Il grande Chef a tre stelle Michelin si ricorda ancora i Passatelli della mamma

Di Silvia Terraneo

In Italia abbiamo un patrimonio gastronomico enorme e anche i grandi chef non se lo dimenticano. Lo chef Italo Bassi, tre stelle Michelin conquistate durante i 27 anni di permanenza all’Enoteca Pinchiorri di Firenze e oggi alla guida del “Confusion Boutique Restaurant” di Porto Cervo, in prima persona ha aperto alla grande la seconda edizione del tour Strade Stellate, sotto l’insegna dell’Alfa Romeo, in Veneto.

Siamo al Byblos Art Hotel Villa Amistà di San Pietro in Cariano. L’esclusivo luxury hotel è ospitato in una delle più belle ville del veronese, nella quale i colori accesi e le forme plastiche degli arredi, del noto designer Alessandro Mendini, si fondono con gli affreschi e i marmi dei saloni settecenteschi dando vita ad un’unica ed esclusiva esposizione permanente di arte contemporanea e design.

Ma con Italo Bassi parliamo di un altro tipo di arte.

Noi siamo alla ricerca delle RICETTE DI VIAGGIO, quelle da ritrovare appunto nei nostri weekend in auto. Qual è la tua ricetta preferita di questo territorio?

Una delle mie ricette legate a questo territorio veronese può essere il classico risotto all’Amarone con radicchio rosso stufato; mettiamoci una fonduta di formaggio Monteveronese e manteghiamo il tutto con olio d’oliva extra vergine del Garda. Però dobbiamo mettere qualcosa di particolare, così ho pensato a della polvere di liquirizia per far volare la gente un po’ più lontano.

Ma le tue origini non sono venete?

No, sono romagnolo e fiero di esserlo. Il mio piatto preferito sono i passatelli in brodo della mamma, cucinati con amore e passione.

La tua passione ora ti ha portato lontano,  in Sardegna?

Sì, con il mio ristorante Confusion Restaurant,  nato dall’amore del territorio della Costa Smeralda dove propongo  una visione di Grande Cucina, basata sulla tradizione italiana e arricchita da profumi esotici e ingredienti pregiati, con particolare attenzione ai prodotti tipici sardi e un forte accento sulle cruditè di mare.

 

Sardegna.

Dal gusto nel piatto al piacere di guida: qual è il tuo rapporto con l’auto?

L’auto è un mezzo che mi caratterizza molto perchè mi sposto molto quindi deve essere comoda, confortevole, bella  e potente.

Come la Stelvio?

Un amore maniacale,  fantastico, è stata una bella sorpresa. Guidando la Stelvio si sente un motore sportivo in una condizione di comodità e di  elegante lusso.

Un piatto prima di mettersi alla guida?

Penso sempre ad una ricetta nata dall’emozione, da un momento, da una esperienza alla guida. Di solito penso alla strada e all’obiettivo da raggiungere.

Dopo le tre stelle Michelin dove punti ad arrivare?

Ad essere felice.

 

Ricetta dei Passatelli in brodo

Ingredienti per 4 persone:

– 130 g pane grattugiato;

– 3 uova;

– 1 noce di burro;

– noce moscata q.b.;

– pepe q.b.;

– sale q.b.;

– 1L brodo di carne;

– 1/2 scorza di limone;

– 130 g parmigiano.

Fate il composto dei passatelli. Miscelate il pane grattugiato con il parmigiano reggiano in una ciotola e poi aggiungete il burro ammorbidito a crema e la scorza di limone. Mescolate in modo omogeneo.

Sbattete le uova in una ciotola con sale, pepe e noce moscata grattugiata. Versatele poi a filo nella miscela di pane, mescolando. Lavorate quindi l’impasto con le mani sulla spianatoia: questa dovrà risultare un composto piuttosto sodo. Avvolgetelo nella pellicola e mettetelo in frigo per mezz’ora.

Preparate ora i passatelli. Dividete il composto di pane e formaggio in 3-4 pezzi. Metteteli, 1 alla volta, nello schiacciapatate e premete con decisione, finchè usciranno tanti cilindretti. Tagliateli con il coltello alla lunghezza di 4-5 cm e distribuiteli su carta da forno infarinata.

Portate ad ebollizione il brodo in una casseruola. Appena il brodo bolle aggiungi i passatelli, mescolate delicatamente e cuocete per circa 2 minuti.

…buon appetito!




“Da Vittorio” con Volvo XC-40: eccellenza Italiana ed eccellenza Svedese

Volvo XC-40 – Volvo è ormai sinonimo non solo di qualità e sicurezza, ma anche lusso e ricercatezza. In un’uggiosa mattinata Milanese di fine Gennaio raggiungiamo lo Showroom Volvo, per guidare la nuova XC 40. Solo la location traspira lo spirito moderno e ricercato della storica casa svedese. Alle nostre spalle piazza Gae Aulenti, alla nostra sinistra il Bosco Verticale di Boeri. Insomma lo spirito della nuova Milano incontra Volvo, che non sfigura affatto.

All’entrata proprio due esemplari di XC-40, che cominciamo ad osservare dall’esterno. Il segmento è quello super affollato dei SUV compatti. E’ infatti lunga circa 4 metri e 50, con un’altezza da terra notevole. Ma l’aria è tutta quella di una macchina quasi esclusivamente da usare in città; le protezioni infatti non sono eccessive, se non per una cornice di plastica nera che percorre tutta la parte bassa, a partire dai parafanghi. Le forme sono ben scolpite, molto regolari, nonostante alcune nervature molto pronunciate sul cofano e sulla parte bassa delle fiancate.

Quest’ultime sono molto ben integrate e sopratutto sporadiche, il che rende il tutto molto elegante e proporzionato. Insomma un design “di classe” per un’auto “di classe”. Caratteristica l’inclinazione del montante posteriore, che però seppur particolare e di carattere per la vettura, non ci convince rispetto alla visibilità posteriore. In ogni caso segue il filone delle sorelle più grandi (XC-60 e XC-90) che già ci hanno convinto a livello estetico.

I fari riprendono, come tutto il nuovo filone Volvo, il martello di Thor, il Mjolnir, con una firma luminosa peculiare e ben disegnata. Il muso è infatti molto ben riuscito, aggressivo ed elegante. Il retro non ci ha convito come il davanti, forse per le forme non così sinuose e calibrate. In ogni caso non si può dire che non sia una bella macchina sopratutto che non si faccia notare tra le concorrenti.

Saliamo e partiamo alle volte di Busaporto, vicino Bergamo, e più precisamente al ristorante pluri-stellato “Da Vittorio”Per impostare la destinazione utilizziamo il grandissimo schermo touch centrale da 9″, nel quale troviamo tutto… e anche di più. Dall’interno oltre alla navigazione possiamo praticamente controllare tutta la vettura, dal clima al sistema multimediale. Lo schermo è molto reattivo e il sistema fulmineo nelle risposte. Il tasto Home centrale è poi un dettaglio che non lo rende diverso da qualsiasi tablet o smartphone in circolazione. Sono chiaramente in listino Android Auto e Apple CarPlay, che collegano direttamente i cellulari all’auto.

A noi giornalisti non passano naturalmente inosservate le finiture eccellenti, ma soprattutto i materiali originali e studiati nel minimo particolare. Uno dei punti forti di questa XC-40 è proprio la personalizzazione e gli abbinamenti molto particolari dei quali il cliente dispone al momento della configurazione. La nostra versione è la D4 R-design, con il 2.0 Diesel da 190 Cv. Partiamo.

In città la XC-40 si comporta molto bene. Il motore è brillante e reattivo, il cambio automatico a 8 rapporti è morbido e sempre pronto ad una scalata se necessario. Questo nonostante tenda a scegliere i bassi regimi (non è sicuramente un cambio votato allo sport) in favore del confort e della silenziosità. L’assetto è comodo, ma non morbido. Le buche e le sconnessioni, con i bellissimi cerchi da 20′ equipaggiati sulla nostra “R-Design” si fanno comunque sentire, anche se non eccessivamente. La silenziosità è invidiabile: l’esterno è isolato, caratteristica che solo i marchi più blasonati possono vantare.

Appena entrati in autostrada la sensazione non cambia: con questo motore (nonotante la XC-40 non sia un peso piuma) le velocità autostradali si raggiungono senza il minimo sforzo e i fruscii aerodinamici sono limitatissimi. Inoltre proviamo il sistema di mantenimento della corsia, che funziona, ma è ancora molto lontano rispetto la guida autonoma. Altra nota non particolarmente positiva è il navigatore, che ad un cambio di percorso, non è dinamico e fluido come ci aspettavamo.

Una foto anche vicino la redazione

In ogni caso soddisfatti, ed affamati, raggiungiamo finalmente il ristorante. Il servizio è naturalmente impeccabile, lo staff è il più disponibile che abbiamo mai visto. I piatti sono tutti impeccabili, con intermezzi fatti di stuzzichini di panetteria, a nostro parere squisiti. Unica nota negativa, ma di gusto molto personale, è l’architettura del ristorante stesso, che nonostante sia impeccabile da un punto di vista qualitativo, è un po troppo “classica”. Ma forse questo deriva dalle tre stelline sul lato della porta, che portano a pensare ad un posto quasi “mistico” e fuori dai canoni, per gli amanti della cucina.




