crystalline lakes, granite towers, perennial glaciers. The Torres del Paine National Park offers one of the most extraordinary landscapes in Chile. We are in the Patagonia region, 112 km north of Puerto Natales and 312 km from the city of Punta Arenas. Among the mountains within its territory are the Cerro Paine complex, whose most important peak touches 3050 mslsm, the Torred del Paine, which gives the park its name, and the Cuernos del Paine.

Valleys, rivers and glaciers are the habitat of pumas, guanacos, grey foxes, maras, nandos and the Andes condor. Two rare mammals are also found here, the kodkod, a small wild cat, and the spectacled bear, the only bear in South America. Rare bird species include the Chilean flamingo and the musk duck. It is one of the most visited parks in the country and 75% of the tourists are foreigners, mostly from Europe. It was inaugurated on 13 May 1959, became a Biosphere Reserve on 28 April 1978 and entered the list of World Heritage Sites in 1994.

 

6. Grand Canyon Park (Arizona, USA)

It is one of the most famous parks in the world for its characteristic and unmistakable red rocks that are coloured in incredible shades reflecting the sunlight, especially at sunrise and sunset. Established on 26 February 1919, it takes its name from the Grand Canyon, a gorge formed by the Colorado River over more than 5 million years, 1600 metres deep and 450 km long.

The park covers 49128 square kilometres and, until the Roosevelt presidency, the area was owned by Native Americans, who now inhabit only a small area. It is considered one of the ‘Natural Wonders of the World’ and every year attracts millions of visitors from all over the planet who want to admire the extraordinary panorama at least once in their lifetime from one of the many viewpoints or from a scenic helicopter flight. It costs about $250, but it is well worth it.

 

7. Plitvice Lakes National Park (Croatia)

A succession of no less than 16 lakes, connected by waterfalls and surrounded by lush vegetation. Also in our TOP 10 is the Plitvice Lakes National Park in neighbouring Croatia, a natural wonder that has been a UNESCO World Heritage Site since 1979. The park covers an area of 33 thousand hectares with forests, caves, waterfalls, lakes and streams, and is home to a rich biodiversity including 157 species of birds, 50 species of mammals, 321 species of lepidoptera, including 76 species of butterflies and 245 species of moths.

Animals that can be spotted here include the brown bear, wolf, lynx, wild boar and roe deer. The beautiful lakes are formed by two rivers, the White River and the Black River, which flow into the Korana River. In addition, their waters are rich in mineral salts of calcareous origin, such as calcium carbonate and magnesium carbonate, which over the centuries have formed layers of travertine, which, together with the thick vegetation, provides glimpses of rare beauty. In the park, you can move around on foot, by bicycle, but also by boat and small train, admiring its incredible colours.

 

8. Cilento, Vallo di Diano and Alburni National Park (Italy)

We could not fail to include an Italian park in our TOP 10. And the choice fell on the Cilento, Vallo di Diano and Alburni National Park in the province of Salerno. Unspoilt nature, a crystal-clear sea, ancient vestiges and baroque treasures make this park one of the most beautiful and interesting in the world. It became a National Park in 1991 and now covers more than 181,000 hectares, corresponding to the southern part of the province of Salerno, between the Sele Plain to the north, Basilicata to the south and the Tyrrhenian Sea to the west. The park area also includes 80 municipalities and 8 mountain communities.

Also part of the park’s territory are the splendid archaeological sites of Paestum and Velia, Greek cities that later came under Roman rule. Another jewel of the park is the Charterhouse of Padula, the largest in Italy, and one of the most monumental Baroque-style religious complexes in southern Italy. The vast territory and variety of environments has also meant that around 600 different species of animals find their ideal habitat in the park. Such as the porcupine, beech marten, squirrel, wolf, otter, hare, as well as dormouse, wild cat, wild boar, deer and roe deer.

There are also numerous species of bats and birds of prey, such as the golden eagle, kite, peregrine falcon and eagle owl. Bottlenose dolphins and sperm whales also swim in the waters of the Tyrrhenian Sea. There have also been sightings of Caretta caretta turtles. Since 1997 it has also been a Biosphere Reserve, since 1998 a UNESCO World Heritage Site and since 2010 the only Italian park to have become a geopark.

 

9. Huanglong National Park (China)

A magical landscape formed by thermal water terraces in hundreds of calcite pools. The terraces, arranged on different levels, are located at different heights and up to 4000 metres. All surrounded by forests, waterfalls and snow-capped peaks. Also in our TOP 10 is Huanglong National Park, whose name means ‘yellow dragon’.

It is located in Songpan County, Sichuan Province, China. It occupies the southern part of the Minshan mountain range, 150 km north-west of Chengdu. It is home to several species, including some rare and considered endangered, such as the giant panda and the Sichuan golden monkey. Huanglong Park has also been a UNESCO World Heritage Site since 1992 and was added to the list of Biosphere Reserves in 2000.

 

10. Uluru-Kata Tjuta National Park (Australia)

Closing our TOP 10 is the iconic Uluru-Kata Tjuta National Park, one of Australia’s symbols. Located in the Northern Territories province, about 1400 km south of Darwin, it covers an area of 1326 square kilometres and includes the famous geological formations that give it its name: Ayers Rock, Uluru, in Aboriginal language, the extraordinary red granite monolith that changes colour depending on the time of day, and Mount Olga, Kata Tjuta in Aboriginal, a rocky dome that stands in the middle of a plain. This area is considered sacred by the Australian Aborigines, to whom it was returned in 1985. Today, the park is jointly managed by the Australian Government and the Aboriginal community.

It has been a Biosphere Reserve since 1977 and a UNESCO World Heritage Site since 1987. Here, you can see kangaroos, emus, dingoes and wallabies roaming free on the sands of this ‘red desert’, as well as 13 species of servants, birds of prey such as the brown hawk and Australian kestrel, a rare parakeet and 170 other bird species, making it a paradise for birdwatchers. And, although not a bird, the most coveted animal for your photographic lens is…the euro, or wallaroo, a cross between a kangaroo and a wallaby.




I 10 Parchi Nazionali più belli del mondo

Parchi e Riserva hanno l’obiettivo di tutelare paesaggi ed ecosistemi di rara bellezza, consentendo di preservare una ricca biodiversità dalla mano dell’uomo che, tuttavia, in queste zone protette può diventare uno spettatore e stupirsi della bellezza della natura. Ma quali sono i Parchi Nazionali più belli del mondo? Abbiamo provato a cercarli per l’appuntamento settimanale della nostra rubrica TOP 10. Questi sono quelli che, secondo noi, meritano una posizione in classifica.

1. Parco Nazionale del Serengeti (Tanzania)

Il suo nome in lingua masai significa “pianura sconfinata”. Il Parco Nazionale del Serengeti, con i suoi 14.763 kmq è una delle aree protette più importanti dell’Africa Orientale e tra le più famose del mondo. Si trova nel nord della Tanzania, nell’omonima pianura, tra il Lago Vittoria e il confine con il Kenya. Confina poi con altri celebri parchi africani, come quello di Masai Mara, in Kenya, e la riserva naturale di Ngorongoro.

Qui vivono leoni, leopardi, elefanti, zebre, antilopi, gazzelle gnu, ippopotami e tante altre specie. Qui si può assistere a uno degli spettacoli della natura più belli del mondo, chiamata la “grande migrazione”, si tratta infatti del più importante movimento di animali selvatici della Terra. Nel 1981 è stato inserito dall’UNESCO tra i siti Patrimonio dell’Umanità.

2. Parco Nazionale di Yellowstone (Stati Uniti)

È il Parco Nazionale più antico del mondo. La sua istituzione risale infatti al 1° marzo 1872. Yellowstone si estende su un’area di 8983,18 kmq (quasi quanto la Corsica) e si trova a cavallo fra tre stati, il Wyoming per la parte nord occidentale, l’Idaho per quella sud orientale e il Montana per quello sud occidentale. È anche uno dei parchi più visitati del mondo, con più di 4 milioni di visitatori all’anno. E di fascino ne ha da vendere. Basti pensare che include diversi ecosistemi, tra cui il più ampio è quello della foresta subalpina.

Qui si trovano canyon mozzafiato, catene montuose, laghi, tra cui lo Yellowstone, uno dei più grandi laghi d’alta quota in tutti gli USA, e, soprattutto la Caldera di Yellowstone, il più grande super vulcano del mondo considerato dormiente. Inoltre, più della metà dei geyser e delle sorgenti idrotermali del mondo si trovano in questo parco, tutti alimentati dall’attività vulcanica in corso. Tra gli “ospiti” troviamo il lupo grigio, il grizzly, il bisonte americano e il wapiti. La mandria di bisonti dello Yellowstone, poi, è la più antica e numerosa di tutti gli Stati Uniti. Dal 1978 è Patrimonio dell’Umanità UNESCO.

3. Parco Nazionale delle Isole Galapagos

Al terzo porto il Parco Nazionale delle Isole Galapagos, anch’esso Patrimonio dell’Umanità UNESCO dal 1979. Fondato nel 1959 in omaggio a Charles Darwin che su queste isole formulò le sue teorie dell’evoluzione, è divenuto operativo dal 1968. Comprende il 97% del territorio delle Isole Galapagos, inclusi i centri abitati di Santa Cruz, San Cristobal, Baltra, Floreana e Isabela. Uno degli itinerari più belli è Tortuga Bay, sull’isola di Santa Cruz, a circa 20 minuti a piedi dal molo da dove partono i taxi acquatici a Puerto Ayora.

Il percorso consente di fare incontri ravvicinati con iguane marine, granchi e uccelli. Nella baia, poi, si possono avvistare gli squali pinna bianca che nuotano a piccoli gruppi e la gigantesca tartaruga delle Galapagos. Le isole vantano una biodiversità unica al mondo che include l’iguana terreste delle Galapagos e quella marina, la tartaruga gigante e la tartaruga verde, il pinguino delle Galapagos, l’unico che vive all’Equatore, il cormorano attero, la sula dai piedi azzurri, il pellicano bruno. il leone marino e l’otaria orsina.

4. Parco Nazionale di Goreme (Turchia)

Il suo nome completo è Parco Nazionale di Goreme e dei siti rupestri della Cappadocia. Entra di diritto nella nostra TOP 10 per i suoi paesaggi unici, disegnati nei secoli da rocce erose dall’acqua e dal vento. Si trova nella Turchia Centrale, in un’area di circa 100 kmq, nella provincia di Neysehir. Include la regione vulcanica dei monti Hasan ed Ercives nell’Anatolia centrale. Le rocce di basalto e di tufo hanno dato origine a torri rocciose, pilastri, rocce a tende e i famosi Camini delle fate.

Qui nel IV secolo si insediò una prima comunità di anacoreti, che iniziarono ad abitare in celle scavate nella roccia e, successivamente, in veri e propri villaggi sotterranei per sfuggire agli attacchi dei predoni arabi.  Attorno all’842 le chiese sotterranee vennero decorate con dipinti colorati di una bellezza unica. Ancora oggi, alcune persone vivono in case rupestri, anche se non sotto terra. Anche il Parco Nazionale di Goreme è stato inserito tra i siti Patrimonio dell’Umanità UNESCO nel 1985.

5. Parco Nazionale Torres del Paine (Patagonia, Cile)

Laghi cristallini, torri di granito, ghiacciai perenni. Il Parco Nazionale Torres del Paine regala uno dei paesaggi più straordinari del Cile. Siamo nella regione della Patagonia, a 112 km a nord di Puerto Natales e a 312 dalla città di Punta Arenas. Tra le montagne comprese nel suo territorio ci sono il complesso del Cerro Paine, la cui cima più importante tocca i 3050 mslsm, le Torred del Paine, che danno il nome al parco, e i Cuernos del Paine.

Vallate, fiumi, ghiacciai sono l’habitat dove hanno trovato casa puma, guanachi, volpi grigie, marà, nandù e il condor delle Ande. Qui si trovano anche due rari mammiferi, il kodkod, un piccolo gatto selvatico, e l’orso dagli occhiali, l’unico orso nel Sud America. Tra le specie di uccelli assai rare, invece, troviamo il fenicottero del Cile e l’anatra muschiata. È uno dei parchi più visitati del Paese e il 75% dei turisti è straniero, per lo più proveniente dall’Europa. È stato inaugurato il 13 maggio 1959, il 28 aprile 1978 è diventato Riserva della Biosfera e, nel 1994, è entrato nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità.

6. Parco del Gran Canyon (Arizona, USA)

È uno dei parchi più famosi al mondo per le sue caratteristiche e inconfondibili rocce rosse che si colorano di sfumature incredibili riflettendo la luce del sole, soprattutto all’alba e al tramonto. Istituito il 26 febbraio 1919 prende il nome dal Grand Canyon una gola formata dal fiume Colorado in più di 5 milioni di anni, profonda ben 1600 metri e lunga 450 km.

Il parco si estende per 49128 kmq e, fino alla presidenza Roosvelt, l’area era di proprietà dei Nativi Americani che oggi abitano solo in una piccola zona. È considerata una delle “meraviglie naturali del mondo” e ogni anno attira milioni di visitatori provenienti da tutto il pianeta che vogliono ammirare almeno una volta nella vita lo straordinario panorama da uno dei tanti punti di osservazione oppure grazie a un volo panoramico in elicottero. Costa circa 250 dollari, ma ne vale la pena.

7. Parco Nazionale dei Laghi di Plitvice (Croazia)

Una successione di ben 16 laghi, collegati tra loro da cascate e circondati da una vegetazione lussureggiante. Entra nella nostra TOP 10 anche il Parco Nazionale del Laghi di Plitvice, nella vicina Croazia, una meraviglia della natura che fa parte del Patrimonio dell’Umanità UNESCO dal 1979. Il parco si estende su una superficie di 33mila ettari tra boschi, grotte, cascate, laghi e corsi d’acqua dove vive una ricca biodiversità tra cui 157 specie di uccelli, 50 di mammiferi, 321 di lepidotteri, tra cui 76 specie di farfalle e 245 di falene.

Tra gli animali che si possono avvistare qui ci sono l’orso bruno, il lupo, la lince, il cinghiale e il capriolo. Gli splendidi laghi sono formati da due fiumi, il Fiume Bianco e il Fiume Nero, che confluiscono nel fiume Korana. Inoltre, le loro acque sono ricche di Sali minerali di origine calcarea, come carbonato di calcio e di magnesio che nei secoli hanno formato strati di travertino, che insieme alla folta vegetazione, regala scorci di rara bellezza. Nel parco ci si può spostare a piedi, in bicicletta, ma anche in barca e con un trenino, ammirando i suoi incredibili colori.

8. Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni (Italia)

Non potevamo non inserire un parco italiano nella nostra TOP 10. E la scelta è caduta sul Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, in provincia di Salerno. Natura incontaminata, un mare cristallino, antiche vestigia e tesori barocchi fanno di questo parco uno dei più belli e interessanti del mondo. Diventato Parco Nazionale nel 1991, si estende oggi per più di 181 mila ettari, corrispondenti alla parte meridionale della provincia di Salerno, compresa tra la Piana del Sele a nord, la Basilicata a sud e il Mar Tirreno a ovest. Nell’area del parco sono inclusi anche 80 Comuni e 8 Comunità Montane.

Inoltre, fanno parte del territorio del parco anche gli splendidi siti archeologici di Paestum e Velia, città greche poi passate sotto il dominio romano. Un altro gioiello del parco è la Certosa di Padula, la più grande d’Italia, e uno del più monumentali complessi religiosi in stile barocco del Sud Italia. L’ampio territorio e la varietà di ambienti ha poi fatto sì che nel parco trovassero il loro habitat ideale circa 600 specie di animali diverse. Come l’istrice, la faina, lo scoiattolo, il lupo, la lontra, la lepre, ma anche il ghiro, il gatto selvatico, il cinghiale, il cervo e il capriolo.

Sono poi presenti numerose specie di pipistrelli e di rapaci, come l’aquila reale, il nibbio, il falco pellegrino, il gufo reale, e il nibbio. Nelle acque del Tirreno nuotano poi tursiopi e capodogli. Ci sono stati avvistamenti anche di tartarughe Caretta caretta. Dal 1997 è anche Riserva della Biosfera, dal 1998 Patrimonio UNESCO e dal 2010 è l’unico parco italiano a essere diventato geoparco.

9. Parco Nazionale di Huanglong (Cina)

Un paesaggio magico, formato da terrazze di acqua termale in centinaia di piscinette di calcite. Le terrazze, disposte su diversi livelli, si trovano a diverse altezze e fino a 4000 metri. Il tutto circondato da boschi, cascate e cime innevate. Entra nella nostra TOP 10 anche il Parco Nazionale di Huanglong, il cui nome significa “drago giallo”.

Si trova nella Contea di Songpan, nella provincia di Sichuan, in Cina. Occupa la parte meridionale della catena montuosa del Minshan, a 150 km a nord ovest di Chengdu. Qui vivono diverse specie, tra cui alcune rare e considerate in via di estinzione, come il panda gigante e la scimmia dorata del Sichuan. Anche il parco di Huanglong fa parte, dal 1992, dei siti Patrimonio dell’Umanità UNESCO e dal 2000 è stata aggiunta anche all’elenco delle Riserve della Biosfera.

10. Parco Nazionale Uluru-Kata Tjuta (Australia)

Chiude la nostra TOP 10 l’iconico Parco Nazionale Uluru-Kata Tjuta, uno dei simboli dell’Australia. Situato nella provincia dei Territori del Nord, a circa 1400 km a sud di Darwin, si estende su un’area di 1326 kmq e comprende le famosissime formazioni geologiche che gli danno il nome: Ayers Rock, Uluru, in lingua aborigena, lo straordinario monolito di granito rosso che muta colore a seconda delle ore del giorno, e Mount Olga, Kata Tjuta in aborigeno, una cupola rocciosa che svetta nel bel mezzo di una piana. Questa area è considerata sacra dagli aborigeni australiani, ai quali è stata restituita nel 1985. Oggi, il parco è gestito in maniera congiunta dal Governo australiano e dalla comunità aborigena.

È Riserva della Biosfera dal 1977 e Patrimonio dell’Umanità UNESCO dal 1987. Qui si possono osservare canguri, emù, dingo e wallaby che vagano liberi sulle sabbie di questo “deserto rosso”, ma anche 13 specie di serventi, rapaci come il falco marrone e il gheppio australiano, un raro parrocchetto e altre 170 specie di uccelli che ne fanno un paradiso per gli amanti del birdwatching. E, anche se non è un uccello, l’animale più ambito per il proprio obiettivo fotografico è…l’euro, o wallaroo, un incrocio tra un canguro e un wallaby.




Le 7 nuove meraviglie naturali del mondo

Non una TOP 10, questa settimana, ma una TOP 7, ovvero vi presentiamo le Nuove Sette meraviglie naturali del mondo, sette luoghi del nostro splendido pianeta scelte da una votazione popolare che ha coinvolto tutto il mondo. Il concorso per la selezione dei luoghi è stato lanciato da una società svizzera, la New Open World Corporation (NOWC) che ha annunciato, nel 2011, i risultati finali. In concorso c’erano anche due bellezze italiane, il Vesuvio e il Cervino, che però non hanno superato l’agguerritissima concorrenza.

1. Amazzonia (Sud America)

È il “polmone verde” non solo del Sud America, ma anche del mondo intero. L’Amazzonia è una regione di sei milioni di kmq che si estende su nove Paesi: Brasile, Colombia, Perù, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana, Guyana Francese e Suriname. La maggior parte del territorio è occupato dalla Foresta Amazzonica, la seconda al mondo per grandezza, dopo la taiga russo-siberiana. È una delle poche foreste tropicali esistenti al mondo e ospita una biodiversità maggiore di qualsiasi altra foresta tropicale al mondo. Tuttavia, questo “polmone verde” della Terra è spesso al centro delle cronache per le operazioni di disboscamento e per gli incendi, anche dolosi, che la mettono costantemente a rischio. E, con essa, tutto il mondo.

