AFRICA 1:1 a Ca’ Pesaro in un viaggio alla scoperta dell’Africa

La nostra rubrica d’arte torna con un evento che vi porterà con vista e cuore in un luogo tanto lontano quanto caldo e accogliente: l’Africa. A Venezia infatti, nella meravigliosa Ca’ Pesaro, la mostra l’Africa 1:1 Lab ospiterà cinque giovani artisti provenienti da Kenya, Uganda, RDC e Zimbabwe. La residenza culminerà in una grande mostra site-specific, che sarà inaugurata il 20 maggio 2023. Il progetto si svolge in concomitanza con la XVIII Biennale Internazionale di Architettura di Venezia, a cura di Lesley Lokko. Gli artisti partecipanti sono Option Nyahunzvi (n. 1992 Zimbabwe), Pamela Enyonu (n. 1985 Uganda), Alexandre Kyungu (n. 1992 RDC), Maina Boniface (n. 1987 Kenya) e Ngugi Waweru (n. 1987 Kenya). La residenza ha lo scopo di ispirare curiosità, creatività e apprendimento tra gli artisti, fornendo loro l’accesso alla vasta collezione d’arte di Ca’ Pesaro. Attraverso la risposta contemporanea degli artisti, il progetto mira a incoraggiare nuovi scambi culturali e il dialogo a Venezia. Ecco una breve presentazione degli artisti che saranno protagonisti di questo meraviglioso progetto:

Option Nyahunzvi (b. 1992, Zimbabwe)

Option Dzikamai è nato ad Harare, Zimbabwe, nel 1992, ed è cresciuto a Rusape, Zimbabwe. Ha iniziato a disegnare in tenera età e presto ha sviluppato una versatilità che gli permette di esprimersi elegantemente quando stampa, dipinge o usa mezzi misti. L’artista è interessato all’impatto della tecnologia sulla gioventù urbana nelle township e il suo linguaggio visivo introduce un dialogo sull’attuale Zimbabwe, la sua tradizione e cultura, le difficoltà e una qualità di magia naturale che permea la vita personale dei suoi abitanti.

AFRICA 1:1 a Ca’ Pesaro in un viaggio alla scoperta l'Africa
Participating artist in the Africa 1:1 Lab. Courtesy of AKKA Project e Africa First. Credits: Chris Dennis Rosenberg Kimbugw

 

Pamela Enyonu (n. 1985, Uganda)

Pamela Enyonu è nata nel 1985 a Kampala, in Uganda, dove attualmente vive e lavora. Lo stile di Pamela si ispira alle storie, ai materiali e al processo che serve per trasformarli in opere d’arte. Le sue opere presentano una qualità tattile e tridimensionale che ha riccamente stratificato le texture esplorando narrazioni su genere, identità, empowerment e consapevolezza di sé. Pamela è particolarmente interessata alle esperienze “non abbandonate” che occupano l’intersezione di empowerment, salute mentale e identità. Si impegna continuamente con le diverse comunità attraverso collaborazioni, workshop e seminari. Recentemente, alcune delle ultime opere di Pamela sono state acquisite da Africa First e sono diventate parte della sua collezione privata di arte africana contemporanea.

AFRICA 1:1 a Ca’ Pesaro in un viaggio alla scoperta l'Africa
Participating artist in the Africa 1:1 Lab. Courtesy of AKKA Project e Africa First.
Credits: Chris Dennis Rosenberg Kimbugw


Alexandre Kyungu (n. 1992, RDC)

Alexandre Kyungu Mwilambwe è nato nel 1992 a Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo, dove attualmente vive e lavora. Ha studiato arte all’Accademia di Belle Arti di Kinshasa, è co-fondatore di Vision Total Group e lavora in collaborazione con Kin Art Studio (KAS). Kyungu combina pittura, disegno, scultura e installazione nella sua pratica artistica. Il suo mezzo preferito è la “porta” che, per lui, è sinonimo di apertura, incontro e scoperta in una società sempre più universale. Il suo lavoro è costruito intorno a domande relative allo spazio urbano, esplorando i parallelismi tra mappatura urbana e scarificazione del corpo. Il suo lavoro funziona come un “saggio cartografico”, in cui cerca di costruire un mondo nuovo e globale fondendo e giustapponendo le mappe di diverse città. È un modo per lui di interrogarsi sulla città, di cancellare i confini tra i popoli, e dare vita ad un unico territorio nell’immaginario spazio della sua opera.

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Participating artist the Africa 1:1 Lab. Courtesy of AKKA Project e Africa First.
Credits: Chris Dennis Rosenberg Kimbugw

Maina Boniface (n. 1987, Kenya)

Maina Boniface è nato nel 1987 a Nanyuki, in Kenya, e attualmente vive e lavora a Nairobi. Maina è un artista curioso che ha iniziato come un creatore barella-bar per gli artisti per sostenere la sua carriera artistica. Il suo lavoro, dal 2009, è stato figurativo e si è evoluto nella ricerca di affrontare vari temi: la satira sociale-politica, la musica, i conflitti nel comportamento umano e la salute mentale. Si ispira alle reazioni umane e ai suoi incontri quotidiani, che mostra con le sue figure surrealiste, e attualmente sta sperimentando una combinazione di astrattismo e surrealismo. Le figure e le forme nel suo lavoro sono distorte, a volte esagerate per sposare l’umore che trasuda l’opera. La curiosità di conoscere e cercare di capire come le cose e le persone coesistono fa emergere un percorso di discussione tra l’opera e lo spettatore, lasciando così un senso dell’indefinito e spazio per ulteriori interpretazioni. Anche se un artista solitario, lavora prevalentemente con acrilici, anche se non è timido di esplorare altri mezzi per affrontare temi di interesse e tecniche. 

AFRICA 1:1 a Ca’ Pesaro in un viaggio alla scoperta l'Africa
Participating artist the Africa 1:1 Lab. Courtesy of AKKA Project e Africa First.
Credits: Chris Dennis Rosenberg Kimbugw

Ngugi Waweru (n. 1987, Kenya)

Ngugi Waweru è un artista multimediale nato nel 1987 a Mukuru, Kenya, ma è cresciuto a Nairobi, dove attualmente vive e lavora. A differenza della maggior parte degli artisti, che catturano la loro attitudine artistica negli anni della scuola primaria, Ngugi è un artista autodidatta che lavora principalmente con stampe xilografiche e pittura mista su tela. Ha sperimentato con l’arte solo dopo aver osservato i suoi amici che si erano già laureati in un college d’arte praticando l’arte. Avendo già coltivato una passione e un’abilità in arte, Waweru ha deciso di abbracciarlo a tempo pieno. Cresciuto nel più grande insediamento informale di Nairobi, Ngugi si è aggrappato all’arte come recluso dal crimine della droga e dalla disoccupazione. Insieme ai suoi amici, fondò il collettivo Wajukuu Arts attraverso il quale insegna ai giovani dell’insediamento fino alla data.

AFRICA 1:1 a Ca’ Pesaro in un viaggio alla scoperta l'Africa

Participating artist the Africa 1:1 Lab. Courtesy of AKKA Project e Africa First.
Credits: Chris Dennis Rosenberg Kimbugw

L’Africa è un paese che noi di Weekend Premium amiamo, a cui non a caso è dedicata una poesia vincitrice del nostro concorso “Poesie di viaggio“. Si intitola “Finis terrae” ed è stata scritta Tiziana Monari: un emozionante affresco dell’Africa, delle sue notti tempestate di stelle, dei suoi paesaggi tratteggiati dalle linee sinuose delle dune nel deserto, delle sue genti dalla cultura affascinante, così lontana dalla nostra. Vi invitiamo a leggerla per potervi immergere con la fantasia nei caldi ed emozionanti paesaggi d’Africa.




Sao Tomé e Principe, un ecosistema a rischio per colpa dell’uomo

Durante l’anno che sta per concludersi i media di tutto il mondo hanno parlato del Brasile e della deforestazione che sta impoverendo la foresta Amazzonica, a un ritmo vertiginoso. Ci sono, tuttavia, altri luoghi nel mondo, un tempo veri e propri paradisi naturali e sacrari della biodiversità, di cui si parla meno, ma che stanno andando incontro allo stesso destino.

Tra questi c’è la Repubblica Democratica di São Tomé e Principe, la seconda nazione più piccola dell’Africa. Situata lungo l’Equatore, a 300 km al largo della costa del Gabon, nel Golfo di Guinea, nell’Africa occidentale, si compone di due isole principali, São Tomé, che ha una superficie di 836 kmq, e Principe, di appena 128 kmq più sette isolotti rocciosi. Proprio le dimensioni ridotte delle isole hanno fatto sì che, più che in altri luoghi, qui i cambiamenti ambientali abbiano messo a serio rischio l’ecosistema, la biodiversità e gli stessi abitanti.

Tutta colpa dell’olio di palma

L’emergenza di São Tomé si chiama deforestazione. E la colpa è delle multinazionali che hanno sostituito la foresta equatoriale con piantagioni di palme da olio. Il prodotto principale di queste piante, l’olio di palma, infatti, è economico, redditizio e versatile, e può essere utilizzato in tutto il mondo non solo nell’industria alimentare, ma anche in un’infinità di prodotti, tra cosmetici, dentifricio, detergenti e bio diesel. Il tutto, però, a discapito della natura e dell’ambiente.