Addio a Gualtiero Marchesi. La nostra ultima intervista e la sua ricetta più famosa

Il mondo dice addio a Gualtiero Marchesi, l’uomo, l’artista, lo chef che per primo e più di ogni altro ha portato la cucina italiana alle vette più alte. Si è spento ieri, giorno di Santo Stefano, alle 18 nella sua casa di Milano, dove era nato il 19 marzo 1930. Proprio nel giorno del suo compleanno, nel 2018, sarà presentato il film sulla sua vita “Gualtiero Marchesi – The Great Italian”.

Noi lo vogliamo ricordare così, riproponendovi l’intervista in cui Gualtiero Marchesi ci parlava di felicità, di viaggi, di buona cucina e della valorizzazione dei piatti regionali, punto di forza della tradizione italiana nel mondo.

Gualtiero Marchesi ci svela i suoi viaggi e la felicità a tavola

Maestro, ci sono luoghi in Italia e all’estero che le trasmettono una carica di energia, anche a tavola?
“Sì. L’Italia è un Paese meraviglioso. Sto per iniziare un viaggio in Lombardia, seguendo le tracce culturali di alcuni cibi. Dai vai tipi di riso – ingrediente centrale nella mia cucina – alle diverse zone di produzione: Parco del Ticino, Lomellina, Lodigiano, Basso Pavese, Basso Mantovano, al grano saraceno in Valtellina, passando dal formaggio Bitto e dai pesci di lago. Quelli di Como sono diversi dal quelli del Garda o del lago d’Iseo. Per non parlare dei salumi, e dei vini della Val Tidone, a due passi da Milano. All’estero mi lascio guidare dalla curiosità. Il Giappone è un Paese da visitare, una cultura così diversa che lascia spazio all’immaginazione pura; la Francia, ovviamente, e la Svizzera. La Cina mi ha entusiasmato. Mi piacerebbe, ora, andare in Marocco, patria di una cucina regale, di altissimo rango”.

Un uomo come lei ha certamente una grande sensibilità artistica: quali sono i borghi d’arte, o le città, anche all’estero, in cui ha passato i migliori weekend?  “Li ho trovati soprattutto in Umbria e in Toscana: Assisi, Volterra, tanto per citarne due. All’estero, Shanghai, che ho visitato per l’Expo, New York. In Europa: Strasburgo, Roanne, dove ho imparato a cucinare, Salisburgo, peri concerti, e Cannes”.

Ha preso delle idee dai suoi viaggi all’estero? “Sempre e non solo all’estero. Io prendo idee ovunque. Sono curioso, può colpirmi una frase, un paesaggio, un quadro, un oggetto, lo scorcio di una piazza, una foto scattata cento anni fa”.

Lei ha dato la linea all’attuale alta cucina italiana. Secondo lei oggi si eccede in qualcosa?   “I virtuosismi, l’entrata in scena che chiama l’applauso, l’agonismo fine a se stesso”.

Quasi tutti i grandi chef di oggi sono stati suoi allievi: la cosa più importante che ha insegnato loro? “Le tecniche per poter essere se stessi ed esprimersi. Agli allievi dell’Alma insegniamo a diventare cuochi, grandi semmai lo diventeranno dopo, con l’esperienza. Personalmente, cerco di insegnargli l’umiltà e la curiosità, la curiosità per tutto. Due stati d’animo che mi contraddistinguono. Ma la cosa più importante è farsi una cultura a prescindere dal mestiere. Le faccio un esempio a proposito della curiosità. Recentemente a Milano ho riscoperto uno scorcio: dando le spalle alla Scala e guardando in direzione di Palazzo Marino e della Galleria, mi sono accorto che proprio in mezzo spunta la Madonnina. Di notte fantastica”.

Si è pentito di qualcosa durante la sua carriera?  “Di tutto, ma soprattutto di non aver fatto abbastanza. Avrei bisogno di una seconda vita per tirare fuori tutto quello che ho ancora dentro”. Quali sono i ritrovi della Milano da batticuore da scoprire? “Il vicolo dei Lavandai, piazza dei Mercanti, il tetto del Duomo, gli spazi del Castello, ma soprattutto ciò che resta di Milano città d’acqua. Mi ricordo sui Navigli i venditori ambulanti di gamberi d’acqua dolce”.

Un ristorante preferito del Nord Italia? “Oggi, il mio ristorante preferito è Ai Due Platani a Coloreto di Parma. In cucina c’è una mano dolce, l’organizzazione è perfetta e l’accoglienza più che gentile”.

Come scegliere il ristorante in una città sconosciuta e qual è il piatto etnico più originale che ha assaggiato all’estero? “Un piatto che mi viene subito in mente lo assaggiai nel 1969, nel ristorante dei Troigros, in Francia: scaloppa di salmone (appena pescato) all’acetosella. E poi ricordo una saletta in Giappone, dove fui gentilmente introdotto, in cui sul tavolo troneggiava una grande lisca di tonno e i commensali, armati di conchiglie, la ripulivano vertebra per vertebra. In Giappone ho trovato nella pura e semplice esaltazione della materia una corrispondenza con la mia cucina”.

Una vita dedicata alla buona cucina

Gualtiero Marchesi era nato a Milano il 19 marzo 1930 nell’albergo “Mercato” di proprietà dei genitori. Dopo importanti esperienze all’estero, ha inaugurato nel 1977 il suo ristorante a Milano, in via Bonvesin de la Riva. È stato il primo cuoco in Italia a ricevere le tre stelle Michelin (1985) e il primo al mondo a rifiutare il giudizio delle guide (2008). Ha fatto parte delle principali associazioni mondiali che promuovono l’alta cucina: Les Grandes Tables du Monde, Les Grands Chefs Relais & Chateaux, Le Soste.

Nel settembre 1993 ha trasferito il “Ristorante Gualtiero Marchesi” a Erbusco e per oltre vent’anni si è dedicato alla diffusione della cucina italiana nel mondo anche avviando ristoranti in Giappone, Inghilterra, Russia e Francia. Nel gennaio 2004 ha aperto ALMA, Scuola Internazionale di Cucina Italiana, di cui aveva lasciato il rettorato nell’ottobre scorso. Nel maggio 2008 ha aperto nel Teatro alla Scala il Ristorante “Il Marchesino”. Il 18 giugno 2014 ha inaugurato l’Accademia Gualtiero Marchesi in via Bonvesin de la Riva numero 5.

Per iniziativa della Fondazione Gualtiero Marchesi, questa estate il Maestro era riuscito a realizzare il sogno di una Casa di riposo per cuochi, che sorgerà a Varese. L’idea era quella di un luogo dove “i cuochi anziani – aveva spiegato – potrebbero portare il loro bagaglio di esperienze al servizio di giovani studenti. L’importante è che abbiano veramente fatto sempre i cuochi. Non i ristoratori. E nemmeno i dilettanti, indipendentemente dal livello dei locali in cui lavoravano: cuochi veri, che hanno dato la vita a questo mestiere”. Come lui.

RISOTTO ORO E ZAFFERANO DI GUALTIERO MARCHESI

Vogliamo ricordare il grande chef con la sua ricetta più celebre.

 Ingredienti

  • 300 gr di riso Carnaroli
  • 80 gr di burro
  • 20 gr di Parmigiano reggiano grattugiato
  • 5 gr di stigmi di zafferano
  • 50 gr di cipolla tritata
  • 2 dl di vino bianco secco
  • 1 l di brodo leggero
  • Sale e pepe bianco

Rosolate la cipolla tritata con 20 gr di burro. Tostate il riso. Aggiungete 1 dl di vino bianco secco e lasciate evaporare. Poi aggiungete lo zafferano, bagnate con il brodo bollente e portate a cottura mescolando di tanto in tanto. A parte, in una casseruola, ammorbidite la cipolla in 10 gr di burro. Aggiungete il restante vino e lasciate ridurre il liquido per metà. Aggiungete il burro rimasto a fiocchetti ed emulsionate con la frusta. Filtrate la salsa con un colino. A cottura ultimata, regolate di sale e mantecate il riso con la salsa e il Parmigiano. Stendete il risotto a velo su piatti piani e disponete un foglio d’oro alimentare al centro di ogni piatto.




Longiano e Santarcangelo di Romagna, nei borghi dei Malatesta

Adagiato su un colle nella Valle del Rubicone, tra Cesena e Rimini, sorge Longiano (FC), Bandiera Arancione del Touring Club Italiano. Di origine longobarda, è stato governato dalla famiglia dei Malatesta dal 1290 al 1463, per poi passare sotto il dominio dei Borgia. Protagonista del processo che avrebbe portato all’Unità d’Italia, dopo aver aiutato Giuseppe Garibaldi ad attraversare il mare nei pressi di Cesenatico, durante la Seconda Guerra Mondiale diventa un baluardo della Linea Gotica. Preso di mira dai bombardamenti, reagisce creando un Rifugio Bellico sotterraneo, a tutt’oggi visitabile con ingresso da via Porta Balestra, in grado di dare riparo a più di 2000 persone.