2. Baia di Ha Long (Vietnam)

Nella TOP 7 c’è anche la Baia di Ha Long, un capolavoro della natura situata nel Golfo del Tonchino, nel nord del Vietnam e a est della capitale Ha Noi. È composta da ben 1969 isolette calcaree e grotte carsiche, che si affacciano su un mare cristallino di rara bellezza. È uno dei luoghi naturali più visitati del Vietnam e, dal 1994, è stato inserito dall’UNESCO tra i siti Patrimonio dell’Umanità.

3. Cascate dell’Iguazù (Argentina e Brasile)

Si trovano nel Parque Nacional Iguazù e sono un complesso di ben 275 cascate che si estendono per 2,7 km del fiume Iguazù, con altezze variabili che possono arrivare fino a 70 metri. La più strabiliante e ammirata è la Garganta del Diablo, sul versante argentino, con una gola a U profonda 150 metri e lunga 700. Anche queste meravigliose cascate sono Patrimonio dell’Umanità UNESCO.

4. Isola di Jeju (Corea del Sud)

Votatissima, al punto da sbaragliare più di 400 concorrenti ed entrare nella TOP 7, anche l’Isola di Jeju, in Corea del Sud. Si tratta di un’isola di origine vulcanica, situata 130 km a sud della costa coreana e famosa per i suoi tunnel di lava, che le danno il suo aspetto caratteristico. Con una superficie di 1846 kmq è l’isola più grande e la provincia più piccola della Corea del Sud. Tra le sue bellezze naturali, spicca l’Hallasan, la più alta montagna sud coreana, di 1950 metri, in realtà, un vulcano estinto. Dal 2007 è Patrimonio dell’Umanità UNESCO e “racconta” la storia geologica del nostro Pianeta.

5. Parco Nazionale di Komodo (Indonesia)

Il Parco Nazionale di Komodo è un’area naturale protetta che comprende le tre isole di Komodo, Rinca e Padar, nei pressi delle Piccole Isole della Sonda, in Indonesia. La più famosa delle tre è sicuramente l’isola di Komodo, perché qui si possono ammirare allo stato brado, i Varani di Komodo, le più grosse lucertole viventi, la cui lunghezza più raggiungere i 3 metri e il loro peso i 70 chili. Anche il Parco di Komodo fa parte dei siti Patrimonio dell’Umanità UNESCO, dal 1991.

6. Fiume sotterraneo di Puerto Princesa (Filippine)

Il fiume sotterraneo si trova nel Parco Nazionale di Puerto Princesa, sull’isola di Palawan, una delle più belle e suggestive delle Filippine. Secondo fiume sotterraneo più lungo del mondo, si estende per 8 km, di cui solo la metà navigabili, tra grotte di stalattiti e stalagmiti e rocce calcaree, per un totale di 24 km di grotte, dove vivono pipistrelli e salangane, una specie di rondine che vivono al buio, una rarità tra gli uccelli. Qui, nel 2010, è stato trovato anche un fossile di lamantino di 20 milioni di anni fa. Il parco è Patrimonio UNESCO dal 1999 e vanta un ecosistema unico, tra una delle foreste pluviali più incontaminate dell’Asia Pacifica, e un ecosistema che spazia da quello marino a quello montuoso e isolano.

7. Table Mountain (Sudafrica)

Chiude la lista delle “7 meraviglie naturali più belle del mondo”, Table Mountain, la “Montagna della Tavola”, che deve il suo nome alla forma caratteristica, un grande monolito squadrato incluso nell’area protetta del Table Mountain National Park, situato nella Provincia del Capo Occidentale, in Sudafrica. La montagna, meta di turisti e sportivi, che possono praticare trekking, scalate e altre attività, si raggiunge con una funivia, chiamata Cableway, che arriva in cima in soli 7 minuti e può portare fino al 65 persone.

 




Padova, Bologna e Montecatini sono Patrimonio UNESCO

L’Italia ha tre nuovi gioielli Patrimonio UNESCO: la pittura del Trecento di Padova Urbs Picta, i Portici di Bologna e le Terme di Montecatini. La proclamazione è avvenuta durante la 44° sessione estesa del Comitato del Patrimonio Mondiale, riunitosi a Fuzhou, in Cina. Il nostro Paese volta quindi al primo posto nel mondo per numero di riconoscimenti UNESCO: ben 71, di cui 57 siti iscritti nella lista del Patrimonio dell’Umanità e 14 in quella del Patrimonio Immateriale dell’Umanità, superando l’immensa Cina, che rimane a quota 55. Una bella soddisfazione che conferma quando la nostra penisola, seppure infinitamente più piccola del colosso asiatico sia “il paese più bello del mondo”.

Gli affreschi di Padova, una città da record

Con il riconoscimento a Patrimonio dell’Umanità dei suoi meravigliosi affreschi del Trecento, Padova è, insieme a Tivoli, una delle poche città al mondo a custodire due siti UNESCO. Il secondo, infatti, è l’Orto Botanico, inserito nella lista nel 1997. Istituito nel 1545, è il più antico orto botanico al mondo ancora nella sua collocazione originaria, nel centro storico della città, nei pressi del Prato della Valle.  Non solo, con l’iscrizione degli affreschi, Padova fa del Veneto la regione italiani con il maggior numero di siti UNESCO, ben 9.

L’Orto Botanico di Padova, il più antico del mondo

A fare parte del Patrimonio UNESCO sono gli affreschi di Padova Urbs Picta, realizzati tra il 1305 e il 1397, e includono i capolavori di Giotto, Jacopo da Verona, Guariento, Giusto da Menabuoi, Altichieri da Zevio e Jacopo Avanzi.  L’itinerario ideale parte dalla Cappella degli Scrovegni, capolavoro di Giotto, che ancora oggi lascia il visitatore a bocca aperta per la bellezza dei colori e le emozioni che regalano le scene, tra cui il primo bacio in una rappresentazione pittorica, quello tra Gioacchino e Anna, genitori di Maria, davanti alle porte di Gerusalemme.

La Cappella degli Scrovegni con gli affreschi di Giotto

A poco più di cento metri si trova la Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo degli Eremitani, dove si trovano gli affreschi di Giusto de’Menabuoi che, insieme a Guariento di Arpo rielaborò l’arte di Giotto rendendo le architetture più complesse e scenografiche. Una curiosità: a commissionare gli affreschi della chiesa fu una donna, la nobile Traversina Cortellieri.

Gli affreschi nella Chiesa degli Eremitani

Ci spostiamo poi nel Palazzo della Ragione, dove si trova il ciclo di affreschi più esteso: ben 333 riquadri disposti su tre registri sovrapposti, scanditi secondo i mesi dell’anno, tra segni zodiacali, mesi, mestieri che si trova sulle quattro pareti del grande salone pensile del primo piano. Anche questi affreschi sono stati realizzati da Giotto, che ricevette la commissione dodici anni dopo la Cappella degli Scrovegni.

La sala del Palazzo della Ragione con gli affreschi di Giotto

Un’altra tappa sono la Basilica e il convento di Sant’Antonio, dove si trovano le prime testimonianze pittoriche dell’arte di Giotto, realizzate tra il 1302 e il 1303 nella Cappella della Madonna Mora, nella Sala del Capitolo e nella Cappella delle Benedizioni.

I primi lavori di Giotto a Padova nella Basilica e nel Convento di Sant’Antonio

All’interno del Battistero della Cattedrale si trovano invece gli affreschi capolavoro di Giusto de’ Menabuoi sulla Storia della Salvezza, con episodi sulla vita di Gesù e di San Giovanni Battista. Anche questa volta, la committente è una donna, Fina Buzzacarini, moglie di Francesco il Vecchio da Carrara.

Particolare degli affreschi di Giusto de’ Menabuoi nel Battistero

Ci si sposta poi nella Cappella della Reggia Carrarese, dove i capolavori di Guariento celebrano il potere e la ricchezza dell’aristocratica famiglia padovana, che compare con vesti alla moda e sontuose nel messaggio religioso della salvezza dell’uomo concessa da Dio attraverso i suoi angeli.

Capolavori di Guariento nella Loggia dei Carraresi

I capolavori di Altichiero, realizzati tra il 1379 e il 1384, si trovano invece all’interno dell’Oratorio di San Giorgio, fatto costruire da Raimondino Lupi di Soragna ed esaltano le virtù guerriere della famiglia che fu al servizio dei Carraresi.  Infine, si arriva come ultima tappa ideale, all’Oratorio di San Michele, situato vicino alla Torlonga del Castello Carrarese, dove Jacopo da Verona ha realizzato un ciclo di affreschi sulla vita della Vergine.

Gli affreschi di Jacopo da Verona nell’Oratorio di San Michele

Bologna e i suoi portici che valgono un Patrimonio

Si aggiungono alla lista UNESCO anche i Portici di Bologna, città che rispecchia in questo elemento architettonico la sua storia fin dal Medioevo. Non tutti i portici rientrano nel Patrimonio dell’Umanità, ma solo 12 tratti, per un totale di 62 km, di cui 42 nel centro storico.

I portici di Bologna

Tra questi ci sono i portici di via Santa Caterina, che spiccano per le case colorate, quelli di Piazza Santo Stefano, il tratto del monumentale complesso del Barraccano, i portici di via Galliera, quelli del Pavaglione e di Piazza Maggiore.

I portici di via Santa Caterina

Immancabili i portici di via Zamboni, cuore del quartiere dell’Università di Bologna, la più antica del mondo. Continuando, troviamo il portico della Certosa, lo spettacolare portico di San Luca, che sale fino alla collina e conduce a santuario che sembra vigilare su tutta la città. Ci sono poi i portici di Piazza Cavour e di via Farini, con gli splendidi soffitti decorati.

Lo splendido Portico di San Luca

Sono diventati Patrimonio UNESCO anche i portici di Strada Maggiore, i portici sotto ai quali si trova il MamBo, il Museo di Arte Moderna di Bologna, nel quartiere Barca e, infine, i portici del “Treno”.

I portici del MamBo

Montecatini, 700 anni di storia

Magnifici palazzi in stile liberty e neogotico fanno da cornice al parco termale più bello d’Europa, le Terme di Montecatini, che vanta 700 anni di storia e, ora, anche l’iscrizione nel circuito UNESCO “Great Spas of Europe”. La presenza di acque termali è attestata fin dal Medioevo, con un documento del 1340.

Tra i complessi più importanti ci sono le Terme Excelsior, il cui primo edificio è stato inaugurato nel 1907, le terme La Fortuna, nate in seguito alla scoperta di una sorgente di acqua benefica nel 1953, le Terme Nuove Redi, del 1920 e ricostruite nel 1964, le terme Tettuccio, costruite da Niccolò Maria Gaspare Paoletti tra il 1779 e il 1781, le Terme Leopoldine, risalenti al 1775, e le Terme Torretta, restaurate tra il 1925 e il 1928.

Insomma, tre buone ragioni in più per visitare o tornare per un weekend o una vacanza in questi nuovi siti UNESCO della nostra splendida Italia.




La Cucina Italiana candidata a Patrimonio UNESCO. Ecco tutte le idee per un weekend con gusto

Con i suoi 55 siti, al pari della Cina, l’Italia è il paese con il più vasto Patrimonio UNESCO al mondo.  Ma un nuovo progetto di candidatura a Patrimonio Immateriale dell’Umanità è già partito e riguarda un’eccellenza da sempre riconosciuta in tutto il mondo: la Cucina Italiana. L’iniziativa è partita da Maddalena Fossati, direttrice de La Cucina Italiana, in collaborazione con le agenzie SpoonGroup e BIA e con il sostegno dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale del MiBACT e dell’ANCI.

“Ritengo che attraverso questo progetto potremmo valorizzare l’enogastronomia per farne un motore di ripartenza in un momento così importante. E lo faremo partendo dai nostri prodotti, dalle nostre ricette, cosi come dalle storie dei nostri produttori, dalle tradizioni locali e dai paesaggi che diventano enogastronomici in un’ottica di integrazione tra innovazione, sostenibilità e rispetto delle tradizioni”, ha detto Roberta Garibaldi, Presidente dell’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico e membro del Comitato Scientifico che preparerà il dossier per la candidatura della Cucina Italiana.

Roberta Garibaldi, Presidente dell’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico e membro del Comitato Scientifico per la candidatura della Cucina Italiana

In attesa di conoscere quale sarà il responso dell’UNESCO, vi presentiamo di seguito le altre eccellenze enogastronomiche italiane già “Patrimonio dell’Umanità”, dove potete scegliere di trascorrere un weekend con gusto.

Le altre eccellenze enogastronomiche italiane Patrimonio UNESCO

La Cucina Italiana non sarebbe la sola eccellenza a entrare nel Patrimonio Immateriale dell’Umanità. Altre legate al cibo sono già state inserite nella prestigiosa lista. La più recente in ordine di tempo, nel 2017, è stata l’Arte del Pizzaiuolo Napoletano, che racchiude non solo la peculiarità dell’inimitabile pizza napoletana, ma anche la tradizione che si tramanda da Maestro ad apprendista nelle botteghe e nelle pizzerie tradizionali, ma anche nelle case. “La preparazione della pizza alimenta la convivialità e lo scambio intergenerazionale e assume il carattere di spettacolarizzazione con il Pizzaiuolo al centro della bottega mentre mostra la sua arte”, si legge infatti nella motivazione dell’UNESCO. Un weekend a Napoli, vi consentirà non solo di gustare la vera pizza napoletana, ma anche di “vivere” questa tradizione unica che tutto il mondo ci invidia.

Nel 2014 è stata inserita nel Patrimonio Culturale dell’Umanità la Coltivazione della Vite di Zibibbo ad Alberello di Pantelleria, un metodo di coltivazione sostenibile, che coinvolge circa 5000 abitanti dell’isola siciliana secondo una tecnica antica e celebrata da riti e festeggiamenti che durano per tutta l’estate. Dalla vite di Zibibbo si ricavano i famosi passiti di Pantelleria, rinomati e conosciuti in tutto il mondo.

Coltivazione della Vite di Zibibbo ad Alberello di Pantelleria

Anche la Dieta Mediterranea, è Patrimonio dell’Umanità dal 2013 e l’Italia la condivide con Cipro, Croazia, Spagna, Portogallo, Grecia e Marocco. Oltre al valore del cibo, delle ricette e della tradizione, l’UNESCO ha riconosciuto anche l’importanza della convivialità: mangiare tutti insieme contribuisce infatti a creare un’identità comune, ma anche a promuovere ospitalità, dialogo interculturale e creatività. Inoltre, vengono include anche il rispetto della stagionalità degli alimenti e delle materie prime e la tutela delle usanze e tradizioni artigiane.

I paesaggi italiani “Patrimonio materiale” UNESCO

Nella lista dei siti italiani Patrimonio dell’Umanità ci sono anche intere aree legate all’enogastronomia. Tra questi ci sono i paesaggi vitivinicoli piemontesi di Langhe-Roero e Monferrato, culla di celebri “rossi”, come il Barolo, il Barbaresco, il Barbera d’Asti e l’Asti Spumante. Alle colline ammantate di viti e castelli medievali si aggiungono le numerose cantine e i tipici infernòt, i sotterranei scavati nell’arenaria per conservare le bottiglie. Senza dimenticare i rinomati prodotti tipici e le ricette della tradizione, da accompagnare con i celebri vini.

I paesaggi della zona vitivinicola di Langhe-Roero

Nel 2019 sono entrate a far parte dei siti UNESCO anche le Colline del Prosecco di Conegliano Valdobbiadene, in provincia di Treviso, dove nasce il vino più venduto al mondo, con ben 90 milioni di bottiglie prodotte ogni anno e 180 cantine sparse sul territorio. A Conegliano, nel 1876 è nata la prima Scuola Enologica d’Italia, ancora attiva, per insegnare e tramandare la raffinata tecnica spumantistica.

Panorama della zona di produzione del Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene

Inoltre la Strada del Prosecco e dei Vini dei Colli Conegliano Valdobbiadene consente di percorrere, in bici o a piedi, in una o più tappe, un percorso ad anello di 90 km che si snoda tra paesaggi collinare ammantati di vigneti, piccoli borghi senza tempo, eremi, pievi, chiesette che custodiscono piccoli e grandi gioielli di arte e di storia.

In bici lungo la Strada del Prosecco

Le Città Creative della Gastronomia UNESCO: le idee per un weekend

La sezione delle Città Creative dell’UNESCO è nata nel 2004 ed è divisa in sette settori culturali, tra cui la Gastronomia, dove il cibo diventa fattore di crescita e motore turistico ed economico. L’Italia ne vanta ben tre in questa sezione. Vi sveliamo quali sono.

La prima a essere eletta “Città Creativa della Gastronomia” è stata Parma, grazie al suo patrimonio agroalimentare unico, insito nel suo DNA. Qui nascono il Parmigiano Reggiano, Il Prosciutto di Parma, il Salame di Felino, il Culatello di Zibello e hanno la loro sede aziende agroalimentari come Barilla, Parmalat, Mutti e i Consorzi del Parmigiano Reggiano e del Culatello. Nel territorio della Provincia, poi, sono dislocati i Musei del Cibo, che raccontano la storia e le tradizioni dei rinomati prodotti emiliani.

Fa parte delle Città Creative UNESCO anche Alba, “capitale” del rinomato tartufo bianco, ma anche delle nocciole piemontesi con cui vengono prodotte specialità come i gianduiotti, il torrone e la Nutella. Senza dimenticare i vini delle Langhe e i deliziosi formaggi, tra cui la tipica Toma. Completa il quadro una fitta rete di ristoranti dove gustare i piatti della tradizione, ma anche le “variazioni” sul tema grazie alla creatività di cuochi e chef stellati.

Un pregiato tartufo bianco di Alba

Ultima, ma sono in ordine di “ingresso” nelle Citta Creative, Bergamo, entrata nel network dell’UNESCO nel 2019 grazie alla sua pregiata produzione casearia che vanta ben 30 formaggi tradizionali, di cui nove DOP e tre Presidi Slow Food.

Veduta di Bergamo

Tra i 9 formaggi DOP “che valgono un Patrimonio” ci sono il Bitto, il Formai de Mut dell’Alta Val Brembana, il Gorgonzola, il Provolone Valpadana, il Grana Padano, il Quartirolo Lombardo, il Taleggio, il Salva Cremasco e il Strachitunt. Tutti da assaggiare e, magari, portare a casa durante un delizioso weekend con gusto.




L’ultimo goal di Pablito per il Vicenza: scopriamo la bellezza segreta della “sua” città

Nato a Prato e morto a Siena. Ma il cuore di Paolo Rossi è sempre stato a Vicenza, e lì ha voluto che gli venisse dato l’ultimo addio. Per noi questo suo amore è l’occasione per scoprire (o riscoprire) una città ricca di fascino ma poco frequentata.

Questa mattina, nel Duomo di Santa Maria Annunciata a Vicenza, i campioni del mondo del 1982 hanno trasportato a spalla la bara di Pablito. Campioni e compagni, che hanno voluto dare l’addio al grande Paolo Rossi. Insieme a Tardelli, Cabrini, Altobelli, Collovati, Oriali, Antognoni, c’erano anche Bruno Conti, Paolo Maldini, Roberto Baggio, il presidente Figc Gravina. Tra le corone di fiori, spiccava quella della Uefa.