Frutto della palma da olio 

È il 2009 quanto il governo di São Tomé concede 5000 ettari, pari al 5% del territorio del paese, ad Agripalma, che fa capo alla multinazionale belga lussemburghese Socfin. Secondo le intenzioni del governo, gli investimenti della multinazionale avrebbero dovuto contribuire allo sviluppo economico di alcune zone povere dell’arcipelago.

La deforestazione vista da un drone

La realtà, tuttavia, si dimostra molto diversa. La multinazionale, infatti, sembra non rispettare il diritto ambientale delle isole a tutela e conservazione della fauna, della flora e delle Aree protette, oltre all’impatto ambientale.

Ruspe in azione nella foresta per fare posto alle piantagioni di palme da olio

Un’inchiesta della sezione francese di Greenpeace, partita in seguito alle proteste degli abitanti di São Tomé ha rilevato come siano state abbattute zone di foresta non comprese nella concessione e che le coltivazioni di palme da olio si siano estese su terreni utilizzati dalla popolazione per l’agricoltura di sussistenza, in particolare nelle aree adiacenti al Parco Nazionale di Obo.

Alberi bruciati ai confini con il Parzo Nazionale di Obo

È nato quindi un movimento civico per sensibilizzare il governo e chiedere di fermare la deforestazione. I cambiamenti ambientali, tuttavia, sono tangibili e mettono a serio rischio l’ecosistema.

Un aiuto dall’Italia e dall’ONU

In questo quadro c’è anche una buona notizia, anzi due. L’Onu, di cui la Repubblica di São Tomé e Principe fa parte, finanzierà con 4,1 milioni di euro un progetto per promuovere la funzionalità degli ecosistemi e contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici. In particolare, si punta a favorire il ripristino e la gestione delle foreste, migliorare lo sfruttamento delle risorse forestali in un’ottica sostenibile e contrastare il disboscamento illegale.

Lo scorso anno, poi, anche l’Italia ha firmato a Katowice un protocollo di intesa con la Repubblica di São Tomé e Principe che prevede un cofinanziamento di 2 milioni di euro a supporto di programmi di promozione e sviluppo di energie rinnovabili, preservazione della biodiversità, scambio di risorse umane e cooperazione per contrastare i cambiamenti climatici e promuovere la gestione sostenibile dei rifiuti.

Andare a São Tomé…per una volta

Fuori dalle rotte del turismo di massa São Tomé e Principe è una destinazione che ha molto da offrire, grazie alla sua natura rigogliosa, alle sue spiagge incontaminate e ai suoi picchi di origine vulcanica. Un turismo sostenibile, poi, contribuisce all’economia della popolazione, smarcandola dal business legato all’olio di palma. Ecco perché vale la pena sceglierla come terra da scoprire e meta di una prossima vacanza.

La capitale, Saõ Tomé

La capitale, Saõ Tomé è la città più grande dell’arcipelago e si trova a 5 km dal Saõ Tomé International Airport, dove arrivano tutti i voli internazionali. La città offre un bel esempio di architettura coloniale, mescolata a una frizzante atmosfera africana. Le sue dimensioni ridotte la rendono facilmente visitabile anche a piedi.

Taxi in coda davanti al mercato principale di Saõ Tomé

Potete cominciare con una visita alla cattedrale di Santa Fé, situata di fronte al Palácio Presidencial, un singolare edificio color rosa pastello, sede della presidenza della Repubblica.

Il Palácio Presidencial,

Al di là della strada pedonale si trova il fiume Agua Grande, attraversato da diversi ponti, che conducono in altre zone interessanti della città. Lasciandosi il fiume sulla destra si arriva al litorale, dove, presso la baia di Ana Chaves, si possono incontrare i pescatori intenti a scaricare il pesce appena pescato dalle loro variopinte canoe.

La baia di Ana Chaves al tramonto

Poco distante, merita una visita anche Feira do Ponto, un altro pittoresco mercato dove si può trovare davvero di tutto, dal pesce alla carne, dagli abiti agli utensili, ai manufatti di artigianato. Poco distante, il Mercado Municipal consente di immergersi nella vita quotidiana degli abitanti dell’isola e acquistare ottima frutta tropicale, verdura, uova e fiori.

L’ingresso del Mercado Municipal

Subito a destra, si trova, invece, il Palácio de Justiça, dalla parte opposta della strada, c’è invece il Parque Popular è un’oasi di verde nel cuore della città, dove potersi concedere una pausa in uno dei numerosi bar e ristoranti. Tornando verso il lungomare, sulla destra, si può trovare la piccola cappella del Bom Jesus, mentre, sulla sinistra, si trova il porto di Saõ Tomé, da dove partono i collegamenti per l’isola di Principe.

Verso l’isola di Principe

In questa merita una visita la splendida fortezza di São Sebastião, sede del Museo Nazionale. Costruito circa 400 anni fa, conserva testimonianze della storia dell’isola.

La fortezza di São Sebastião,

Di fronte alla fortezza si trova anche il monumento degli scopritori dell’arcipelago, João de Santarém, Pêro Escobar, che sembrano dare il benvenuto ai visitatori.

Le statue degli esploratori portoghesi che hanno scoperto l’arcipelago

Sempre seguendo il lungomare, si arriva in un pittoresco quartiere residenziale, dove i muri delle case sono dipinte da colori pastello. A poche centinaia di metri si trova anche il Palácio dos Congressos uno splendido e moderno edificio costruito dopo l’indipendenza del paese, nel 1975.

 

Il moderno Palácio dos Congressos

Le spiagge di Saõ Tomé

L’isola vanta ben 209 chilometri di costa con spiagge variegate tra sabbia bianca e nera oppure ciottoli. Le più belle si trovano nella parte Nord, come la splendida Lagoa Azul. La spiaggia è piuttosto piccola e sassosa, ma si specchia in una laguna dove i colori dell’acqua spaziano dal blu al turchese al verde smeraldo.

Panorama della Lagoa Azul.

La laguna è circondata da prati verdi e alberi di baobab mentre, da un piccolo promontorio situato alle sue spalle si può ammirare il panorama dell’intera isola.

Le rocce vulcaniche a Praia das Conchas

Un’altra bella spiaggia del Nord è Praia das Conchas. Proseguendo lungo la costa Est, all’altezza di Agua Izè, si trova poi la spettacolare Boca do Inferno. La forma della scogliera, infatti, fa sì che il mare si incanali in uno stretto corridoio e, successivamente, in una grotta. Quest’ultima rimane scoperta per un tratto e, a seconda del movimento delle onde, emette un impressionante sbuffo d’acqua

La spettacolare Boca do Inferno.

Nella zona Sud, a circa 85 km dalla capitale, si trovano invece le spiagge di Praja Piscina e di Praia Jalè, dove non è difficile incontrare le tartarughe marine giganti, che vi fanno tappa per deporre le loro uova.

Le sabbie dorate di Praia Jalè

L’osservazione delle tartarughe avviene all’alba ed è resa possibile grazie ad un progetto di conservazione della biodiversità realizzato dalla Ong Marapa (www.marapa.org). La Ong organizza anche escursioni come un suggestivo tour delle mangrovie, l’osservazione dei delfini e possibilità di visitare i villaggi e mangiare con la popolazione locale.

Una tartaruga marina intenta a deporre le uova

L’Obo National Park e la sua biodiversità

Per chi desidera alternare le giornate sulla spiaggia all’escursionismo e al trekking, l’interno dell’isola offre splendidi paesaggi di vulcani spenti, montagne e cascate, il tutto circondato da una rigogliosa vegetazione tropicale.

La folta vegetazione equatoriale dell’Obo National Park

Un buon punto di partenza è la cittadina di Trinidade, da dove si può iniziare la salita al Pico Saõ Tomé , un vulcano spento che, con i suoi 2.024 metri, è la vetta più alta dell’isola. Il tour operator locale Navetur – Equatour (www.navetur-equatour.st) per esempio, propone escursioni al Pico Saõ Tomé e alla Laguna Amelia.

Verso il Pico Saõ Tomé

Da non perdere poi la Cascata di Sao Nicolau, uno spettacolare salto d’acqua circondato da una fitta vegetazione tropicale e da fiori variopinti.

La Cascata di Sao Nicolau

Il Pico Saõ Tomé si trova all’interno del Obo National Park, che copre il 30% della superfice del paese. Suddiviso in due aree, una di 235 km quadrati sull’isola di Saõ Tomé e l’altra di 65 km quadrati sull’isola di Principe, include diversi percorsi turistici, lungo i quali è possibile compiere escursioni guidate, molte delle quali partono da Bom Successo, per ammirare la favolosa biodiversità, tra cui la foresta equatoriale, le mangrovie, diverse specie di orchidee, ma anche uccelli, scimmie e insetti.

Uno degli ospiti del parco

Altre vette importanti dell’area sono il Pico de Principe, che raggiunge quasi i 1000 metri, il Pico Calvário, il Pico Cabumbé, Pico Papagaio, e il Pico Cão Grande. Mete che, siamo sicuri, vi lasceranno un bagaglio di emozioni e ricordi da portare sempre con sé.