Il percorso di visita parte proprio dal cuore medievale del borgo, il Castello Malatestiano (mar-dom 10-12 e 15-19; intero € 7, ridotto € 5) del VII secolo, residenza della famiglia regnante. Attualmente, è la sede della Fondazione Tito Balestra (www.fondazionetitobalestra.org) che cura una collezione di arte moderna di cinquemila opere, tra cui alcuni disegni di Matisse, Goya e Chagall.

Ai piedi della rocca si trova anche il bell’Oratorio di San Giuseppe, in stile tardo barocco, che ospita il Museo di Arte Sacra. Quella che un tempo era la Chiesa della Madonna delle Lacrime ospita invece il curioso Museo della Ghisa (www.museoitalianoghisa.org) che conserva lampioni artistici ottocenteschi ed elementi di arredo urbano da esterno provenienti da tutto il mondo. Nelle sale dell’ex Convento dei Gerolomini si trova invece il bel Museo delle Maschere, che racconta attraverso una collezione di sculture di bronzo la tradizione italiana della Commedia dell’Arte.

Tra gli edifici religiosi, meritano una visita il Santuario del SS Crocifisso, che si trova nel cuore del centro storico. Incamminandosi lungo via Borgo Fausto si incontra invece la settecentesca Collegiata di San Cristoforo. Dall’8 dicembre al 22 gennaio, poi, il borgo si tiene la manifestazione natalizia Longiano dei presepi, con un percorso che tocca un centinaio di rappresentazioni della Natività.

SECONDO GIORNO: Santarcangelo di Romagna

Percorrendo prima la SP 63 e poi la SS9, in circa 20 minuti arriviamo a Santarcangelo di Romagna, i provincia di Rimini, un gioiello fatto di vicoli, piazzette, palazzi nobiliari, profumi e sapori. Il borgo si fregia del titolo di Città d’Arte per le manifestazioni di respiro internazionale e la valorizzazione delle tradizioni regionali.

La passeggiata nel centro storico parte da Piazza Garganelli, dove domina l’Arco di Cosimo Morelli, eretto nel 1777 in onora di Papa Clemente XIV, che era nato proprio a Santarcangelo. Splendida la Collegiata della Beata Vergine del Rosario, anch’essa settecentesca, che custodisce al suo interno un bel crocifissi ligneo trecentesco della Scuola Riminese. Pochi passi e arriviamo in Piazzetta delle Monache, dove sorge la Torre del Campanone del 1893, alta 25 metri, eretta sui resti di una vecchia torre che sovrastava la Porta del Campanone Vecchio, accesso al borgo dalla cinta muraria.

Da non perdere una visita all’imponente Rocca Malatestiana, oggi residenza privata ma visitabile parzialmente. Fatta erigere da Carlo Malatesta nel 1386, si dice che fu teatro dell’assassinio di Paolo e Francesca, i due amanti citati da Dante della Divina Commedia.

Tra gli edifici religiosi, il più antico è la Pieve di San Michele Arcangelo, risalente al V secolo, che spicca per la facciata e il campanile del Duecento. All’ingresso del Campo della Fiera si trova invece la Fontana di Tonino Guerra, progettata dal poeta, scrittore e sceneggiatore, nativo di Santarcangelo. L’opera si compone della fontana detta “del prato sommerso” e di quella “dei fiori di pietra”, unite al centro da quattro sculture in vetro opera di Fausto Baldessarini.

Tra i gioielli del borgo, c’è invece la Stamperia Marchi (www.stamperiamarchi.it) , una delle botteghe artigiane più antiche di tutta l’Emilia Romagna. Conserva un mangano del 1633 ancora funzionante e adibito alla stiratura di tessuti. Presso la Stamperia si possono acquistare grembiuli, tovaglie e altri manufatti da portare a casa come ricordo o da regalare.

Tra i musei che meritano una visita c’è il Museo Etnografico degli Usi e Costumi della Gente di Romagna (www.museisantarcangelo.it/musei/museo-etnografico) che documenta la storia e le tradizioni della Romagna rurale. All’interno di Palazzo Cenci si trova invece il Museo Storico Archeologico, mentre il curioso Museo del Bottone (www.bottoni-museo.it) vanta una collezione di 10.500 pezzi.

Chi ha tempo, prendendo la SP 14, può raggiungere Montebello, famosa per la Rocca dei Guidi di Bagno (www.castellodimontebello.com), nota il tutto il mondo per la leggenda di Azzurrina. La bambina, che si chiamava Guendalina Malatesta, era nata albina e la madre, per preservarla dalle dicerie sulla sua condizione, le tingeva i capelli, che con il tempo assumevano un colore azzurro. La piccola scomparve nei sotterranei del castello nel 1375 e non venne mai ritrovata. Si narra che, ancora oggi, nel giorno del Solstizio d’Estate, ancora si sentano i pianti e i richiami della bambina.

Una cucina corposa

L’unicità e la fama della cucina romagnola è diffusa in tutto il mondo. Cappelletti, passatelli, tagliatelle al ragù, ma anche maltagliati, strozzapreti e lasagne sono tra i primi piatti da provare, tutti realizzati con la sfoglia tirata a mano. I classici secondi comprendono invece carne di maiale, arrosti con patate e selvaggina. Per uno spuntino, assolutamente di rigore la piadina romagnola con formaggio squaquerone, oppure con i gustosi salumi.

Tra i dolci tipici, la zuppa inglese, il brazadèl, una ciambella dolce fatta con ingredienti semplici. Tipica di Longiano è la cantarella, un dolce di origine umile. E per accompagnare i piatti della tradizione, ci sono i celebri vini romagnoli, come il rosso Sangiovese, i bianchi Albana di Romagna e Trebbiano e, per gli intenditori, i meno noti, ma ugualmente ottimi Pagadébit, Biancale e Rosso di Bosco.

Cantarelle di Romagna

Ingredienti

  • 250 gr di farina bianca
  • 250 gr di farina gialla
  • 500 ml di acqua
  • 3 cucchiai di olio EVO
  • 1 pizzico di sale
  • 1 pizzico di bicarbonato
  • Zucchero semolato q.b.

In una ciotola sciogliete nell’acqua il sale e il bicarbonato. Aggiungete poi la farina gialla e l’olio Evo. Mescolate, poi aggiungete a poco a poco anche la farina bianca fino a ottenere un composto liscio e omogeneo, senza grumi. Scaldate una padella antiaderente sul fuoco, poi versate la pastella con un mestolo creando un disco dal diametro di circa 10/15 cm. Cuocete la cantarella su entrambi i lati. Ripetete l’operazione fino a finire l’impasto. Mettete le cantarelle su un vassoio e spolveratele con lo zucchero semolato. Potete anche farcirle con marmellata, crema pasticcera, miele o nutella e arrotolarle.

 COME ARRIVARE

In auto: A14 Bologna-Ancona, uscita al casello di Cesena o al nuovo casello “Valle del Rubicone” a Gatteo. Seguire le indicazioni per Longiano che dista circa 10 km.

 DOVE MANGIARE

*Osteria La Capannina, via Montigallo 50, Longiano (FC), tel 0547/666101, www.osterialacapannina.it.

*Ristorante Lazaroun, via del Platano 21, Santarcangelo di Romagna (RN), tel 0541/624417, www.lazaroun.it

DOVE DORMIRE

*Relais Corte dei Turchi, via Santa Maria 2, Longiano (FC), tel 0547/666059, www.cortedeiturchi.it

*Hotel Il Villino****, via Costantino Ruggeri 48, Santarcangelo di Romangna (RN), tel 0541/685959, www.hotelilvillino.it

INFO

www.comune.longiano.fc.it

www.comune.santarcangelo.rn.it




Scanno, il “borgo dei fotografi”

Scanno è conosciuto anche come “il borgo dei fotografi, perché i suoi paesaggi e i suoi scorci sono stati immortalati da artisti come, tra gli altri, Henri Cartier-Bresson, Hilde Lotz-Bauer, Renzo Tortelli, Gianni Berengo Gardin, Ferdinando Scianna, Pepi Merisio e Mario Giacomelli, il cui scatto “Il bambino di Scanno” è esposto al MoMA di New York.

Ci arriviamo percorrendo la SR 479, una strada panoramica che ci regala splendidi scorci delle Gole del Sagittario e del Lago di Scanno Accediamo al nucleo medievale attraverso l’Arco di Sant’Eustachio e seguiamo un itinerario circolare costellato da piccole botteghe artigiane, in particolare orafe. Tra i gioielli tipici di Scanno c’è la presentosa, un cerchio con un cuore al centro e una trama di filigrana in oro che le suocere regalavano alle future nuore.