Era nato a Prato, il grande campione. E ha chiuso gli occhi a Siena tre giorni fa, stroncato da un male incurabile. Ma se il sangue era toscano, il suo cuore è sempre appartenuto a Vicenza (dove per altro gestiva un’agenzia immobiliare insieme all’ex compagno di squadra Giancarlo Salvi).

A Vicenza, infatti, Pablito trovò nel tecnico Giovan Battista Fabbri una sorta di secondo padre, che gli diede fiducia e lo aiutò a crescere. L’allenatore segnò anche una svolta nella carriera di Paolo Rossi, grazie allo spostamento in campo da ala a centravanti.

paolo rossi a vicenza
Due immagini di Vicenza, e due ritratti di Paolo Rossi: in alto con la maglia del Lanerossi Vicenza, e in basso con quella della Nazionale.

Paolo Rossi e Vicenza, storia di un amore

Le luci della ribalta puntate in questi giorni su Vicenza sono per noi l’occasione per scoprire – o riscoprire – una città ricca di fascino e di storia. Ma spesso poco frequentata a causa della “ingombranza” delle sue vicine: Padova, Verona e Venezia.

Avventuriamoci quindi per strade e piazze di una delle città più belle d’Italia.

Al soldo delle più importanti famiglie della Repubblica di Venezia, Andrea Palladio ha lasciato nel vicentino innumerevoli e uniche testimonianze del suo genio, tra ville, palazzi e giardini. Al punto che, nel 1994, l’UNESCO ha dichiarato le opere palladiane Patrimonio dell’Umanità.

Ma il vicentino è anche una terra del gusto, a partire dallo squisito e proverbiale baccalà, passando dalle grappe dai gusti variegati e dai prodotti tipici. Ecco allora un itinerario tra arte e gusto, da fare in un weekend d’autunno.

Vicenza, sulle tracce di Palladio nel centro storico

Il nostro itinerario parte da Vicenza, dove si fa una prima tappa per visitare i capolavori palladiani del centro storico. Punto di partenza ideale è Piazza dei Signori, a cui si accede oltrepassando due colonne sormontate da un leone alato, simbolo della Repubblica di Venezia, di cui Vicenza fece parte dal 1404. Sull’altra colonna, invece, campeggia una statua di Cristo Redentore.

Il monumento più importante che si affaccia sulla piazza è la Basilica Palladiana, che lasciò stupefatto anche Goethe durante il suo viaggio in Italia. “È impossibile descrivere l’impressione che fa la Basilica del Palladio”, lasciò infatti scritto l’autore del Faust.

L’edificio, che spicca per la sua loggia, tra i primi esempi di quella che passò poi alla storia dell’arte come “finestra palladiana”, venne commissionato e progettato come Palazzo della Ragione da Domenico da Venezia per essere poi terminato dall’ancora sconosciuto Andrea Palladio nel 1546. Accanto alla “basilica” svetta anche la Torre Bissara.

Dal lato opposto della piazza si trova invece la Loggia del Capitano progettata dal Palladio nel 1571, come sede delle rappresentanze di Venezia, spicca per la sua facciata in mattoni rossi.

Altro capolavoro palladiano che merita una visita è il Teatro Olimpico, progettato dal Palladio nel 1580 e realizzato dal suo allievo Jacopo Scamozzi.

Prendendo il lato sud di Piazza dei Signori si raggiunge Piazza delle Erbe, dove spicca la medievale Torre del Girone, dove venne imprigionato Silvio Pellico.

Il Piazza Matteotti si trova invece Palazzo Chiericati, altro capolavoro palladiano, la cui costruzione iniziò a metà del XVI secolo per essere terminata solo nel 1680. Qui hanno sede la Pinacoteca e il Museo Civico.

Facciamo poi una sosta in Piazza Duomo, dove si trova la Cattedrale di Santa Maria Assunta, anch’essa “firmata” dal Palladio che ne ha progettato portale e cupola. La tomba del grande architetto si trova invece nella Chiesa di Santa Corona.

Da Corso Palladio alla Basilica di Monte Berico

Non può che chiamarsi Corso Palladio la via principale della città, che attraversa il centro per circa mezzo chilometro, collegando Piazza Castello a Piazza Matteotti. Lungo la via si affacciano caffetterie, negozi e magnifici palazzi palladiani, progettati dal maestro, dai suoi allievi o influenzati dalla sua architettura.

Tra questi ci sono il Palazzo Comunale del 1552, progettato dall’allievo prediletto Jacopo Scamozzi e Palazzo Valmarana, del 1566, che si trova in Corso Fogazzaro. Al civico 163 si trova invece la Casa Museo di Palladio. Spostandosi in Contrà Porti, poi si possono ammirare altri importanti palazzi palladiani, come Palazzo Barbarano Porto e Palazzo Thiene, che si alternano ad altri edifici di ispirazione gotica.

Attraversando invece l’Arco delle Scalette, probabile opera del Palladio del 1595, a sud della città, si sale in cima a una collinetta dove si trova la Basilica di Monte Berico che conserva al suo interno pregiate opere cinquecentesche, tra cui alcune di Paolo Veronese e Bartolomeo Montagna. Dal Piazzale della Vittoria, su cui si affaccia la basilica, si può godere di uno splendido panorama sulla città.

Le Ville Palladiane appena fuori Vicenza

Dal centro città si può prendere un autobus da viale Roma e scendere a Porta Castello, appena fuori dalla città vecchia. Qui si trova lo splendido Giardino Salvi, decorato con statue, nel quale si trovano le ville palladiane di Loggia Longhena e Loggia Valmarana.

Prendendo poi la SP247, dopo circa 2,8 km si arriva a Villa Almerico Capra, detta La Rotonda, (www.villalarotonda.it), forse la villa palladiana più famosa al mondo. Progettata da Andrea Palladio nel 1556, possiede un meraviglioso interno decorato da affreschi e stucchi.

Splendida la cupola decorata con statue e stucchi di Rubini, ispirata a quella del Pantheon romano. Tra le curiosità, ci sono i quattro spigoli della villa orientati verso i quattro punti cardinali. Inoltre, dall’oculo nella cupola, la luce del sole entra nel salone centrale segnando l’ora del giorno.

Da La Rotonda si può prendere Viale X giugno in direzione di via San Bastiano e raggiungere con una passeggiata di circa 20 minuti Villa Valmarana “ai nani”, che sorge sul colle di San Bastian e che deve il suo nome a diciassette curiose statue di nani posizionate lungo il muro di cinta.

La villa è affrescata da Giambattista e Giandomenico Tiepolo, che nel salone hanno riprodotto su due pareti e sul soffitto scene del mito di Ifigenia. Altri affreschi raffigurano il tema dell’amore e dei suoi casi più bizzarri secondo i poemi e i miti classici e opere del Rinascimento, tra cui scene dell’Iliade, dell’Eneide, dell’Orlando Furioso e della Gerusalemme Liberata.

Vicenza a tavola

Da non perdere una sosta in una delle trattorie tipiche per gustare il baccalà alla vicentina, le cui origini risalgono al XVI secolo, magari servito con la polenta. Tra i secondi di pesce possiamo trovare anche la Trota dell’Astico e il colombo allo spiedo.

Tra i primi piatti, troviamo i bigoi co’l’arna (bigoli con l’anatra), una pasta fresca servita con vari sughi, gli gnocchi con la fioreta (un formaggio simile alla ricotta), ma anche la polenta, risi e bisi, pasta e fagioli, e zuppe, tra cui la mosa, tipica dei mesi invernali, a base di zucca e latte, con l’aggiunta si un pugnetto di riso.

Da non perdere i dolci, come i sanmartin, a base di pastrfrolla, il mandorlato, le fritole, la brazadela, la pinza, fatta con polenta gialla, la fugassa e la torta Gata, un dolce nato nel 2006 dall’idea di sette pasticceri che hanno dato corpo al detto popolare “vicentini magnagati” (mangiagatti), a base di mandorle, cacao, farina di mais e un goccio di grappa.

La ricetta: Gnocchi con la fioretta

Ingredienti per gli gnocchi

  • 500 gr di fioretta (ricotta liquida)
  • 300 gr di farina
  • Sale

Per condire

  • burro di malga q.b
  • formaggio di malga stagionato o ricotta affumicata
  • qualche foglia di salvia

In un recipiente abbastanza grande mescolate la farina con la fioretta, salate e amalgamante bene il tutto fino a ottenere una pastella liscia e compatta. Nel frattempo mettete a bollire abbondante acqua salata. In una casseruola mettete a sciogliere il burro con alcune foglie di salvia. Appena l’acqua bolle, ricavate con un cucchiaino ricavate dei piccoli gnocchi dall’impasto e gettateli nell’acqua bollente. Appena riemergeranno, scolateli con l’aiuto di una schiumarola e rigirateli nella casseruola con il burro e la salvia. Servite caldi con una grattata di formaggio di malga stagionato o ricotta affumicata.

DOVE MANGIARE

*Trattoria Ponte delle Bele, Contrà Ponte delle Bele 5, Vicenza. Tel 0444/320647. Locale storico nel centro di Vicenza, a pochi passi da Porta Castello. Il menù offre piatti della cucina vicentina, dal baccalà ai bigoli, ai piatti della cucina trentina. Ampia scelta di grappe con più di 60 tipi tra aromatiche e aromatizzate.

*Osteria il Cursore, Stradella Pozzetto 10, Vicenza, tel 0444/323504. A pochi minuti dalla basilica Palladiana, propone specialità della cucina vicentina. Il menù cambia a seconda delle stagioni.

DOVE DORMIRE

*Antico Hotel Vicenza****, Stradella dei Nodari 5, Vicenza, tel 0444/1573422. A soli 3 minuti dalla basilica palladiana e a pochi passi da Piazza dei Signori, è ricavato in un edificio storico del 900.

*Palazzo Otello 1847 Wellness & Spa**, Corso Fogazzaro 4, Vicenza, tel 0444/546576. Boutique hotel nel centro storico di Vicenza, ricavato in un palazzo rinascimentale restaurato. Fiore all’occhiello la private spa per momenti di relax.

Leggi anche: Un Weekend “Palladiano” a Vicenza con Giulietta Sprint: architettura e tradizione.




UNESCO con Gusto. Belvedere di San Leucio (CE), il borgo di seta

Il Complesso Monumentale del Belvedere di San Leucio, a Caserta, è la realizzazione di un perfetto “villaggio industriale”, voluto dal Re Ferdinando di Borbone, e basato sui principi umanistici di uguaglianza, meritocrazia, diritto all’istruzione e parità di genere. Una modernità che ha precorso i tempi. Proprio per questo l’UNESCO l’ha inserito, insieme alla Reggia di Caserta, al suo parco e all’Acquedotto Vanvitelliano, nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità nel 1997.

Questa la motivazione: “…l’esperienza della colonia di San Leucio rappresenta una tappa fondamentale della cultura illuministica settecentesca e dello sviluppo industriale e tecnologico nel territorio campano, sul quale ancora oggi operano opifici e industrie che si richiamano all’antica attività manifatturiera

San Leucio, il sogno di Ferdinando

Tutto ha inizio nel 1750, quando la potente famiglia degli Acquaviva cede il loro feudo ai Borbone di Napoli, che iniziarono subito una serie di grandi opere, tra cui la costruzione della Reggia di Caserta, l’ampliamento del centro storico e, appunto, San Leucio. Il re Carlo di Borbone fece costruire nel borgo prima un casino di caccia, poi, consigliato dal ministro Bernardo Tanucci, pensò a un progetto di formazione per i giovani del luogo, che mirava a istruirli sull’arte della tessitura per poi impiegarli negli stabilimenti reali.

Quando Carlo di Borbone divenne re di Spagna con il nome di Carlo III, lasciò in eredità San Leucio al figlio Ferdinando IV, che amava trascorrervi molto tempo, colpito dalle bellezze naturali. Nel 1778, tuttavia, il primogenito di Ferdinando, il piccolo Carlo Tito, muore di vaiolo proprio a San Leucio. Il padre, per rendergli omaggio, decide di ampliare la colonia con un grande setificio che crebbe di anno in anno, fino a diventare una comunità autonoma. Da tutta Europa e da ogni parte d’Italia arrivarono qui grandi maestri con lo scopo di istruire i giovani sull’arte della seta.

Ferdinando cominciò ad accarezzare il sogno di fondare una città ideale, “Ferdinandopoli”, ampliando la colonia e adattandola alle nuove esigenze industriali dovute all’introduzione della trattura della seta e della manifattura dei veli.  La nuova città doveva avere una pianta circolare e un sistema di strade a raggiera con al centro una piazza.

San Leucio, un borgo…a statuto speciale

Non poté portare a compimento il suo progetto, ma nel 1789, emanò uno Statuto Speciale, in cinque capitoli e 22 paragrafi, con i principi della Real Colonia di San Leucio. Stampata in 150 copie dalla Stamperia Reale del Regno di Napoli, conteneva diritti, doveri e sanzioni ispirati agli ideali di uguaglianza sociale ed economica, oltre che a una particolare attenzione al ruolo delle donne e all’istruzione dei bambini.

Prima di tutto, ogni abitazione era dotata di acqua corrente e servizi igienici. Le donne ricevevano una dote dal re per sposare un membro della colonia. Ognuno versava poi un contributo alla cassa comune. Tra i membri della comunità vigeva il principio di uguaglianza e parità di genere. Era abolita la proprietà privata e era garantita assistenza ad anziani e infermi. Professionalmente, si applicava il principio della meritocrazia.

Il sogno di Ferdinando si interruppe, tuttavia, nel 1799, con la discesa in Italia di Napoleone e la costituzione della Repubblica Partenopea. San Leucio ebbe comunque un ulteriore sviluppo industriale sotto il governo francese di Gioacchino Murat, tra il 1808 e il 1815. Il progetto di città industriale venne accantonato con la Restaurazione e tramontò definitivamente con l’Unità d’Italia, quando San Leucio entrò a far parte del demanio statale. La tradizione della seta, tuttavia, rimane qui ancora oggi.

Che cosa vedere a San Leucio

Il borgo di San Leucio si trova lungo la strada che da Caserta porta a Caiazzo e alla Valle del Volturno. Incontrerete prima Piazza della Seta, un’area semicircolare su cui si affaccia il cancello di ingresso alla “Real Colonia” e al Belvedere.

Prima dell’arco di ingresso, a sinistra, si passa davanti al Quartiere Trattoria, costruito da Ferdinando IV per ospitare i visitatori. Oltrepassate poi l’arco sovrastato dallo stemma dei Borboni sostenuto da due leoni ed entrate nella Real Colonia. A destra e a sinistra si trovano rispettivamente i quartieri operai di San Carlo e San Ferdinando, collegati al Belvedere da una scalinata a doppia rampa che abbracciano le scuderie reali e terminano su un piazzale, su cui si affaccia la chiesa di San Ferdinando Re, ricavata nel 1776 dal salone delle feste del Belvedere.

All’interno dell’appartamento reale nel Casino del Belvedere sono degni di nota gli splendidi affreschi della sala da pranzo, opera di Fedele Fischetti, con scene degli amori di Bacco e Arianna, e il bagno di Maria Carolina, con decorazioni alle pareti di Philipp Hackert.

Costeggiando l’edificio si arriva all’ingresso del Complesso Monumentale. In alto, sulla destra, si trova l’edificio che ospitava la filanda e, sopra di esso, la cuculliera, l’allevamento di bachi da seta. Fiore all’occhiello del percorso di archeologia industriale sono i telai restaurati e ancora funzionanti, gli strumenti e gli attrezzi per la lavorazione della seta e una ruota idraulica per i torcitoi della stoffa.

A pochi passi si trova il Museo della Seta, che custodisce diversi tessuti prodotti a San Leucio e amati dai nobili di tutta Europa.

Da non perdere una passeggiata nei giardini all’italiana, posti su piani diversi collegati da scalette, che si trovano nella parte occidentale del Casino del Belvedere, tra fontane, un agrumeto e diversi alberi da frutta.

…scopri a pag 2 i piatti della tradizione casertana da non perdere…

San Leucio, la tradizione casertana nel piatto

Se la pizza, la Mozzarella di Bufala Campana DOP e la ricotta di bufala campana sono imprescindibili durante la vostra visita a San Leucio, vi consigliamo di provare anche gli altri piatti della tradizione casertana. Tra i primi troviamo la Mnestra Mmaretata (Minestra sposata), un piatto invernale che si prepara con un osso di prosciutto, brodo e verdure cotte nel formaggio.

Un altro ottimo primo piatto della tradizione sono le Pettolelle con i fagioli, una pasta fatta in casa condita con cannellini, olio EVO, aglio, prezzemolo, origano, sale e pepe.

Da non perdere la Cianfotta, un contorno ottimo anche da solo con il pane, che si prepara con peperoni fritti nell’aglio, patate, cipolle, melanzane e pomodori.

Tra i secondi piatti troviamo il filetto di maiale in salsa bianca, involtini con un sugo a base di provolone, sale, pepe, peperoncino e vino bianco. Squisiti anche i piatti di pesce, tra cui le frittelle con le acciughe, i gamberi alla vesuviana, l’insalata di spaghetti con le vongole nere, tipiche del golfo di Napoli, e l’Orata all’acquapazza.

Da non perdere i dolci, tra sfogliatelle, babà, pastiera e struffoli, palline di pasta a base di farina, uova, strutto, zucchero e liquore all’anice, che vengono fritte nello strutto e avvolte nel miele caldo. Si consumano specialmente nel periodo natalizio.

COME ARRIVARE

In auto: da Roma, prendere l’A1 in direzione Sud, uscire a Caserta Nord e proseguire per San Leucio. Da Napoli, A1 in direzione nord, uscire a Caserta Nord e seguire indicazioni per San Leucio.

DOVE DORMIRE

*Hotel Belvedere***, SS 87 Sannitica 85, San Leucio (CE), tel 0823/304925, www.hotelbelvederesanleucio.it. A pochi passi dal Complesso Monumentale di San Leucio e dalla Reggia di Caserta, l’hotel è immerso nel verde del borgo della Vaccheria, dove si trova il Casino di Ferdinando IV. Con piscina e ristorante.

*San Leucio Resort****, via Michele Fiorillo 1, San Leucio (CE), tel 0823/301866, https://san-leucio-resort-caserta.hotelmix.it/ Ricavato in un edificio in pietra con vista sulla campagna, dita appena 3 km dal Giardino Inglese e 5 dalla Reggia di Caserta.

*Gaiachiara Casale Antico Resort****, via San Leucio, San Leucio (CE), tel 0823/1542925, www.gaiachiara.com . Immerso in uno splendido paesaggio di ulivi e palme, in cui spicca la piscina scoperta, questo accogliente resort è ricavato in un edificio in pietra dal fascino antico.

DOVE MANGIARE

*La Locanda del Borbone, via I Ottobre 23, San Leucio (CE), tel 0823/304665, locale storico nei pressi del Belvedere di San Leucio con un menù che propone pizza, piatti della tradizione casertana e ricette recuperate della cucina borbonica. Accanto si trova il Pandiseta Bakery, dove si produce e si vende il Pandiseta, il pane “reale” con marchio registrato.

*Antica Locanda, Piazza della Seta, San Leucio (CE), tel 0823/305444, di fronte all’ingresso del Belvedere, dispone di due sale separate da un suggestivo arco di mattoni. Il menù propone piatti di pesce e ricette della tradizione partenopea.