COME ARRIVARE

Dall’Italia si può raggiungere Saõ Tomé da Roma, con scalo a Lisbona, con la compagnia aerea portoghese TAP (www.flytap.com). Da Lisbona a Saõ Tomé occorrono circa 8 ore di volo. Anche la compagnia delle isole STP Airways (www.stpairways.st) invece collega regolarmente Lisbona a Saõ Tomé.

DOVE DORMIRE

*Bom Bom Island Resort****, Principe Island, tel. +239 2251141, www.bombomprincipe.com). Situato sull’isola di Principe, dispone di 25 bungalows situati di fronte a due splendide spiagge. Disponibile anche un ristorante, bar e club house.

*Pestana Miramar São Tomé ****, Av. Marginal 12 de Julho, 69 Água Grande, São Tomé e Príncipe, tel +239. 222 2778, www.pestana.com. Dispone di  54 camere e 5 suite, ognuna dotata di balcone e aria condizionata. A disposizione piscina e giardino tropicale di 1000 metri quadrati, ristorante con cucina internazionale. Possibilità di organizzare escursioni.

*Omali Lodge****, Praia do Lagarto, São Tomé e Príncipe, tel +239 222 2350, www.omalilodge.com . A 1,5 km dalla capitale São Tomé, nel cuore dell’Obo National Park, dispone di 30 suite con aria condizionata, satellite, collegamento wireless, due piscine con bar e Spa, campi da tennis e palestra. Per gli ospiti incluso nel servizio trasferimenti da e per l’aeroporto.

DOVE MANGIARE

*Filomar, Praia Lagarto, Sao Tome, São Tomé Island, +239 222 1908. Sulla strada per l’aeroporto, vicino a Marlin Beach, propone un menù di carne e di pesce fresco. Tra le specialità: pesce alla griglia con salsa di frutti di bosco ed erbette.

*Paraiso dos grelhados, Av. do Marginal, São Tomé, , tel +239 224469.
Locale economico, che offre ottimi e abbondanti piatti locali e pesce alla griglia. Si mangia all’aperto.

*Xico’s Café, Praça de Solidariedade e Amizade entre os Povos, São Tomé, tel. +239 222 1557. Simpatico locale adatto per spuntini e merende. Offre snacks dolci e salati e ottime crepes. Happy hour a base di prodotti locali.

INFO

www.visitsaotome.com

www.saotomeislands.com




In Namibia con un autentico 4X4

La Namibia è la vera Africa, di cui ormai parlano tutti e di cui abbiamo già parlato anche noi, ma stavolta è “Auto&Donna” a raccontarvela in una meravigliosa avventura 4×4.

Di Francesca Sirignani

La magia di un paesaggio unico al mondo, le emozioni della scoperta, gli occhi pieni della bellezza di una natura selvaggia che lascia senza parole: un viaggio in Namibia non è tale senza trascorrere qualche tempo immersi in questo scenario surreale, un viaggio che permette di ammirare i principali parchi nazionali, le città caratterizzate da architetture coloniali e le dune del Namib.

E stavolta “AUTO&DONNA” ha voluto vivere l’Africa in fuoristrada. Un tour in 4X4 è sempre un’esperienza meravigliosa: che si tratti di un’impresa epica di più anni o di una vacanza di un paio di settimane. Si tratta di rievocare un senso di libertà, sperimentare una vita pura, fare nuove amicizie, esplorare luoghi diversi che fanno parte della lista dei desideri di molti viaggiatori.

La dilagante moda dei SUV ha negli anni imborghesito sempre più le vetture 4×4 da cui derivano. I SUV moderni, ormai, sono vetture sofisticate che non si prestano certo ai duri impieghi africani. Lo sanno bene le guide di queste parti che utilizzano ancora vetture 4×4 progettate nel secolo scorso e principalmente prodotte in Giappone. Come il glorioso Nissan Patrol, protagonista del nostro viaggio, con tanti chilometri sulle spalle, ma privo di tutto ciò che può rompersi. Il Patrol ha un telaio convenzionale a longheroni, traverse e ponti rigidi come quelli di camion, caratteristiche heavy duty perfette per rompersi il meno possibile

La Namibia è la destinazione giusta per chi non si accontenta del mare e della vacanza organizzata, poiché sa regalare numerose occasioni di scoperta e di avventura alla ricerca della libertà: dai deserti, il Namib e le dune del Kalahari, che si tuffano verso l’Atlantico, alla savana con colonie di leoni, zebre, antilopi, elefanti e giraffe. Dal suo canyon, all’alba sulla Duna di sabbia 45, con i suoi 390 metri di altezza (la più alta del mondo), dal surf sulle dune al kayak nelle lagune, da un volo in mongolfiera sul deserto a percorsi divertenti a bordo di un 4×4.

Namibia del nord. 1° e 2° giorno: Roma – Windhoek – Windhoek – Otjiwarongo

Ci troviamo all’aeroporto di Roma Fiumicino e partenza per Windhoek con voli Qatar, facendo uno scalo a Doha, per una durata complessiva del viaggio di 15 ore circa. Arrivati in Namibia, il giorno dopo iniziamo il nostro tour a bordo di un Nissan Patrol, da Windhoek, per poi arrivare a Okahandja, fino al nostro alloggio a Otjiwarongo.

Un tour in questo affascinante Paese, generalmente, inizia proprio con la visita della sua capitale Windhoek: moderna ed europea nel centro e nelle zone residenziali dei bianchi, povera e africana nei sobborghi dei neri. Poco per volta, fortunatamente, la rigida separazione tra bianco e nero si sta allentando.

Windhoek non è solo la capitale del Paese bensì anche l’unica grande città della Namibia: sede del governo, importante nodo stradale e centro economico e culturale. Vi si trova l’unica università della Namibia e, alle porte della città, si trova l’unico aeroporto internazionale.

Windhoek è dunque la prima tappa del viaggio per la maggior parte dei turisti provenienti dall’Europa. La città si trova a circa 1.600 metri sopra il livello del mare. D’estate non fa quindi molto caldo mentre d’inverno, talvolta, fa sensibilmente freddo.

Per gli standard africani, la Namibia dispone di una rete stradale molto ben sviluppata. Il 90% delle strade, tuttavia è costituito da piste di ghiaia (pads) che vengono regolarmente curate con imponenti pialle. Inoltre bisogna ricordare che in Namibia si guida sul lato sinistro quindi il volante è sempre a destra. Sulle strade asfaltate di grande comunicazione il limite di velocità è pari a 120km/h, sulle strade in ghiaia a 100 km/h. Nei centri abitati il limite si abbassa a 60 km/h.

Guidare in fuoristrada

Attenzione: anche in Africa i radar si trovano proprio dove uno non se li aspetta. Ma guidare un fuoristrada non ha niente a che vedere con la velocità, sui terreni difficili contano molto di più la sicurezza e l’obiettivo di non bloccarsi. Per riuscirci ci vogliono prudenza e soprattutto esperienza.

Fondamentale è tracciare una traiettoria ideale ed essere pronti a sterzare in tempo alle infinite buche e cercare, quindi, di risparmiare botte troppe decise e sassi taglienti, ricordandoci che il più semplice guasto può provocare ritardi e problemi enormi in Namibia.

Non bisogna neanche farsi indurre dagli autoctoni a sfrecciare a gran velocità perché loro hanno anni di esperienza su queste piste. Non si devono, inoltre, ignorare i cartelli di pericolo, ad esempio curva o dosso, e non bisognerebbe mai guidare sulle piste di notte. Carretti non illuminati, trainati da asini, possono comparire improvvisamente, i dissesti della strada sono pressoché invisibili e si deve mettere in conto di trovarsi degli animali sul percorso. Inoltre, sarebbe bene sfruttare ogni possibilità di rifornirsi di carburante: talvolta la stazione di servizio a cui si puntava è chiusa o è rimasta anch’essa a secco.

Un viaggio in fuoristrada in Namibia è anche divertimento, scoperta, avventura. Ci si può fermare quando si vuole per fare una foto o per ammirare un paesaggio mozzafiato. Non occorre una particolare preparazione, ma è indispensabile avere spirito di adattamento, godersi ogni momento del viaggio inclusi gli imprevisti, che ne danno un valore aggiunto!

3 ° e 4° giorno: da Otjiwarongo all’ Etosha National Park

Dopo una colazione, partiamo con il nostro fuoristrada verso il Parco Nazionale di Etosha. La guida del Nissan Patrol continua a essere molto piacevole, seppur diversa da molte moderne vetture: il cambio e lo sterzo sono precisi, ma un po’ duri per una donna. La frenata, garantita da 4 dischi, è ottima.

Solidità e affidabilità sono verificate. Sia davanti che dietro, possono sedersi comodamente anche i più alti e robusti. Il baule, poi, è veramente ampio con un accesso comodo grazie al doppio portellone posteriore, largo, alto, profondo e di forma regolare con ganci per fermare il carico.

Entriamo nel cuore della Namibia, arrivando all’Etosha National Park: il più grande parco del Paese e anche uno dei più famosi in Africa. Situato a nord, non lontano dal confine con l’Angola, ha una superficie di circa 22.000 chilometri quadrati e ospita una gran varietà di animali. Gli “inquilini” più illustri in cui ci si imbatte sono elefanti, rinoceronti, zebre, giraffe, struzzi, antilopi e, soprattutto, i leoni.