Tra gli edifici che meritano una visita c’è la Chiesa di Sant’Eustachio, la più antica di Scanno. Situata nel punto più alto, sorge sui resti di un tempio romano dedicato al dio Pan. Nella piazza principale si trova invece la chiesa di Santa Maria della Valle, il cui campanile è visibile da qualsiasi punto del borgo. Splendido l’interno, a tre navate, in pietra bianca con dettagli rossi. Il Largo Bergia si trova invece a Fontana Sarraco, nota anche come fontana del ceto sociale, poiché presenta cinque cannelle per bere con uno stemma differente: uno per i nobiluomini, uno per le nobildonne, una per i lavoratori, una per gli ecclesiastici e una per i bambini.

In via Calata S.Antonio si trova il Museo della Lana, che conserva oggetti, ricordi e testimonianze legate alla pastorizia. Per il pranzo o per la cena, vi consigliamo di fermarvi in una delle trattorie tipiche per assaggiare i cazzittilli con gli orapi e i fagioli, i maccheroni alla chitarra, le sagne, agli arrosticini di pecora, senza dimenticare il pecorino DOC. D’obbligo anche una sosta in una pasticceria per gustare il Pan dell’Orso, il dolce tipico di Scanno, fatto con tre diverse farine, oppure i mostaccioli, con mandorle, pan di spagna e cioccolato fondente.

 SECONDO GIORNO: Il Lago di Scanno e il Sentiero del Cuore

Appena 4 km sulla SR479 separano il borgo dal Lago di Scanno, dalla curiosa forma a cuore. Sulla sponda meridionale si trova la Chiesa della Madonna del Lago del 1702 in stile neogotico. Lasciamo la macchina nel parcheggio e intraprendiamo una bella escursione a piedi (durata a/r 1h e 40 min circa). Dall’ingresso del parcheggio ci dirigiamo verso il chiosco dei souvenir. Dopo pochi metri, sulla sinistra, ha inizio il Sentiero del Cuore. Dopo circa 100 metri, si apre il primo scorcio panoramico. Dopo una serie di tornanti, lo sguardo si apre sul Vallone della Terrata.

Camminiamo ancora per 40 minuti fino a incrociare una strada sterrata, che conduce al borgo di Scanno. Quando la strada inizia a scendere, sulla destra seguiamo i segnali bianchi e rossi che ci dirigono verso un sentiero che conduce all’Eremo di Sant’Egidio, che sorge su un colle da cui si può ammirare il Monte Genzana e il paese di Frattura. Dall’eremo si prende poi a sinistra fino ad arrivare a un belvedere da cui ammirare una splendida visione dall’alto del Lago di Scanno. Ritorniamo infine al parcheggio percorrendo l’itinerario a ritroso.

LA RICETTA: Cazzillitti con orapi e fagioli

Simili agli gnocchetti, sono la pasta tipica di Scanno. Proponiamo la ricotta della tradizione Contadina con spinaci selvatici e fagioli.

Ingredienti per 4 persone

  • 500 gr di farina
  • 300 ml di acqua bollente
  • 600 gr di orapi o spinaci selvatici lessati
  • 300 gr di fagioli borlotti
  • 4 alici dissalate
  • 1 spicchio di aglio
  • ½ bicchiere di olio EVO

Preparate la pasta mettendo su una spianatoia la farina a fontana. Mettete a scaldare l’acqua poi versatela piano piano sulla farina e impastate fino a ottenere un impasto liscio e omogeneo. Fatelo riposare per qualche minuto. Nel frattempo, in una padella mettere a rosolare l’aglio nell’olio, poi aggiungete gli spinaci lessati, fateli insaporire e aggiungete anche i fagioli già lessati (o in scatola). Tenete da parte l’acqua dove avete fatto lessare gli spinaci. Con la pasta, create dei piccoli serpentelli di circa 1,5 cm di spessore e ricavate con il coltello dei piccoli tronchetti.  Teneteli poi con due dita e con il pollice e premeteli leggermente facendoli scorrere nella vostra direzione per formare gli gnocchi. Versateli nell’acqua di cottura delle verdure, salate e lasciate cuocere per 6 minuti. Scolateli e uniteli al condimento. Saltate per due minuti e servite con una spolverata di pecorino di Scanno.

 COME ARRIVARE 

In auto: Da Roma e da Pescara, A25 Roma-Pescara, uscita Cocullo, poi proseguire per circa 20 km sulla SS479. Da Napoli, A1 Roma-Napoli, uscita Caianello, proseguire sulla SS85 in direzione Venafro, poi SS17 fino al bivio di Castel di Sangro. Prendere poi la SS479 in direzione Barrea-Villetta Barrea-Passo Godi, Scanno

DOVE MANGIARE 

*Lo Sgabello, via Pescatori 45, Scanno, te 0864/747476, www.losgabelloscanno.it.

*Ristorante Pizzeria Antica Dimora Fuori le Mura, viale del Lago 2, tel 0864/747538, www.scanno.anticadimorascanno.it .

DOVE DORMIRE  

*Hotel Acquevive***, via Circumlacuale, Scanno, tel 0864/74388, www.hotelacquevivescanno.com.

*Le Focette***, viale del Lago 24, tel 0864/74320, www.lefocette.info.

INFO: www.visit-scanno.it



Malaga: la città spagnola della Costa del Sol dove la buona cucina si unisce all’amore per l’arte di Pablo Picasso

Malaga è una di quelle città della Spagna poco scelte come meta di vacanza, rispetto alle mete ambite come Barcellona e Madrid, ma che non ha nulla da invidiare, anzi, vi riserverà molte piacevoli sorprese. Una di queste è proprio la possibilità di gustarvi un fantastico piatto di pesce fritto, considerato il migliore di tutta la Spagna. E’ dunque la cucina una dei punti forti della città, data anche dalla presenza di una materia prima fresca e invitante, ma è anche piacevole solo camminare nelle vie del centro, dove bei palazzi si alternano alle palme che adornano i lati della passeggiata.

Ammetto che non ne avevo mai sentito parlare, ma capitandoci per caso, in questa bella e colorata città, ne sono rimasta sin da subito affascinata, forse anche scoprendo che qui, in una delle case del centro, per la precisione in Plaza de la Merced nacque il celebre Pablo Picasso e, proprio per questo, esiste un intero Museo dedicato al pittore, che ospita molte delle sue opere.

La struttura venne inaugurata dal re e dalla regina nel 2003, 112 anni dopo che Picasso, allora decenne, lasciò la città. Nell’ultima parte della sua vita il grande pittore accarezzò l’idea di inviare due camionette di dipinti per il museo, ma giurò che non avrebbe più messo piede in Spagna finché il Generalissimo Franco fosse in vita.
Sfortunatamente Picasso morì nel 1973, due anni prima del dittatore. Nel seminterrato del museo potrete vedere i resti di siti archeologici scoperti durante la costruzione dello stesso e che comprendono cospicui ruderi di una cinta muraria fenicia e di una torre risalenti al VII secolo a.C.

Oggi Malaga, sull’ombra del successo e della fama del grande Picasso, si sta trasformando in una meta artistica molto ambita per gli appassionati, anche grazie all’imponente Museo d’Arte moderna, realizzato per custodire opere di artisti internazionali e spagnoli.

Se amate l’arte, vi consigliamo di visitare la città, ma la prima cosa da fare è sicuramente quella di recarvi all’ufficio turistico situato nel Pasaje Chinitas o in una delle agenzie viaggi del centro, per acquistare la Malaga Card, che per il costo di 40 euro circa, vi darà accesso ai musei, cattedrale, chiese e monumenti, favorendo un considerevole risparmio di soldi.  La carta consente di utilizzare gratuitamente un autobus turistico 24 su 24 con rispettiva guida che vi illustrerà la città.

Una volta acquistata la Malaga Card, a pochi passi dalla casa di Picasso, non dimenticatevi di visitare la torreggiante Cattedrale, eretta tra il cinquecento e il seicento e rimasta priva di una sua torre sulla facciata ovest. Tuttavia sul fianco nord della cattedrale, merita un’occhiata l’Iglesia del Sagrario, se non altro per il suo portale in stile gotico. La Cattedrale, così come il museo di Picasso si trovano a pochi minuti a piedi da Plaza de la Costitucion, come Alcabaza, una cittadella fortificata visibile da quasi tutti i punti centrali, qui sorge anche il teatro Romano, scoperto nel 1951 e il castello di Gibralfaro, che si raggiunge percorrendo un sentiero tortuoso che costeggia le mura meridionali.

Per quanto riguarda gli alloggi, anche se Malaga ha prezzi più alti rispetto alla media di quelli della Costa del Sol e le tariffe tendono leggermente a salire con l’arrivo dell’alta stagione, rimane comunque una meta con prezzi abbastanza ragionevoli rispetto a molte città europee, per esempio, informandomi in molte strutture del posto ho notato che i prezzi oscillano dai 45 ai 70 euro a notte per una camera in un tre/ quattro stelle in base alla stagione.