DOVE COMPRARE LA SETA DI SAN LEUCIO

*Antico Opificio Serico San Leucio, viella Barbera 22, San Leucio (CE), tel 0823/361290, www.aos.it

*San Leucio Seta, via dei Giardini Reali 17, San Leucio (CE), tel 389/4284945

*Setificio Leuciano, Piazza della Seta 7/8, San Leucio (CE), tel 0823/1450679, www.setificioleuciano.it

INFO

www.sanleucio.it




Carmignano (PO). La straordinaria Visitazione del Pontormo, il parco archeologico etrusco e la villa Patrimonio UNESCO

Di Benedetta Rutigliano

Carmignano è un borgo unico immerso in uno scenario collinare di vigneti che danno vita al pregiato “Carmignano Rosso DOCG”, il vino con il riconoscimento Denominazione di Origine Controllata e Garantita più antico d’Italia, grazie al decreto del 1716 del Granduca Cosimo III De’ Medici.

Tra i numerosi motivi per visitare il borgo toscano, spicca la Visitazione del Pontormo, opera manierista di straordinaria bellezza, la più preziosa e celebre custodita nella pieve di San Michele e San Francesco, chiesa eretta nel 1330. L’opera, di incerta datazione (1528-30 circa), si discosta dall’iconografia tradizionale per focalizzarsi sull’eccezionalità dell’evento, in un cangiare di colori e panneggi rigonfi e avvolti in un’atmosfera misteriosa e metafisica.

Persino la frazione di Carmignano chiamata Artimino merita una visita: vanta infatti, all’interno del Parco Archeologico di Carmignano, il Museo Archeologico Francesco Nicosia.

Il museo illustra la storia del centro etrusco di Artimino e del suo territorio attraverso i reperti rinvenuti: quest’area, infatti, fin dal periodo “orientalizzante” della civiltà etrusca (VII sec. a.c.), ha conosciuto uno straordinario sviluppo economico e culturale.

Sempre nella piccola frazione, la splendida Villa medicea “La Ferdinanda”, costruita nel 1596 per volere del Granduca Ferdinando I de ‘Medici, su disegno di Bernando Buontalenti, è Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO da giugno 2013. Qui vi passarono, tra gli altri, anche Galileo e Leonardo.

COME ARRIVARE

In auto: da Nord, A1 con uscita Prato-Calenzano, proseguire per Poggio a Caiano e seguire le indicazioni per Carmignano. Da Sud, A1 con uscita Firenze Signa, proseguire per Poggio a Caiano e poi seguire le indicazioni per Carmignano. Per chi viaggia sull’A11, uscire a Prato Est poi seguire per Poggio a Caiano e Carmignano. Per chi viaggia sulla SGC Firenze-Pisa-Livorno, uscire a Montelupo Fiorentino, poi svoltare a sinistra al primo incrocio, poi a destra al secondo, proseguire sulla SS 67 fino all’incrocio Artimino-Camaioni e seguire indicazioni per Carmignano-Artimino.

DOVE MANGIARE

*Da Delfina, viale della Chiesa 1, Artimino (PO), tel 055/8718074, www.dadalfina.it. Nonna Delfina nacque in una casa colonica a valle della Villa medicea, e trasformò la casa, dopo esser stata a servizio di nobili veneziani, in una trattoria molto raffinata, oggi ristorante ricercato. Qui si sono seduti Ardengo Soffici, Quinto Martini, Salvatore Quasimodo e altri ospiti illustri.

*Osteria Su’ Pe’ I Canto, piazza Matteotti 25, Carmignano, Tel. 055/871 2490. Piatti della tradizione toscana rivisitati, a conduzione familiare, una garanzia.

DOVE DORMIRE

*Hotel Paggeria Medicea****, viale Papa Giovanni XXIII 1, Artimino, Carmignano (PO), tel 055/875141, www.artimino.com. Occasione unica quella di soggiornare nella Villa medicea La Ferdinanda, patrimonio UNESCO: la Tenuta di Artimino si compone con 37 camere, 59 appartamenti nel borgo di Artimino (a 300 metri dall’Hotel) e 6 appartamenti esclusivi (“Fagianaie”), tutti collocati in edifici storici ristrutturati e immersi nella pace della campagna toscana

*Hotel Villa San Michele***, piazza Matteotti 14, Carmignano (PO), www.hotelvillasanmichele.com. Piccolo boutique hotel collocato in un palazzo cinquecentesco nel centro di Carmignano, ideale per un soggiorno in questo borgo senza tempo.

INFO

http://turismo.comune.carmignano.po.it

www.parcoarcheologicocarmignano.it




UNESCO con gusto. A bordo del Trenino Rosso da Tirano a St Moritz, tra pizzoccheri e specialità valtellinesi

La Ferrovia Retica che collega l’Italia alla Svizzera, dal Comune di Tirano, in provincia di Sondrio, a St Moritz, rinomata località delle Alpi Svizzere frequentata dal jet set internazionale, è una delle tratte ferroviarie più belle e affascinanti del mondo per la particolarità e la spettacolarità dei paesaggi che attraversa, ben 10 volte al giorno (14 in estate).  Quello che è ormai noto come Il Trenino Rosso del Bernina, proprio per la sua storia, per la tecnologia e per la bellezza dei paesaggi, è stato inserito nella lista Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 2008 con questa motivazione:

“Le linee ferroviarie dell’Albula (completata nel 1903) e del Bernina (completata nel 1910) costituiscono il cuore dell’unico Sito Unesco trasnazionale italiano. La ferrovia dell’Albula è una classica ferrovia di montagna per treni a vapore. Il suo tracciato e i suoi manufatti costruiti con pietra locale costituiscono l’apice del periodo classico di costruzione di linee ferroviarie. La linea del Bernina è la tratta della trasversale alpina più alta di tutta Europa ed una delle ferrovie ad aderenza naturale più ripide al mondo. Entrambe le ferrovie collegano l’Engadina al turismo internazionale e costituiscono esse stesse un’attrazione turistica”.

I record del Trenino Rosso

Nel Patrimonio UNESCO rientrano complessivamente le due tratte delle ferrovie storiche, quella dell’Albula che collega Thusis e St Moritz, inaugurata nel 1904, lunga 67 km, che nel suo percorso attraversa 42 tra tunnel e gallerie coperte, e 144 tra ponti e viadotti, e la tratta del valico del Bernina, che collega Tirano a St Moritz, di 61 km. Nel suo percorso attraversa 13 tra gallerie e tunnel e 52 tra ponti e viadotti.

Non solo. Il tratto ferroviario è annoverato tra i più alti d’Europa e una delle ferrovie ad aderenza naturale più ripide del mondo (fino al 70% di pendenza senza uso di cremagliera). Il Trenino Rosso, infatti, utilizza elettrotreni senza ruota dentata e per muoversi sfrutta uno dei principi della fisica, l’adesione alle rotaie.

Inoltre, l’altezza massima raggiunta, l’Ospizio Bernina, è situato a ben 2253 metri s.l.m. Il punto segna anche il confine geografico e linguistico tra Italia e Svizzera.

Da Tirano a St Moritz a bordo del Trenino Rosso

Si in estate che in inverno viaggiare sul Trenino Rosso regala emozioni indescrivibili, fra vallate mozzafiato, picchi innevati, tratti a strapiombo. Un’esperienza unica che vi consigliamo di fare almeno una volta nella vita. Durante il percorso, si attraversa la Valtellina, la Val Poschiavo e L’Engandina per poi arrivare a capolinea nella “Montecarlo delle Alpi”.

Si parte da Tirano, in provincia di Sondrio, nel cuore della Valtellina, si fa tappa poi a Campocologno e si continua alla volta di Brusio, anch’esso inserito nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità UNESCO con il suo viadotto a rampa elicoidale. Si riparte poi alla volta di Miralago e di Le Prese costeggiando le rive del lago Poschiavo, dalle acque cristalline.

La ferrovia attraversa il paese e prosegue poi per l’ultimo tratto. Qui si comincia davvero a salire fino al punto massimo del passo, ben 2256 metri, attraversando pascoli di montagna, boschi verdeggianti e paesaggi da fiaba. Si arriva quindi nell’alta Valposchiavo dove si ammirano panorami mozzafiato.

Il Trenino Rosso fa poi il suo ingresso in Engandina e si ferma a Cavaglia. Il trenino riparte poi attraverso una serie di curve e tornanti fino alla fermata successiva di Alp Grum. Prima della fermata, tuttavia, è degna di nota la terrazza con vista ineguagliabile sulla meravigliosa Valle Poschiavo dove la vista spazia dal lago alle Orobie della Valtellina in una magnifica visione d’insieme.

Il tratto successivo, che porta ad Alp Grum è uno dei più spettacolari, tra viadotti, tornanti e strapiombi, a un’altezza di 2000 metri. Una curiosità: la stazione di Alp Grum è gemellata con una stazione di Tokyo, in Giappone, poiché i giapponesi presero come esempio la tecnologia “green” del Trenino Rosso per la loro linea ferroviaria.

Si riparte poi costeggiando il Lago Bianco e si arriva alla stazione di Ospizio Bernina, la più alta in tutta Europa. Qui si trova anche un ristorante dove fermarsi per gustare le specialità locali.

Le tappe successive, tra vallate e ghiacciai sono Lagallb, Diavolezza e Morterasch, tra paesaggi alpini e case che sembrano uscite da una favola. Si toccano poi Pontresina, la funicolare del Muottas Muragl e Celerina, nota come “la piccola Milano”.

Si arriva infine al capolinea, la rinomata località di St Moritz, tra locali alla moda, boutique delle griffes più famose e le piste da sci più frequentate dai vip di tutto il mondo.

…scopri che cosa vedere e mangiare a Tirano nella 2° pagina…

Quattro passi per Tirano

Se decidete di salire sul Trenino Rosso, fermatevi anche per visitare Tirano, borgo di rara bellezza con molte testimonianze rinascimentali, circondato da terrazze e vigneti che dipingono paesaggi unici.

Il primo nucleo della cittadina è di epoca romana. L’importanza strategica, tra il Bernina, il Bormiese, l’Aprica e la Bassa Valtellina, indussero Ludovico il Moro, verso la fine del Quattrocento, a dotare Tirano di una cinta muraria per difendersi dagli attacchi dei Grigioni che volevano prendere la città per garantirsi un accesso alla Pianura Padana.

Ancora oggi, sono visibili lungo le mura le tre porte di accesso: Porta Milanese, Porta Poschiavina e Porta Bormina, dal nome delle direzioni verso cui portano le strade che le attraversano. Qualche studioso afferma che nelle porte è riconoscibile la mano di Leonardo da Vinci.

Dalla stazione del Trenino, dirigetevi verso la piazza centrale, sulla quale si affaccia il Santuario della Madonna di Tirano, costruito all’inizio del XVI secolo per celebrare l’apparizione della Vergine al beato Mario Homodei. Secondo la leggenda, fu la stessa Vergine Maria a chiedere la costruzione di un santuario, oggetto di devozione nel corso dei secoli e teatro di qualche guarigione miracolosa.

Il santuario è in stile rinascimentale, a pianta a croce latina. L’interno è suddiviso in tre navate sormontate da volte a crociera sostenute da robuste colonne. Fulcro dell’edificio è la cappella con l’altare dell’Apparizione. Spettacolare l’organo, alto più di 14 metri, in legno di larice rosso e 2200 canne, opera seicentesca.

A Tirano si trovano alcuni bei palazzi nobiliari aperti al pubblico. Come Palazzo Salis, con le sue sale decorate con affreschi pregiati e arredato con mobili d’epoca. Spicca il rigoglioso giardino all’italiana, il più grande di tutta la Valtellina.

Nel centro storico si trova anche Palazzo Lambertenghi, appartenuto all’omonima famiglia. Di fattura quattrocentesca, è stato riconvertito in struttura ricettiva e reca particolari di secoli successivi, dal Cinquecento al Settecento. Davanti al palazzo si trovano anche un bel giardino e un’antica casera.

Da non perdere una visita a Piazza Parravicini, con la sua bella fontana con particolari in pietra verde. Sulla piazza si affaccia Palazzo Parravicini, appartenuto a una delle famiglie più importanti della città. Il palazzo sorgeva vicino alle abitazioni dei contadini che oggi sono state recuperate e sono testimonianze preziose della vita quotidiana del tempo.

Degna di nota anche la Chiesa della Madonna Addolorata, restaurata nel 1664 per diventare la cappella di Palazzo Parravicini, poi passata alla famiglia Merizzi, che ne detiene ancora oggi la proprietà.

A Tirano le specialità della Valtellina

Da non perdere le specialità enogastronomiche della Valtellina, terra di tradizione agricola e di pastorizia. Burro, latte, formaggio si accompagnano alla Bresaola della Valtellina Igp, da gustare da sola o come ingrediente di gustosi primi e secondi.

Non si possono non assaggiare i pizzoccheri, a base di farina di grano saraceno, conditi con formaggio Casera della Valtellina.

La polenta taragna, anch’essa a base di grano saraceno, deve invece il suo nome al bastone di legno (tarél) usato per mescolarla nei grandi paioli di rame durante la preparazione. Non può mancare il formaggio per accompagnarla: il Bitto Dop o il Formai de Mut dell’Alta Val Brembana.

Si preparano con il grano saraceno e formaggio Bitto anche gli sciatt, piccole frittelle salate dal colore scuro, e i chisciöi, frittelline croccanti con formaggio Casera e grappa.

Corposi e nutrienti, i taroz sono un piatto tipico della Valtellina a base di purè di patate, fagioli, fagiolini, burro e formaggio, mentre tra i dolci spicca la bisciola, a base di frutta secca, fichi, noci e pinoli.

DOVE MANGIARE

*Osteria Roncaiola, via S. Stefano 2, Roncaiola, Tirano (SO), tel 0342/720397, www.osteriaroncaiola.it  In ambiente tradizionale, offre piatti tipici della cucina valtellinese, tra cui pizzoccheri, selvaggina, polenta taragna e tanto altro.

*Antica Osteria dell’Angelo, via Don Luigi Albonico 1, Tirano (SO), tel 0342/706188, www.osteriadellangelo.com Menù con piatti tipici e pizzeria con forno a legna.

DOVE DORMIRE

*Hotel Centrale Tirano****, via Albonico 27, Tirano (SO) tel 0342/705620, www.hoteltirano.it nel centro di Tirano, offre ambienti raffinati ed eleganti. Splendida vista sulle montagne. Dotato di Spa.

*Hotel Bernina***, via Roma 24/28, Tirano (SO), tel 0342/701302. www.hotelberninatirano.com Nelle vicinanze della stazione, dispone di camere comode ed eleganti. Ristorante pizzeria con forno a legna.

*B&B Palazzo Lambertenghi, via Ligari 7, Tirano (SO), tel 0342/710262, www.palazzolambertenghi.eu Ricavato in un palazzo nobiliare del Cinquecento, dispone di affascinanti arredi d’epoca e ospita anche un museo.

INFO

www.trenino-rosso.com

www.valtellina.it

www.comune.tirano.so.it

 

 




UNESCO con Gusto. Eolie, le isole del vento e del fuoco al profumo di capperi e Malvasia

Sette sorelle “mitiche”. Sono le Isole Eolie, l’arcipelago a Nord Est della Sicilia, in provincia di Messina, che fin dall’antichità sono state oggetto di miti e leggende. Si diceva che qui abitava il dio Eolo (da cui il nome!) che nell’Odissea donò a Ulisse il famigerato otre con i venti, e che nella bocca di Vulcano si trovasse la fucina di Efesto (poi Vulcano, appunto, nella mitologia romana), dio del fuoco. Sono anche isole da film, che hanno attirato qui personalità come il regista Roberto Rossellini e il poeta Pablo Neruda, di cui a Salina si può ancora vedere la casa in cui alloggiò durante le riprese de “Il Postino”.

Lipari, Vulcano, Panarea, Salina, Stromboli, Alicudi e Filicudi, e i cinque isolotti di Basiluzzo, Dattilo, Lisca Nera, Bottaro e Liscia Bianca, che orbitano attorno a Panarea, sono tutte di origine vulcanica e proprio per questa loro caratteristica sono state iscritte nel Patrimonio dell’Umanità UNESCO nel 2000 con la seguente motivazione:

“La morfologia delle isole vulcaniche rappresenta un modello storico nell’evoluzione degli studi della vulcanologia mondiale. Le Isole Eolie sono uno straordinario esempio del fenomeno vulcanico ancora in corso. Studiate sin dal XVIII secolo le isole hanno fornito alla vulcanologia due tipi di eruzione (Vulcaniana e Stromboliana) e hanno occupato, di conseguenza, un posto eminente nell’educazione di tutti i geologi per oltre 200 anni. Il sito continua ad arricchire il campo degli studi vulcanologici”.

Salina, il “giardino delle Eolie”

Le Eolie si visitano “in lentezza”. La barca, i piedi e la bicicletta sono i “mezzi” migliori, spesso unici, per assaporarle in ogni sfumatura. Cominciate dalla verde isola di Salina. Approdare a Santa Maria, lo scalo principale dell’isola, che si erge alle pendici della Fossa delle Felci, un cratere ricoperto da una vegetazione lussureggiante che si raggiunge con una passeggiata di circa due ore. Santa Maria è un centro vivace, dove trovare negozietti, ristoranti e locali con musica fino a tarda sera. Vale una sosta anche la bella chiesa settecentesca con i suoi tipici campanili.

Una bella escursione è quella che conduce alle Grotte Saracene, che si raggiungono percorrendo un sentiero che parte da Serro dell’Acqua. Le grotte di tufo sono caratterizzate da diverse stanze comunicanti, dove è possibile ancora vedere incisioni e segni votivi lasciati dagli abitanti che vi si rifugiarono attorno al 650 d.C per sfuggire alle violenze dei Saraceni.

Sull’isola si trovano anche i borghi di Lingua, a circa 2 km dallo scalo, un villaggio di pescatori sulla cui spiaggia di ciottoli si affaccia un mare cristallino. Una terrazza sul mare conduce a un laghetto di acqua salmastra dove un tempo c’erano le saline, da cui l’isola prende il nome. Qui si possono vedere ancora alcune vasche del III secolo a. C. L’area è una riserva naturale e dimora di diverse specie di uccelli, per la gioia degli appassionati di bird watching.

Sulla costa settentrionale si trova invece il borgo di Malfa, con le tipiche case eoliano di colore bianco e una bella chiesa settecentesca. Nella frazione di Pollara, che sorge sui resti di un cratere spento, sono state girate le scene de “Il Postino” di Troisi, di cui si può ancora vedere la casa dove alloggiò Pablo Neruda durante le riprese.

Da non perdere la spiaggia, che si trova sotto a una scogliera a strapiombo sul mare e da cui si possono ammirare spettacolari tramonti, annoverati tra i più belli del mondo per i colori e per gli scorci paesaggistici, dal faraglione ai profili di Alicudi e Filicudi all’orizzonte.

Nel Comune di Leni, invece, vale una visita il santuario della Madonna del Terzito, in località Val di Chiesa. Il piccolo borgo di Rinella, invece, è considerato uno dei luoghi più belli dell’isola per la presenza della meravigliosa spiaggia nera, dalla forma a mezzaluna, sormontata da grotte scavate nella roccia.

Vulcano, nella fucina di Efesto

Spostatevi poi a Vulcano, un vero spettacolo della natura. Da non perdere la salita al cratere, dove, immersi in un paesaggio lunare, tra terra gialla e fumi di zolfo, si può godere di un panorama mozzafiato sulle altre isole. Il sentiero, che parte dal centro abitato e fiancheggia la montagna, è abbastanza impegnativo e si consiglia di intraprendere la salita dalle 18 in poi.  Lo spettacolo della voragine ad anfiteatro, dove si diceva avesse sede la fucina del dio Efesto, ripaga da tutta la fatica.

Ritagliatevi una mezza giornata per visitare Vulcanello, località dove si trova la Valle dei Mostri, popolata da sculture naturali di roccia che ricordano profili di animali e figure mostruose, ancora più suggestive al tramonto.