Qui è possibile avvistare un gran numero di animali nello stesso luogo, grazie al numero esiguo di pozze d’acqua durante la stagione secca (la nostra estate) che costringe così gli animali a concentrarsi insieme per bere.

Il parco si può percorrere con auto in lungo e in largo nelle aree riservate al pubblico rispettando i limiti di velocità (60 km/h) e il divieto assoluto di scendere dal veicolo: qui infatti è l’uomo a essere ingabbiato. I momenti migliori per avvistare gli animali sono solitamente le prime luci dell’alba e il tardo pomeriggio.

All’interno del parco si trovano tre campi ottimamente gestiti dove è possibile mangiare e pernottare in confortevoli “bungalow”, con camere singole o doppie, acquistare anche generi alimentari, benzina, ufficio postale e un centro di informazioni.

L’Etosha National Park, però, è molto di più. Quasi in nessun altro luogo si incontrano mandrie così grandi. Ecco perché i safari nell’Etosha National Park sono fra le esperienze più forti di un viaggio in Namibia.

Il parco nazionale misura oltre 300 km da est a ovest e 110 km da nord a sud. La sua estensione è pari a quella di metà della Svizzera. L’altitudine media è di circa 1.100 metri. Su questo ampio paesaggio non soffia alcuna brezza rinfrescante. Il sole brucia incandescente e anche l’aria sembra provenire da un phon…

Distanza di viaggio: 183,7 km

5 ° giorno. Etosha Sud a Sesfontein

Dopo colazione lasciamo l’Etosha Park e guidiamo, via Kamanjab, verso un villaggio Himba. La visita a questa straordinaria tribù sarà un punto culminante del nostro viaggio attraverso la Namibia. Nessuna fotografia o parola sono in grado di catturare la dignità e l’orgoglio con cui tali individui veri vivono in armonia con la natura.

Gli Himba sono persone semi-nomadi e sono uno dei gruppi etnici più fotografati della Namibia, grazie al loro aspetto unico. Le donne Himba hanno un aspetto particolare e possono dedicare molte ore alla loro cura di bellezza ogni mattina, sfregando i loro corpi con una crema a base di grasso e di polvere di ocra che dà al corpo una sfumatura rossastra.

Si tratta di un miscuglio fantastico che protegge la pelle dal sole e persino dal freddo della notte. Cosa inimmaginabile per gli europei, visto il caldo: presso gli Himba lavarsi è vietato, una consuetudine che si spiega con la cronica mancanza di acqua.

Ci sono circa da 20.000 a 50.000 persone Himba che vivono nel nord della Namibia, nella regione del Kunene. Parlano la stessa lingua degli Herero e allevano prevalentemente bovini e capre. Abiti, acconciatura e gioielli sono di particolare importanza per l’Himba.

Sul territorio della Namibia vivono, attualmente, nove maggiori gruppi etnici. I popoli Bantu, che parlano le lingue Bantu (tra cui gli Ovambo e i Kavango), costituiscono più dell’80% della popolazione. Ai popoli Bantu appartengono anche gli Herero. Le donne Herero, in particolare, sono interessanti, perché ancora oggi indossano gli abiti ampi e i grandi cappelli che hanno adottato in epoca vittoriana dalle donne delle missioni.

Gli Himba, invece, sono il popolo africano che ha saputo, forse, preservare al meglio le sue tradizioni e i suoi riti. Se le donne di questo popolo di pastori, in passato seminomade, sono in gran parte diventate stanziali, gli uomini si spostano ancora con le loro greggi per le savane.

Distanza percorsa: 390,5 km

E domani…la seconda parte




Mozambico, la perla dell’Africa

Continuiamo il nostro percorso africano e dopo Kenya, Namibia, Zimbabwe, Uganda, Botswana è la volta del magico mondo del Mozambico, destinazione che da alcuni anni sta interessando il panorama internazionale dei viaggiatori. Coloro i quali amano l’avventura e la natura selvaggia è in Mozambico che troveranno il luogo ideale.

Mozambico

Decidere di affrontare un viaggio in Mozambico significa voler scoprire l’Africa più vera, andare alla ricerca dei lati più autentici per assaporarne le tante bellezze naturali.

Ma identifichiamo meglio il Paese: su una superficie di circa 800.000 kmq il Mozambico presenta la parte nord punteggiata di altopiani, la parte centrale e meridionale coperta di  pianure riccche di fiumi, e la costa invece costellata di pianure alluvionali. La parte costiera, che si sviluppa per 2.500 chilometri, offre spiagge conosciute in tutto il mondo. Come la spiaggia di Barra, con le sue dune di sabbia bianca, mangrovie circondate da alte palme e un mare blu cobalto dove nuotano megattere, delfini e mante tra le più grandi mai viste.

Mozambico

Confina a nord con la Tanzania, il Malawi e lo Zambia, a sud con il Sudafrica, a ovest con lo Zimbabwe e lo Swaziland ed è bagnato a est dall’Oceano Indiano. Il periodo migliore per visitare il Paese è l’estate, da giugno ad agosto, per evitare le abbondanti piogge e godere di una temperatura mite ma non torrida.

Ma cosa visitare una volta giunti sul posto? Innanzitutto la capitale, Maputo, con i suoi bellissimi edifici di fine Ottocento e inizi Novecento. La città è suddivisa in zone; tra queste  la più interessante è la Baixa dove sono ospitati edifici storici e molti musei. Imperdibile la visita al palazzo della stazione ferroviaria considerato un vero e proprio capolavoro di tecnologia futuristica costruita nel 1908 e terminata intorno al 1916.

Mozambico

Poco distante ecco  Praça da Independência, la piazza pubblica,  dove è possibile ammirare la statua di Samora, militare, rivoluzionario nonché primo Presidente del Mozambico. Direttamente sulla piazza prospetta il municipio, edificio neoclassico estremamente interessante. Ma ciò che non dovete perdere è la Cattedrale di Nostra Signora dell’Immacolata Concezione, conosciuta anche come Cattedrale di San Nicola, costruita nel 1936.  È un suggestivo edificio Art Déco che si ispira per alcuni aspetti alla chiesa di Notre Dame di Parigi  e per altri alla chiesa di Nostra Signora di Fatima di Lisbona . Al suo interno sono conservate opere d’arte di grande rilievo.

Mozambico

Gli amanti della botanica non debbono mancare la visita in Rua Henrique de Sousa  ai Tunduru Gardens, giardino pubblico progettato nel 1885 da un giardiniere britannico. L’area verde non è particolarmente grande ma ricca di tante specie di alberi.

Per concludere visitate la fortezza di Nostra Signora della Concezione risalente al 1787, testimonianza dell’insediamento portoghese;  al suo interno si trova un museo di storia.

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Dopo la visita della capitale vi consigliamo di dirigervi verso nord  per 800 chilometri ( circa 45 minuti d’aereo)  per raggiungere l’isola di Bazaruto, un angolo di paradiso diventato famoso per il suo mare e le sue spiagge bianche per non parlare delle barriere coralline abitate da centinaia di pesci tropicali. Considerate che tutta l’area tra la terraferma e la barriera corallina è Parco Nazionale Marino. Quest’isola è lunga circa 35 chilometri. Che cosa piace qui oltre alle bellezze naturali? La tranquillità, la pace assoluta senza strade, senza flussi scatenati di turisti. Due piccoli villaggi abitati da pescatori e due lodge questo è  quello che offre Bazaruto. Ma questo arcipelago è composto da tante piccole isole: Benguerra, Magaruque, Bangue, Santa Carolina tutte rientranti nel Worldwide Fund of Nature. Chi ama gli animali qui potrà conoscere il dugongo, parente alla lontana del lamantino, mammifero in via di estinzione conosciuto anche come “mucca di mare”.

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Ma Africa significa safari e dunque non perdete l’opportunità di vivere un’esperienza meravigliosa osservando gli animali e la fauna all’interno del Gorongosa National Park, 4.000 chilometri quadrati di paradiso con animali allo stato libero: elefanti, leoni, gattopardi africani, bufali, antilopi, gazzelle, impala e tanti altri.  È un’area protetta e si trova esattamente nella Great Rift Valley del Mozambico centrale. Gli scenari mutano da foreste e savane a laghi, paludi, fiumi. All’interno del parco ci sono pochissimi bungalow proprio per salvaguardare l’habitat naturale.

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Gattopardo africano

Il parco ha subito in passato gravi danni a causa dei bracconieri e della popolazione ridotta alla fame che si procurava cibo uccidendo gli animali. Oggi grazie ai diversi ecosistemi del Parco è ritornato ad essere un Eden. Il vostro angolo di paradiso.

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ll dhow la tipica imbarcazione a vela




Etiopia sconosciuta: i castelli e gli obelischi dell’impero (1°parte)

Di Paolo Pobbiati

Quando si parla di Etiopia, il pensiero di molti va al periodo in cui questo paese è stato parte dell’impero italiano. In realtà si tratta di un paese con una storia straordinariamente ricca e unica, con una cultura fortemente connotata dalle sue radici religiose: fu infatti cristianizzata nel V secolo – molto prima di gran parte dell’Europa – da monaci sfuggiti dalla repressione delle dottrine dichiarate eretiche in quei decenni, ma ancora prima aveva intrecciato la sua storia con quella dell’ebraismo.