Se desiderate  immergervi nella natura, l’autobus 61, alla fermata  Jardin Botànico La Concepciòn, vi condurrà in uno spettacolare giardino tropicale a 5 kilometri dal centro di Malaga, ideale per una gita rilassante fuori porta.

Con qualche giorno in più a Malaga, visitate invece la famosa Gola di El Chorro, a 50 kilometri dalla città, in treno il tragitto dura 45 minuti. Qui  infatti, potrete ammirare lo straordinario e immenso crepaccio lungo 5 kilometri, scavato in un vasto massiccio calcareo e provare un leggero brivido di paura mista ad adrenalina, camminando nella passerella in cemento che percorre l’intera lunghezza dell’abisso, sospesa a metà tra irreali pareti a strapiombo.




Il cuoco Salvini apre la Funny Veg Academy a Milano

Simone Salvini (fiorentino, 47 anni), cuoco di cui sono celeberrime le imitazioni del comico Crozza, afferma che aprirà una Accademia a Milano. Il suo obiettivo, tra gli altri, sarà quello di insegnare i suoi trucchi nascosti sulla cucina vegetariana, ormai da qualche anno estremamente in voga.

Lo Chef Simone Salvini

C’era da aspettarselo da uno come lui: il cuoco, infatti, al momento di scattare la foto non ha esclamato il canonico “cheese!” ma si è distinto per aver urlato “tofu“, fedele alla tradizione veg della sua cucina. Ma questo non è certo indice di poca serietà, ma solo dell‘ironia di un personaggio tra i più presi in giro d’Italia.

La colpa di ciò, o il merito (a voi il giudizio) è di Maurizio Crozza, noto comico italiano dalle spiccate abilità di imitazione. Eppure Salvini, o Germidi Soia, ci prova ad essere serio.

E non è certo tipo da offendersi, Simone Salvini, anzi: è addirittura andato a vedere Crozza in uno spettacolo a Modena. E Crozza lo sapeva perfettamente. “Prima mi ha preso in giro”, racconta lo chef, “poi mi ha fatto alzare”. L’unico momento in cui Salvini si è sentito infastidito, è stato quando il comico ha esageratamente ridicolizzato una mensa di Bologna, dove lo chef aveva cucinato e la sua cucina, priva di carne, non era stata gradita. Perchè “spingere tanto sull’acceleratore”?, si chiede Salvini.  Ma quando ha provato a chiamarlo al telefono, nei giorni seguenti, Crozza non si è mai fatto trovare.

Simone Salvini, classe 69, ha accumulato esperienze in Irlanda, in India e, da ultimo, a Macerata al ristorante Lord Bio. Appena sbarcato nel capoluogo lombardo, porta con sè la sua passione vegana: “è il mio sogno da sempre”, racconta “ora […] mi sentivo pronto per insegnare“. E così farà.

Simone però, restio all’uso delle etichette che, a sua detta, restringono troppo il campo, preferisce chiamare la sua una “alimentazione vegetale”.

L’Accademia nella quale lo chef andrà a insegnare si chiama “Funny Veg Academy” ed è nata per una iniziativa dello stesso Salvini insieme alla rivista FunnyVegan, ed è aperta a tutti. Studenti, appassionati o semplici curiosi di ogni “fazione alimentare” potranno entrarvi e conoscere i segreti di uno chef tra i più conosciuti ed apprezzati nel nostro Paese.

Il centro avrà ubicazione in via Pitteri a Milano e Salvini si occuperà della cucina naturale. Gli argomenti principali verteranno su pasta madre, cereali, legumi e verdure, e delle principali tradizioni gastronomiche italiane e crudiste, che escludono, ovviamente, il consumo di carne animale.

Sarà un modo per raccontare “un altro modo possibile di nutrirsi” spiega lo chef, senza l’ambizione di voler convertire nessuno. I vegetariani non si nutrono certo d’aria, nè vivono osservando gli uccelli; semplicemente, si vuole incuriosire chi abitualmente mangia carne ma è comunque interessato alla novità del “vegetarianesimo” e ai suoi lati positivi.

La scuola offre anche altri corsi, come quello di salute alimentare con Maria di Noja; dello street food vegetariano; di pasticceria naturale; di cucina gourmet sperimentale e di alimentazione quotidiana anche per i più piccini, con la blogger Giulia Giunta.

Il mini-corso costa 75 euro per tre ore, oltre ai 2000 euro per un pacchetto che include sedici lezioni di alta cucina con lo chef Salvini in persona. Inaspettatamente, tra gli iscritti c’è chi si aspettava una cifra addirittura maggiore. Inoltre, continua fieramente il cuoco, due dei suoi studenti hanno trovato un impiego non appena terminato il corso.




La ricetta del baccalà alla veneta

Ingredienti per 4 persone:

  • 700 g di stoccafisso
  • 1 manciata di foglie di prezzemolo
  • 1 spicchio d’aglio
  • Olio extravergine di oliva
  • Sale
  • Pepe

Difficoltà: minima

Tempo di preparazione: 30’

“” di cottura: 30’

Disponete lo stoccafisso in una casseruola, e ricopritelo d’acqua fredda, poi  portatelo ad ebollizione. Fatelo leggermente saltare e schiumare, copritelo e fatelo sbollire per 20’. Al termine lasciate lo stoccafisso nell’acqua di cottura per altri 20’.

Dunque scolatelo, spellatelo ed eliminate le lische: poi sbriciolate la polpa e riponetela in un mortaio. Pestatela con un pestello, mettetela in una terrina e versate a filo l’olio, sempre mescolando con energia. Continuate a versare l’olio finchè non si sarà creato un composto spumoso.

Regolate con sale e pepe, amalgamate il prezzemolo lavato e tritato, e lo spicchio d’aglio tagliato.

Servite il baccalà mantecato sul piatto di portata, accompagnandolo con fette di pane caldo e polenta bianca.

 




Val di Fiemme tra mercatini e suonatori, ma la vera protagonista è la capra

La desmontegata di Cavalese, nella valle di Fiemme, viene allestita con mercatini di prodotti artigianali e rappresentazioni di personaggi che rievocano gli antichi mestieri, tutto contornato e rallegrato da suonatori in festa. Le vere “star” di questo evento però sono le capre che vengono guidate a valle dai pastori, sfilando, adornate da corone di fiori, tra le case del paese. A Malga Sadole il 10 settembre alle 5 del mattino si può provare a mungere e lavorare il latte, ultimo appuntamento di “albe in malga”. Domenica 11 settembre, invece, si prospetta il gran finale con la sfilata e l’elezione della capra più bella.

The parade, desmontegada de le caore, Cavalese, Fiemme valley, Trento province, Trentino, Trentino Alto Adige, Italia, Italy

Per info: ApT Val di Fiemme (www.visitfiemme.it)

Sulla Val di Fiemme, il direttore dell’APT, Bruno Felicetti, ci ha raccontato tanto in questa intervista: (IL DIRETTORE DELL’APT BRUNO FELICETTI CI PARLA DELLA VAL DI FIEMME)

Ma per scoprire gli hotel giusti dove pernottare e i ristoranti dove gustare le specialità, vi proponiamo un itinerario in auto:

(IN VAL DI FIEMME CON LA PEUGEOT 308 SW)

(IN VAL DI FIEMME CON LA PEUGEOT 308 SW, IL VIAGGIO CONTINUA)




Guida Michelin 2016: Novità e conferme

Presentata il 10 dicembre a Milano la nuova edizione, la sessantunesima, dell’autorevole guida gastronomica. L’Italia, con i suoi 6300 indirizzi segnalati e 334 ristoranti stellati, si conferma al secondo posto tra i paesi più stellati e si rivela una prolifica fucina di talenti. La Lombardia risulta essere la Regione col maggior numero di locali stellati (58) e Napoli la città dove si mangia meglio.

Sono 24 le new entry del mondo stellato. La nota lieta è rappresentata dal fatto che quasi la metà dei nuovi chef stellati è under35. A conferma del fatto che l’interesse per questo mondo è in costante crescita, senza segni di cedimento o di imminente arresto. Da segnalare 3 talenti emergenti nostrani: Federico Belluco (Dopolavoro, Venezia), Martina Caruso (Hotel Signum, Salina) e Giovanni Santoro (Resort Shalai).

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I due poli opposti della nuova edizione sono rappresentati dal declassamento ai danni dello Chef Davide Scabin e del suo Combal, sceso da 2 ad 1 stella e dalla promozione da 0 a 2 per il peculiare appartamento-ristorante di Giancarlo Perbellini nel centro storico di Verona.

Confermati anche quest’anno i primi della classe, gli otto ristoranti 3 stelle. Qui descritti dagli ispettori della guida Michelin.

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Piazza Duomo, Alba (Cuneo) Chef Enrico Crippa: “Crippa ha portato la sua esperienza internazionale in un territorio dalle tradizioni radicate come quello delle Langhe proponendo sapori inusuali pur mantenendo un occhio di riguardo e di rispetto per gli ingredienti del territorio. Il filo conduttore è l’utilizzo di materie prime d’eccellenza, accuratamente selezionate nel rispetto delle stagioni e poi trasformate abilmente in opera d’arte.”

