
Svegliarmi presto a Napoli ha tutto un altro sapore. Scendo e trovo le sfogliatelline calde dell’hotel Palazzo Caracciolo: il profumo, la friabilità, il dolce contrasto tra la sfoglia croccante e il ripieno cremoso. Un inizio perfetto per una giornata intensa.
Mi incammino verso la Cappella Sansevero, in via Francesco De Sanctis, per ammirare una delle opere che più mi hanno lasciato senza parole: il Cristo Velato, scolpito nel 1753 da Giuseppe Sanmartino. È incredibile come il velo di marmo sembri vero, leggero, trasparente. Canova, si dice, avrebbe dato dieci anni della sua vita per averlo realizzato lui stesso. Capisco il perché.
Ma non c’è solo il Cristo. Nella stessa cappella scopro il Disinganno, di Francesco Queirolo, con quella rete scolpita nel marmo che sembra potersi toccare. E poi le macchine anatomiche, i simboli esoterici, i misteri legati a Raimondo di Sangro, principe visionario e controverso. Ne esco colmo di meraviglia, ma anche un po’ sopraffatto dalla folla: certe opere si vorrebbero contemplare nel silenzio.
Fuori, svolto l’angolo e arrivo in piazza San Domenico Maggiore. È lì, proprio lì, la pasticceria Scaturchio. Ed è un attimo: sfogliatella riccia ancora tiepida, croccante, profumata. Dal Cristo Velato alla sfogliatella: in fondo, è sempre questione di estasi.
Dal sacro alla “Genovese”
Napoli è fatta di contrasti e bellezza. Mi sposto verso il Monastero di Santa Chiara, in piazza del Gesù. La basilica, risorta dalle bombe della Seconda guerra mondiale, conserva la sua eleganza gotica. Ma è nel chiostro che mi perdo davvero: colonne maiolicate, affreschi, glicini in fiore che sembrano cadere dal cielo. A maggio, questo posto è un piccolo paradiso terrestre.
A pochi passi, il Duomo di Napoli. Qui si rinnova uno dei riti più sentiti della città: il miracolo di San Gennaro. Che si sciolga o no il sangue, è un’esperienza che tocca corde profonde, anche per chi non è credente.
Via Toledo, oggi pedonale, è un fiume di gente e colori. Al numero 185 entro a Palazzo Zevallos Stigliano, una delle Gallerie d’Italia. Un Caravaggio, un’Artemisia Gentileschi, un Luca Giordano. Napoli sorprende sempre, anche dove non te l’aspetti.
Quando il sacro incontra il profano
Basta camminare per le strade per scoprire edicole votive, archi antichi, chiese nascoste. Come San Giovanni a Carbonara, quasi di fronte al mio hotel. La scalinata barocca conduce a un gioiello gotico del Trecento, con le tombe dei Caracciolo. Un luogo poco conosciuto, ma che vale la deviazione. Napoli è così: ogni angolo può diventare una scoperta.
Non riesco a vedere tutto. Mi mancano ancora Napoli Sotterranea, i presepi artigianali di via San Gregorio Armeno, il parco Virgiliano affacciato sul mare, l’isoletta della Gaiola, la tomba di Leopardi. E poi le sfogliatelle salate, i Quartieri Spagnoli, le ville eleganti di Posillipo. Qui tutto si mescola: sacro e profano, bellezza e degrado, rabbia e poesia.
Concludo la mia giornata con una passeggiata sul lungomare di via Caracciolo. Il Vesuvio, Capri e Ischia vegliano sul golfo, mentre intorno a me la vita scorre. Qualcuno corre, qualcuno ride. Io mi fermo con un coppo di alici fritte e un tarallo caldo. E penso che sì, Napoli almeno una volta va vissuta. Ma una volta non basta.
Dove dormire
Hotel Palazzo Caracciolo, Via Carbonara 112 – Tel. 081 0160111
Dove mangiare
Trattoria Castel dell’Ovo, Via Luculliana 28 – Tel. 081 7666352
Almeno una volta… assaggiare la “Genovese”
Tra i piatti simbolo di Napoli, la Genovese occupa un posto speciale. Nonostante il nome, a Genova non sanno neanche cosa sia. Si racconta sia nata da un cuoco francese di Ginevra che unì la zuppa di cipolle alla carne. Sarà vero? Non lo so. So solo che è deliziosa.
Ingredienti (per 10 persone)
1,5 kg di girello di vitello
100 g di pancetta
2 gambi di sedano
1 carota
1,5 kg di cipolle
1 bicchiere di vino bianco
Olio extravergine d’oliva
1 kg di penne o ziti spezzati
Preparazione
Rosolo la carne avvolta nella pancetta in un tegame alto. Aggiungo sedano, carota e sale, sfumo col vino e unisco le cipolle affettate sottili. Cuoce tutto a fuoco basso per almeno tre ore, mescolando e aggiungendo acqua se serve. Alla fine, ottengo un sugo denso e profumatissimo. La carne va servita come secondo, la pasta saltata nel tegame fino a quando la salsa non si fonde con l’amido. Pepe nero a piacere.
In abbinamento? Un bel bicchiere di Coda di Volpe del Sannio.
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