La dinastia dei negus negesti, gli imperatori di Etiopia, rivendica la discendenza da Menelik I, figlio di re Salomone e della Regina di Saba. Questi, secondo il Kebre Negesti, il Libro dei Re, venne da Gerusalemme portando con sé i rappresentanti delle 12 Tribù di Israele, i cui discendenti, i felasha o ebrei neri, vissero nel paese sino agli anni ’80 del XX secolo, quando furono organizzati avventurosi ponti aerei per trasferirli in Israele.

La linea di discendenza arriva sino all’ultimo monarca, Haillé Selassié, ucciso dopo il colpo di stato di Hailé Mariam Menghistu nel 1975. Menelik avrebbe portato anche una reliquia centrale nel rapporto degli Ebrei con Dio: l’Arca dell’Alleanza, quel tabernacolo che per ordine divino Mosé costruì per contenere le Tavole della Legge e a cui da sempre vengono attribuiti poteri straordinari, che in effetti scompare dalla narrazione biblica appena dopo il periodo in cui visse Salomone, e che secondo la tradizione, oggi si troverebbe ancora qui in Etiopia.

Come accennavo prima, un paese unico, e molto diverso da ciò che comunemente si pensa si possa trovare in Africa. Il viaggio nelle zone dell’altopiano nel nord del paese ci consentirà di ammirare le vestigia di questa originalissima genesi storica.

Addis Abeba, la capitale

Il nostro giro comincia dalla capitale. È una città relativamente giovane – sino alla seconda metà del XIX secolo era solo un villaggio di capanne – ma che negli ultimi decenni si è sviluppata e trasformata in maniera radicale, andando ad assomigliare a molte altre megalopoli africane. Molto estesa e caratterizzata da grattacieli e quartieri per ricchi alternati a slum poverissimi, ha conservato poco dell’eredità italiana, molto meno che altri centri, a parte qualche edificio e il nome del quartiere centrale: Piazza.

Oggi è terra di conquista per investitori, soprattutto cinesi, che la stanno radicalmente trasformando e rappresenta meglio di altri posti il simbolo di un paese che sta cercando faticosamente la sua via per la modernità. Pochi i luoghi in città la cui visita non andrebbe persa: tra questi il Museo Nazionale, che oltre a una serie di reperti, alcuni davvero meravigliosi, che documentano le differenti fasi storiche del paese, conserva lo scheletro di Lucy, l’esemplare di australopitecus hafarensis che è stato a lungo considerato la testimonianza più antica di un nostro antenato diretto.

Vale la pena soffermarsi anche qualche minuto davanti al monumento delle vittime delle rappresaglie italiane seguite al fallito attentato nei confronti dell’allora viceré, il maresciallo Graziani, nel febbraio del 1937. Furono brutalmente e barbaramente trucidate da 2 a 4mila persone a seconda delle fonti: attivisti per l’indipendenza, ma anche uomini e donne scelti a caso, fermati per strada o stanati nelle loro abitazioni, in una scellerata “caccia al negro”, e la quasi totalità dei monaci del monastero di Debre Libanos, considerato uno dei centri della resistenza etiopica. Come già aveva dimostrato l’uso di iprite e di altri gas asfissianti durante la conquista, noi italiani non fummo “brava gente”, i colonizzatori buoni, come l’immagine passata da una certa retorica ha cercato di tramandare.

Il lago Tana e le cateratte del Nilo Azzurro

È uno dei più grandi bacini d’acqua dell’Africa Orientale. Conviene fare tappa a Bahar Dar, l’unico centro di una certa rilevanza sulle sue coste, dove si può contare su spartane ma confortevoli strutture alberghiere e turistiche. Anche qui non c’è molto da visitare in città, a parte un pittoresco mercato, ma rappresenta una base ideale per delle escursioni in barca sul lago, sulle cui sponde vi sono diverse chiesette molto interessanti, sia per l’originalità delle pitture con cui sono decorate sia per i reperti storici, manoscritti o altri oggetti sacri o che sono appartenuti ad antichi sovrani, che possono essere visti in piccoli musei o dando una mancia al guardiano.

La destinazione principale è quella dell’isola di Dek, con una delle chiese più splendide e meglio conservate, Narga Selassié, fatta costruire dalla itegué Mentewab, di cui vi parlerò più avanti. La struttura è tipica delle chiese etiopi: si tratta di una costruzione circolare con un tetto a cono – che riprende la struttura dei tukul, le tipiche abitazioni locali – circondata da un muro di cinta con tredici torri, che simbolicamente rappresentano Gesù con gli apostoli.

All’interno una struttura di forma cubica, riccamente decorata con pitture rappresentanti episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento, all’interno del quale si trova il Tabot, il simulacro dell’Arca dell’Alleanza, il cui ingresso è riservato unicamente ai sacerdoti.

Dal lago Tana passa anche il percorso del Nilo Azzurro, le cui sorgenti si trovano a qualche decina di chilometri a sud del lago. Un’altra escursione che vale sicuramente la pena di fare da Bahar Dar è quella a Tis Isay, il Salto del Nilo, la prima delle sue cateratte. Poco rimane del maestoso fronte di oltre 400 metri che impressionò i primi europei che le videro – alcuni gesuiti nel XVII secolo e l’esploratore scozzese James Bruce che oltre a eseguire dettagliati rilievi cartografici, ne fece una eccellente descrizione circa un secolo dopo.

Ma questo salto di oltre 80 metri resta impressionante e il colpo d’occhio dalla collina prospiciente alla cascata è comunque impressionante. Se ci andate ricordate di portare abiti che vi riparino dall’acqua e scarpe adatte a un terreno particolarmente scivoloso. Ma siccome è probabile che vi avvierete sulla strada del ritorno completamente bagnati e sporchi di fango, soprattutto se ci andrete d’estate, portatevi anche dei vestiti di ricambio.

Gondar e le vestigia imperiali

Fu la capitale dell’impero per quasi un secolo e mezzo, tra il 1636 e il 1771. L’imperatore Fasilladas decise che l’impero aveva bisogno di una capitale stabile e scelse questa località, centrale, all’incrocio fra importanti vie commerciali e protetta dalle colline circostanti. Si fece costruire utilizzando architetti portoghesi e indiani un palazzo fortificato, un vero e proprio castello. “Si imponeva alla vista un corpo massiccio di forma cubica sovrastata da una merlatura, che si sviluppava in due piani. Il piano più alto mostrava una lunga balconata in legno che collegava tre ampi finestroni a ogiva, che più che a una struttura difensiva faceva pensare a un palazzo di rappresentanza.

Agli angoli del palazzo vi erano quattro torri circolari sovrastate da una cupola e sopra il lato destro si ergeva un mastio quadrangolare, anch’esso merlato, collegato a uno dei torrioni della recinzione da un camminamento”. Ne furono edificati altri dai suoi successori, in una gara di crescente magnificenza. Si possono ammirare, anche se molti sono oramai in rovina, nel compound imperiale nel centro di questa piacevole cittadina, avendo l’impressione di essere in Scozia o in Bretagna piuttosto che in Africa. Il centro di Gondar invece conserva ancora le tracce della presenza italiana, con palazzi che la fanno assomigliare a un borgo degli anni ’30 delle nostre parti. Non manca nemmeno il Bar Ethiopia, graziosamente arredato all’italiana. Oltre ai castelli ci sono altri luoghi da non perdere. La Piscina di Fasilladas è un laghetto artificiale con al centro una piccola chiesa, inserito in un piacevolissimo giardino di alberi centenari.

Qui, in occasione della festa del Timkat, il giorno dell’Epifania, migliaia di persone si gettano in acqua per celebrare il battesimo di Cristo. E poi c’è quell’autentico gioiello rappresentato dalla piccola chiesa di Debre Berhan Selassié, la Chiesa della Santissima Trinità. La piccola costruzione a forma di parallelepipedo è la ricostruzione dei primi anni del ‘900 della chiesa originale distrutta da un incendio.

La sua particolarità è data dalle pitture che rivestono completamente il suo interno. Entrando dalla posta principale ci si trova di fronte una curiosa rappresentazione della Trinità cristiana, nella quale Padre, Figlio e Spirito Santo sono dipinti come tre uomini anziani barbuti assolutamente identici, secondo la concezione della Chiesa Tewahedo Etiopica che considera Cristo nato due volte grazie allo Spirito Santo, e pertanto la loro rappresentazione divina coincide con quella del Padre.

L’immagine sovrasta un Gesù crocifisso il cui sangue cola nella bocca assetata del teschio di Adamo. Sulle pareti scene della vita di Cristo e dei santi etiopici. Ma vi consiglio di entrare nella chiesa guardando all’insù, per incrociare subito lo sguardo di decine di angioletti che dai cassettoni del soffitto guardano verso il basso.

A qualche chilometro dal centro c’è il palazzo di Qusquam anzi le sue rovine, visto che dopo le devastanti incursioni dei dervisci sudanesi nell’800, i bombardamenti inglesi sulla locale guarnigione italiana durante la II guerra mondiale hanno fatto il resto. Rimane un luogo molto suggestivo, oltre per ciò che rimane del palazzo e per la sua posizione anche per la straordinaria storia di chi ci abitò: l’itegué Mentewab. Itegué significa “regina consorte”.