Rilassatevi poi in alcune delle spiagge più belle dell’arcipelago, tra cui le spiagge nere di Porto di Ponente, dall’incredibile colore grazie all’origine vulcanica dell’isola. Le pietruzze laviche si riflettono nel mare cristallino con un incredibile effetto “luccicanza”. La Spiaggia dell’Asino, invece, è un lido attrezzato su una spiaggia di sabbia nera, tranquilla di giorno e vivace la sera grazie a musica e serate danzanti.

Da non perdere la spiaggia delle Fumarole, dove le acque, in alcuni punti, ribollono per la presenza di sorgenti calde sottomarine.  Infine, prima di lasciare vulcano, non perdetevi un bagno nelle piscine di fango termale, che sgorga direttamente dal sottosuolo e ha effetti benefici sulla salute e si trova poco distante dalla spiaggia delle Fumarole.

Stromboli e lo spettacolo della “Sciara del fuoco”

Un’esplosione di lapilli e ceneri che poi scende lungo le pendici del cono vulcanico come un lungo e lento fiume infuocato. È lo spettacolo naturale della Sciara del Fuoco, a cui si può assistere sull’isola di Stromboli, la cui sagoma a cono perfetto sembra emergere dalle acque cristalline.

Per godere della sua bellezza, si consiglia di cominciare l’ascesa al tramonto (si può salire solo con una guida esperta!). Le visite guidate partono da Piazza San Vincenzo attorno alle 17. Il percorso è abbastanza impegnativo, circa 2 ore e mezzo, ma ne vale la pena.

In alternativa, si può ammirare la Sciara del Fuoco anche via mare, noleggiando una barca. Sempre via mare si può arrivare anche a Strombolicchio, un isolotto a strapiombo su un mare blu profondo, sulla cima del quale si erge un faro alimentato a energia solare. Imperdibile un bagno con maschera e boccaglio.

Lipari, cultura, natura e…shopping

La più grande delle Eolie, che vengono chiamate anche Lipari, è un concentrato di architettura, storia, natura, enogastronomica e negozi dove sbizzarrirsi nello shopping.  Arrivati al porto, raggiungete il Municipio, da cui partono le baie di Marina Corta e Marina Lunga, alle spalle delle quali si trova il centro città, con la bella Piazza di Marina Corta, da cui si snodano vicoletti pittoreschi costellati da ristoranti, bar, negozi, e locali dove gustare ottimi aperitivi, ma anche ammirare suggestivi scorci tra piccoli balconi che sporgono dalle case in pietra.

Chi ama lo shopping non può perdere una passeggiata lungo Corso Vittorio Emanuele, e vie limitrofe, dove fioriscono negozi di abbigliamento, accessori, scarpe e souvenir.

Splendidi anche gli edifici religiosi, che valgono una sosta. Tra questi c’è la Cattedrale di San Bartolomeo, la chiesa più importante dell’isola, del XVI secolo, decorata con meravigliosi affreschi floreali.

Nelle vicinanze si trova anche il Chiostro Normanno. Risale invece al Seicento la Chiesa di San Giuseppe, una delle più antiche di tutto l’arcipelago, che si affaccia sulla spiaggia.

Sulla costa est di Lipari si trova invece la bella Spiaggia del Canneto, dalla sabbia scura. A quattro km dal centro c’è invece il Belvedere Quattrocchi, tra i siti panoramici più belli delle Eolie, da cui è possibile scorgere in prospettiva i profili delle altre isole. Qui si trova anche un sito archeologico con una tomba a tholos di epoca micenea e vasche termali del periodo greco e romano.

In Contrada Caolino, invece, si trova la miniera abbandonata di una roccia bianca di natura argillosa, usata per la produzione della porcellana. Alcune di queste “roccette” galleggiano ancora nelle acque che circondano l’isola.

Alicudi e Filicudi, dove la natura regna sovrana

Sono le più remote e selvagge dell’arcipelago delle Eolie. Alicudi e Filicudi consentono di vivere a stretto contatto con la natura, dove conta solo l’essenziale.

Filicudi, la più grande delle due, conta solo pochi negozietti e acqua e luce elettrica in alcune parti dell’isola non arrivano. È percorsa ancora oggi dalle mulattiere che un tempo collegavano tra loro le piccole frazioni ed erano l’unica via per muoversi all’interno dell’isola. L’isola, tuttavia, è nota per l’enogastronomia, grazie alla presenza di pochi selezionati ristoranti.

Ancora più selvaggia, la piccola Alicudi è consigliata agli amanti del trekking e delle escursioni. Anch’essa è costellata di mulattiere e sentieri che consentono di immergersi in paesaggi ancora estranei alla mano dell’uomo. Le acque che circondano queste due isole sono ideali per lo snorkeling. In ogni caso, il consiglio e quello di affidarsi a guide esperte.

…scopri i sapori delle Eolie nella seconda pagina…

I sapori delle Eolie

Crocevia di culture, ma anche della tradizione marinara e contadina, la cucina delle Eolie è molto particolare e sotto certi aspetti unica, perché unico è il gusto dei prodotti di questa terra vulcanica, dove spirano venti “leggendari”. Tra questi c’è il cappero eoliano, la cui pianta cresce spontaneamente nei terreni vulcanici e deve la sua proliferazione alle lucertole, che nutrendosi del liquido che fuoriesce dalle bacche, porta in giro i semi che si attaccano al suo corpo. I capperi, tra i simboli delle Eolie, si conservano poi sotto sale o sotto aceto e si gustano come antipasto o per accompagnare sughi, nelle insalate o utilizzati nei primi piatti e nei secondi di pesce.

Hanno una caratteristica dorma allungata i pomodorini a pennula, dal tipico gusto dolce grazie al microclima eoliano.

Ottimo anche il tipico formaggio di capra, prodotto con tecniche tradizionali. Si presenta con una forma cilindrica e crosta giallognola, la pasta invece è paglierina e il sapore piccante e deciso. Si trova anche con l’aggiunta di pepe o peperoncino.

Tuttavia, le Eolie sono famose per i vini Malvasia, definiti da Guy de Maupassant “il vino dei vulcani”. Nel 1973 hanno ottenuto la DOC e si trovano nella varietà da pasto, passito e liquoroso, questi ultimi ottimi per accompagnare i deliziosi dolci eoliani.

E, a proposito di dolci, quelli eoliani sono un gustoso connubio di ingredienti antichi locali e di altri importati dagli arabi durante la dominazione, come zucchero, riso, agrumi, spezie come cannella e chiodi di garofano. I Sesamini, per esempio, sono biscotti di frolla con semi di sesamo, da gustare a fine pasto con la Malvasia, insieme ai Giggi¸ palline di pasta fritta e ricoperta da una glassa a base di zucchero e vin cotto. Altre varianti sono i Piparelli, a base di mandorle, i Nacatuli, tipici del periodo natalizio, composti da una sfoglia sottile e da un ripieno di zucchero, aromi e mandorle. I Cassateddi, invece, hanno un ripieno di mandorle, fichi secchi, uva passa e nocciole.

Dalla tradizione siciliana classica arrivano invece la Cassata, un pandispagna farcito di crema alla ricotta e ricoperto da una glassa di zucchero e canditi, il cannolo siciliano, dalla tipica cialda ripiena di ricotta e arricchita con cioccolato o scorzette di agrumi, e la granita siciliana, alla frutta, caffè e cioccolato con panna montata e accompagnata da una brioche.

COME ARRIVARE

Le Eolie si raggiungono in traghetto da Napoli e Milazzo con Siremar (www.siremar.it) , oppure in aliscafo da Napoli e Milazzo con Caronte Tourist (www.carontetourist.it ), da Napoli con Snav (www.snav.it ). È possibile raggiungere le Eolie anche in bus in collegamento dall’aeroporto di Catania, da Messina a da Milazzo.

DOVE MANGIARE

*Signum, via scalo 15, Malfa Salina (ME), tel 090/9844222, www.hotelsignum.it Ristorante con una Stella Michelin attribuita alla creatività della chef Martina Caruso, giovane talento italiano, vincitrice nel 2019 del Premio Michelin Chef Donna.

*Da Filippino, Piazza Mazzini 20, Lipari, tel 090/9811002, www.filippino.it Locale che vanta una tradizione addirittura secolare. Il menù offre piatti a base di pescato del giorno e prodotti tipici eoliani, come involtini di pesce spada con fichi in agrodolce, risotto al nero di seppia e i maccheroni della casa. Cantina con una selezione di oltre cento etichette.

*Il Cappero c/o Therasia Resort, loc. Vulcanello, Vulcano (ME); tel 090/9852555, www.therasiaresort.it Ristorante gourmet con ambiente raffinato. Offre diversi menù degustazione, anche gluten free e vegetariani. Piatti “stellari” di mare e di terra.

DOVE DORMIRE

*Hotel La Terrazza***, via San Pietro 20, Panarea (ME), tel 090/983258, http://www.hotel-laterrazza.it/ A soli 5 minuti a piedi dal molo di San Pietro, la struttura a conduzione familiare offre belle camere con terrazza vista mare, arredate in stile eoliano. Ristorante specializzato in grigliate di carne e pesce. Colazione a buffet con formaggi, croissant, frutta e dolci.

*Hotel Garden Vulcano****, via Porto Ponente, Vulcano (ME), tel 090/9852106, www.hotelgardenvulcano.com In ottima posizione, a 350 metri dal centro abitato, a 100 dalle sabbie vulcaniche e dal cratere, dispone di piscina all’aperto e  camere con balcone o terrazzo.

*Hotel Tritone****, via Rizzo, Lipari (ME), tel 090/9811595, www.tritonelipari.it Struttura di lusso con spa e centro benessere con vasca idromassaggio con acqua proveniente dal vicino vulcano. Alcune camere e suite sono vista mare, con balcone o terrazzo, bagno in marmo don idromassaggio.

INFO

www.turismoeolie.com




Abruzzo, l’Assessore Regionale al Turismo Mauro Febbo, “Ecco i Cinque punti per ripartire”

Di Raffaele D’Argenzio  (In copertina: panorama del lago di Scanno. Foto di Cesidio Silla)

Il turismo deve ripartire e, in molti casi, risollevarsi dopo l’emergenza Covid-19. Ecco perché per le nostre vacanze o i nostri weekend dobbiamo scegliere una meta italiana. Ogni regione ha le sue bellezze, le sue eccellenze artistiche, storiche, enogastronomiche, e ognuna punta su di esse per rilanciare il settore. Questa settimana, incontriamo l’Assessore alle Attività Produttive, Turismo e Cultura della Regione Abruzzo Mauro Febbo, per farci dire quali saranno le strategie per la ripartenza di una delle regioni a maggiore vocazione turistica.

Il settore del turismo vive una crisi sconvolgente, quali sono le strategie di intervento per la regione Abruzzo?

“Il Turismo è tra i più colpiti in assoluto dalla crisi coronavirus. La limitazione dei movimenti ha provocato un crollo verticale in un settore che in Abruzzo vale circa il 13% del Pil. La Regione ha messo in campo importanti finanziamenti al fine di sostenere la ripartenza attraverso la concessione di contributi a fondo perduto ma anche per sostenere eventuali investimenti già programmati. Attraverso il Dipartimento del Turismo stiamo lavorando al rilancio dell’intera filiera turistica con uno specifico Piano di rilancio accompagnato da un piano di marketing promozionale e investimenti produttivi nelle tecnologie digitali.

Un esemplare di lupo (foto Coop. Il Bosso)

Il primo ostacolo per il settore turistico sarà trovare il modo per superare “il lockdown psicologico”, la paura dei cittadini di spostarsi. Per questo, anche in Abruzzo in questa prima fase bisogna lavorare per ripensare l’offerta turistica in totale sicurezza attraverso protocolli ben precisi rivolti alla sicurezza del turista. L’Abruzzo ha un patrimonio di bellezze prezioso su cui costruire la ripartenza e tornare a una nuova, differente normalità. Alla Bit di Milano di febbraio l’Abruzzo ha promosso pacchetti turistici accessibili a tutti basati essenzialmente sul turismo lento, sul cicloturismo e sui cammini da percorre per scoprire le sue bellezze. Ripartiremo da questa proposta”.

Panorama del Gran Sasso (foto Massimo Verdecchia)

Come pensate di riportare prima gli italiani e poi gli stranieri nel vostro magnifico territorio?

“La Regione Abruzzo ha messo in campo una campagna di comunicazione mirata, specifica su emittenti tv a livello nazionali e locali, quotidiani nazionali online e radio e altro. Ovviamente in questa fase post lockdown ci si immagina un turismo per lo più di prossimità, almeno nella prima fase. L’Abruzzo può beneficiare di una posizione di vantaggio in quanto destinazione caratterizzata da spazi aperti, ampi e poco antropizzati, con una natura importante e protetta, borghi e centri abitati con densità demografica contenuta, facile da raggiungere (centro Italia /rete stradale /rete ferroviaria) ed ideale per attività all’aria aperta (trekking, cammini, cicloturismo, itinerari culturali ed enogastronomici per la scoperta di una forte identità territoriale e della genuinità)”.

Escursionisti sul Gran Sasso

Quali saranno i plus su cui potrete puntare?

“La Regione Abruzzo può contare su 133 chilometri di costa, lungo la quale si alternano tra la parte nord e quella a sud arenili di sabbia con ampie spiagge, pinete, scogliere, promontori e calette di ciottoli, lidi solitari, le suggestive Area Marina protetta del Cerrano e la Riserva costiera di Punta Aderci, e le numerose località premiate con la prestigiosa “Bandiera Blu”.

Panorama di Punta Aderci

Nella parte sud dell’Abruzzo lungo la costa abbiamo la famosa Via Verde Costa dei Trabocchi, un percorso ciclopedonale ormai quasi terminato sull’ex tracciato ferroviario, di una bellezza unica ed affascinante. La nostra Regione è ricca di piccoli borghi, chiese antichissime, eremi, castelli e palazzi unici. In questi anni è cresciuto il turismo Lento o Slow e sostenibile che permette uno stretto contatto con la natura e l’Abruzzo si è scoperta la regione ideale per una vacanza attiva in bicicletta, in mountain- bike, a piedi con zaino in spalla, a cavallo, con gli sci, in parapendio, in aereo ultraleggero, in barca, in moto, in fuoristrada ed in canoa”.

Alba lungo la “Costa dei Trabocchi”

Gli spazi verdi dei vostri parchi e delle vostre montagne?

“La Regione Abruzzo si distingue per il suo habitat e per la sua biodiversità, ben tutelati da tre Parchi Nazionali: lo storico Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise, e quelli del Gran Sasso-Laga e della Majella. Vi sono oltre 30 riserve e oasi naturalistiche. Tutto questo fa dell’Abruzzo il “cuore verde d’Europa”, con circa un terzo del proprio territorio sottoposto a tutela e le Faggete Vetuste del Parco Nazionale d’Abruzzo, Patrimonio dell’UNESCO con alberi che sono lì da prima della scoperta dell’America!

Le gole del fiume Orta, nel Parco della Majella

Inoltre abbiamo in Abruzzo i due massicci montani più importanti della catena appenninica, la Majella ed il Gran Sasso vette che sfiorano i tremila metri e il Ghiacciaio perenne più a sud del continente Europeo. Il Gran Sasso, infine, che ha visto la prima ascesa “alpinistica” della storia italiana (1540) ha un primato che consente all’Abruzzo di fregiarsi di un altro Patrimonio immateriale dell’UNESCO come l’Alpinismo”.

Colori d’autunno con vista sul Gran Sasso (foto Mery Aiuto)

Come spera che reagiscano gli imprenditori del turismo?

“Da veri abruzzesi. Abituati al lavoro e costruire giorno dopo giorno il proprio futuro. Con loro abbiamo costruito una collaborazione tra pubblico e privato per poter riorganizzare l’offerta turistica attraverso un approccio multidisciplinare. Pertanto oggi è indubbio sviluppare nuove progettualità sostenibili ed avviare un programma di destagionalizzazione dei flussi turistici per evitare una elevata concentrazione dei turisti che potrebbe comportare la congestione delle capacità di trasporto e dei servizi di accoglienza anche alla luce delle restrizioni legate alla prevenzione della diffusione del Covid-19”.

Il borgo di Pacentro (foto Cristian Ciliegi)

E i turisti esteri come pensa di poterli riportare in Abruzzo?

“Bisogna partire dalla necessità di comunicare l’Abruzzo come una destinazione ‘autentica ed esperienziale’, in grado di offrire al turista un turismo tematico ad alto valore aggiunto, con ampi spazi e natura protetta, trasformando in punto di forza quello che prima poteva essere un punto di debolezza ossia il fatto di essere una regione ancora poco conosciuta ma comunque dall’alto potenziale turistico con i suoi diversi prodotti turistici. Il tema della sostenibilità assieme al bisogno di ambienti naturali, di sicurezza e di luoghi poco affollati saranno centrali nel ripensare l’offerta turistica. I borghi e i piccoli centri e la vacanza attiva (ad esempio, cicloturismo, trekking, arrampicata, birdwatching, orienteering esperienziali, vacanze natura, plein air, etc.) possono essere le proposte più coerenti rispetto alle nuove caratteristiche della domanda”

Il fascino notturno della Torre del Cerrano (foto Valentina De Santis)

Per il turismo enogastronomico, il localismo, il chilometro zero possono diventare il perno della nuova ristorazione?

“I nostri ristoratori sono i nostri primi ambasciatori e anello fondamentale con i turisti. Da sempre l’Abruzzo possiede un ricco patrimonio enogastronomico legato alla tradizione, alla storia e alla cultura culinaria propria di diversi territori, con uguale e grande qualità sia per la cucina di terra che di mare. La Regione Abruzzo ha, inoltre, attivato il marchio di Ristorante tipico d’Abruzzo con validità anche nell’unione Europea.

Gli arrosticini abruzzesi, un piatto tipico da non perdere

L’Abruzzo dell’autenticità e della tradizione conta anche numerosi chef stellati e un tre stelle famoso nel mondo (Niko Romito, chef del ristorante Reale Casadonna, a Castel di Sangro (AQ) n.d.r). La cucina, la ristorazione deve saper raccontare la storia di un luogo e trasmettere anche la cultura di un particolare territorio. Tutto questo può e deve essere trasformato in un prodotto turistico”

Lo chef tristellato Niko Romito

Un bel luogo può contribuire a farci provare la felicità? Lei l’ha provata e dove?

“Ci sono due cose di cui mi piace parlare ossia un luogo e un momento che mi hanno fatto provare una vera gioia e che ogni volta mi fanno provare la stessa sensazione. Il luogo è l’Oratorio di San Pellegrino a Bominaco (AQ), un piccolo edificio coperto con una volta a botte ogivale con un meraviglioso ciclo di affreschi che ne ricopre completamente la volta e le pareti. Non a caso è stato ribattezzato la “Cappella Sistina d’Abruzzo” ed è dal 1996 Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Se invece penso ad un momento che i riempie di emozione è sicuramente il rito del Venerdì Santo a Chieti con la solenne processione (la più antica d’Italia) che si snoda per le vie della città durante la quale viene eseguito il celebre Miserere, un’esperienza emotiva e interiore davvero unica”.

I meravigliosi affreschi dell’Oratorio di San Pellegrino

È possibile cogliere delle opportunità da questo periodo di crisi?

“Certo. Questa situazione di stallo e di crisi ci ha permesso di individuare i punti di forza già consolidati della Regione e i punti di debolezza da dover colmare per delineare un posizionamento rilevante e identificativo dell’Abruzzo. L’Abruzzo ha forti probabilità per essere considerato una destinazione allettante, per tutti coloro che vivono nelle Regioni limitrofe alla nostra. Sicuramente continuare il lavoro di implementazione dell’Ecosistema Digitale, quale opportunità e strumento di sistema e promozione della Destinazione e attività di promo-commercializzazione”.