Da Vittorio, Brusaporto (Bergamo) Chef Enrico e Roberto Cerea: “Il concetto di Tradizione lombarda e genio creativo ben rappresenta il filo conduttore dei menù che i fratelli Cerea aggiornano e rivoluzionano insieme al divenire del mercato e delle stagioni.carni e pesci, selvaggina e fruits de mer, tartufi e funghi ma anche piatti di verdure, tutti declinati con uno stile originale e sensibile anche alle nuove frontiere della cucina del benessere.”

Dal Pescatore, Canneto Sull’Oglio (Mantova) Chef Nadia e Giovanni Santini“Rimane sempre un punto fermo della ristorazione italiana, questa ex trattoria sulle rive dell’Oglio, oggi uno dei templi della haute cuisine e orgoglio nazionale che ha saputo rinnovare con gusto, passione e tanta umiltà le ricette tradizionali dello Stivale: è la grandezza dei semplici.”

Reale, Castel di Sangro (L’Aquila) Chef Niko Romito: “La cucina “chirurgica” di Niko Romito celebra gli ingredienti estraendone l’essenza e bandendo tutto ciò che di superfluo può offuscare la purezza dei sapori: creazioni solo apparentemente minimaliste. Di fatto, ogni boccone suggella un ricordo che scalfisce con indelebile piacere la memoria.”

Enoteca Pinchiorri, Firenze, Chef Annie Féolde: “La cucina oscilla tra il classico ed il moderno attingendo da entrambi la parte più intrigante: piatti raffinati, ma al tempo stesso concreti in un ambiente lussuoso e cosmopolita. La cantina è assolutamente leggendaria!”

Osteria Francescana, Modena, Chef Massimo Bottura: “Una cucina certamente con una marcia in più: grande equilibrio, capacità di innovare piatti della tradizione grazie ad un approccio critico e non nostalgico, molta attenzione anche alla leggerezza. Insomma, l’Osteria Francescana si riconferma ai vertici della ristorazione del Bel Paese e Bottura, un talento ai fornelli osannato da tutto il mondo.”

La Pergola, Roma, Chef Heinz Beck: “La proverbiale precisione teutonica ha trovato un fedele compagno: il gusto mediterraneo, con il quale dar vita a piatti creativi riprodotti all’infinito senza sbavature. Il tutto, nella magnifica cornice di un panoramico roof garden tra tele pregiate, porcellane di Sèvres e candelabri settecenteschi.”

Le Calandre, Rubano (Padova) Chef Massimiliano Alajmo: “Piatti in continua evoluzione, perché alla sperimentazione Massimiliano ci crede veramente. Ma una cucina anche di grandi equilibri capace quindi di coniugare sapori antichi e gusto contemporaneo in un’armonia che la rende unica ed irripetibile.”

 

 




IL KLIMA DI MILANO: UN HOTEL TUTTO GREEN

Fino al 31 dicembre 2015, il ristorante visconteo del Klima Hotel di Milan, da vita ad un interessante percorso gastronomico.
Si tratta di un a iniziativa dedicata alle molteplici specialità della cucina italiana, basata sulla stagionalità degli alimenti. Una serie di serate gastronomiche a tema , nelle quali assaporare i piatti dello chef Massimo Civale, frutto della sua fantasia culinaria permeata da un ricerca nella tradizione locale, utilizzando l’eccellenza e la freschezza della materia prima. Nel mese di dicembre, dal 17 al 31 il tema principale è il bollito, presentato nei “sette tagli”, abbinati con diverse salse.

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La Location è, naturalmente il Klima Hotel Milano Fiere, un nuovissimo albergo milanese (quattro stelle superior), all’avanguardia in campo di risparmio energetico ed ecosostenibilità. Realizzato nel rispetto di tutti i parametri ecologici di riferimento ambientale, vantando la classe energetica A e l’etichetta di Green Hotel.
KLIMA HOTEL MILANO FIERE – Via Privata Venezia Giulia 8 – 20157 Milano tel. +39.02.455046.1 – www.klimahotelmilano.com/it

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Sos pranzo di Natale: 4 sfiziose idee

#ChristmasIsComing

Ecco a voi 4 semplici ed invitanti ricette per soddisfare ogni palato sotto le feste e non solo.

Successo assicurato!

 

#Veggie: Tartellette di pere con Parmigiano Reggiano, rucola e noci pecan caramellate

 

Ingredienti per 4 persone: 

1 rotolo di pasta sfoglia prontaBermuda_xweb

2 pere

80 g di noci pecan

50 g di Parmigiano Reggiano a cubetti

20 g di burro

4 cucchiai di zucchero

1 uovo

rucola q.b

Aceto Balsamico Tradizionale

 

Preparazione:

Stendere la pasta sfoglia e tagliare dei cerchi con un coppa pasta rotondo o un bicchiere a seconda della dimensione desiderata. Sistemare i dischetti su una teglia rivestita con carta forno, bucherellarli e glassarli con l’uovo. Infornare e cuocere fino a quando sarà ben dorata e cotta. Sbucciare le pere, privarle del torsolo e cuocerle in 10 g di burro e 2 cucchiai di zucchero fino a quando non sono ben caramellate. Una volta raffreddate, adagiare le pere caramellate sulla sfoglia, aggiungere sopra un cubetto di Parmigiano Reggiano, una macinata di pepe nero e infine le noci caramellate con la stessa modalità delle pere. Cuocere in forno fino a quando il Parmigiano Reggiano inizierà a fondere. Servire con rucola fresca e un filo di Aceto Balsamico Tradizionale.

 

#MeatLovers: Tic Taco – Finti taco di Parmigiano Reggiano con chili

 

Ingredienti per 4 persone:

1 kg di patate farinose

300 g di carne macinata (misto vitello e maiale)

160 g di passata di pomodoro

150 g di Parmigiano Reggiano grattugiato al momento

1 carota

1 costa di sedano

1 cipolla bionda

1 chiodo di garofano

cannella in polvere q.b.

polvere di chili q.b.

coriandolo fresco o prezzemolo fresco q.b.

vino Barbera q.b.

olio extravergine d’oliva q.b.

sale fino q.b.

pepe nero macinato al momento q.b.

un pizzico di zucchero semolato

 

Preparazione:

In un grossa pentola, riscaldare un filo di olio rosolarvi la cipolla tagliata a dadini per alcuni minuti, avendo cura di non bruciarla. Abbassare la fiamma e lasciare stufare sino a che diventa morbida e trasparente. Unire la carota e il sedano tagliati a tocchetti molto piccoli (se le foglie del sedano sono freschissime utilizzo anche quelle), alzare la fiamma e rosolare per alcuni minuti dopo aver salato e pepato. Aggiungere la carne macinata e, sempre su fiamma alta, farla imbrunire, mescolando spesso e rompendo i grumi con una forchetta. Sfumare il tutto con un po’ di Barbera. Quando l’alcol è evaporato unire la polvere di chili a piacere, un pizzico di cannella e il chiodo di garofano polverizzato. Mescolare con cura. Aggiungere la passata di pomodoro, un pizzico di zucchero semolato e mescolare ancora. Abbassare la fiamma al minimo, chiudere con un coperchio e lasciar cuocere per un’ora e mezza, rimestando di tanto in tanto e aggiungendo poca acqua se necessario, per evitare che il chili si attacchi e bruci. Nel frattempo riscaldare il forno a 200° in modalità grill. Coprire il fondo di una teglia con carta da forno. Posizionare un coppapasta del diametro di 7 cm circa sulla carta, versarvi un cucchiaio abbondante di Parmigiano Reggiano grattugiato distribuendolo uniformemente e pressandolo con un pestello per creare un disco omogeneo. Rimuovere molto delicatamente il coppapasta per non danneggiare il disco di formaggio. Con lo stesso metodo, formare altri due dischi e infornare sotto al grill per tre minuti o fino a che il formaggio è sciolto e inizia a dorarsi. Si consiglia di non preparare troppe cialde alla volta per evitare che si induriscano nell’attesa di essere messe in forma. Estrarre i dischi dal forno e lasciarli riposare per alcuni istanti (devono smettere di sfrigolare e iniziare a consolidarsi). Staccarli dalla carta da forno con una spatola e trasferirli sul piano di lavoro. Utilizzando una forma per cannoli, piegare le cialde creando la forma tipica del taco messicano. Lasciare indurire senza rimuovere la forma per cannoli. Proseguire allo stesso modo sino ad esaurimento del Parmigiano Reggiano grattugiato. Tenere da parte i taco. A cottura ultimata, spegnere il fuoco e assaggiare il chili per regolare di sapore (la piccantezza varia a seconda del gusto personale; cannella e chiodo di garofano devono essere appena percettibili). Lasciare intiepidire il chili mentre si trita poco coriandolo fresco (o prezzemolo). Farcire ciascun taco con un po’ di chili tiepido e decorare con poco coriandolo fresco (non utilizzate il chili caldo perché scioglie la cialda e la rende molliccia e poco croccante). Servire immediatamente.