In una linea rigidamente patrilineare come quella dei negus, questa donna dotata di una spiccata personalità e di un intuito non comune dimostrò tutto il suo talento nel gestire le dinamiche di corte e con sorprendente abilità riuscì a mantenere il controllo dell’impero per circa tre decenni. Bellissima – questo significa il suo nome – fu moglie del negus Bakaffa, e alla morte di lui fece in modo di far nominare imperatore il figlio Yasu, ancora bambino, di cui però riuscì ad avere la tutela. Anni dopo, alla morte di Yasu, impose come successore il nipote Yohannes, e anche in questo caso, con un abile colpo di mano per sbarazzarsi della nuora, ne ottenne la tutela.

Donna colta, intelligente e molto determinata, accompagnò la fase finale di questo impero, avviato alla dissoluzione sotto le spinte di conflitti etnici, politici e religiosi, senza poterla impedire. Fu emarginata dalla vita politica nei suoi ultimi anni da ras Mikael Sehul, un comandante militare del Tigray, una regione nel nord dell’Etiopia, che proprio lei aveva chiamato a Gondar per difendere il trono. Visse i suoi ultimi anni qui a Qusqwam e le sue ossa riposano qui, esposte (!) nel piccolo museo annesso al palazzo.

Axum, alla ricerca dell’Arca dell’Alleanza

In una rete stradale non certo ottimale vale la pena di effettuare il trasferimento da Gondar ad Axum via terra per poter godere della straordinaria serie di panorami offerti dai monti Simien. Qui siamo in un mondo molto più affine al nostro immaginario sull’Africa. Ricco di corsi d’acqua che si riversano nel fiume Tekeze è un territorio ideale per gli appassionati di trekking, così da poter raggiungere villaggi montani isolati dove il tempo sembra essersi fermato. Si possono avvistare animali come i babbuini gelada o gli stambecchi, e con un po’ di fortuna qualche lupo abissino.

Nella parte più settentrionale del paese c’è Axum, che fu la prima capitale dell’impero a partire dal IV secolo AC per millequattrocento anni, oggi un tranquillo villaggione polveroso. Rimangono poche vestigia di quel mitico impero, concentrate per lo più nel Parco delle Steli, dove si possono ammirare i monumenti funerari in pietra dei sovrani che vi regnarono.

Ve ne sono alcune decine, e alcune slanciano ancora verso l’alto le loro forme caratteristiche che rappresentano la stilizzazione di una casa, in uno stile caratteristico che ha influenzato l’architettura etiopica per secoli. La più grande, 33 metri, non fu mai eretta: collassò al suolo spezzandosi in tre tronconi, e lì è rimasta. Poco oltre vi è la stele che per oltre 70 anni è stata a Roma a Porta Capena, trafugata dagli italiani come bottino di guerra e restituita nel 2008 dall’Italia, e che oggi è tornata al suo posto originario.

Di fronte al Parco si trova la cattedrale di Santa Maria di Sion. Pur trattandosi del luogo di culto cristiano più antico, costruito dal primo negus cristiano, Ezana, della costruzione originale, distrutta dalla mitica regina Giuditta, auto investitasi della missione di riportare l’ebraismo come religione nazionale, e seicento anni dopo dai musulmani somali, non rimane praticamente nulla.

Oggi è consiste in due costruzioni, molto diverse fra loro: la prima – ad opera del negus Fasilladas, quello che aveva fondato Gondar, con il suo corredo di splendide immagini sacre dipinte sulle pareti (ma è visitabile solo dagli uomini) – e la moderna chiesa dalla cupola di rame costruita negli anni ‘60 da Haillé Selassié.

Ma il vero tesoro che la rende unica si trova in mezzo, in una piccola e anonima cappella circondata da una altrettanto anonima cancellata che la rende inaccessibile. Questa conterrebbe l’Arca dell’Alleanza, già portata in Etiopia da Menelik I, che dopo essere stata nascosta in varie altre località ha trovato lì la sua collocazione definitiva. Ho scritto “conterrebbe” perché nessuno può verificare ciò che c’è realmente lì dentro. L’unico che potrebbe rispondere a questo interrogativo è il guardiano, il solo ammesso a entrare in presenza di uno degli oggetti più sacri della storia, che paga questo privilegio con il divieto di uscire dal recinto che circonda la cappella se non alla sua morte.

Lalibela e le sue chiese

Quando il diplomatico ed esploratore portoghese Pêro da Covilhã giunse a Lalibela, negli stessi anni in cui Colombo sbarcava in America, scrisse così sul suo diario: “mi pare che non sarei creduto se ne scrivessi ancora… Ma giuro su Dio, nel cui potere io sono, che tutto ciò che ho scritto è la verità”. Quello che vide allora è quello che si apre ancora oggi allo sguardo dei visitatori della città delle chiese scavate nelle montagne.

Nel XII secolo un giovane principe erede al trono imperiale venne stato avvelenato dal fratellastro. Sopravvisse, ma durante il coma ebbe una visione nella quale l’arcangelo Gabriele gli comandò di edificare una città santa e centro di pellegrinaggio in terra d’Etiopia in sostituzione di Gerusalemme che era stata conquistata dal Saladino. Secondo la leggenda era stato avvolto da uno sciame di api, per cui prese il nome di Lalibela, che significa “le api lo riconoscono come re”.

Come rappresentazione dei luoghi santi, una volta salito al trono, fece scavare nella roccia nei pressi della capitale Roha, il cui nome fu cambiato con quello del sovrano stesso, undici chiese, costruite quindi senza muratura e senza legname o malta come segno di purezza. È il complesso di chiese ipogee più grande al mondo. E non si tratta di grotte, ma di veri e propri edifici con tanto di colonne, capitelli e volte al loro interno, finemente decorate.

Lalibela si gira facilmente a piedi, ma ci vorrebbero diversi giorni per esplorare tutti gli anfratti di questo straordinario labirinto in cui ritroviamo luoghi dai nomi familiari, come la Tomba di Adamo, la Casa di Maria o il Golgota. Alcune delle chiese molto probabilmente riprendono la struttura di palazzi scavati in precedenza. Sono divise in due gruppi separate da un torrente, che prende il nome di Giordano, naturalmente. Particolarmente suggestiva è quella dedicata a San Giorgio, a forma di croce greca e scavata direttamente dall’alto.

Se la visita a Lalibela rimane un’esperienza unica in qualsiasi momento dell’anno, diventa davvero speciale durante le festività come il Leddet (Natale) il Timkat (l’Epifania)o la Fasika (Pasqua) che, è bene ricordarlo, vengono celebrate con 13 giorni di ritardo rispetto al calendario gregoriano che utilizziamo noi. Decine di migliaia di pellegrini arrivano da ogni parte del paese accampandosi alla meglio sulle colline circostanti le chiese per poter celebrare queste ricorrenze in questo luogo santo, affollando questo fantastico scenario con la loro devozione.

Una escursione che vale la pena di fare da Lalibela è quella che porta a Yemrehanna Krestos, una chiesa dell’XI secolo costruita all’interno di una grotta sul monte Abuna Yosef seguendo i dettami architettonici axumiti. La chiesa ha la forma di un parallelepipedo e occupa circa un quarto della caverna. I suoi muri alternano strati di pietra bianca ad altri di legno scuro creando uno straordinario effetto di linee orizzontali, interrotte da due ordini di finestre, scolpite con differenti motivi.

Tutto il pavimento della caverna è ricoperto da uno strato di paglia, che rende agevole il cammino a piedi nudi ed emana un gradevole profumo. Accanto alla chiesa c’è la tomba del re Yemrehanna Krestos, che la fece costruire ed è ancora oggi particolarmente venerato. Proseguendo verso il fondo sempre più buio, si arriva a una bassa staccionata al di là della quale si trova un gigantesco ammasso formato dagli scheletri mummificati di migliaia di persone venute nel corso dei secoli in questo luogo sacro a morire.

COME ARRIVARE

Ethiopian Airlines (www.ethiopianairlines.com) collega Addis Abeba con le principali città europee, tra cui Roma, Milano, Parigi, Londra, Bruxelles, Dublino, Francoforte, Madrid, Vienna e Stoccolma. Volano in co-sharing anche le compagnie europee Lufthansa (www.lufthansa.com) e Klm (www.klm.com), e Emirates (www.emirates.com), Turkish Airlines (www.turkishairlines.com) e Egyptair (www.egyptair.com)

DOVE DORMIRE

 *Radisson Blu Hotel Addis Abeba*****, Kazanchis Business District Kirkos Subcity 17/18 Addis Abeba, 1000, Etiopia tel +251 11 515 7600, www.radissonblu.com Doppia da € 185.

*Capital Hotel & Spa*****, 22 Haile Gebre Silase St Addis Ababa ET 1878, Haile Gebre Silase St, Addis Abeba, tel +251 11 667 2100 , https://capitalhotelandspa.com/ . Doppia da € 87.

*Goha Hotel***, Arboghoch Adebabay, 30, Gondar, +251 58 111 06 34, www.gohahotel.com

Doppia da € 80.

*Sabean International Hotel****, Axum, tel +251 34 775 1224, www.sabeaninternational.com-ethiopia.com Doppia da € 76.