La Basilica di Collemaggio (AQ), tra le eccellenze da visitare

La stampa turistica cosa può fare in questo momento per aiutare il settore?

“La stampa turistica può aiutare i turisti italiani e stranieri a scoprire le tantissime potenzialità dell’Abruzzo in un momento in cui il nostro territorio offre naturalmente e senza alcuno sforzo tutto quello che i viaggiatori cercano in questo momento storico, in particolare gli spazi naturali incontaminati sia sulla costa che nelle aree interne, ricche di storia e autenticità, in cui il distanziamento sociale è naturalmente garantito.  Ma aggiungo che può essere anche un veicolo utilissimo per rassicurare i tanti turisti che amano le lunghe spiagge attrezzate e far conoscere loro tutte le misure precauzionali che sono state assunte per garantire loro una vacanza sicura e rilassante. Altrettanto importante la stampa di settore rivolta principalmente al Trade e operatori”.

….leggi i 5 punti per ripartire nella 2° pagina….

I CINQUE PUNTI PER RI-PARTIRE

Concludendo e riassumendo, quali sono secondo lei i 5 punti fondamentali per ripartire?

1. È necessario puntare sulla vocazione naturale dell’Abruzzo come meta turistica che consenta a qualsiasi turista di trovare il proprio spazio in cui vivere in serenità la vacanza che cerca, sia che si tratti di famiglie, sia che si tratti di amanti della vacanza attiva sia che si tratti di chi ama scoprire i segreti di un territorio autentico e ricco di cultura e prodotti tipici e autentici.

Uno scorcio della spiaggia di Mottagrossa

2. Sicuramente punteremo sul turismo di prossimità prima che sul turismo internazionale, sfruttando anche la posizione geografica centrale particolarmente vantaggiosa per la vicinanza con le regioni del centro-sud.

3. Punteremo sulle eccellenze e particolarità che contraddistinguono la regione Abruzzo, dalle aree protette ai siti patrimonio dell’Unesco alle unicità enogastronomiche, accompagnando il turista nella scoperta anche attraverso il sito abruzzoturismo.it , in modo che il viaggio inizi oggi dal divano di casa. Un aiuto concreto in tal senso lo avremo anche attraverso il continuo sviluppo e implementazione dell’Ecosistema Digitale.

Tortoreto, in provincia di Teramo, è una rinomata località balneare

4. Applicheremo tutti i protocolli di sicurezza in maniera impeccabile affinché chiunque voglia trascorrere la propria vacanza in Abruzzo si senta tranquillo in ogni momento.

5. Punteremo sull’ implementazione e la promozione di reti di strutture e servizi destinati a particolari target come i cicloturisti a cui abbiamo di recente dedicato la rete “Abruzzo bike friendly”, una rete di strutture ricettive e servizi complementari per soddisfare tutte le esigenze di chi vuole scoprire il territorio in modalità sostenibile.

Panorama mozzafiato sul Gran Sasso (foto Jean Adzerba)

Chi è Mauro Febbo

Nato a Chieti nel 1958, è sposato con Wanda ed ha una figlia, Federica. Svolge l’attività di libero professionista ed è titolare di uno studio di ragioniere tributarista nella città di Chieti dove vive. Da sempre vive la passione per la politica ed ha ricoperto incarichi istituzionali ed amministrativi: nel 1993 diventa Assessore alle Finanze, al Patrimonio e al Personale del Comune di Chieti.

Nel 1999 diventa Presidente della Provincia di Chieti, nel 2013 viene eletto in Consiglio regionale e nominato componente della Giunta Regionale con delega alle Politiche Agricole e di Sviluppo Rurale, Forestale, Caccia Pesca ed Emigrazione. Rieletto al Consiglio Regionale per il Collegio della Provincia di Chieti, nel 25 Maggio 2014 all’opposizione e viene eletto come Presidente della Commissione di Vigilanza della Regione Abruzzo. Dal 2019 è di nuovo assessore della Regione Abruzzo e vista la sua profonda esperienza amministrativa gli vengono affidate le deleghe alle Attività Produttive, Turismo e Cultura




UNESCO con Gusto. San Gimignano, la città delle torri

“Capolavoro del genio creativo umano, porta la testimonianza unica di una civiltà del passato e l’eccezionale esempio di un complesso architettonico e paesaggistico, testimonianza di importanti tappe della storia umana.”

Con questa motivazione, l’UNESCO ha inserito il centro storico di San Gimignano, in provincia di Siena, nell’elenco dei siti “Patrimonio dell’Umanità”, nel 1990. Questa splendida cittadina medievale, che sorge a 56 km da Firenze, tra i colli della Val d’Elsa, nella Toscana del Chianti e della buona cucina, ha infatti conservato intatto il suo impianto trecentesco.

La sua caratteristica principale, tuttavia, sono le sue torri, che ne caratterizzano il paesaggio e la storia. Fino alla metà del Trecento, infatti, San Gimignano visse un periodo particolarmente prospero, grazie alla posizione favorevole lungo la via Francigena. Le famiglie si arricchirono e, per dimostrare il loro prestigio e concorrere tra loro, facevano a gara a chi costruiva la torre più alta e più bella. La torre comunale, detta “La Rognosa”, doveva comunque essere la più alta, ma attorno a essa ne sorsero più di 70. Oggi, ne rimangono solo tredici.

Nel centro storico di San Gemignano

Tutta la storia e l’arte di San Gimignano si concentrano nel centro storico, circondato da mura del Duecento. Basta circa un’ora e mezzo per percorrere il perimetro a piedi, e anche meno per il centro storico. Ma il consiglio è quello di soffermarsi più a lungo per ammirare ogni scorcio e ogni singolo particolare di questa cittadina veramente unica.

Cominciate la vostra visita da Piazza Duomo, dove si trova il Duomo, noto anche come Collegiata di Santa Maria Assunta. L’esterno è in stile romanico ma all’interno custodisce preziosi cicli di affreschi che ricoprono tutta la superficie delle tre navate. Tra gli artisti spiccano i nomi del Ghirlandaio, Taddeo di Bartolo, Memmo di Filippuccio, Lippo Memmi e Benozzo Gozzoli.

Uscite poi per ammirare Piazza Duomo, dove si incrociano le strade che conducevano a Pisa e la Francigena. Sulla piazza trapezoidale si affacciano il Palazzo Comunale, sede dei Musei Civici e della Pinacoteca. Sul lato opposto, invece, si trovano il Palazzo del Popolo, le Torri Gemelle dei ghibellini Salvucci, rivali della famiglia guelfa degli Ardinghelli, che hanno le loro torri in Piazza della Cisterna.

Se Piazza Duomo era il centro della vita politica e religiosa, Piazza della Cisterna era in centro commerciale ed economico. Qui si trovavano botteghe e taverne e vi si teneva il mercato. La piazza si raggiunge dall’entrata sud ovest, presso la porta dell’Arco dei Becci e dei Cugnanesi.

Tra palazzi e rocche

In piazza della Cisterna si affaccia Palazzo Salvestrini, che sovrasta in altezza tutti gli altri edifici. Il complesso, un tempo noto come Palazzo Braccieri, ospitava un tempo lo Spedale di Santa Maria della Scala, e serviva per prestare assistenza ai pellegrini che si spostavano lungo la Francigena. Nel Cinquecento è stato trasformato in un orfanatrofio e ha assunto il nome di Spedale degli Innocenti, mentre oggi è stato trasformato in albergo. Il vicino Palazzo Razzi, invece, che oggi ospita una banca, risale al Duecento.

Resta ben poco, ma vale la pena farci un salto, invece, della Rocca di Montestaffoli, che sorge sulla collina omonima, oggi parco pubblico. Da qui si gode una splendida vista sulla città.

Le chiese di San Gimignano, scrigni d’arte

Assolutamente da non perdere una visita alla Chiesa di Sant’Agostino, considerata tra le più belle della Toscana. Si può raggiungere attraversando Porta San Matteo e percorrendo via Cellolese. La chiesa, costruita nel 1280 dai monaci agostiniani, è in stile romanico con elementi gotici ed è stata completata in vent’anni.

Le opere custodite al suo interno, invece, sono di epoca rinascimentale e si devono al mecenatismo di Frà Domenico Strambi che assoldò Benozzo Gozzoli, artista fiorentino, che già aveva realizzato gli affreschi della Cappella dei Magi a Palazzo Medici Riccardi di Firenze. Al ciclo di affreschi dedicato alle Storie della vita di Sant’Agostino, nella cappella del coro, hanno collaborato anche Pier Francesco Fiorentino e Giusto di Andrea.

Splendida anche la Cappella di San Bartolo, scolpita in marmo da Benedetto da Maiano e dall’allievo del Ghirlandaio Sebastiano Mainardi, autore anche di alcuni affreschi alle pareti e sulla volta. Il pavimento in maiolica invece è opera di Andrea della Robbia. Degno di nota anche l’altare maggiore del Pollaiolo.

Recentemente recuperata, la Chiesa di San Lorenzo in Ponte, è una delle più antiche di San Gimignano e deve il suo nome dal ponte levatoio che dal castrum del vescovo di Volterra consentiva di arrivare in Piazza della Cisterna. Costruita nel 1240, è in stile romanico con l’interno a navata unica, sormontato da un tetto a capriate.

La chiesa custodisce l’immagine votiva della Madonna del Prato dipinta da Simone Martini nel 1310, di cui oggi rimane solo lo splendido volto. Gli affreschi che ricoprono tutta la navata e il presbiterio sono invece quattrocenteschi e si rifanno a scene di ispirazione dantesca e ai santi.

L’antica Spezieria di Santa Fina

Una “chicca” davvero imperdibile è la Spezieria di Santa Fina, che si trova al primo piano del polo museale del Conservatorio di Santa Chiara. Qui si possono ammirare vasi e recipienti risalenti dal Quattrocento al Settecento, destinati a contenere farmaci, preparati e medicamenti provenienti dallo Spedale di Santa Fina, fondato nel 1253.

Importantissima anche la figura di Santa Fina, patrona della città, nata nel 1238 e morta a soli 15 anni dopo un lungo calvario. La sua casa natale si trova in via del Castello, mentre nel Duomo si trova una cappella a lei dedicata dove sono custodite anche le sue reliquie, decorata con splendidi affreschi del Ghirlandaio sulla sua vita.

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San Gimignano e la Vernaccia

La zona è famosa per il Chianti, ma a San Gimignano si produce la Vernaccia, tra i migliori “bianchi” del mondo, che detiene un record: è stato il primo vino italiano a fregiarsi della D.O.C (Denominazione di Origine Controllata), nel 1966. Nel 1993 si è aggiunta anche la D.O.C.G.

Se volete visitare i vigneti, si trovano sulla strada che da San Giminiano porta a Poggibonsi, mentre nella Villa della Rocca di Montestaffoli si trova il Museo della Vernaccia.

La corposa cucina senese

Ricca di sapore e di antica tradizione, la cucina senese è in grado di stuzzicare anche i palati più esigenti. Tra i piatti tipici, ottima la focaccia con i friccioli, cotta al forno e con pezzetti di pancetta di maiale. Come antipasto o merenda, si possono gustare le bruschette con aglio e olio extravergine di oliva, oppure i crostini di carne o di fegato.

Tra gli insaccati, troviamo il Capocollo di maiale e spezie, il buristo, scuro e morbido, preparato con il sangue di maiale impastato in cubetti di grasso, acque, spezie, sale e pepe, oppure la finocchiona, un salame morbido fatto con parti pregiate del maiale a cui vengono aggiunti semi di finocchio. Tra i formaggi, troviamo il Pecorino delle crete senesi, il Pecorino di Pienza e il Raviggiolo, tenero e dolce, fatto con il latte di pecora.

Chi si ferma in una trattoria e desidera assaggiare i piatti locali, come primo può ordinari i pici, spaghetti grossolani di acqua e farina, accompagnati da sughi di carne o di verdure. Un altro piatto della tradizione povera è la Ribollita, o minestra di pane, fatta anche con fagioli e cavolo nero. Ottime anche le Pappardelle alla lepre e la Panzanella, una zuppa fredda di pane, pomodoro, cipolla e basilico.

Tra i secondi di carne, ci sono i piatti a base di chianina, oppure l’arista di Cina Senese cotta sul mattone. Da provare la scottiglia, un misto di carne di manzo, pollo, agnello e coniglio a piccoli pezzi soffritti in olio, aglio e pomodoro.

Celebri i dolci, tra cui il Panforte, il Castagnaccio, con farina di castagne, i biscotti beriquocoli e i Ricciarelli, fatti con le mandorle e dalla tipica forma a rombo.

Gli altri siti UNESCO in Toscana

Sono 7 i siti toscani inclusi nella lista “Patrimonio dell’Umanità UNESCO”. Oltre a San Gimignano troviamo il Centro Storico di Firenze (dal 1982), primo sito toscano e quarto italiano a meritare il riconoscimento, la Piazza del Duomo a Pisa (1987) con la Piazza dei Miracoli, la Torre Pendente, il Duomo e il Battistero, il Centro Storico di Siena (1995) con Piazza del Campo, tra le più belle piazze del mondo, il Centro Storico di Pienza (1996), la Val d’Orcia (2004) e le Ville e giardini medicei (2013) che conta ben 14 luoghi diversi.

COME ARRIVARE

In auto: da Nord, A1 Milano-Roma, uscire a Firenze Impruneta, poi prendere la superstrada Firenze-Siena con uscita Poggibonsi Nord e seguire le indicazioni per San Gimignano. Da Sud: A1 Roma-Milano, uscire in Valdichiana, prendere la superstrada Siena- Firenze con uscita Poggibonsi Nord e seguire per San Gimignano. Da Pisa: SGC Firenze-Pisa-Livorno in direzione Firenze, uscire a Empoli Ovest, seguire indicazioni per Castelfiorentino-Certaldo. Raggiunta Certaldo seguire le indicazioni per San Gimignano.

DOVE MANGIARE

*Osteria delle Catene, via Mainardi 18, San Gimignano (SI), tel 0577/941966, www.osteriadellecatene.it/. Locale tradizionale con soffitti a volta e archi. Offre un menù a base di piatti tipici toscani, tra cui pappardelle, ribollita, stracotto del chianti e salumi. Disponibile menù a degustazione e alla carta.

*Il Ceppo Toscano, via delle Romite 13, San Gimignano (SI), tel 0577/940594, www.ilceppotoscano.it/ Ristorante specializzato in piatti di carne, tra crudi, tartare, filetti e carne in umido. Tra i primi: pici senesi, spaghetti al Chianti o al ragù d’anatra.

*Gelateria Dondoli, Piazza Della Cisterna, 4, 53037 San Gimignano SI, tel 0577 942244,  www.gelateriadondoli.com Famosissima gelateria citata tra le più importanti guide mondiali e visitata continuamente da televisioni nazionali e internazionali è unica nel suo genere.

DOVE DORMIRE

*Hotel Leon Bianco***, Piazza della Cisterna 12, San Gimignano (SI), tel 0577/941294, www.leonbianco.com. Nella piazza medievale di San Gimignano, a soli due minuti dal Duomo e dalla Torre Grossa, dispone di 26 camere immerse in atmosfera storica.

*Hotel La Cisterna***, Piazza della Cisterna 23, San Gimignano (SI), tel 0577/940328, www.hotelcisterna.it Struttura ricavata in un palazzo del XII secolo con arredi fiorentini. Ad appena due minuti dal Palazzo Comunale e sei dalla Chiesa di Sant’Agostino e con vista sulle colline toscane. Ristorante con menù toscano.

INFO

www.comune.sangimignano.si.it




UNESCO con Gusto. Tarquinia e Cerveteri, alla scoperta di usi e sapori etruschi

Questa settimana, nella nostra rubrica dedicata ai siti UNESCO con Gusto andiamo insieme nel Lazio settentrionale, alla scoperta delle Necropoli di Tarquinia (VT) e Cerveteri (Roma), dichiarate Patrimonio dell’Umanità nel 2004. Si legge nella motivazione che le ha incluse nella prestigiosa lista.

“Le Necropoli di Cerveteri e Tarquinia rappresentano un capolavoro del genio creativo dell’uomo: i dipinti murali presenti su vasta scala a Tarquinia, sono eccezionali sia per qualità formali che per il contenuto delle raffigurazioni che rivelano aspetti della vita quotidiana, della morte e delle credenze religiose degli antichi Etruschi. Il contesto funerario di Cerveteri riflette gli stessi schemi urbanistici e architettonici della città antica. Le due Necropoli costituiscono una testimonianza unica ed eccezionale dell’antica civiltà etrusca, l’unico tipo di civiltà urbana dell’Italia pre-romana. Inoltre, la rappresentazione della vita quotidiana nelle tombe affrescate, molte delle quali riproducono nello schema architettonico la tipologia delle case etrusche, è una testimonianza unica di questa cultura scomparsa. Molte delle tombe di Tarquinia e di Cerveteri rappresentano tipologie di costruzione che non esistono più in nessuna altra forma. Le Necropoli, repliche degli schemi urbanistici della città etrusca, sono tra le più antiche nella Regione.”

La civiltà Etrusca, infatti, costituisce ancora oggi, per molti aspetti, un mistero. Di probabile origine indoeuropea, gli Etruschi si stabilirono nell’Italia centro settentrionale, tra le odierne Toscana e Lazio, a partire dal IX secolo a.C, dando vita a una civiltà avanzata, con un sistema legislativo e urbanistico moderno, una cultura ed espressione artistica arrivata fino a noi attraverso, soprattutto, alle testimonianze funerarie.

Arrivati al culmine della loro espressione storica, attorno al VI secolo a.C, gli Etruschi sono poi scomparsi, probabilmente assorbiti dalla potente civiltà romana. Gli studiosi, tuttavia, sono ancora alla ricerca delle origini di questa popolazione per molti versi ancora misteriosa. Ecco, allora, perché le necropoli di Tarquinia e Cerveteri rappresentano un prezioso unicum.

Cerveteri e la necropoli della Banditaccia

La bella cittadina di Cerveteri sorge a circa 40 km a nord di Roma, tra il Lago di Bracciano e il litorale tirrenico. Qui a circa 7 km dal mare, sorgeva l’antica città di Caere il cui primo nucleo risale all’Età del Ferro (IX-VIII a.C).

La necropoli della Banditaccia, invece, risale al IX secolo a.C e si estende su 20 ettari, dove sono stati rinvenuti circa 20 mila camere funerarie. Quello che la rende unica è la disposizione delle tombe, organizzate secondo un piano urbanistico simile a una città, con strade, quartieri, piazzette.

Ogni sepoltura, poi, ha caratteristiche diverse, a seconda sia del periodo storico che dello stato sociale della famiglia a cui apparteneva. Alcune hanno la forma di capanne o casette, altre sono estremamente dettagliate e decorate, altre ancora sono scavate nella roccia o sono “tombe di famiglia” a tumulo. Tra le più belle c’è la Tomba dei Vasi Greci, del VI secolo, a cui si accede attraverso un corridoio che ricorda un tempio etrusco.

La Tomba della Cornice, invece, è introdotta da un breve camminamento che conduce all’ingresso. È suddivisa in un’ampia stanza centrale, sulla quale si affacciano tre stanze funerarie principali, e due camere minori con altrettanti letti funebri.

La Tomba dei Capitelli, invece, deve il suo nome alle fattezze del tetto, che riproduce quello delle case con una struttura di travi di legno.

La sepoltura più celebre, tuttavia, è la Tomba dei Rilievi del IV secolo a.C a cui si accede da una lunga scala scavata nella roccia, che conduce a una grande sala con un soffitto sorretto da due colonne con capitelli eolici. Nella sepoltura si trovano ben tredici nicchie funerarie matrimoniali, realizzate in stucco dipinto con oggetti domestici, animali, fiori e cuscini rossi, a testimonianza del rango della famiglia, vissuta tra il IV e il III secolo a. C.

