Per una volta WEEKEND & TRAVEL

Paradisi (quasi) perduti. Dieci luoghi da sogno che rischiano di scomparire

image_pdfimage_print

6. Isole Fiji

Conformazione simile, stesso “posto nel mondo”, anche le meravigliose Isole Fiji, Stato insulare dell’Oceania, composto da 322 isole, di cui solo 106 abitate, e 522 piccoli isolotti, rischiano di soccombere a causa dell’innalzamento delle acque del mare. Una ricerca dell’Università del Pacifico del Sud, infatti, hanno evidenziato come, nell’ultimo decennio, il livello del mare si è alzato più in fretta che in qualsiasi altro decennio del secolo scorso. Secondo le previsioni, entro il 2050, il livello del mare sarà più alto di circa mezzo metro rispetto a oggi.

Tuttavia, i primi effetti dei cambiamenti climatici hanno già iniziato a farsi sentire. Tra le prime “vittime” ci sono gli abitanti del villaggio di Vunidogoloa, che hanno dovuto abbandonare le loro case per trasferirsi a circa un chilometro e mezzo di distanza, sulla cima di una collina. Il cedimento del tratto di barriera corallina che faceva da baluardo tra l’oceano e il loro villaggio, dovuto all’erosione, ha permesso alle acque di sommergere quello che prima era il centro abitato.

Lo stesso rischio lo stanno correndo gli abitanti del villaggio di Karoko, nella penisola di Kubulau, e quelli del villaggio di Vunisavisavi, che si vedono arrivare l’acqua dell’oceano fino alla porta di casa quando c’è l’alta marea. Nel villaggio di Nukui, invece, ad appena un’ora di barca dalla capitale, a causare danni è il vicino fiume, che rompe gli argini tutte le volte che viene ingrossato dalle acque del mare.

7. Isole Carteret (Papua Nuova Guinea)

Questo ex paradiso al largo della Papua Nuova Guinea vanta un triste primato: i suoi abitanti sono stati i primi profughi ambientali “ufficiali” al mondo. Negli anni Ottanta la popolazione era circa di 3300 persone, ma ora le isole sono quasi del tutto disabitate e gli abitanti costretti a trasferirsi in massa nella vicina isola di Bougainville, a circa 80 km.

In origine, l’arcipelago era formato da sei isole, poi Huene è stata spaccata in due dalle mareggiate, mentre le isole di Han e Piun sono quasi completamente state sommerse dalle acque dell’oceano, cresciute di 10 cm in 20 anni. Un problema che ha contribuito alla “fuga” degli abitanti è stata anche la perdita di fertilità del terreno, “invaso” dalle acque salate del mare.

L’aumento della salinità ha comportato la perdita di alberi di banane e noci di cocco, tra le principali fonti di sostentamento della popolazione, abituata a vivere di autosostentamento e seguendo i ritmi della natura. L’acqua salata, poi, ha raggiunto anche i pozzi, costringendo gli abitanti a raccogliere l’acqua piovana. Questo avrebbe causato un aumento di casi di malaria sulle isole

8. Seychelles

Anche le Seychelles, paradiso turistico circondato dall’Oceano Indiano, rischiano di scomparire a causa del global warming. In particolare, a soffrire è la splendida barriera corallina che protegge le isole dall’invasione delle acque, che a causa dell’aumento delle temperature e dell’acidificazione delle acque diventa sempre più fragile, perdendo la sua funzione “difensiva”.

Il fenomeno, chiamato “sbiancamento” dei coralli, avviene quando le acque del mare sono troppo calde e i coralli espellono le alghe zooxanthellae che vivono al loro interno. Se le temperature non si abbassano in un tempo ragionevole, calcolato in poche settimane, il corallo muore. Il suo “scheletro” diventa poroso e fragile e la barriera corallina si erode e cede. Le terre emerse, quindi, sono più soggette a mareggiate e inondazioni.

Gli studiosi hanno calcolato che El Niño, cioè la violenta perturbazione che colpisce periodicamente l’Oceano Pacifico, alterandone le temperature, nel 1998 e nel 2008 ha causato la morte del 90% dei coralli. Questo perché, nonostante sia prevedibile, il fenomeno non è stato “alternato” a un periodo di riadattamento delle temperature e i coralli non hanno fatto in tempo a riprendersi.

L’innalzamento generale delle temperature ha poi portato nelle isole una grave siccità, con ripercussioni sulla pesca e sull’agricoltura, attività di sostentamento principale per gli abitanti delle isole.

9. Sao Tomé e Principe

A differenza delle altre isole citate, la Repubblica Democratica di São Tomé e Principe non rischia di essere sommersa dalle acque, ma di perdere la sua meravigliosa biodiversità per mano dell’uomo. Situata lungo l’Equatore, a 300 km al largo della costa del Gabon, nel Golfo di Guinea, nell’Africa occidentale, si compone di due isole principali, São Tomé, che ha una superficie di 836 kmq, e Principe, di appena 128 kmq più sette isolotti rocciosi.

Proprio le dimensioni ridotte delle isole hanno fatto sì che, più che in altri luoghi, qui i cambiamenti ambientali abbiano messo a serio rischio l’ecosistema, la biodiversità e gli stessi abitanti. L’emergenza di São Tomé si chiama deforestazione. E la colpa è delle multinazionali che hanno sostituito la foresta equatoriale con piantagioni di palme da olio. Il prodotto principale di queste piante, l’olio di palma, infatti, è economico, redditizio e versatile, e può essere utilizzato in tutto il mondo non solo nell’industria alimentare, ma anche in un’infinità di prodotti, tra cosmetici, dentifricio, detergenti e biodiesel. Il tutto, però, a discapito della natura e dell’ambiente.

All’origine del problema ci sarebbe in non rispetto da parte delle multinazionali delle concessioni e dei vincoli ambientali. Un’inchiesta della sezione francese di Greenpeace, partita in seguito alle proteste degli abitanti di São Tomé ha rilevato come siano state abbattute zone di foresta non comprese nella concessione e che le coltivazioni di palme da olio si siano estese su terreni utilizzati dalla popolazione per l’agricoltura di sussistenza, in particolare nelle aree adiacenti al Parco Nazionale di Obo

Leggi qui il nostro approfondimento

10. Glacier National Park

Il Glacier National Park, in Montana (USA), è un altro dei gioielli naturali che rischiano di scomparire a causa del riscaldamento globale. Con i suoi 4045 kmq è uno dei parchi più grandi degli Stati Uniti e nel suo territorio comprende due catene montuose, più di 130 laghi, cascate, centinaia di fiumi, panorami mozzafiato, più di mille specie di piante e centinaia di specie di animali diversi, tra cui grizzly, orsi neri, puma e ghiottoni.

Per capire la gravità della situazione, basti pensare che nel 1850, nel territorio del parco erano presenti 150 ghiacciai. Oggi ne sono rimasti soltanto 25. E si pensa che anche questi siano destinati a scomparire entro il 2030. La situazione viene monitorata dal Northern Rocky Mountain Science Center, che, a partire dal 1997, ha scattato una serie di fotografie per documentare lo scioglimento dei ghiacci, con risultati preoccupanti

Temperature estive che a duemila metri superano i 30°C, un aumento di 1,8°C superiore all’incremento medio globale, estati più lunghe e fiumi che si ingrossano alimentati dai ghiacciai sciolti hanno modificato l’ambiente naturale, mettendo a rischio le specie animali e i loro bioritmi.

Leggi qui il nostro approfondimento