DOVE MANGIARE

*Aladdin Restaurant, Zimbabwe St, Addis Abeba, tel +251 11 661 4109, offre piatti della cucina siriana, libanese e mediterranea in ambiente familiare e accogliente.

*Sishu, Alexander Pushkin St, Addis Abeba, tel +251 92 006 1063, ristorante dove poter gustare ottimi hamburger, panini e baguette, in un’atmosfera americana e frizzante.

*The four sisters restaurant, presso “The Soccer Field” dietro alla Biblioteva, Gonder, tel +251 91 873 6510, www.thefoursistersrestaurant.com. Cucina etiope ed africana in ambiente tranquillo ed elegante.

*AB Cultural Restaurant, Ezana Road, Axum, Offre piatti della cucina africana ed etiope in un ambiente tradizionale, con veranda all’ombra degli alberi.

INFO

www.ethiopia.travel/




Due gioielli africani: Senegal e Capo Verde

Caotica ma a misura d’uomo, Dakar, la capitale del Senegal, è una metropoli africana vivibile e ricca di musei e ristoranti che propongono le cucine di tutto il continente. La zona centrale ruota intorno a Place de L’indipendence  e Place Soweto,in un viavai di donne nei lunghi abiti tradizionali boubou e di taxi bicolore giallo/nero è qui che gravita la maggior parte dei visitatori stranieri.

http://www.easyviaggio.com/

Affacciato su Place Soweto, il museo Theodore. Monod-IFAN (Place Soweto, tel: 221338214015) è uno dei più interessanti musei dell’Africa occidentale. Le avenue in stile parigino convengono su piazza dell’Indipendenza dove si affaccia l’Hotel Pullmann Teraga, luogo ideale per  un aperitivo con vista oceano al bar Flamboyant. A pochi passi da qui, l’Istituto Francese che ospita la galleria d’arte Le Manège e un ristorante immerso nel verde.

Di giorno Dakar è una città sicura, dopo il tramonto l’unica avvertenza è muoversi in taxi. A parte questa semplice regola, ovunque si fa l’esperienza della terranga, vale a dire l’ospitalità senegalese. E con un paio d’ore d’auto, dalla capitale, si raggiunge il Sine Saloum, cioè il delta del fiume omonimo, parco nazionale e paradiso del birdwatcher. È anche l’occasione per un viaggio che permette di conoscere le popolazione del delta, coinvolte in progetti turistici di tutela dell’ambiente.

http://www.tuttocapoverde.it/

Altra perla da visitare a circa 500 km dal Senegal è di certo Capo Verde, che fa parte di quelle isole dell’Atlantico che sono d  diventate famose e luighi da conoscere dopo il successo della “diva a piedi scalzi” di Cesaria Evora. Le dieci  isole di origine vulcanica a dicembre e gennaio, divise tra isole di Sopravvento e Sottovento, hanno una temepratura tra i 24 e i 25 gradi. Una volta sull’arcipelago vale davvero la pena conoscere meglio laa popolazione e la cultura locale, un vero connubio tra Africa, colonizzazione portoghese, Brasile. L’isola migliore per farlo è quella di Sao VIcente, dove Mindelo è il entro culturale capoverdiano e meta perfetta per chi vuole conoscere e ascoltare i ritmi della morna cantata in creolo capoverdiano. A Sao Vicente si può pernottare al Goa Residencial, struttura con un ottimo rapporto qualità-prezzo




8 GIORNI IN NAMIBIA…, ALLA RICERCA DELLE NOSTRE ORIGINI

Una terra sul Tropico del Capricorno, rimasta intatta, nella quale si può assaporare un lontanissimo passato, alle origini della nostra civiltà. Questa volta il servizio è stato realizzato dalla nostra lettrice Anna Maria Terzi, che volentieri pubblichiamo.

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Da tempo pensavamo alla Namibia come a una possibile meta per un viaggio di scoperta. E finalmente il giorno della partenza è arrivato. Ci imbarchiamo sul volo Lufthansa per Francoforte e poi sul volo Air Namibia alla volta di Windhoek dove arriviamo il giorno dopo alle 7.30.

Primo giorno
È il 26 gennaio e l’avventura ha inizio. A bordo di un fuoristrada Toyota ci dirigiamo verso l’Etosha National Park, che si trova oltre 500 chilometri più a nord. Lungo il percorso avvistiamo molti termitai, gigantesche torri di terra rossa slanciate verso il cielo, e poi springbok, zebre, giraffe, orici, kudu, gnu, eland, iene, sciacalli, impala e, all’ombra di un cespuglio, un gruppo di leonesse con i cuccioli. Arriviamo infine al nostro lodge il “Mokuti” situato a 2 km dall’ingresso est del parco.

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Secondo giorno
Attraversiamo l’Etosha National Park da Namutoni sino a Okaukuejo incontrando sciacalli, springbok, zebre, red hartebeest, giraffe e un rinoceronte. Lo scenario è magico, i colori cambiano di chilometro in chilometro. Verso sera ci rechiamo al campo Okaukuejo, un lodge governativo, all’interno del parco stesso, famoso per la pozza d’acqua dove, nottetempo, si abbeverano molti animali. Infatti poco dopo le 5 del mattino siamo svegliate dal ruggito di un leone. Alla pozza possiamo ammirare una zebra che beve indisturbata.

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Terzo giorno
La mattina presto partiamo per il Damaraland e, pochi chilometri prima della Anderson’s Gate, incontriamo un leopardo. Il Damaraland è una regione arida e montuosa della Namibia centro-settentrionale, situata fra l’Ovamboland a nord, il deserto del Namib a ovest e il deserto del Kalahari a est, e prende il nome dal popolo Damara che la abita. Nell’area predominano le arenarie, di colore rossastro. Gli scenari sono incantevoli e i paesaggi mozzafiato. Nella tarda mattinata visitiamo un villaggio Himba, il popolo rosso.

abitazione himba

Gli Himba praticano la pastorizia e, a differenza degli Herero, non hanno subito l’influenza della colonizzazione europea mantenendo così costumi e tradizioni proprie. Presso il popolo Himba le vacche sono considerate sacre e rappresentano ricchezza e pertanto chi ne possiede molte acquista prestigio e guadagna posizione sociale.

bambina himba

Gli Himba vivono in capanne a cupola molto rudimentali costruite con rami di mopane e fango ricoperte con un impasto di argilla e sterco. All’interno vi è un cono fatto con stecchetti ed erba intrecciata, sotto al quale viene messo il carbone acceso per profumare gli indumenti e gli ambienti. Le donne indossano un gonnellino corto di pelle di capra tenuto in vita da diverse cinture che si differenziano in base all’età e allo stato civile, e più volte al giorno si cospargono il corpo con un impasto di ocra e grasso animale cui vengono aggiunte erbe aromatiche. L’impasto viene spalmato sulla pelle, sui capelli e sugli abiti, al fine di proteggere l’epidermide dal sole, dal freddo e dagli insetti. Non si lavano mai ma si cospargono 2-3 volte al giorno con questo impasto e, mensilmente, per eliminare i vari strati, cospargono la pelle con una mistura di ocra e farina di polenta, che funge da “abrasivo” mentre i capelli vengono ripuliti con la cenere.

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L’abbigliamento degli uomini è un perizoma di pelle di capra o di bovino pieghettato sul davanti e decorato con perline completano il tutto sandali di cuoio ai piedi e collanine al collo. Il saluto Himba è una stretta di mano. Dal villaggio Himba ripartiamo alla volta del lodge Twyfelfontein Country.

Quarto giorno
In mattinata visitiamo le millenarie incisioni e pitture rupestri che si trovano sulle rocce di arenaria tutt’attorno alla Vallata di Twyfelfontein. I graffiti sono stati realizzati dai cacciatori predecessori degli attuali San (Boscimani) stanziati per lunghi periodi in questa valle che offriva loro acqua e una posizione strategica per la caccia.

incisioni rupestri

Quasi tutte le figure rappresentano animali: elefanti, kudu, struzzi, giraffe, rinoceronti, leoni, e tantissimi altri carnivori ed erbivori. Si sono fatte ipotesi diverse su queste immagini: per alcuni esse avevano una funzione “didattica” (insegnare cioè ai giovani quali specie cacciare), per altri invece si tratta di immagini prodotte durante gli stati di trance degli sciamani. Raggiungiamo poi le “canne d’organo”, spettacolari formazioni rocciose createsi in epoca preistorica, e visitiamo la “foresta pietrificata” , 45 km a ovest di Khorixas.

foresta pietrificata

La foresta è il più vasto accumulo di tronchi fossili dell’Africa meridionale, in ottimo stato di conservazione e dichiarati Monumento Nazionale. Nel corso della giornata incontriamo anche i Damara, etnia che ha la particolarità di parlare con i “click”, suoni emessi schioccando la lingua per comporre le diverse parole. I Damara vivono in capanne tradizionali fatte di fango, sterco e legno di mopane e sono dediti alla pastorizia. Nel pomeriggio ripartiamo seguendo il letto del fiume Aba – Huab alla ricerca degli elefanti del deserto che avvistiamo circa 50 chilometri più avanti. Bellissimi, questi giganteschi animali sono lì a pochi passi da noi e quasi li possiamo toccare.