Il Museo Nazionale di Cerite e l’odissea delle ceramiche greche

Per un quadro completo sulla civiltà etrusca, e non solo, vale la pena visitare anche il Museo Nazionale Cerite, che si affaccia si Piazza Santa Maria, nel centro storico di Cerveteri. Il Museo è ospitato nelle sale del Castello Ruspoli e le sue collezioni sono disposte su due livelli.

È possibile quindi ammirare testimonianze delle necropoli della zona, tra cui il Sepolcreto di Sorbo, risalente all’Età Villanoviana, e dalla Necropoli della Banditaccia, in particolare dalla Tomba dei Sarcofagi e dalla Tomba di Tasmie. Qui si trovano anche numerose ceramiche in bucchero, vasi funerari, anfore, coperchi scolpiti di sarcofagi e oggetti di uso quotidiano.

Fiore all’occhiello del museo, tuttavia, sono il Cratere e la Krilyx di Eufronio, due ceramiche a figure rosse su sfondo nero risalenti al V secolo a.C, entrambe espressione della raffinata arte ceramica ateniese.

I due preziosi pezzi hanno una storia molto travagliata. Sono stati infatti trafugati durante scavi illegali nell’area di Cerveteri e portati all’estero. Per lungo tempo sono stati esposti, rispettivamente, al Metropolitan Museum di New York e al Getty Museum di Malibù. Finalmente restituiti all’Italia, sono stati prima esposti al Museo Etrusco di Villa Giulia e, dal 2015, al Museo di Cerveteri.

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La necropoli di Monterozzi a Tarquinia (VT)

Poco più di 50 km separano Cerveteri da Tarquinia, dove si trova la necropoli di Monterozzi, che con i suoi 130 ettari è la più estesa che si conosca a tutt’oggi. Qui sono stati rinvenuti 6000 sepolcri scavati nella roccia.

La sua peculiarità sono le circa 200 tombe dipinte, la più antica delle quali risale al VII secolo a.C, che letteralmente “disegna” uno spaccato delle credenze, della vita quotidiana e dei costumi degli Etruschi. Tra le più belle è famose c’è la Tomba delle Leonesse, del IV secolo, una piccola camera sepolcrale con un tetto a doppio spiovente e affrescata con raffigurazioni di uccelli e delfini, oltre che con scene di vita quotidiana della classe nobiliare.

La Tomba del Cacciatore, invece, è stata realizzata proprio come se si trattasse di una tenda da caccia, con addirittura la medesima struttura interna in legno.

Splendida anche la Tomba della Caccia e della Pesca, che si compone di due camere, nella prima delle quali sono raffigurate scene della danza dionisiaca all’interno di un bosco sacro, mentre nella seconda ci sono i ritratti dei defunti e scene di caccia e di pesca.

Il Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia

Come per Cerveteri, anche la necropoli di Tarquinia ha il suo completamento nel Museo Archeologico Nazionale Tarquiniense, ospitato nell’antico Palazzo Vitelleschi, il più importante della città, risalente al 1436, che si affaccia su Piazza Cavour.

Le collezioni si articolano su tre piani. A piano terra è possibile ammirare una serie di sarcofagi in pietra della metà del IV secolo a.C, tra cui spiccano i sarcofagi Laris e Velthur e i sarcofagi del Magistrato, del Sacerdote, del Magnate e dell’Obeso.

Al primo piano, invece, è possibile fare un interessante viaggio nella storia, dall’epoca villanoviana a quella romana. Si parte dall’ultima stanza, che conserva i reperti più antichi del periodo Villanoviano (IX-VIII secolo a.C) e si prosegue nelle stanze successive con i cimeli della civiltà Fenicia ed Egizia. Si passa poi alle ceramiche corinzie del VII-VI sec. a. C e ai buccheri etruschi, fino alle ceramiche attiche del VI secolo.

Splendida la collezione di ex voto proveniente dall’Ara della Regina, un tempio che sorgeva sul punto più alto dell’acropoli etrusca di Pian della Civita, cioè l’antica città di Tarchna, una delle più importanti di tutta l’Etruria. Al secondo e ultimo piano, invece, sono custodite alcune importanti tombe e affreschi, tra cui la Tomba del Triclino, la Tomba delle Biche, la Tomba della Nave e la Tomba delle Olimpiadi. 

Tuttavia, il pezzo più prezioso e unico al mondo è l’altorilievo dei Cavalli Alati, una lastra di 1,15 metri di altezza e 1,25 di lunghezza che era posto sul frontone dell’Ara della Regina. Datata tra il V e il VI secolo a.C, all’epoca del suo ritrovamento era frammentata in centinaia di pezzi ed è stata ricostruita grazie a una minuziosa opera di restauro, che ha consentito anche di riportare alla luce i colori originali dei cavalli, ocra e rosso.

Una tavola dal sapore antico

Alcuni dei prodotti tipici di questa zona del Lazio sono quelli di cui potevano godere anche gli Etruschi. Tra questo ci sono l’olio e il vino. Di qui passa infatti la Strada del Vino e dei Prodotti Tipici delle Terre Etrusco Romane, mentre la zona è costellata di vigneti e cantine che producono vino di qualità.

Le uve trebbiano, malvasia e chardonnay producono eccellenti bianchi, mentre il Montepulciano, il Sangiovese e il merlot regalano altrettanto ottimi rossi. Due le DOC, Cerveteri e Tarquinia, a cui si aggiunge la IGT Costa Etrusco Romana.

Dall’antico cardo etrusco sono derivati i carciofi IGT di Ladispoli, a cui si aggiungono il Broccoletto di Anguillara, il finocchio di Tarquinia e la Carota di Maccaresi, mentre tra la frutta primeggia il pesco. Dai monti Ceriti arrivano i prelibati tartufi, senza contare l’alta qualità del miele.

Dagli allevamenti di Fiumicino, Cerveteri e Bracciano e dai pascoli dei Monti della Tolfa arriva la carne del Vitellone di Maremma, mentre dagli allevamenti ovini si ricava il latte per il Caciofiore di Columella, che ancora si prepara come nel I secolo d. C.

Un altro prodotto tipico è il pane storico di Canale Monterano, presidio Slow Food, che viene cotto al forno con le bucce di mandorle e nocciole. Il lago di Bracciano e il lago di Martignano forniscono il pesce d’acqua dolce, mentre dal mare arriva il pesce per il celebre fritto di paranza e per la zuppa di pesce civitavecchiese.

Per un autentico pasto tradizionale, potete cominciate dagli antipasti, scegliendo mozzarella di bufala, ricotta romana e prosciutto laziale. Tra i primi, il più celebre e celebrato sono gli Spaghetti alla Carbonara. Ma sono da assaggiare anche le Pappardelle al sugo di Cinghiale o le Fettuccine ai porcini.

Tra i secondi, il piatto principe è la porchetta, oppure potete variare con la selvaggina, tra cui piatti a base di cinghiale e lepre. Dulcis in fundo, assaggiate le celebri ciambelle al vino, da sole o inzuppate in un buon vino bianco.

COME ARRIVARE

In auto: per arrivare a Cerveteri, da nord A1 in direzione Roma. Prendere la diramazione Roma Nord e imboccare l’entrata 10 del Grande Raccordo Anulare. Proseguire poi sulla Flaminia-Cassia e prendere l’uscita 1 in direzione di Civitavecchia. Proseguire fino a Cerveteri. Da sud, A1 in direzione Roma, imboccare l’entrata 19 del Grande Raccordo Anulare in direzione Aurelia-Cassia, poi prendere l’uscita 30 in direzione di Fiumicino e proseguire verso Civitavecchia. Uscire al casello Cerveteri-Ladispoli. Per Tarquinia, da Roma prendere l’A12 fino a Civitavecchia, poi proseguire sulla Statale Aurelia fino all’uscita Tarquinia. Per andare da Tarquinia a Cerveteri passare per la A12/E80 (circa 54 km).

DOVE MANGIARE

*Barrel Osteria del Borgo, Piazza Risorgimento 16, Cerveteri, tel 06/9953252, https://m.facebook.com/Barrelosterianelborgo . Nel centro storico, in un ambiente tranquillo, offre un menù di carne e di pesce con piatti locali. Ottima scelta di vini.

*Agriturismo Il Mandoleto, Strada Vecchia della Stazione 14, Tarquinia, tel 0766857959, www.ilmandoleto.it . Immerso nel verde, offre un menù con ingredienti stagionali e a km zero.

*La Mejo Trattoria sull’Aurelia, via Aurelia 132, Furbara (RM), tel 320/7660810, http://lamejotrattoriaurelia.altervista.org/ . Locale semplice, accogliente e famigliare con un menù a base di piatti tipici romani.

DOVE DORMIRE

*B&B Antica Locanda del Cavallino Bianco, piazza Risorgimento 7, Cerveteri, tel 06/9952264, www.anticalocandacavallinobianco.com A soli 200 metri dal Museo Nazionale di Cerite e a 3 km dalla necropoli della Banditaccia, offre cinque confortevoli camere.

*B&B Borgo Ceri, Piazza dell’Immacolata 19-21, Ceri di Cerveteri, tel 06/99207208, www.borgoceri.it Residenza d’epoca in uno splendido borgo medievale. Dispone di tre alloggi con ingresso indipendente e arredamenti d’epoca e un rigoglioso giardino mediterraneo.

*Hotel All’Olivo, via Togliatti 15, Tarquinia, tel 0766857318, www.allolivo.it, struttura comoda alle principali attrazioni turistiche. Dispone di sei appartamenti da 2 a 6 persone, con balcone, angolo cottura, bagno, zona notte e soggiorno. Anche in formula hotel.

INFO

www.cerveteri-tarquinia-sitiunesco.beniculturali.it

www.comune.cerveteri.rm.it

www.tarquiniaturismo.it/




UNESCO con Gusto. I violini di Cremona valgono un Patrimonio

Continua il nostro viaggio alla scoperta della nostra bella Italia. Il nostro paese, come vi abbiamo raccontato, vanta ben 55 siti Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Ma fanno parte del Patrimonio Immateriale dell’Umanità altre 12 eccellenze. Come il “Saper fare liutario cremonese”, entrato nella prestigiosa lista nel 2012.

La professione di liutai inizia a svilupparsi a Cremona nel XVI secolo, coinvolgendo nel lavoro di bottega intere famiglie, tra cui gli Stradivari, gli Amati e i Guarneri, che poi si tramandarono l’arte e i suoi segreti di padre in figlio. Ancora oggi, sono più di 150 le botteghe dei maestri liutai cremonesi che ogni giorno rinnovano la tradizione dei grandi maestri del passato.

Quest’ultima, richiede che la creazione dei violini sia esclusivamente manuale, nessuna parte deve essere di provenienza industriale e anche il legno utilizzato deve essere stagionato naturalmente. Ogni dettaglio, poi, anche se sembra solo decorativo, ha in realtà un significato profondo nella realizzazione dello strumento.

Il risultato di questa perizia è che ogni violino che esce dalle mani dei maestri liutai di Cremona è unico e straordinario. Inoltre, ogni artigiano riesce a costruire da tre a sei strumenti all’anno, assemblando a mano più di 70 pezzi intorno a uno stampo, secondo le diverse risposte acustiche di ogni singolo pezzo, ognuno dei quali è fatto di un legno specifico.

L’arte dei liutai è talmente ammirata e ambita che Cremona è diventata un punto di riferimento mondiale per chi desidera apprenderla. Qui, infatti, si trova la Scuola Internazionale di Liuteria, frequentata da studenti italiani e stranieri, che nel loro percorso di studi imparano l’arte della costruzione degli strumenti, ma anche la storia e la tecnica che, nei secoli, ha portato questa tradizione antica ai massimi livelli.

Il Museo del Violino e la casa di Stradivari

Si può cominciare la visita dal Museo del Violino (www.museodelviolino.org) per intraprendere un viaggio lungo cinque secoli attraverso un percorso multimediali di suoni ed emozioni. Una sezione, la Bottega di liuteria, è dedicata alle diverse fasi della creazione degli strumenti e vederli nascere dalle mani dei maestri artigiani.

Nella sezione Lo scrigno dei tesori, invece, si può ammirare una preziosa collezione dei dodici tra i più significativi strumenti della liuteria cremonese. Tra questi c’è un Carlo IX Andrea Amati del 1566, il più antico. Il più recente della collezione è invece un violino del 1941 realizzato da Simone Fernando Sacconi.

Il museo custodisce anche una collezione permanente di liuteria contemporanea, che include gli strumenti premiati con una medaglia d’oro al Concorso Triennale Internazionale degli Strumenti ad Arco “Antonio Stradivari”, istituito nel 1976, una sorta di “Olimpiadi” della liuteria.

Altra chicca del museo è l’Auditorium Arvedi, dove si tengono le prove e le audizioni degli strumenti antichi, suonati da musicisti famosi nell’ambito di un calendario annuale di appuntamenti musicali. Per la sua acustica perfetta, l’Auditorium è stato premiato nel 20016 dall’Associazione Design Industriale.

Infine, il museo è la sede dell’associazione internazionale Friends of Stradivari, di cui fanno parte coloro che possiedono, usano o custodiscono gli strumenti capolavoro dei grandi maestri. Un ‘esposizione permanente consente inoltre di ammirare alcuni di questi appartenenti a collezioni pubbliche e private di tutto il mondo.

Da non perdere poi una visita alla Casa di Antonio Stradivari, che si trova in Corso Garibaldi 7. Qui il celebre maestro liutaio visse con la moglie Francesca Ferraboschi e qui creò alcuni dei suoi violini più celebri. Tra questi ci sono il Clisbee del 1669, la viola Mahler del 1672, il violino Sunrise del 1677 e il violino Hellier del 1679, e alcune rare chitarre. La casa è riconoscibile da una targa commemorativa posta sul muro esterno.

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Le altre bellezze di Cremona

Per una visita alle altre eccellenze della città di Cremona, potete invece partire da Piazza Duomo, sulla quale si affaccia la splendida Cattedrale.

Vale la pena poi salire sul Torrazzo, che vanta il record di “campanile storico più alto d’Italia”. Misura infatti 112 metri di altezza e consente di ammirare la città dall’alto, con i suoi inconfondibili tetti rossi che spuntano nel verde della Pianura Padana attraversata dal fiume Po. Per salire fino alla cima bisogna “faticare” per ben 502 scalini.

Sul Torrazzo si trova poi l’orologio astronomico, che con i suoi 8,20 metri di diametro è tra i più grandi del mondo. Basti pensare che il Big Ben è un metro di meno.

Altra eccellenza cremonese è il Battistero romanico a pianta ottagonale. Ha due lati in marmo, lo stesso utilizzato per costruire il Duomo, mentre gli altri sono stati lasciati allo stato grezzo.

Sempre sulla piazza di affaccia anche il Palazzo Comunale medievale, ma rimaneggiato nei secoli successivi. È sede della municipalità cittadina da otto secoli, ma si possono visitare le sale del secondo piano, che custodiscono alcuni capolavori di artisti del Cinquecento e Seicento.

Accanto al Palazzo del Comune si trova la Loggia dei Militi, dove si tenevano le riunioni dei cittadini più ricchi di Cremona, membri della Società dei Militi. Da notare, sotto il portico, lo stemma della città, che riporta un doppio simulacro che ricorda l’eroe greco Ercole che, secondo la leggenda è stato il fondatore di Cremona.

Cremona da gustare

E dopo i tesori UNESCO…il gusto. Tra le eccellenze della cucina cremonese, troviamo prodotti tipici come il Salame di Cremona IGP, a pasta morbida e dallo sfizioso, ma delicato, aroma di aglio. Tra i formaggi, invece, troviamo il Grana Padano DOP, il Provolone Valpadana DOP e il Salva Cremasco DOP.

Tipica della zona è la mostarda, frutta mista candita e insaporita con la senape, da gustare accompagnata al Gran Bollito alla cremonese, oppure ai formaggi. Tra i secondi piatti spicca anche il Cotechino Vaniglia, dalla sfumatura dolce. Tra i primi, invece, da non perdere i marubini, una pasta ripiena con brasato, salame, formaggio Grana e noce moscata, da mangiare in brodo.

Dulcis in fundo…Cremona è la patria del torrone, al quale è dedicata una grande festa annuale. Il primo, infatti, sarebbe stato servito il 25 ottobre 1441 al banchetto di nozze, celebrate proprio a Cremona, tra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti. Il celebre dolce, poi, sarebbe stato modellato con la forma del Torrazzo.

E, a proposito di torrone, merita una visita la Bottega Sperlari, in via Solferino 25, il negozio più antico della città. Aperto nel 1836, produce da allora il celebre dolce. Oltre al torrone, tra le prelibatezze dolci locali spicca la Torta Bartolina, a base di uva fragola, e la Torta Turunina, che si prepara con la granella di torrone.

COME ARRIVARE

In auto: da Milano prendere la SS Paullese fino a Cremona. Dal Brennero autostrade A22, A4, A21 in direzione Bolzano-Verona-Brescia. Da Genova A7 o A21 Genova-Voghera-Piacenza. Da Venezia A4 o A21 in direzione Venezia-Brescia-Cremona. Da Roma A1 o A21 in direzione Roma-Firenze-Bologna-Fiorenzuola.

DOVE DORMIRE

*Dellearti Design Hotel****S, via Bonomelli 8, Cremona, tel. 0372 23131, www.dellearti.com A pochi minuti dal campanile Torrazzo, dalla cattedrale e dal Teatro Ponchielli, offre camere raffinate con arredo di design.

*Hotel Impero****, Piazza della Pace 18, Cremona, tel. 0372/413013, www.hotelimpero.cr.it Nel centro città, spicca per la facciata in pietra. Comodo alle principali attrazioni, tra cui il Museo del Violino, la cattedrale e il campanile il Torrazzo.

DOVE MANGIARE

*Locanda Torriani, via J. Torriani 7, Cremona, tel. 335/7071883, www.locandatorriani.it Propone piatti della cucina tradizionale cremonese, tra cui tortelli di zucca, mostarda e mousse di torrone, rivisitati secondo la migliore interpretazione contemporanea.

*Osteria La Sosta, via Sicardo Vescovo 9, Cremona, tel. 0372/456656, www.osterialasosta.it In pieno centro storico, offre  un menù di piatti della tradizione cremonese, tra cui una vasta scelta di salumi, paste fatte a mano, carrelli di bolliti con mostarda e dolci. Ambiente rustico elegante con soffitto di mattoni. Cantina con buona scelta di vini.

INFO

www.turismocremona.it




UNESCO con Gusto: Modena e i suoi tesori di pietra

Continua il nostro viaggio tra i siti UNESCO italiani, in attesa di poterli visitare una volta finita l’emergenza coronavirus. In questa seconda puntata della nostra nuova rubrica “UNESCO con Gusto” vi parliamo di Modena, la cui Cattedrale, la Torre Civica e Piazza Grande sono stati dichiarati “Patrimonio dell’Umanità” nel 1997.

“La creazione comune di Lanfranco e Wiligelmo è un capolavoro del genio creatore umano nel quale si impone una nuova dialettica dei rapporti tra architettura e scultura nell’arte romanica. Il complesso di Modena è una testimonianza eccezionale della tradizione culturale del XII secolo e uno degli esempi eminenti di complesso architettonico in cui i valori religiosi e civici si trovano coniugati in una città cristiana del Medioevo.”, si legge nelle motivazioni che hanno portato al riconoscimento di tutela.