 

#KidsFriendly: Bignè al prosciutto con pasta choux

 

Ingredienti per 4 persone (circa 60 pezzi):

300 g di farina bianca setacciataFrancia_bigne_xWeb

200 g di burro

½ litro d’acqua

6 uova intere

30 g di zucchero

½ cucchiaio scarso di sal

Per il ripieno:

150 g. prosciutto cotto

100 g. di Parmigiano Reggiano

50 g. di caprino

sale, timo tritato

 

Preparazione:

Setacciare la farina. Tagliare il burro a dadini. In una casseruola, scaldare l’acqua con il burro e un pizzico di sale e, non appena inizia a bollire, togliere la casseruola dal fuoco e versarvi immediatamente la farina in una sola volta mescolando energicamente con un cucchiaio di legno. Far cuocere l’impasto fino a quando si stacca dalle pareti della casseruola. Rovesciarlo in una ciotola e farlo raffreddare. Quando l’impasto è freddo, incorporare le uova, una alla volta, salare e pepare. Su una teglia rivestita di carta forno fare dei piccoli mucchietti ben distanziati e cuocere i bignè in forno a 160° per 30 minuti. Frullare nel mixer il Parmigiano Reggiano e il prosciutto a cubetti fino a ottenere un composto morbido. A parte, con una frusta, montare il burro fino ad ottenere un composto spumoso (per poterlo fare con facilità deve essere tenuta almeno un’ora a temperatura ambiente). Aggiungerlo al prosciutto e formaggio. Aggiungere un pizzico di sale e il timo. Con l’aiuto di una sac-a-poche, con la bocchetta lunga e stretta, molto delicatamente, riempire bene gli choux. Servire i bignè a piramide oppure ognuno in un pirottino di carta.

 

#GlutenFree: Gaufres al Parmigiano Reggiano con verdure al cartoccio senza glutine

 

Ingredienti per 4 persone (8 gaufres):

125 g farina (per gli intolleranti al glutine: 80 g Biaglut senza glutine per paste lievitate e 45 g Farmo Fibrepan per pane e pizza senza glutine)

1/2 bustina lievito chimicoBelgio_xWeb

2 uova medie

50 g burro fuso

4 cucchiai parmigiano grattugiato

200 g latte

prezzemolo

sale e pepe

Per le verdure al cartoccio:

melanzane

zucchine

peperone giallo

fagiolini

pomodori piccadilly

sedano

olio d’oliva

insaporitore per sughi con verdure

 

Preparazione:

Versare in un contenitore le farine, il lievito, il sale, il pepe e il Parmigiano Reggiano.  Aggiungere le uova e mixare con un minipimer.  Unire il latte con il burro fuso e versarlo sul composto continuando a mescolare. Cuocere le cialde nell’apposita macchinetta. Lavare e tagliare a cubetti tutte le verdure. Metterle in una ciotola e condire con olio d’oliva e l’insaporitore. Mescolare e versare tutto nell’apposito sacchetto per cartoccio legando ben stretta l’estremità. Cuocere a 200° per circa 40 min.  Servire i gaufres come una bruschetta con le verdure.




É POSSIBILE CONIUGARE CIBO SANO E GUSTOSO? LA CUCINA DEL SENZA ALL’EVENTO GUSTO IN SCENA

La Cucina del Senza sarà protagonista della VII edizione dell’evento enogastronomico Gusto in Scena a Venezia, perfetta scusa per concedersi un weekend nella bellissima città veneta, ma sarà possibile coniugare cibo sano e gustoso?

Andando ad ascoltare Marcello Coronini, ideatore e presentatore della Cucina del Senza, ed assaggiando i piatti da lui proposti, la risposta è ovvia: decisamente sì!

Marcello Coronini

La Cucina del Senza, presentata per la prima volta a Gusto in Scena, si impegna a studiare piatti senza grassi o senza sale e dessert senza zuccheri aggiunti. Come Marcello Coronini ci tiene a precisare, la cucina da lui ideata si impegna a non AGGIUNGERE sale, grassi o zuccheri, ma non nega al cibo la sua naturale composizione perché, come ci spiega l’esperto nutrizionista Michele Carruba, una buona dieta necessita anche della giusta dose di tutti e tre gli elementi (carboidrati, sale e grassi).

Gusto in Scena_congresso di alta cucina_piatto di Carlo Crac

Le abitudini alimentari di molti di noi dovrebbero prendere esempio dalla Cucina del Senza per migliorare la nostra salute. Ad esempio, giornalmente assumiamo circa 10 gr di sale, ma ce ne basterebbe solo uno! E il rischio di danneggiare il nostro organismo è reale. A tal proposito, quest’innovativa cucina trova un ruolo importante anche nel Master “Analisi e gestione del rischio alimentare – Cibo e salute” presso l’Università degli Studi di Milano, espandendosì così anche nell’ambito accademico.

La cucina del senza

La Cucina del Senza acquisisce sempre più successo: già nella passata edizione del Gusto in Scena hanno deciso di cimentarsi nella rivoluzionaria proposta di Coronini anche grandi chef, tra i quali ricordiamo Carlo Cracco.

Quest’anno Gusto in Scena ritorna l’1 e il 2 marzo a Venezia per mostrare chef, pizzaioli e pasticceri alle prese con lo studio dei piatti secondo le regole della Cucina del Senza. Saranno protagonisti anche prodotti e vini di alta qualità, selezionati e inseriti nella manifestazione dagli stessi Lucia e Marcello Coronini seguendo criteri qualitativi e storico-culturali. Non mancherà poi la sorpresa: la pizza dei senzal

Gusto in scena_congresso di alta cucina_gino sorbillo

Insomma, sembra che per uno strano gioco di parole alla Cucina del Senza non manchi proprio niente!




Dopo Vinitaly 2014

Successo ormai assicurato anche quest’anno al Vinitaly di Verona per il ristorante allestito dall’Associazione Nazionale Le Donne del Vino che Marina Ramasso, patron dell’Osteria del Paluch di Torino, ha orchestrato con grande maestria avvalendosi della collaborazione dei ragazzi della Scuola Alberghiera di Chievo e delle socie chef in cucina Anna Chiavazzo della Campania, Evelyn Fanelli della Puglia, Sara Samuel del Piemonte, Simona Fantoni della Toscana, Cinzia Meriggioli e della sommelier Piercarla Negro, che hanno accompagnato con grande professionalità le scelte gastronomiche dei
clienti. Molti  ospiti stranieri, sempre sensibili al Made in Italy, hanno ripetuto la loro presenza nelle giornate di Vinitaly.

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Martedì, 8 aprile, presso la sala Puccini, in collaborazione con Vinitaly, si è svolto un incontro-dibattito “Il buono e il bello, vino, cibo, moda design, genio e  manualità del Made in Italy” Dopo un breve saluto di Cesare Pillon, uno dei più affermati giornalisti del settore, presente alla fondazione già nel 1988 , coordinatore degli interventi, ha dato la parola alla Presidente dell’Associazione Elena Martusciello che ha ringraziato gli intervenuti e ha spiegato che in quest’anno così difficile per tutti ha voluto un convegno più “leggero” che vorrebbe in qualche modo rappresentare una certezza per il  futuro e non solo per i giovani. Steve Kim, Managing director di Vinitaly, ha proposto una visione del mercato globale del vino e del Made in Italy. La moda, il cibo, il design vanno molto bene all’estero, ma il vino in Cina, è all’ultimo posto. L’Italia deve fare di più per l’esportazione del vino e le Donne del Vino hanno un grande compito. Il problema più importante è che gli italiani sono molto individualisti e questo non aiuta. In Cina c’è molta potenzialità, ma occorre essere uniti e fare squadra. Solo così si potrà arrivare a grandi risultati. Anna Fendi, una delle più importanti firme della moda italiana, un marchio che ha fatto sognare le donne e ora selezionatrice di grandi vini e titolare del Ristorante stellato Enoteca La Torre a Villa Laetitia di Roma, ha illustrato lo stesso rapporto che esiste tra il vino e la moda, entrambi elementi di successo internazionali, ha ribadito che l’immagine è molto importante, che la qualità decreta il successo di un prodotto e ha concluso che il lusso non è mai ostentazione, ma anche umiltà. Gerardo Sacco, maestro orafo, conosciuto in tutto il mondo per aver collaborato con i più grandi registi cinematografici e dall’aver creato gioielli per famose star come Liz Taylor e Sofia Loren, ha raccontato i faticosi inizi della sua carriera, ma  che, con grande costanza,  ha saputo costruire negli anni  la sua preziosa realtà. Ha presentato in anteprima la coppa di Pitagora, che ha chiamato “Coppa della Morigeratezza”.