Quinto giorno
Si parte per Swakopmund passando il Brandberg, la vetta più alta della Namibia, e lungo la Skelethon Coast, così chiamata per la grande concentrazione di relitti di navi. Ripartiamo alla volta della Walvis Bay dove ceniamo in un bellissimo ristorante affacciato sulla laguna e raggiungibile da un pontile in legno. Pernottiamo al Pelican Bay Hotel.

Pelican Bay

Sesto giorno
Il 31 gennaio facciamo un’escursione in barca nella laguna di Walvis Bay per avvistare otarie e cormorani. Dopo alcuni minuti salgono a bordo un pellicano e una simpatica otaria che occupa mezza imbarcazione. Non mancano fenicotteri, gabbiani e delfini che nuotano nel mare circostante. Ripartiamo poi alla volta del deserto del Namib, il cui nome significa “luogo vasto”. Qui la sabbia dal colore molto intenso cede il posto al deserto sassoso e roccioso.

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Procedendo verso sud arriviamo al cartello “Tropico del Capricorno”. Questa parte di Namibia offre scenari magnifici. Dopo una breve sosta a Solitaire, in serata arriviamo al nostro lodge “Le mirage” un castello nel bel mezzo al deserto, un luogo di straordinaria bellezza.

Settimo giorno
L’intera giornata è dedicata all’escursione all’interno del Namib-Naukluft Park sino a Sossusvlei e Dead Vlei. Per prima cosa andiamo alla scoperta della famosa duna “45” ma decidiamo di scalare la Sossusvlei posta tra Big Daddy e Big Mama.

duna

Scalare la duna è difficoltoso, ma la fatica e le difficoltà sono ripagate dal paesaggio magico che si può ammirare una volta in cima: cinture di dune fra le più alte e spettacolari al mondo caratterizzate da colori intensi che vanno dal rosa all’arancione. Visitiamo poi la Dead Vlei, una depressione calcare dove si trovano tronchi di alberi secchi con più di 700 anni di storia. Uno scenario incantato e sospeso nel tempo. Nel pomeriggio visitiamo il canyon di Sesriem, formato dal fiume Tsauchab, che ha scavato una gola profonda 30 metri.

Ottavo giorno
In mattinata facciamo tappa all’Hammerstein Lodge per vedere gli animali che vivono all’interno della riserva perché feriti o perché orfani e quindi non in grado di procurarsi il cibo in regime di libertà.

ghepardi

giraffe

Qui vivono Giulietta e Romeo, due bellissimi caracal, un bellissimo leopardo e due meravigliosi ghepardi, Oscar e Wilde, ai quali ci avviciniamo lentamente in assoluto silenzio prima di accarezzarli. Che emozione….. fanno le fusa…. Prendiamo coraggio e le carezze si trasformano in abbracci e baci. Loro ricambiano leccandoci (non nascondo che per un attimo il pensiero che ci stessero “assaggiando” mi è balenato per la testa). Il nostro viaggio purtroppo finisce qui e quel che rimane si riassume in una frase di Maupassant: “Il viaggio è una porta attraverso la quale si esce da una realtà nota per entrare in un’altra realtà inesplorata che somiglia al sogno…”Kare Nawa Namibia”.

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INFO UTILI
Organizzazione tour: HB SAFARIS – FRANZ ST. 2 – WINDHOEK NAMIBIA – P.O BOX 22742 – TEL. 00264 61 215558 – Email: info@hbsafaris.com – Skype: Hbsafaris
Volo: E.DREAM
Alloggi: Lodge Mokuti a 2 Km dall’ingresso del parco Ethosha – Lodge Farm 941, kleibegin C38 Parco Ethosha o Kaukuejo Lodge all’interno del parco Ethosha
Le mirage desert Lodge & SPa – C27 SESRIEM – NAMIB DESERT NAMIBIA Tel. +264 (0)63683019 – info@mirage-lodge.com – www.mirage-lodge.com
Cosa si mangia: In Namibia, trattandosi di un’ex colonia tedesca, si trovano molti piatti tipici tedeschi, birra inclusa. Brotchen (panino tedesco), carne: orice (gemsbok), kudu, struzzo, e coccodrillo sotto forma di bistecca, arrosto o stufato. Cacciagione affumicata e paté per antipasto. Talvolta sui menu si trovano anche piatti a base di facocero, zebra, alcefalo e antilope alcina.
Stagione consigliata: il periodo migliore è quello invernale, da giugno ad agosto: è secco e soleggiato. Le Mirage  tramonto

 




EMERGE L’ASIA MA L’AFRICA SI DIFENDE

Annus mirabilis, il 2015, per il turismo italiano, con Milano in prima fila ad accogliere milioni di persone attese per Expo Milano 2015. Questo è il “volto” del turismo incoming, come direbbero in gergo gli operatori, mentre qual è l’altro lato della medaglia? Se volessimo scoprire tutte le novità del turismo outgoing – ovvero le destinazioni straniere più richieste oltre i confini nazionali -, cosa scopriremmo? Quali sono le destinazioni “a lungo raggio” che faranno furore in questo 2015? Vediamole insieme, iniziando a progettare o… a prenotare la vacanza ideale.

TRIS ASIATICO: VIETNAM, SINGAPORE, CAMBOGIA

Il podio delle prime vede un tris d’assi asiatico, a iniziare dalla destinazione mondiale emergente per eccellenza, ovvero Da Nang, in Vietnam, che vanta una serie di numeri che rendono palese il suo impegno nel settore turistico.

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Sorge sulla riva occidentale del fiume Hán nel centro del Vietnam, Da Nang, è circondata da lunghe spiagge bianche e sono imperdibili le sue montagne di marmo. E’ una meta che viene prescelta anche da esigenti gourmet per la ricchezza della sua offerta gastronomica da apprezzare in oltre duecento ristoranti che seducono per la qualità e la quantità di specialità per ogni tasca e palato.

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SINGAPORE

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A contendere la medaglia d’oro dei paesi più gettonati nel 2015 c’è anche Singapore: la città, infatti, nel 2015 celebra i cinquant’anni di indipendenza dal Commonwealth britannico e sono attese con trepidazione e partecipazione le inaugurazioni del Marina Bay Sands, dell’ecoparco Gardens by the Bay e della National art gallery che si inseriranno fra edifici storici, futuristici commercial center, straordinarie aree verdi e pennellati di colore esotico, tipicamente locale.

CAMBOGIA: LA SORPRESA

In quest’inizio di 2015 sta già facendo parlare molto di sé anche Sihanoukville, in Cambogia, affacciata sul golfo del Siam, con un mare costellato da isole disabitate color smeraldo, con spiagge di sabbia chiara e con il mare che si stempera in onde color turchese.

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Sihanoukville – che deve il suo nome al re Sihanouk-, detiene la medaglia di bronzo fra le destinazioni emergenti del 2015 e rappresenta un perfetto binomio di vacanza “mare e cultura”, abbinando al relax di Nettuno la visita dei templi di Angkor Wat.

ANCORA ASIA: BIRMANIA E COREA DEL SUD

Voglia di Oriente con lo spirito pionieristico? Allora le destinazioni che fanno per voi sono la Birmania e la Corea del Sud. Entrambe stanno facendo capolino nelle classifiche delle destinazioni del 2015. La Birmania è un elisir di meraviglie naturali – straordinarie sono le sue spiagge candide – e culturali – come i templi di Bagan –, le sue infrastrutture sono migliorate e nuove strade consentono facili e rapidi collegamenti.

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Quanto alla Corea, pare non ci siano limiti alla cultura pop coreana e questo sta portando a Seoul turisti a frotte. La popolarità mondiale del Gangnam Sytle ha creato viaggi a tema che i viaggiatori adorano, mentre i negozi offrono offerte speciali per i nomi più in vista della musica pop coreana. Negozi che, tra l’altro, fanno parte del più grande mercato del mondo esente da tasse. E a proposito di budget: Seoul ha costruito in un batter d’occhio alberghi con un ottimo rapporto qualità-prezzo.

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NAMIBIA: L’AFRICA GREEN

Cambiamo ora continente e dirigiamoci in Africa dove i riflettori sono puntati sulla Namibia, destinazione ambita dagli appassionati di natura e turismo green e non a caso il Paese detiene la medaglia d’oro in tutta l’Africa per aver inserito la tutela ambientale nella propria costituzione.

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Imperdibile, la Namibia, con il deserto del Namib – fra i più spettacolari al mondo, caratterizzato da imponenti dune color albicocca – e lo sterminato parco Etosha con il suo straordinario patrimonio naturalistico.

BRASILE: SEMPRE RICHIESTO

Per concludere voliamo verso il sud America e verso una destinazione che non ha smesso di far parlare di sé dalla scorsa estate: è il Brasile, che la Coppa del Mondo e le Olimpiadi estive del 2016 hanno reso sempre più accattivante e… pratico da raggiungere e visitare.

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Dai nuovi terminal negli aeroporti fino a strade nuove e un sistema ferroviario nettamente migliorato, esplorare il Brasile non è mai stato più semplice. Itinerari attraverso le favelas di Rio e viaggi ad hoc nella foresta amazzonica sono consigliati per scoprire tutti i volti del Paese, ma chi volesse “il meglio dalla vita” può trovare quello che cerca nei nuovi alberghi di lusso costruiti appositamente per le prossime Olimpiadi.

 Luciana Francesca Rebonato