Tuttavia, Modena è anche uno scrigno di tesori golosi, tradizioni culinarie conosciute in tutto il mondo. Ma cominciamo dal cuore della città, la sua cattedrale, anzi, il Duomo, come viene chiamato qui, e dalla Ghirlandina, la torre campanaria dalla forma inconfondibile.

Il Duomo, il “libro di pietra”

La prima pietra della cattedrale modenese è stata posata esattamente il 9 giugno 1099 per volontà della municipalità, nel luogo in cui sorgeva la tomba dell’amatissimo vescovo Geminiano, poi divenuto santo patrono della città, morto il 31 gennaio del 397 d.C. Sul santo è nota la leggenda che vuole che egli abbia fermato la devastazione degli Unni facendo calare sulla città una nebbia fittissima.

L’esercito barbaro, quindi, passò oltre senza saccheggiarla. Ogni anno, poi, proprio il 31 gennaio, la città festeggia il suo patrono con una grande fiera, a cui partecipano tutti i modenesi, tra bancarelle e manifestazioni sacre e profane.

Ma torniamo alla cattedrale. L’incarico venne dato all’architetto Lanfranco, mentre allo scultore Wiligelmo vennero commissionate i bassorilievi, considerati il suo capolavoro, al punto che il duomo di Modena viene ancora oggi conosciuto come “il libro di pietra”. L’obiettivo, infatti, in origine era quello di fare conoscere le Sacre Scritture e gli episodi legati alla vita del Santo attraverso le immagini, dal momento che la maggior parte degli abitanti allora era analfabeta.

Partiamo allora dalla facciata, dove, in una sequenza che sembra quella di un film, sono scolpite alcune scene dell’Antico Testamento, come la creazione di Adamo, la cacciata dal Paradiso Terrestre e altre storie della Genesi. Ma fate attenzione ai particolari, perché in questo capolavoro romanico ogni scultura, anche la più piccola, non ha solo un valore decorativo, ma un profondamente simbolico.

Continuando ad ammirare la facciata, spicca il meraviglioso rosone, in stile gotico, opera del Trecento dei Maestri Campionesi, sormontato dalla Croce di San Geminiano, sotto alla quale ci sono i simboli dei Quattro Evangelisti. Il portale maggiore è invece sostenuto da due leoni stilofori e che sono probabilmente stati recuperati da un sepolcro romano e sono, quindi, molto più antichi.

Le “porte” e le sculture laterali

Tutta la cattedrale modenese è un capolavoro di sculture e decorazioni. Se dalla facciata prendete la stradina sul lato destro, che vi porta in Piazza Grande, sul lato sud del Duomo vi imbatterete nella Porta dei Principi, il cui architrave è decorato con episodi della vita di San Geminiano, tra cui il più celebre è il viaggio del santo in Oriente per liberare dal demonio la figlia dell’imperatore Gioviano.

Proseguendo ancora, si trova la trionfale Porta Regia, in pregiato marmo rosso di Verona, sormontata da un’edicola che custodisce una statua del Santo, che tuttavia è una copia dell’originale, conservata ai Musei del Duomo, il cui ingresso si trova in via Lanfranco, di fronte alla cattedrale. Davanti alla porta si trovano altri due leoni stilofori.

Proprio in via Lanfranco, una pittoresca stradina ottocentesca, si trova il lato del duomo dove spicca la Porta della Pescheria, anch’essa “difesa” da due leoni stilofori. La sua peculiarità sono i bassorilievi e sculture dettagliate che raffigurano, tra gli altri, l’allegoria dei mesi dell’anno e i mestieri. Sull’architrave, invece, sono scolpite favole francesi con gli animali come protagonisti, mentre sull’arco, scene del Ciclo Arturiano dei Cavalieri della Tavola Rotonda.

Entrando nella cattedrale, invece, si notano subito le tre navate in cui è suddivisa. Tra i capolavori, ci sono il Presepe in terracotta di Antonio Begarelli del 1527 e l’Adorazione, o “Madonna della Pappa” di Guido Mazzoni, del 1480 con statue a grandezza naturale, situate nell’abside di destra.

Nella cripta, invece, si trovano le reliquie di San Geminiano. Le spoglie del vescovo santo vengono esposte ogni anno il 31 gennaio, in occasione della festa del patrono.

I “misteri” della Cattedrale di Modena

Tra le sue mura e le sue sculture, il duomo di Modena nasconde anche alcuni misteri. Partiamo dall’esterno, dove, sul lato che si affaccia su Piazza Grande, sopra la Porta Regia si trova “l’Osso di Drago”. Si tratta di un autentico osso, ma di balena, rinvenuto probabilmente durante gli scavi per la costruzione della cattedrale, poiché, nella preistoria, tutta la Pianura Padana era invasa dalle acque. Nel Medioevo, tuttavia, di fronte a un osso di queste dimensioni, si pensò che appartenesse a un animale mitico, e venne incluso nella cattedrale come simbolo di lotta tra il bene e il male.

Un altro dei “misteri” è rappresentato dai bassorilievi del Ciclo Arturiano, sulla Porta della Pescheria, di cui vi abbiamo parlato prima. Sì, perché, oltre a essere la rappresentazione più antica del mondo è anche un “re Artù prima di re Artù”, dal momento che la prima versione scritta delle avventure dei Cavalieri della Tavola Rotonda vide la luce, nel 1138, vent’anni dopo la fine della realizzazione delle sculture. Non si tratta, però, di premonizione: infatti, la spiegazione più logica è quella che le storie del mitico monarca siano state prima tramandate oralmente e portate a Modena dai molti pellegrini che, percorrendo la Francigena, arrivavano in città per recarsi a Roma. Altri studiosi sono invece propensi a pensare che le figure rappresentati non siano i Cavalieri della Tavola Rotonda, ma quelli di Carlo Magno.

Un altro particolare interessante è rappresentato dalla “colonna dei Templari”, una colonna ofitica, cioè annodata, che si trova nella Porta Regia. In Italia ne esistono solo 24 e la più antica è quella presente nel pulpito della pieve di San Pietro a Gropina, in Toscana, risalente al VIII secolo. Quella modenese, tuttavia, risale al 1209 e si rifà direttamente alla tradizione mediorientale del Tempio di Salomone a Gerusalemme. Modena, infatti, in passato era crocevia dei Cavalieri Templari, come dimostra anche la presenza della Maison des Templaire.

Spostandosi all’interno della cattedrale, di fianco al complesso scultoreo del Mazzoni si trova la lapide di Gungeberga, una stele funeraria di una nobildonna longobarda rinvenuta durante i lavori di restauro nel 1881. Il mistero riguarda la data riportata nell’iscrizione, il 12 giugno del 570 d. C, accompagnata dai nomi dei consoli in carica in quel periodo. Tuttavia, l’impero romano è ufficialmente caduto il 22 agosto del 476 d.C. Molte teorie si sono sbizzarrite sull’esistenza di salti temporali o mondi paralleli. Molto probabilmente, invece, la lapide, che è stata usata come sostegno del muro, riporta una spaccatura ed è stata assemblata alla bell’e meglio, causando però il qui pro quo che ha entusiasmato, nei secoli, gli studiosi.

Altra curiosità è lo “sgabello del Boia”, murato nella colonna di fronte al pulpito nella navata centrale e chiuso da un lucchetto. Nel Medioevo, infatti, i sermoni dei predicatori costituivano una specie di spettacolo. E mentre il popolo si accalcava e si spingeva, le famiglie più nobili e in vista avevano invece i posti riservati. Compreso il boia, che godeva di questo piccolo privilegio poiché…era un mestiere che non voleva fare nessuno!

I Musei del Duomo

Da via Lanfranco si accede ai Musei del Duomo (www.museidelduomodimodena.it) che comprendo il Museo del Duomo, istituito nel 2000 in occasione del Giubileo, che conserva il Tesoro della Cattedrale, tra cui preziosi crocifissi lignei, dipinti, codici miniati, statuaria religiosa e arazzi, e il Museo Lapidario, dove si possono ammirare oggetti e testimoniante della costruzione della cattedrale nel corso dei secoli.

Tra i più belli ci sono le metope originali del Duomo, che sulle facciate sono state invece sostituite da copie. Le figure, originalissime e curiose, si pensa siano tratte dal Liber Monstuorum, il “Libro dei mostri”, che includeva le figure simboliche, mitiche o leggendarie che si credeva popolassero i confini del mondo allora conosciuto. Tra questi la più famosa è la Potta, una figura ermafrodita, che tuttavia, farebbe riferimento a una donna di nome Antonia, vissuta attorno al 1227 e che ebbe la bellezza di 42 figli!

Tra le altre figure ci sono gli Antipodi, l’Ittiofago, una figura umana dalla testa di uccello intento a mangiare un pesce, lo Psillo, un giovane ritratto con un drago, la Sirena a due code, l’Uomo dai capelli lunghi, e la Fanciulla con tre braccia.

…continua nella 2° pagina…

La Ghirlandina, la torre campanaria

I modenesi la chiamano affettuosamente “La Piòpa” (la Pioppa) per la sua forma affusolata e svettante verso il cielo, che ricorda un pioppo ben dritto. È la torre campanaria, anch’essa Patrimonio UNESCO, nota anche come Ghirlandina per le due balaustre che decorano la parte ottagonale, che ricordano due ghirlande. Anche se una seconda teoria, diffusa dalla comunità di Ebrei spagnoli stabilitasi a Modena nel XVI secolo, vuole che la sua forma ricordi quella della Giralda di Siviglia.

Alta 86,12 metri, la Ghirlandina è stata costruita per i primi sei piani insieme alla cattedrale. Nel 1261, tuttavia, si decise di “alzarla” per competere, si dice, con le torri bolognesi. Fu chiamato Arrigo da Campione che aggiunse la guglia gotica che, oltre ad “alzare” la torre, ebbe anche la funzione di bilanciare la pericolosa pendenza che si faceva sempre più minacciosa verso la cattedrale. Ancora oggi, la Ghirlandina non è completamente diritta!

In occasione della Festa del Patrono e in altri periodi straordinari, si può salire sulla torre attraverso una ripida scala. La prima tappa è la Sala della Secchia Rapita, dove si trova una copia del “trofeo di guerra”, una vecchia secchia, che i modenesi strapparono agli eterni rivali, i bolognesi, durante la Battaglia di Zappolino del 1325, che fu cantata da Alessandro Tassoni nell’omonimo poema eroicomico. La secchia originale, invece, è stata trasportata nel Camerino dei Confirmati del vicino Palazzo Comunale, dopo una serie di tentativi di…rapimento!

Continuando a salire lungo una scala a chiocciola di circa 200 scalini si arriva prima alla Stanza dei Torresani, dove alloggiavano un tempo i guardiani della torre, poi alla Sala delle Campane, con il “campanone” di due tonnellate. Si sale ancora attraverso un’altra scala a chiocciola costruita nel Seicento e si arriva infine alle balaustre della cuspide e fino alla vetta per ammirare un panorama superbo della città.

Piazza Grande e il Palazzo Comunale, gli altri due “patrimoni”

Cuore della vita dei modenesi nei secoli, e ancora oggi, Piazza Grande è inclusa nel sito UNESCO. Su di essa si affaccia il Palazzo Comunale, con il suo portico seicentesco e la Torre dell’Orologio.

Proprio sotto al Palazzo si trova una grossa pietra grezza di calcare di Verona dalle sfumature rossastre. È la famosa Préda Ringadora (Pietra Arringatora), che nei secoli ha svolto diverse funzioni. Tra queste quella di “pietra del vituperio”, nel Medioevo, per chi non pagava i debiti o aveva compiuto reati minori. Il reo era costretto a essere esposto al pubblico ludibrio, deriso e umiliato finché non faceva ammenda. Successivamente, funse da pulpito per predicatori e arringatori delle folle (da cui il nome) e su di essa vennero persino esposti i corpi di chi moriva di morte violenta affinché fosse riconosciuto dai parenti.

Se osservate invece il lato del Palazzo all’angolo con via Castellaro, noterete una statua di donna, nota come La Bonissima. Anch’essa tra i simboli della città, risale circa al 1268, anche se ci sono diverse teorie su chi possa rappresentare la statua. Alcuni studiosi sostengono che si tratti della nobildonna Bona, che durante una carestia sfamò i modenesi più poveri, altri che si tratti di Matilde di Canossa, altri ancora che si tratti dell’allegoria della “Bona Stima”, cioè dell’ufficio preposto al controllo delle misure commerciali.

I sapori di Modena

Sono tra i più conosciuti e rinomati al mondo. Nel territorio della provincia, dalla “bassa” all’Appennino, si producono prodotti unici come il Parmigiano Reggiano, l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, il Lambrusco, il vino rosso frizzante nelle varietà Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Grasparossa di Castelvetro e Salamino di Santacroce.

Celebre anche per la carne lavorata di suino, (nel Comune di Castelnuovo Rangone è stato dedicato persino un monumento al maiale), il territorio modenese produce il Prosciutto di Modena, ma anche i ciccioli, anche nella golosa versione “frolla”, cioè fritta, salami, coppa, mortadella, ma anche lo zampone e il cotechino, carne macinata di maiale insaccata nella cotica della zampa anteriore il primo, e di lavorazione simile ma di diverso aspetto e spessore della cotenna il secondo.

Tra i primi piatti troviamo i celebri tortellini, una pasta ripiena dalla forma simile a un ombelico, grazie a una leggenda nata al confine del territorio di Bologna, a Castelfranco Emilia. E poi, ancora, i passatelli, a base di Parmigiano Reggiani, pangrattato, noce moscata e uova, da mangiare, come i tortellini in brodo di cappone. Senza dimenticare le lasagne, le tagliatelle al ragù, i tortelloni con ripieno di ricotta e spinaci.

Piatto unico e gustoso, lo gnocco fritto, triangoloni di pasta che viene appunto fritta nello strutto, si accompagna ai salumi modenesi. Dalla tradizione montanara arrivano invece le crescentine o tigelle, dalla forma tonda e cotte su pietra, da consumare con salumi, formaggi molli, mostarde e con il pesto modenese, a base di lardo o pancetta battuti, aglio e rosmarino e una spolverata di Parmigiano Reggiano.

Dalla montagna arriva anche il borlengo, una sfoglia sottile ottenuta da una “colla” di acqua, farina e sale fatta cuocere su un’apposita piastra, da gustare con la cunza, un pesto di lardo simile a quello per le tigelle.

Ottimi anche i dolci, tra cui il bensone, un pane dolce cotto al forno e decorato con grani di zucchero, anche nella versione farcito con marmellata, ottimo pucciato nel Lambrusco. Da provare anche la zuppa inglese e gli amaretti. La versione modenese è morbida, a base di zucchero e pasta di mandorle.

Dalla vicina Vignola arriva invece la Torta Barozzi, inventata nel XIX secolo dal pasticcere Eugenio Gollini e dedicata all’architetto Jacopo Barozzi, suo concittadino. La ricetta, ancora segreta, è stata brevettata e prodotta a tutt’oggi dagli eredi del suo inventore.

I luoghi del gusto nel centro storico

Tutto il territorio modenese pullula di ristoranti, locali storici, enoteche dove poter gustare i prodotti tipici e i piatti della tradizione. Ne segnaliamo alcuni nel centro storico, nelle vicinanze, quindi, del sito UNESCO.

Un nome su tutti, l’Osteria La Francescana dello chef pluristellato Massimo Bottura, in via Stella, che nel suo medagliere vanta tre stelle Michelin e un primo posto al “World’s 50 best restaurants”. Un avvertimento, però, le prenotazioni si fanno con diversi mesi di anticipo, ma vale la pena visitarlo anche solo da fuori.

Spostandosi nel quartiere della Pomposa, si trova un altro ristorante stellato, l’Erba del Re dello chef Luca Marchini, che si occupa anche del menù dell’Osteria La Pomposa “Al re gras”. Un altro imperdibile “luogo del gusto” è il Mercato Coperto Albinelli, a pochi passi da Piazza Grande. In stile liberty, risale agli anni Venti ed è costruito sul modello dei mercati francesi.

Tra i più belli e meglio conservati in Italia, offre sia la possibilità di gustare pietanze gustose sul posto sia di acquistare dai banchi colorati e dalle piccole botteghe in muratura pane, fiori, latticini, pesce, salumi, frutta e verdura fresca.

Di fronte al mercato si trova la Trattoria Aldina, che offre piatti tipici della cucina modenese nell’ambiente e nel calore di una vera e propria casa, tra tortellini, carrelli di bolliti, tagliatelle e lasagne, ma anche arrosti, polpettoni, bensone e zuppa inglese.

Il via Ganaceto fermatevi invece all’ Osteria “Da Ermes”, un altro locale che è un’“istituzione” per tutti i modenesi. In un ambiente rustico e familiare, tra tavoli in legno e travi a vista, si possono mangiare piatti della tradizione, ma il plus è la simpatia del titolare!

In via dei Servi, a pochi passi dal Duomo, in una cantina seicentesca si trova invece la Taverna dei Servi, dove gustare zuppe, salumi, lasagne, tortelloni e tortellini. Alla fine di via Farini, la via che porta al maestoso Palazzo Ducale, si trova invece la Salumeria Giusti, annoverato tra i “Locali storici”. Risale infatti al 1605 ed è tra i più antichi d’Europa.

Se non sapete resistere ai dolci, invece, il Largo San Giorgio si trova la Pasticceria Remondini, attiva dal 1936, con il suo laboratorio artigianale che sforna amaretti, cannoli alla crema, bensoni, torte alle tagliatelle, tortelli dolci e molto altro.

COME ARRIVARE

In auto: si può prendere l’A22 del Brennero o l’A1 Milano-Napoli con uscita Modena Nord o Modena Sud. Chi arriva da altre città dell’Emilia Romagna può prendere anche la SS9 Via Emilia.

DOVE MANGIARE

*L’Erba del Re, via Castelmaraldo 45, Modena, tel 059/218188, www.lerbadelre.it Una Stella Michelin per questo ristorante elegante e raffinato, che propone piatti della cucina tradizionale modenese rivisitate dall’estro e dalla fantasia dello chef Luca Marchini.

*Osteria “Da Ermes”, via Ganaceto 89, Modena, tel 059/23806. Atmosfera familiare e piatti modenesi fatti in casa, accompagnati da buon lambrusco.

*Trattoria Aldina, via Albinelli 40, Modena, tel 059/236106. Al primo piano di un palazzo, di fronte allo storico mercato, offre piatti della cucina tradizionale modenese preparati “come a casa”. Ottimo rapporto qualità prezzo.

*La Taverna dei Servi, via dei Servi 37, Modena tel 059/217134, www.tavernadeiservi.it Locale ricavato in una cantina del Seicento a due passi dal Duomo, con mattoni a vista e volte a botte. Offre piatti della cucina tradizionale modenese.

DOVE DORMIRE

*Hotel PHI Canalgrande****, Corso Canalgrande 6, Modena, tel 059/217160, www.hotelcanalgrandemodena.it In centro storico e in un palazzo d’epoca, offre camere con wi fi gratuito, colazione a buffet e terrazza con piante per un soggiorno rilassante..

*Hotel Cervetta 5***, via Cervetta 5, Modena, tel 059/238447, www.hotelcervetta5.com A 200 metri dal Duomo e a 500 dal Palazzo Ducale, facilmente raggiungibile a piedi dalla stazione ferroviaria, offre camere arredate in modo semplice e funzionale.

*Hotel Europa***, Corso Vittorio Emanuele 52, Modena, tel 059/217721, situato nella via alle spalle del Palazzo Ducale, comodo al centro storico offre camere confortevoli con TV satellitare, Wi fi gratuito, minibar, servizio in camere 24 h. A disposizione ristorante, lounge bar e business center.

INFO

www.unesco.modena.it

www.visitmodena.it