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Alberto Lupini, direttore di Italia a Tavola, oltre ad aver fatto un excursus sull’enogastronomia, ha ribadito il concetto espresso da Stevie Kim e Anna Fendi: occorre fare squadra per promuovere le nostre eccellenze italiane, Dobbiamo recuperare il valore della creatività, gli italiani sono geniali, ma spesso non sanno valorizzare  i loro meravigliosi prodotti. Davide Rampello, Curatore del Padiglione Zero di Expo 2015, ribadisce la necessità di dare valore alle cose, in caso contrario si cade nel banale, nella ripetizione. Occorre non perdere la nostra memoria, attorno al latino “de-signo” si sviluppa tutto , dal De Bello Gallico al De Re Coquinaria di Apicio e via dicendo. L’Italia è il Paese delle diversità e questo fa la differenza. Dobbiamo recuperare questo straordinario patrimonio umanitario. Ricordiamoci che il bosco e la vigna sono la prima manifattura dell’uomo. Cesare Pillon ha concluso il dibattito ringraziando tutti gli intervenuti.

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Mercoledì, 9 aprile, alla sera, nella splendida cornice del Palazzo della Gran Guardia, decorato con cascate di fiori e di violette luci,  si è svolta, sempre in collaborazione con Vinitaly, la cena di gala “Finitaly” con circa 180 ospiti, tra cui il Presidente di Veronafiere, Dott. Ezio Riello, Il Direttore Generale, Dott. Giovanni Mantovani, il Dott. Bruno,  Stevie Kim.  Gli ospiti sono stati deliziati da una raffinata cena con prodotti tipici delle nostre regioni offerti da affezionati sponsor e, ovviamente, accompagnati da pregiati vini delle Socie produttrici. Durante la cena, grazie a Gerardo Sacco, le Socie si sono sentite “star” per una sera, indossando i preziosi gioielli da lui creati con cascate di coralli, pietre preziose, brillanti smalti e meravigliose perle.

Milano, aprile 2014
Anna Pesenti Buonassisi
Tel 335 6376458 – 334 3997914




La pastiera napoletana

La pastiera napoletana, antichissimo dolce pasquale partenopeo, è una torta di pasta frolla ripiena di un impasto formato da ricotta, grano bollito, uova, spezie e canditi. La frolla della pastiera è croccante, mentre il suo ripieno è morbido di un colore giallo oro molto intenso mentre il suo sapore e il profumo varia a seconda degli aromi utilizzati. La pastiera napoletana (o più semplicemente pastiera) è un dolce napoletano tipico del periodo pasquale, uno dei capisaldi della cucina napoletana (ma diffuso anche nella zona di Reggio Calabria e provincia). Ha avuto il riconoscimento di prodotto agroalimentare tradizionale campano.

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L’origine della Pastiera è molto antica e la si può far risalire ai culti pagani quando la si preparava per celebrare l’arrivo della primavera. Nel tempo è diventata usanza prepararla per la festività della
Pasqua. In particolare la leggenda è probabilmente legata al culto di Cerere le cui sacerdotesse portavano in processione l’uovo, simbolo di rinascita che passò nella tradizione cristiana. La ricetta attuale fu perfezionata proprio nei conventi e divennero celebri quelle delle suore del convento di San Gregorio Armeno.

Ingredienti per la pasta (12 persone) :
una confezioni da 1 kg. di pasta frolla surgelata
700 gr. di ricotta di pecora
400 gr. di grano cotto (si trova in scatola nei supermercati, oppure lo puoi sostituire con: orzo perlato che va messo a bagno la sera prima e cotto per 30 minuti o del riso a chicco tondo per dolci cotto per circa 20 minuti)
600 gr. di zucchero
1 limone
50 gr. di cedro candito
50 gr. di arancia candita
50 gr. di zucca candita (si chiama”cucuzzata”) oppure altri canditi misti
100 gr. di latte
30 gr. di burro o strutto
5 uova intere + 2 tuorli
una bustina di vaniglia
un cucchiaio di acqua di fiori d’arancio
pizzico di cannella (facoltativo)

Preparazione:
Fate scongelare la pasta frolla a temperatura ambiente. Versate in una casseruola il grano cotto, il latte, il burro e la scorza grattugiata di 1 limone; lasciate cuocere per 10 minuti mescolando spesso finché diventi crema. Frullate a parte la ricotta, lo zucchero, 5 uova intere più 2 tuorli, una bustina di vaniglia, un cucchiaio di acqua di fiori d’arancio, e un pizzico di cannella (facoltativo). Lavorare il tutto fino a rendere l’impasto molto sottile, aggiungere una grattata di buccia di un limone e i canditi tagliati a dadi, amalgamare il tutto con il grano. Prendete la pasta frolla scongelata, o quella fatta da voi e distendete l’impasto allo spessore di circa 1/2 cm con il mattarello e rivestite la teglia (c.a. 30 cm. di diametro) precedentemente imburrata, ritagliate la parte eccedente, ristendetela e ricavatene delle strisce. Versate il composto di ricotta nella teglia, livellatelo, ripiegate verso l’interno i bordi della pasta e decorate con strisce formando una grata che pennellerete con un tuorlo sbattuto. Infornate a 180 gradi per un’ora e mezzo finché la pastiera non avrà preso un colore ambrato; lasciate raffreddare e, prima di servire, spolverizzate con zucchero a velo.

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Consigli:
La pastiera napoletana è ancora più buona se mangiata qualche giorno dopo. Per questo motivo nella tradizione napoletana in genere si prepara già il venerdì santo o anche il giovedì , così da essere buonissima per Pasqua, con tutti i sapori ben amalgamati. Può esser ancora conservata altri giorni (almeno 4) rigorosamente fuori dal frigorifero, coperta da un panno bianco di lino (non dalla pellicola), successivamente può essere conservata in frigo per altri giorni. La pastiera viene infornata nel classico “ruoto” di ferro stagnato o di alluminio,e una volta cotta, essendo fragile e friabile, per conservarla è meglio lasciarla nello stampo. Alcune persone non gradiscono la consistenza del grano cotto troppo granuloso,  quindi lo frullano appena finito di cuocere nel latte con un frullino a immersione perché diventi liscio e omogeneo. Il grano cotto generalmente si trova in scatola nei supermercati, oppure lo puoi sostituire con: orzo perlato che va messo a bagno la sera prima e cotto per 30 minuti o del riso a chicco tondo per dolci cotto per circa 20 minuti). Una volta cucinata la pastiera, può essere conservata in frigo anche per 4-5 giorni.


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A Venezia il gusto va in scena : grande successo per le ricette “Senza” dei grandi chef

Successo per la sesta edizione di Gusto in Scena, la manifestazione che si è svolta  nella suggestiva location della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista a Venezia. “La prima città del mondo a sviluppare La Cucina del Senza, che è già entrata nell’alta e medio alta ristorazione; affermò l’ideatore Marcello Coronini: Essa consente di conciliare gusto e salute evitando l’abuso di sale, grassi e zucchero”. Intervenne anche l’assessore Roberto Pancera, che espresse l’ambizione di far coniugare a Venezia la cultura artistica con quella enogastronomica.

Minestra di Parmigiano Reggiano Credits Alice Ostan

Uno dei tanti protagonisti di La Cucina del Senza è stato lo chef stellato Carlo Cracco, protagonista dell’edizione Italiana di Masterchef, accolto da un numerosissimo pubblico. “La mia cucina è già vicina a quella del “Senza” perché cerco di intervenire il meno possibile sulla materia prima – ha spiegato Cracco – Credo essenziale educare il palato partendo da La Cucina del Senza per imparare a distinguere i sapori. Al contrario l’eccesso di grassi e sale brucia le papille e le percezioni”.  Alla domanda sul ruolo dei programmi televisivi, Cracco ha risposto così: “E’ molto bello vedere oggi tanti giovani interessati al settore, che s’iscrivono all’istituto alberghiero. Molto spesso scoprono questa straordinaria professione anche grazie alla televisione e credo, dunque, che abbia un ruolo positivo”. Passato ai fornelli, lo chef preparò la ricetta senza grassi “Rognone cotto sul sale e infuso di china” e quella senza sale, “Minestra di Parmigiano Reggiano”.

da sx Marcello Coronini - Carlo Cracco

Poi si esibirono  gli chef Andrea Aprea, Paolo Teverini, Luca Marchini, Nicola e Pierluigi Portinari, Aurora Mazzucchelli e Vincenzo Candiano. Spiegò invece come si possano realizzare dessert dolci anche in assenza di zucchero il pasticciere Luigi Biasetto. Ricevettero applausi anche  Ilario Vinciguerra, Luigi Taglienti, Ernst Knam, Herbert Hintner, Gabriele Bozio e Nicola Micheletto.

Una giornata speciale per gli abitanti di Venezia.
La manifestazione ha aperto le porte alla città grazie a un biglietto a costo speciale, dedicato a chi vive a Venezia. Infatti, coloro che risiedono a Venezia hanno potuto prendere parte a I Magnifici Vini, degustando più di 150 vini, e a Seduzioni di Gola, assaggiando interessanti sfizi gastronomici, pagando solo 15 euro.

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